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Autore: Evali    03/04/2020    2 recensioni
Un villaggio isolato, un popolo spezzato in due in seguito ad una terribile calamità, due divinità da servire, adorare e rispettare in egual modo: Dio e il Diavolo.
"- Io amo gli uomini.
- E perché mai io sono andato nella foresta e nel deserto? - replica il santo. – Non fu forse perché amavo troppo gli uomini? Adesso io amo Iddio: gli uomini io non li amo. L’uomo è per me una cosa troppo imperfetta.
- È mai possibile! Questo santo vegliardo non ha ancora sentito dire nella sua foresta che Dio è morto!"
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Il villaggio Bliaint
 
Il bambino seduto sopra le gambe della sua balia muoveva avanti e indietro i piedini per la gioia.
I suoi occhioni che tanto somigliavano a due tondi e brillanti lapislazzuli osservavano attenti e vivaci l’intruglio che stava prendendo forma e consistenza sotto le mani esperte della donna, mentre muoveva la testolina facendo ondeggiare la sua selvaggia chioma castana.
- Ora aggiungiamo delle foglie di felce. Ne hai raccolte quante te ne avevo chieste? – gli domandò affettuosa, continuando a mischiare l’intruglio giallognolo nella ciotola di legno.
 - Lungo il fiume ho contato dodici felci, ognuna di loro aveva tra i venti e i venticinque steli. Su ogni stelo c’erano trentotto foglie. Non potevo scegliere tra più di undicimila foglie, ci avrei messo troppo. Allora ho preso mezzo stelo di una pianta più giovane, e mezzo di una pianta più adulta, in modo che avresti potuto scegliere tra entrambe – spiegò il bambino con disinvoltura, continuando ad osservare le mani scure della donna sgretolare del muschio bianco e unirlo al miscuglio.
- Buon Dio, Blake, sei davvero bravo con i numeri! – esclamò la balia stupita. – Se fossi brava come te riuscirei a tenere a mente le dosi giuste per gli intrugli molto meglio.
- Posso farlo io per te.
La donna sorrise in risposta. - Presto diventerai bravo anche con le lettere, vedrai.
In quello so cavarmela. Ricordo come si scrivono tutti i nomi delle varietà di piante, di cristalli, di radici, di rocce e degli intrugli che mia madre mi ha insegnato e che ho creato io.
- Vuol dire che riuscirai anche a portarmi dei libri dalla biblioteca del villaggio per insegnarmi? – le domandò speranzoso il piccolo, voltandosi a guardarla con le sue biglie luminose.
- Ci proverò, promesso. Dobbiamo solo stare attenti a non farci scoprire da tua madre. Sai che i tuoi genitori non approvano che impari a leggere e a scrivere.
- Giuro che non mi farò scappare una parola.
- Bravo il mio bambino. Intanto posso iniziare insegnandoti a scrivere il tuo nome oggi, che ne dici? – gli propose dandogli un buffetto col dito sul nasino leggermente all’insù.
Egli annuì soddisfatto, ritornando poi a guardare le mani della balia maneggiare il composto che aveva iniziato ad emettere un odore pungente e piacevole.
Chiuse gli occhi cercando di fissarlo nella sua memoria, come faceva con tutto ciò che voleva imprimere tanto indelebilmente nella sua testa da riuscire a ricordarselo in ogni momento, senza fatica.
- Come si chiama questo intruglio? – le domandò dopo un po’.
- Aimanlokran – gli rispose ella.
- Aimanlokran. E tu invochi il potere del nostro Signore ogni volta che ne prepari uno?
- Certo. Dobbiamo farlo tutti.
- Sennò non avrà l’effetto che volete abbia?
 - Esatto. E per ringraziarlo per il suo dono.
In quel momento, la porta della casetta si aprì, rivelando la figura di una ragazza dai folti capelli ricci e lo sguardo serio e turbato. – Myriam, che stai facendo? Cosa stai insegnando a mio figlio? – irruppe precipitandosi accanto ai due, prendendo il bambino in braccio e facendolo scendere dalle gambe della giovane balia.
- Stavo solo preparando un rimedio per la tosse. Ultimamente i venti si sono fatti più freddi e Blake ha cominciato a tossire, perciò …
- So io cosa serve a Blake. Ti ho già ripetuto più volte di non preparare quelle pozioni davanti a lui – la rimproverò interrompendola, per poi voltarsi verso il bambino. – E tu, vuoi spiegarmi cos’è questo?? – gli chiese tirando fuori dalla tasca della sua lunga sottana un cencioso quadernino, aprendolo dinnanzi a lui.
-  È il mio quadernino.
- È il tuo quadernino?? Il tuo quadernino di cosa? È stracolmo di un’infinità di numeri e di strani segni. Che cosa vuol dire??
- Niente.
- Non ti serve a nulla tenere un quaderno per gli scarabocchi. Sai che non approvo queste perdite di tempo.
- Invece mi serve! E poi voglio imparare a leggere, lo userò anche per quello!
- Non urlarmi contro, Even Blake! Cos’è, vuoi diventare un mercante?? Rispondimi!
- No.
- Bene, allora lascia perdere i numeri, perché quelli servono solo ai mercanti.
E dimmi, vuoi diventare un monaco?
- No.
- Allora non ti serve neanche imparare a leggere e a scrivere, tuo padre e io viviamo benissimo anche senza!
Devi concentrarti sul lavoro pratico, sul mantenere la tua famiglia, sullo specializzarti nel mestiere che tuo padre porta avanti! Un giorno andrai a lavorare anche tu nella galleria!
- Io non voglio andare a lavorare nella galleria.
- E invece ci andrai, perché è un onore portare avanti gli scavi nella galleria, estrarre nuovi metalli, nuove pietre preziose e redditizie! È un mestiere prestigioso e che in molti vorrebbero avere l’opportunità di fare, che richiede impegno, pratica, parsimonia e dedizione!
Questo dobbiamo fare, Blake! Lo capisci o no?? Il tuo compito è quello di assistere me e tuo padre, aiutarci, ascoltarci e pregare il nostro Signore.
Nient’altro o ti caccerai in grossi guai.
Mi hai capito??
Detto ciò, gettò il quadernino nelle scoppiettanti fiamme che alimentavano il caminetto.
 
 
DIECI ANNI DOPO
 
  
La ragazza che portava il nome completo di Arley Judith, camminava per le strade fangose del villaggio stringendosi nel suo mantello borgogna, più scuro dei suoi capelli, ma che si intonava perfettamente alla sua lunga chioma cremisi.
Era uno dei pochi regali che le avevano fatto, e se lo teneva ben stretto, perché anche se oramai aveva ben imparato a sopportare il freddo, una protezione in più era sempre ben gradita.
Sapeva che i monaci che l’avevano cresciuta avevano ottenuto quel colore così acceso, denso e particolare mischiando diversi pigmenti ottenuti dai petali delle rose che crescevano vicino al fiume, da alcuni cristalli che utilizzavano anche per scolpire i diamanti dei gioielli che indossavano gli uomini di culto come loro, e del sangue di gatto selvatico, il più corposo e luminoso, dicevano.
Gli abitanti dei villaggi vicini al loro li invidiavano e ammiravano, nutrendo un sentimento contrastante di timore e rispetto nei loro confronti. Tuttavia, era inappropriato parlare di villaggi vicini.
Bliaint si ergeva tra due radure, ad un’altitudine notevole, in uno spazio arieggiato e isolato rispetto agli altri centri abitati,  una grande porzione di verde tutta per loro.
Nonostante l’ampiezza del villaggio, non erano in troppi ad occuparlo, difatti non avevano mai rischiato il sovraffollamento grazie al controllo delle nascite.
D’estate e in primavera vi erano venti caldi ad allietarli dai freddi e ostili inverni, il sole splendeva su di loro,  nonostante l’aria soffiasse impetuosa come sempre era solita fare, smuovendo vestiti e capelli.
Ma la stagione migliore era l’autunno. In quei mesi dell’anno le piogge animavano quasi incessantemente le notti, portando nebbia e pace durante il giorno, insieme ad un clima temperato e ad una strana e suggestiva atmosfera, in grado di animare i corpi e le menti.
Tuttavia, non vi erano solo boschi e verdi campi a Bliaint, ma anche diverse paludi, specialmente dove scorreva il fiume, nel punto più in alto.
Camminando sin oltre la radura, sorpassando i confini del villaggio, vi era anche uno splendido lago, sede di maledizioni e leggende, evitato da chiunque preferiva rimanere al suo posto e non cacciarsi in situazioni spiacevoli.
Soprattutto da chi cercava di rifuggire la magia e tutto ciò che portava con sé.
Il lago era spesso frequentato da streghe e stregoni, per praticare i loro riti in tranquillità, circondati dal silenzio, dalla luce e dall’aura immacolata della natura.
Era sempre stato ambiguo e indefinito il rapporto che sussisteva tra la chiesa e la magia.
O meglio, tra una chiesa e l’altra.
Frequentemente Judith si sentiva gli occhi puntati addosso, ma sapeva che fosse solo una sua impressione, poiché in pochi erano a conoscenza di chi fosse sua madre e di che fine avesse fatto.
Non che i roghi non fossero frequenti nel loro villaggio, soprattutto in quel periodo, nel quale erano notevolmente aumentati per svariati motivi; tuttavia, quando Bernadette Livian era stata arsa viva dinnanzi a tutti gli abitanti di Bliaint, non fu come le altre volte.
Judith aveva solo sei anni quando accadde, ma sapeva che sua madre avesse sbagliato come nessun altro avesse sbagliato prima di allora. Nonostante ciò, era troppo piccola per capirne appieno le motivazioni.
Quando, dopo l’esecuzione, era andata a vivere nella cattedrale poiché non aveva altri parenti in vita, era successo qualcosa di molto grave, aveva agito nel modo in cui aveva agito, benché sapesse di non poterselo permettere, nella sua delicata situazione.
Eppure, era stata risparmiata dall’infinita misericordia dei monaci, i quali, invece di farla giustiziare, l’avevano mandata nella cattedrale del credo opposto.
Quando aveva udito il racconto che veniva narrato a tutti i bambini di Bliaint in tenera età, la storia riguardo le origini del loro villaggio e dei loro due credi, era rimasta molto incuriosita dal tutto.
Sentire delle tremende calamità che avevano improvvisamente colpito e quasi sterminato gli antichi abitanti del loro villaggio, molte generazioni prima, nonostante la loro fede salda e incrollabile, l’aveva sorpresa.
Quando il salvatore, il monaco Allister Chaim, sull’orlo della esasperazione e della perdita della ragione per la loro condizione, aveva ipotizzato che tale punizione non fosse stata inflitta dal Dio che tanto deditamente servivano, ma dal Diavolo che tanto disprezzavano, poiché il primo dei traditori e dei bugiardi, l’angelo caduto dal cielo e rinnegato, gli abitanti del villaggio avevano iniziato a riflettervi su.
E ricordava che, udendo quella storia, anche lei avesse pensato lo stesso, chiedendosi perché i suoi antenati non ci fossero arrivati prima.
D’altronde, anche il Diavolo era un dio ormai, in seguito alla sua ribellione. Egli doveva aver acquisito eguali poteri al Creatore, aveva il suo esercito di angeli e dominava il suo regno, solamente, invece che in cielo, governava sottoterra.
Per questo aveva riversato tutta la sua ira sul loro villaggio, perché i suoi abitanti non lo riconoscevano come divinità.
Da quel momento in poi, Bliaint era stato diviso in due: metà abitanti servivano un signore, e la rimanente l’altro, per non provocare l’ira né dell’uno, né dell’altro.
Non fu facile, inizialmente, far abituare gli uomini all’idea di servire qualcuno che avevano sempre rigettato, disprezzato come il male peggiore al mondo.
Per questo dovevano trovare un valido criterio per effettuare un’equa divisione.
Fu sempre Allister Chaim a proporre la giusta soluzione: essendo risaputo che il Diavolo fosse stato il più bello tra tutti gli angeli del Creatore, e che spesso usasse questa dote per indurre in tentazione i seguaci del suo eterno rivale, l’unico criterio adatto da utilizzare sarebbe stato quello basato sull’aspetto fisico dei singoli.
I più belli, simbolo di tentazione, di un’esteriorità seducente e incantatrice quanto di un’anima impura che anela a macchiarsi, avrebbero servito il Diavolo; mentre, coloro più sgradevoli alla vista, possessori di un’apparenza repellente quanto di un’anima immacolata, perfetta e incontaminabile, avrebbero servito il Creatore.
Quando iniziarono ad esservi i primi ribelli tra la fazione del villaggio selezionata come di bell’aspetto, condannata a rinnegare il loro credo, cominciarono anche i primi roghi con delle vittime diverse dalla streghe. I rivoltosi, tramite la loro sfiducia e la loro cieca ostinazione ai decreti di Allister Chaim, dimostrarono che il criterio utilizzato fosse corretto, e che fossero esattamente gli abitanti avvenenti a possedere una bellezza solo effimera, con un’anima priva di nobiltà e di spirito di sacrificio.
Ebbero persino il coraggio di accusare il salvatore di aver imposto tale criterio perchè egli possedeva un aspetto ripugnante e voleva continuare a tutti i costi a servire il Creatore.
In seguito alla soppressione delle prime rivolte, tutti gli abitanti si abituarono alla nuova condizione, a frequentare due chiese differenti, a servire un signore diverso, a mutare i segni di fede, le preghiere, a rivolgersi solo ai monaci che adoravano il loro stesso dio, a sposarsi e a riprodursi solo tra coloro che appartenevano al proprio culto.
Ogni violazione delle leggi divenne punibile con il rogo.
Le sembrava strano pensare che, prima di allora, la situazione fosse diversa, che non vi fosse alcuna divisione e tutti servissero lo stesso dio, ma soprattutto, che fuori dai confini di Bliaint, nessuno seguisse le loro leggi.
Come quasi ogni abitante di Bliaint, non era mai uscita dal confini del villaggio, e ciò era sicuramente attribuibile alla loro forte territorialità.
In ogni caso, ripensandovi su, eccetto che per l’enorme distanza nell’aspetto fisico, sembrava non esservi quasi differenza tra i servitori dei due signori, né discriminazione tra loro.  
Senza contare i momenti dedicati alla preghiera e alla pratica del culto, socializzavano con tranquillità, senza mai sorpassare i confini consentiti dalla legge che imponeva di intrattenere rapporti sessuali e sposarsi solo con i fedeli dello stesso credo.
Judith sapeva che, negli altri villaggi, girassero diverse dicerie riguardo la straordinaria bellezza di metà degli abitanti di Bliaint, e che in molti desiderassero visitarlo solo per poter vedere con i propri occhi e constatare quanto fossero vere quelle voci.
Chissà perché il tremendo aspetto dell’altra metà non fosse altrettanto noto.
Sì, eccetto quel visibilissimo dettaglio, non vi erano quasi differenze.
“Quasi” perché, in realtà, una divergenza sostanziale c’era, ma tutti preferivano non farne parola, semplicemente ignorarla, nonostante fosse oramai una questione totalmente accettata e naturalizzata.
Tale differenza consisteva nella legittimità e libertà delle pratiche magiche e stregonesche.
Prima di Allister Chaim e della divisione, ogni strega, nonché servitrice del Diavolo, era punita con il rogo.
Tuttavia, dopo il cambiamento, tutti coloro che appartenevano alla fazione dei servitori del Diavolo vennero esonerati nell’utilizzo della magia, sia bianca che nera.
Ognuno di loro poteva esercitare liberamente quelle pratiche, a patto che evocasse e ringraziasse il suo signore per averglielo concesso, come facevano per ogni cosa.
Ed era in quel contesto che si collocava l’anormalità del peccato che aveva commesso sua madre Livian dieci anni prima.
Ella era stata scoperta ad esercitare pratiche non riconosciute e categorizzate come “magiche” senza evocare l’aiuto o il potere di alcun signore.
Nessuno era mai riuscito ad utilizzare quelle facoltà senza il potere ultraterreno del Diavolo in prestito, da quel che era noto.
Judith si era domandata molte volte come sua madre vi fosse riuscita e perché lo avesse fatto, ma non era ancora stata in grado di indagare abbastanza a fondo.
D’altronde, aveva ancora tanto tempo e modo per farlo, nonostante i monaci che l’avevano cresciuta, appartenenti al credo opposto al suo, si raccomandassero sempre con lei di non ficcare il naso in giro, di tenere i suoi occhi e la sua curiosità a posto.
Malgrado tutto ciò che le era accaduto in quei sedici anni di vita, non poteva lamentarsi degli anni vissuti.
I monaci le avevano insegnato a leggere e a scrivere egregiamente, un lusso che non veniva concesso a nessuno che non volesse diventare un uomo di culto; inoltre le permettevano di usufruire dell’enorme biblioteca del villaggio, e l’avevano istruita nell’arte del canto, facendola entrare nei cori che allietavano le orecchie dei fedeli durante le funzioni.
La vestivano bene e le davano prelibatezze da mangiare, trattandola come una figlia, una protetta.
Non era difficile abitare nella cattedrale dei servitori del Creatore, e, al contempo, servire il Diavolo.
Le bastava abitare lì, ma andare nell’altra cattedrale ogniqualvolta volesse pregare e assistere alle funzioni.
Tuttavia, non era raro che i monaci con cui viveva le chiedessero di dar loro una mano durante i riti e di sostituirli talvolta nelle confessioni dei loro fedeli.
Non era considerato tradimento, né infedeltà nei confronti del suo signore, poiché i suoi aiuti consistevano in impieghi pratici, i quali non richiedevano che la sua sfera emotiva e privata venisse coinvolta.
All’inizio era stato strano essere la persona più bella presente nella cattedrale, soprattutto durante le funzioni, quando quel luogo si riempiva di fedeli che la fissavano senza tregua, ed ella non sapeva come interpretare quegli sguardi persistenti.
No, non la più bella, bensì l’unica presenza bella.
Si fermò dinnanzi ad una bancarella che vendeva cristalli di diverso tipo e colore, osservandoli attentamente.
Gli occhi dal taglio affilato e dalle iridi buie e nere come sommerse da un mare di ossidiana, si mossero sulle varie pietruzze di fattura ancora grezza.
Fece uscire un braccio dal mantello e si tolse un guanto di tessuto nero e sottile, lasciando la sua mano aggraziata, bianca e dalle delicate dita affusolate, libera e vacante.
Sfiorò il materiale duro e tagliente di cui erano composti i cristalli, notando che la pietra color ametista incastonata nell’anello che indossava sul dito medio, oltre a contrastare notevolmente con la tonalità della propria pelle, formava un bel connubio anche avvicinata a determinati cristalli esposti, tra quelli dotati di pigmentazioni calde e tenui.
- Ve ne intendete di colori, signore? – domandò distrattamente, alzando lo sguardo verso il venditore al di là della bancarella.
Si rese conto solo in quel momento che l’uomo avesse abbassato lo sguardo ingenuamente imbarazzato e cercasse quasi disperatamente di non posarle gli occhi addosso.
Judith accennò un sorriso involontario, provando tenerezza, come la provava ogni volta che si trovava davanti a qualcuno dei servitori del Creatore.
- Signore? – richiamò gentilmente la sua attenzione inclinando lievemente il volto di lato.
A ciò, questo sembrò prendere coraggio e alzare gli occhi su di lei. – Sì, signorina …?
- Ho chiesto se ve ne intendete di colori. Vorrei acquistare uno di questi cristalli. Sapete per caso se vengono dal fiume, dalla galleria o da fuori il villaggio?
- Vengono dalla galleria, signorina.
- Buon Dio. Vorrei avere l’opportunità di andare là sotto almeno una volta per vedere con i miei occhi quali altre gemme e tesori vi si nascondono – commentò prendendo uno dei tanti cristalli con le dita, portandoselo vicino al viso per osservarlo meglio.
- Credo che quello si intoni bene con i vostri occhi e i con i guanti, signorina. E anche con la collana che indossate – le rivelò l’uomo.
- Credete? – rispose ella regalandogli un lieto sorriso.
Effettivamente, il colore di quel cristallo era uno di quelli che preferiva: un misto tra grigio platino e grigio perla. La collana che le circondava il collo sottile ed elegante che il venditore aveva evidentemente notato, consisteva in una striscia di leggero velluto color avorio, semplice e aderente alla circonferenza.
- Grazie per il consiglio. Credo che lo prenderò. Tuttavia, non mi serve per indossarlo: lo userò per realizzare un bellissimo candelabro – gli disse tirando fuori dalla tasca del suo mantello un sacchettino colmo dei monete d’argento.
L’uomo prese il denaro senza neanche sfiorare le dita della ragazza, riabbassando immediatamente lo sguardo inconsciamente intimidito.
Judith sorrise, prese il cristallo e gli augurò buona giornata, per poi ricominciare a camminare nella strada fangosa cosparsa di persone che, proprio come lei, passeggiavano godendosi quel magico e rinvigorente vento autunnale.
 
Il giovane prete camminò nella strada fangosa che l’avrebbe condotto alla casetta che corrispondeva alla sua destinazione, appena giunto in quel villaggio tanto decantato e diverso dal suo.
Si strinse la sua fidata bibbia sottobraccio e cercò di affilare lo sguardo per vedere la strada dinnanzi a sé nonostante la fitta nebbia serale.
Lungo il viale vi erano posizionate diverse lanterne che illuminavano i dintorni di una fioca e discreta luce, ma non riuscì comunque a notare nessuno che fu in grado di attirare la sua attenzione in quanto ad aspetto fisico, né in un opposto né nell’altro.
Essendo calato il tramonto già da un po’, vi erano pochi individui ancora in giro per il villaggio, poiché dovevano esser tutti già rincasati per la cena, pensò il prete.
Sì, la sua curiosità riguardo quel luogo quasi leggendario scalpitava, nonostante cercasse di nasconderlo e sapesse bene di non essere stato inviato lì per studiare gli usi e i costumi degli abitanti di Bliaint, ma per ben altre faccende.
Tuttavia, di certo Dio non lo avrebbe punito per un po’ di sana curiosità.
Baciò il crocefisso che portava sempre appeso al collo e si fermò dinnanzi alla casa che risultava sulla mappa fornitagli dal parroco che lo aveva inviato in quel villaggio, la quale gli era stata consegnata a sua volta da un visitatore che aveva avuto modo di mappare Bliaint con misurata precisione.
Bussò alla porta e attese che qualcuno aprisse, rileggendo il nome segnato sul foglio.
Attese diversi minuti, stringendosi nella giacca pesante, cercando di non far battere i denti per l’aria sempre più fredda che gli stava penetrando nei vestiti.
Non appena decise che avrebbe bussato una seconda volta, vide la porta dinnanzi a sé aprirsi e rivelare la figura di una bellissima donna, forse con qualche anno più di lui.
Ella possedeva una rigogliosa chioma di splendidi ricci color cioccolato, la pelle chiara, tondi occhi azzurri, delle labbra che parevano quasi disegnate e le guance rosee.
Non aveva mai visto una donna tanto bella in vita sua, né si sarebbe mai sognato di vederla, neanche da lontano.
Il giovane prete abbassò spontaneamente lo sguardo quando ella gli rivolse un’espressione confusa e sorpresa.
 - Questa è la casa in cui abita il signor Dun Rolland? – trovò il coraggio di domandarle.
- È mio marito, sì. Chi lo cerca?
- Sono padre Craig, provengo dal villaggio Armelle, sotto la vallata. Mi è stato detto di raggiungere la vostra casa e che voi mi avreste ospitato per questo breve soggiorno nel vostro villaggio.
A ciò, ella sgranò gli occhi mortificata. – Oh, siete voi il nostro ospite?? Perdonate il mio sgomento, ero così presa nel preparare la cena da aver temporaneamente dimenticato il vostro arrivo. Che sbadata! Entrate, prego! Io e mio marito abbiamo già preparato una camera per voi – lo incoraggiò sorridendogli gentilmente, spostandosi di lato per farlo entrare.
Padre Craig ricambiò il sorriso ed entrò, godendosi il tepore caldo della casetta immersa nel fuoco del caminetto. Si asciugò le scarpe nel tappetino all’entrata e si guardò intorno, notando immediatamente quanto l’ambiente fosse pulito e accogliente.
- Rolland! Rolland, è arrivato il nostro ospite! – la donna richiamò suo marito, attendendo che rispondesse, voltandosi ogni tanto a guardare lo sconosciuto e a sorridergli. – Siamo davvero felici che siate qui. A noi abitanti di Bliaint non capita spesso di avere visitatori.
A dire il vero quasi mai.
È bello confrontarsi con qualcuno di diverso ogni tanto – lo disse con una sincerità nella voce che scaldò il cuore del giovane prete.
- Ne sono molto lieto anche io, signora.
Mi hanno parlato molto del vostro villaggio, non vedevo l’ora di avere l’occasione di visitarlo.
- Spero vi troverete bene qui.
- Ne sono certo, signora … - le rispose bloccandosi, rendendosi conto di non conoscere ancora il nome della bellissima donna che aveva di fronte.
- Oh, perdonate nuovamente la mia maleducazione! Alma Heloisa. Mi chiamo Alma Heloisa.
- Anche voi con il doppio nome come vostro marito. Lo avete tutti?
- Sì, padre.
- Affascinante. E con quale dei due preferite che vi chiami?
- Oh, sicuramente con il secondo, padre! – gli rispose sorridendo lievemente imbarazzata, come se le avesse posto una domanda scontata.
- Rolland, mi hai udita? Padre Craig è qui! – lo richiamò nuovamente, stavolta vedendolo sbucare quasi subito da una delle porte chiuse, raggiungendoli.
Anche nel trovarsi dinnanzi ad un uomo che sicuramente ogni donna avrebbe trovato notevolmente avvenente, il giovane prete non riuscì a fare a meno di sentirsi intimorito.
 Delle piccole rughe ergevano nel suo viso spigoloso nei punti giusti, ma non inficiavano assolutamente nell’eleganza e nell’equilibrio di quei lineamenti, anzi, non facevano che aumentarne la gradevolezza, esaltando un tipo di disturbante fascino che non faceva altro che avvilire il giovane prete, facendolo sentire una sorta di piccolo mostriciattolo dinnanzi a lui.
Come se non bastasse, solo quando Dun Rolland si avvicinò a lui riuscì ad accorgersi di quanto fosse realmente alto: un uomo di quella statura non si era mai visto nel luogo in cui era nato e cresciuto.
- Oh caro, eccoti finalmente!
- Perdonatemi, stavo riposando in seguito all’impegnativa giornata di lavoro – gli disse Rolland puntando i suoi intensi occhi chiari ed autoritari su di lui. – Spero non siate infastidito da questa breve attesa.
- Oh no, assolutamente no, signor Rolland!
- Ma prego, toglietevi pure il vostro cappotto, in modo che mia moglie possa metterlo ad asciugare davanti al fuoco. Avete proprio scelto il periodo sbagliato per giungere a Bliaint: le sere d’autunno sono spesso movimentate da forti piogge.
- Mi abituerò all’umidità senza problemi, signor Rolland – gli rispose cortese, porgendo il suo cappotto ad Heloisa. – Inoltre, quest’aria densa che vi è all’esterno, fresca, pulita e pregna di nebbia, mi piace.
Udì Heloisa sorridere in risposta, mentre si spostava sul bancone della cucina, e dava loro le spalle.
- Quando uno straniero viene qui a Bliaint, finisce per amare spropositatamente o per provare un odio repellente nei confronti del nostro villaggio. Non credo vi sia una via di mezzo – gli disse Rolland rivolgendogli un sorriso affabile mentre si sedeva al tavolo, invitandolo a fare lo stesso.
- Allora, padre Craig. Sono stato informato del vostro arrivo giusto questa mattina da un monaco della nostra cattedrale. Purtroppo le lettere e le comunicazioni provenienti dagli altri villaggi ci giungono in ritardo.
Siamo abbastanza isolati qui. Tuttavia, sono lieto di ospitarvi nella mia casa.
Ho saputo che siete stato mandato qui per studiare i metalli della nostra galleria.
- Già. Mi siete stato indicato voi perché la vostra famiglia è custode della galleria di Bliaint da generazioni, siete voi che gestite i lavoratori che scavano al suo interno.
- Sì, è così. La galleria ci ha sempre portato enormi soddisfazioni. Dal suo interno abbiamo estratto oro, argento, rame e moltissimi altri metalli.
- Metalli di cui noi non conosciamo neanche l’esistenza, signor Rolland. Questo luogo è una riserva di tesori - commentò il giovane prete. – I costruttori e alcuni compratori sono interessati al commercio con Bliaint.
Al termine del mio soggiorno qui potremo prendere accordi nel caso in cui accetterete la nostra proposta di dare inizio ad un rapporto di scambio tra noi e altri villaggi adiacenti.
A ciò, Rolland gli rivolse un sorriso indefinibile, uno di quelli che, padre Craig ne era certo, erano in grado di fargli stranamente gelare le viscere.
- Siamo indubbiamente lusingati dalla vostra proposta, padre. Tuttavia, i nostri cristalli e i nostri metalli hanno un valore inestimabile per noi.
Spero possiate comprenderlo.
- Certo. Certo, certo che lo comprendo – gli rispose, facendo fatica a non balbettare.
- Madre, posso mangiare qualcosa prima di dormire? – si intromise una vocina soffice, tenue, proveniente da una delle porte semiaperte.
Padre Craig alzò lo sguardo e da essa vide sbucare fuori un bambino di forse sette o otto anni, con dei sottili capelli biondi, la pelle tanto chiara da sembrare cadaverica e il corpicino forse sin troppo magro per la sua età.
- No, Ioan, lo sai che dopo aver preso le medicine non puoi più mangiare. Torna a letto – lo esortò amorevolmente Heloisa.
Ma il bambino neanche l’aveva udita, poiché aveva immediatamente catapultato lo sguardo curioso sul nuovo arrivato. – Chi siete voi? – aveva domandato il piccolo avvicinandosi a piedi scalzi.
- Ioan, ma che modi sono?? – lo rimproverò suo padre.
- No, non fa niente – rispose padre Craig rasserenando Rolland, per poi rivolgersi al bambino. – Piacere di conoscervi, io sono padre Craig – gli disse sorridendogli.
- Christofer Ioan – rispose egli ricambiando con un dolce riso. – E perché siete in casa nostra? – continuò a domandargli con tutta l’innocenza del mondo negli occhi.
- Oh, perdonate davvero mio figlio, padre, ha preso alcune cattive maniere da suo fratello – si scusò bonariamente Rolland prendendo il ragazzino e ponendoselo seduto sopra le proprie gambe.
- Avete anche un altro figlio? – chiese sorpreso il giovane prete.
- Sì. Due figli maschi, ci credete? Forse il sogno di qualsiasi uomo, ma ascoltate me: sono praticamente ingestibili. Soprattutto se si alleano insieme – gli disse Rolland smuovendo delicatamente i capelli del piccolo, maneggiandolo quasi come fosse un fiore sul punto di appassire.
- Blake sarà qui a momenti. Anche lui sapeva del vostro arrivo, e per quanto irresponsabile sia, sa che deve farsi trovare qui prima di cena, e lo farà.
Altrimenti sarà peggio per lui – commentò Heloisa con palese agitazione nella voce, cessando di tagliare le patate e voltandosi verso di loro.
- Arriverà, cara, non preoccuparti.
Presto sarà qui.
Non essere troppo severa con lui.
- Non essere troppo severa?? – ripeté infastidita Heloisa verso suo marito.
- Avete nominato delle medicine poco fa – interruppe il loro confronto padre Craig, cercando di calmare gli animi. – Come vi trovate, per quanto concerne le cure mediche?
- Oh, padre, possediamo le migliori cure mediche in circolazione in tutto l’altopiano – si vantò Rolland.
- Davvero? Noi ne siamo un po’ carenti ultimamente.
Prima che Heloisa o Rolland potessero rispondergli, la porta della casa scricchiolò, aprendosi, attirando la loro attenzione.
Da essa entrò un giovane ragazzo prestante, di alta statura, ma che non dimostrava più di diciassette, o massimo diciotto anni.
Se padre Craig era rimasto atterrito non appena aveva visto Heloisa e Rolland, ora che si trovava davanti Blake provava davvero l’istinto prorompente di nascondersi sotto qualche sedia e rimanervi fino alla fine del suo soggiorno, poiché il ragazzo era più bello della madre e del padre messi insieme e la sua presenza era più intimidatoria di quella del padre, in maniera del tutto differente.
Ciò non aveva tanto a che fare con il suo corpo, ma con l’energia famelica dei suoi occhi, con l’aura che emanava.
- Blake! – esclamò Ioan scendendo immediatamente dalle gambe di suo padre e fiondandosi ad abbracciare il fratello, il quale fece immediatamente deviare i suoi vividi occhi blu verso padre Craig, scrutandolo.
- Che cos’hai portato?? – riattirò la sua attenzione Ioan sporgendosi verso il cesto che Blake reggeva in mano, il cui contenuto era coperto da un telo bianco.  
- Alla buon’ora! – commentò Heloisa avvicinandosi a lui a sua volta, con le braccia conserte. – Dove sei stato fino a quest’ora?
- Mi date il tempo di mettere piede in casa? – rispose il ragazzo guardando prima l’una, poi l’altro, per poi accovacciarsi dinnanzi a quest’ultimo e aprire il cesto.
- Guarda cosa ti ho portato – gli disse infilando la mano dentro il telo bianco e tirando fuori un piccolo contenitore pieno di grandi fragole rossissime, le più grandi che il giovane prete avesse mai visto.
- Per me?? Grazie! – esclamò Ioan prendendo il suo dono e rivolgendogli un sorriso a settantadue denti,  mentre suo fratello gli scompigliava amorevolmente i capelli.
- Guardati, hai preso tutta la pioggia, il tuo mantello è umido. Dammelo o ti infreddolirai – lo esortò Heloisa venendo totalmente ignorata, mentre Blake aiutava il suo fratellino a sistemare le fragole su una delle dispense della cucina.
- Lo sai che Ioan non può mangiare frutti troppo dolci, i monaci dicono che gli zuccheri gli fanno male - continuò Heloisa.
- Padre Craig, questo è Even Blake, il mio primogenito – lo presentò Rolland guardandolo, vedendolo riavvicinarsi e fare un cenno con la testa all’ospite, in segno di rispetto.
- Mi stai ascoltando? Che cosa hai fatto fino ad ora? – gli ridomandò Heloisa affiancandolo.
- Buonasera anche a te, madre – la degnò finalmente di attenzione il ragazzo, voltandosi verso di lei e mostrandole il contenuto del cesto, colmo di verdure fresche. - Ho raccolto le carote per il tuo stufato.
A ciò, Heloisa lo prese in disparte per cercare di dare meno spettacolo possibile davanti al loro ospite.
- Non puoi averci impiegato tutto questo tempo, non prendermi per stupida come fai sempre.
Sono stanca delle risposte spicciole e di questa tua aria di sufficienza, Even! – gli sussurrò spazientita, ma non abbastanza piano da non venire udita anche dagli altri.
In risposta, Blake le sorrise candidamente, senza dire una parola, come per indispettirla maggiormente.
- Sono confuso. Signora Heloisa, poco fa non mi avevate detto che utilizzate solo il secondo nome? - domandò ingenuamente incuriosito il giovane prete, facendo spostare l’attenzione di madre e figlio su di lui.
- Il primo nome può essere utilizzato solo dai pochi intimi della persona in questione, padre, se questi lo desiderano – gli spiegò Blake avvicinandosi. – Cosa vi porta qui? – gli domandò poi, poggiandosi con il fianco al tavolo, in attesa.
- Come ho detto a vostro padre poco fa, provengo dal villaggio Armelle e mi hanno mandato qui per studiare i metalli e i cristalli di vostra produzione. Anche voi lavorate nella galleria della vostra famiglia, Blake?
- Sfortunatamente.
A tale risposta, Rolland si lasciò andare ad una grossa risata. – Il solito melodrammatico! In realtà, sono più le volte in cui non si presenta e rimane alla luce del sole, vero, figliolo? Ormai la sua presenza nella galleria è un’allucinazione dal cielo! – esclamò Rolland, provocando un involontario brivido lungo la schiena del giovane prete a quelle ultime parole, facendogli ritornare alla mente a quale dei due credi del villaggio appartenesse la famiglia che lo stava ospitando.
Come se la sua agitazione potesse avere un malizioso ruolo in tutto ciò, il suo sguardo si posò altrettanto involontariamente sul crocefisso appeso al contrario sulla parete dietro le spalle di Blake.
Represse con tutto se stesso il forte istinto di farsi il segno della croce e di baciare il suo di crocefisso, appeso nel verso giusto intorno al suo collo.
Blake ovviamente si accorse del suo disagio e affilò lo sguardo, in silenzio. – Siete qui perché la nostra famiglia possiede la galleria da generazioni, certo, ma, guarda caso, siamo anche una delle famiglia che servono il Diavolo.
Siete sicuro che voi e i vostri colleghi di Armelle non siate stati spinti più dalla curiosità, che dall’odore di affari?
- Blake! Buon Dio, perdonatelo! – si scusò per lui Heloisa, asciugandosi la fronte con la pannella, mentre suo figlio non batteva ciglio e continuava a guardare fisso il loro ospite.
- Beh, sarei un ipocrita se negassi di nutrire dell’interesse nel conoscere qualcosa riguardo il vostro credo e la coraggiosa decisione che hanno preso i vostri avi nel dividere il villaggio per combattere la calamità, rendendolo servo di due signori - rispose padre Craig prendendo coraggio.  
- Beh, speriamo che rimanga interesse e non si tramuti in ossessione.
Non è bene scavare troppo in un passato che non vi riguarda – disse Blake in quello che gli sembrò una sorta di monito, o forse una fredda raccomandazione.
Le mani del giovane prete, oramai fuori dal controllo del loro proprietario, si mossero di nuovo, raggiungendo il suo petto coperto dalla tunica, esattamente nel punto in cui, sotto il tessuto, si trovava il ciondolo del crocefisso.
- Potete baciare il crocefisso e farvi il segno della croce, se volete.
Siamo molto liberi a riguardo. Ognuno di noi può rivolgere segni di rispetto e adorazione al proprio signore o pregarlo apertamente, anche dinnanzi a chi non serve lo stesso dio – lo rassicurò Blake.
- Ma questa, ma questa è casa vostra … sarebbe irrispettoso se …
- Padre, come vi ha detto nostro figlio, siamo molto liberi a riguardo – lo interruppe Rolland, ponendo fine al balbettio del suo ospite. – Potete anche pregare il vostro signore in questa casa, se lo desiderate.
- Assolutamente, padre – confermò Heloisa con il massimo rispetto. – E se il nostro crocefisso posto al contrario vi disturba, potrei …
- No, ci mancherebbe, signora Heloisa. Non proponetelo neanche. Sono io ad essere ospite in casa vostra, non mi permetterei mai di chiedervi di toglierlo per me.
Cerco e voglio sempre rispettare i culti altrui, differenti dal mio – la bloccò padre Craig, accennandole un mortificato sorriso.
- Beh, che cosa volete sapere riguardo il nostro credo? Chiedete pure! – lo spronò Rolland.
- Ammetto di essere rimasto parecchio colpito non appena sono entrato in questa casa e vi ho conosciuti - ammise padre Craig abbassando lo sguardo.
- A causa delle voci che girano sul nostro aspetto fisico? – domandò Heloisa.
- Sì. Insomma, sono davvero colpito.  
Non mi è ancora capitato di vedere dei servitori del Creatore in questo villaggio, ma, a questo punto, vorrei sapere se sono ripugnanti come dicono.
- Starà a voi giudicarlo, padre.
Noi oramai siamo abituati alle differenze estetiche tra noi e loro – rispose Rolland.
- Ciò che mi stavo chiedendo è: e se dovesse nascere un figlio di bell’aspetto da un uomo e una donna che servono il Creatore o viceversa, cosa accadrebbe?
- Ciò non può accadere – rispose categorico Rolland. – A meno che un uomo e una donna non appartenenti allo stesso credo non si riproducano, il che sarebbe una violazione alla leggi punibile con il rogo – aggiunse.
- Beh, ma non potrebbe capitare comunque?
- Forse sarebbe potuto accadere agli inizi, alle prime generazioni vissute dopo la divisione, quelle immediatamente successive ad Allister Chaim. Ovviamente la prima generazione non presentava una grande distanza tra l’aspetto dei servitori del Creatore e del Diavolo, essendo ancora tutti figli di donne e uomini misti – intervenne Heloisa.
- È stato lo stesso Allister Chaim a scegliere gli abitanti da disporre in un credo e nell’altro – aggiunse Rolland.
- Ma non credete che la bellezza fisica sia un criterio soggettivo di valutazione? – domandò padre Craig.
- Non proprio, padre. In realtà vi sono delle caratteristiche estetiche che l’occhio gradisce maggiormente ed estesamente, linee, colori, forme che provocano piacere e riescono ad esaltare i sensi, nonostante i gusti dei singoli varino tra loro.
Sicuramente non sarà stato facile per lo stesso salvatore operare la divisione della prima generazione - rispose Rolland.
- Ma dalla seconda in poi, la differenza divenne sempre più visibile, con il passar del tempo: la bellezza ha prodotto altra bellezza, mentre … - Heloisa non continuò la frase, per rispetto verso i servitori del Creatore.
- Capisco – rispose padre Craig, riflettendovi su. – Beh, dunque, se ciò accadesse, che da due genitori avvenenti nasca un figlio che non lo è affatto, e viceversa, sarebbe un segno di cattivo presagio, giusto? Uscirebbe dalla sfera del possibile – dedusse il giovane prete.
- Oppure sarebbe frutto di un incantesimo di una strega – disse Rolland attirando l’attenzione del suo primogenito su di sé, il quale era rimasto in silenzio e senza esprimersi per diversi minuti.
- Ad ogni modo, noi lasciamo libero ogni abitante del nostro villaggio di scegliere la propria strada, padre: una volta raggiunta la maggior età, ogni ragazzo e ragazza possono scegliere se battezzarsi o no – riprese Rolland.
- Davvero? Non li battezzate da neonati?
- Oh, certo che no! Che senso avrebbe? – disse Heloisa.
- Dunque i vostri figli hanno la libertà di scegliere se servire il Diavolo o il Creatore? – domandò il giovane prete confuso.
- No, quello ovviamente no, padre – rispose Rolland come se il suo ospite avesse appena bestemmiato.
- No, non sia mai, padre! – commentò sarcastico Blake, distaccandosi dal tavolo. – Non parlerete sul serio! Un figlio che sceglie quale dio servire?? Non esiste né in cielo né in terra!
- Perdonate l’irriverenza di nostro figlio, padre, è solo agitato perché oramai ha sedici anni ed è arrivato il momento anche per lui di fare la sua scelta – rispose Rolland guardando suo figlio con un sorriso sghembo.
- In cosa consisterebbe dunque, tale scelta? – chiese curioso padre Craig.
- Nel decidere se battezzarmi al Diavolo o non battezzarmi affatto e auto esiliarmi da Bliaint, non mettendovi più piede – rispose Blake. – E il bello è che nessuno, assolutamente nessuno, in questo villaggio, ci minaccia di scegliere il più in fretta possibile – aggiunse il ragazzo nuovamente ironico.
- Ovviamente nessuno sceglie l’auto esilio, padre. Blake sta semplicemente temporeggiando, ed è solo leggermente esasperato da questa situazione, perché ama vittimizzarsi e andare contro a qualsiasi consiglio, raccomandazione, suggerimento gli venga dato. È nella sua natura. Deve rivoltarsi contro tutto e tutti, altrimenti non è soddisfatto  - commentò Heloisa.
- Mi sorprendo che a soli sedici anni i ragazzi raggiungano la maturità qui a Bliaint – rivelò padre Craig, attirandosi gli sguardi sorpresi di tutti.
- Perché, ad Armelle a che età la raggiungono?
- Beh, non abbiamo un’età precisa, ma, ad esempio, nonostante io abbia quasi trent’anni, sono considerato uno dei preti più giovani nel mio villaggio.
I tre non poterono fare a meno di sorridere. – Oh, padre, non burlatevi di noi! Non potete parlare sul serio! - esclamò Heloisa.
A tale reazione, padre Craig non seppe se sarebbe stato il caso di offendersi o fare finta di nulla. – Sono serio.
- Buon Dio! Che strano! Qui a Bliaint alcune ragazze decidono quale sarà il loro sposo a quattordici anni e i ragazzi a quindici. Per noi non è strano cominciare a mettere su famiglia prima dei diciotto – gli rispose Rolland, facendo comprendere al suo ospite il motivo per cui trovasse lui e sua moglie troppo giovani per avere già due figli di quell’età.
- È permesso ad un servitore entrare nel luogo di culto del credo opposto? – domandò ancora padre Craig.
- Sì, l’importante è che non rivolga alcun gesto di adorazione all’altro dio. La pena per l’infedeltà al proprio signore è il rogo.
- Dunque non vi è mai alcuna occasione in cui i fedeli di entrambi i culti, nonché tutti gli abitanti del villaggio, si riuniscano in una sola cattedrale?
- Solo per il battesimo accade. Quando un ragazzo o una ragazza vengono battezzati, i membri di entrambe le fedi devono essere presenti, per testimoniare di aver preso visione dell’atto sacro e della cessione della vita e dell’anima del singolo ad uno dei due signori – detto ciò, Rolland si rivolse a suo figlio. - Hai terminato di calcolare la contabilità di questo mese, Blake? – chiese alzandosi in piedi e avvicinandoglisi.
- Sì, ho appuntato tutto, insieme a qualche previsione per il prossimo mese.
A proposito, Tyron mi ha detto che servirebbe anche a lui un po’ di aiuto con la contabilità – rispose il ragazzo.
- Se andrai a fare il buon samaritano con troppe persone e a sbandierare in giro le tue abilità non richieste, la gente penserà che non ti dedichi alle giuste pratiche e che trascuri il lavoro alla galleria – gli rispose Rolland.
- Siete abile con i numeri, Blake? – domandò spontaneamente padre Craig. – Ad Armelle non abbiamo nessuno che ci sappia fare davvero, con i conti – aggiunse, per poi tirare fuori il suo blocchetto di appunti, il suo fidato carboncino e cominciare a scrivere svariate informazioni udite, tra quelle che gli sembrarono più interessanti da appuntare.
- Sfortunatamente lo è anche sin troppo, padre. Quei dannati numeri li scrive ovunque e a volte li pronuncia anche nel sonno – rispose Rolland sbuffando bonariamente.
- Possiamo evitare di parlare di tutto ciò a tavola? Il mio stufato è quasi pronto – annunciò Heloisa, mentre Blake fece vagare fugacemente gli occhi sulle parole che il carboncino dello straniero tracciarono sulla carta.
Il ragazzo distolse lo sguardo dai fogli dopo qualche secondo, attirato dalla voce del suo fratellino proveniente da una delle camere.
Padre Craig lo scorse con la coda dell’occhio, ma sapeva anche che a Bliaint nessuno imparava a leggere e a scrivere a meno che non fosse richiesto dalla sua professione, perciò non c’era rischio o pericolo che qualche componente di quella famiglia leggesse i suoi appunti e rimanesse offeso o infastidito dalle sue parole, che, per inciso, non contenevano nulla di offensivo.
- Christofer! Christofer, vieni qui! – lo richiamò Blake, attendendo che il bambino aprisse la porta, mentre Rolland raggiungeva sua moglie in cucina e padre Craig continuava a scrivere.
- Non si scrive così – udì improvvisamente la voce calma di Blake dietro le sue spalle e, prima che potesse voltarsi, il dito del ragazzo si poggiò sul nome del proprio padre scritto sul foglio. – È “Rolland”. Con due elle.
Dopo di che, tornò a concentrarsi sul suo fratellino, lo prese in braccio e si sedette, poggiandoselo sulle gambe, lasciando il giovane prete perplesso e intento ad aggiungere immediatamente una elle in mezzo alle lettere che componevano il nome del capo famiglia.
- Sapete leggere …? – domandò a Blake, nonostante conoscesse già la risposta.
- Non dovrebbe, ma sì, sa anche leggere e scrivere, perché, come le ho già detto, non riesce mai a tenere la testa a posto e a fare quello che gli si chiede di fare – rispose con una punta di esasperazione Heloisa, dalla cucina.
- Che cosa scrivete in quel vostro blocchetto scarabocchiato, padre? – gli domandò incuriosito Rolland, avvicinandosi a lui e osservando quelli che, ai suoi occhi, dovevano sembrare solo incomprensibili segni. - Preferite non dircelo? - insistette l’uomo.
- Nulla di importante, signor Rolland, solo qualche appunto.
- Se è solo qualche appunto, perché non ce lo rivelate, dunque? – scherzò l’uomo, senza l’intenzione di provocarlo o innervosirlo.
- Smettila di muoverti, Christofer, mi stai tranciando le gambe. Se devi continuare così scendi – si udì la voce di Blake discutere giocosamente con suo fratello in sottofondo, mentre Rolland sembrava non avere alcuna intenzione di spostarsi dalla sua posizione, restando in piedi a fissare il foglio scritto.
- Non potete leggerci neanche una delle frasi che avete scritto su di noi?
- Hai finito di metterlo a disagio con la tua insistenza? – disse Blake a suo padre, andando in aiuto del povero prete. – Sei molesto e pressante. Dagli tregua – lo rimproverò.
- Tu hai letto quello che ha scritto, vero, Blake? Parla bene di noi? – domandò Rolland, quasi come fosse un bambino con il solo scopo di averla vinta.
- Ha solamente scritto i nostri nomi, ha elogiato la nostra pulizia, l’ospitalità e ha accennato al nostro culto, alla galleria e al clima del villaggio. Contento? – gli rispose il ragazzo rifilandogli un’occhiata seccata, per poi ritornare a concentrarsi su Ioan.
Ed era vero. Era stato fugace, ma preciso nel riferirgli i contenuti con cui, in quei pochi minuti, padre Craig aveva avuto modo di riempire un foglio del suo blocchetto.
Il giovane prete si chiese come avesse fatto a leggere tutto tramite quelle poche e brevi occhiate lanciate alla pagina.
Trascorsero altri dieci minuti in cui Rolland decise di affidare a Blake il compito di fare da guida al loro ospite nei giorni avvenire, in modo da poter implicitamente controllare suo figlio, poiché ciò lo avrebbe tenuto impegnato e gli avrebbe impedito di dilettarsi in attività che lui e sua moglie non approvavano.
Dopo di che, Heloisa richiamò suo marito per aiutarla in cucina con lo stufato ormai quasi pronto e Ioan si addormentò sulle gambe di Blake.
A ciò, il ragazzo si alzò per poggiare suo fratello sulla poltrona dinnanzi al caminetto, poco lontana dal tavolo, per farlo dormire più comodo e al caldo. Poi, tornò a sedersi di fronte al giovane prete, rimanendo in silenzio.
- Ha già cenato? – ruppe la calma padre Craig, sentendo l’esigenza di intavolare una conversazione col ragazzo. – Vostro fratello, intendo.
- Sì, lo avevo capito. Non ha bisogno di mangiare spesso.
Percependo un velo di tristezza nella sua voce nel parlare di tale argomento, decise di non approfondire per il momento.
- Sapete, mio padre avrebbe voluto almeno una femmina – fu il ragazzo a rompere il silenzio questa volta.
- Come fate a dirlo? Io non credo sia così.
- Invece sì. Una figlia sarebbe stata meno impegnativa e più “gestibile” – disse sorridendo, continuando ad osservare suo fratello a distanza, virgolettando l’ultima parola con un gesto delle dita.
- Probabilmente anche voi speravate in ciò, prima di giungere qui – aggiunse il ragazzo in tono provocatorio questa volta.
- Oh, no, assolutamente. Io sono fedele a Dio, e a Dio soltanto.
- Guardare e apprezzare non è peccato, padre – rispose zittendolo. – Lo dice anche uno dei nostri monaci.
- Ah sì?
- Discordate con le sue parole?
- No, non disapprovo.
- Eppure, vi è andata comunque bene, o sbaglio? Vi ho visto gradire – disse facendo volgere le sue luminose iridi blu verso la cucina, in direzione di sua madre.
Il giovane prete guardò verso la cucina a sua volta, deglutendo.
- Sì, ho apprezzato – sussurrò, non riuscendo a fare a meno di sentirsi colpevole in qualche modo, anche non avendo fatto nulla.
Capì che parlare con quel ragazzo lo destabilizzava e lo costringeva e tenere sempre la guardia alta.
Riportò gli occhi sul piccolo Ioan che dormiva beato sulla poltrona, con le palpebre abbassate, le ciglia bionde che gli sfioravano le guance, le labbra chiare dischiuse e i capelli sottili che gli accarezzavano il volto magro, ma dolce e fanciullesco.
- Vostro fratello sembra un angelo sceso dal cielo quando dorme – commentò padre Craig senza rendersene conto.
Blake sorrise, osservandolo a sua volta. – Lo so. Se ve lo state chiedendo, è malato, sì – gli rivelò con sua grande sorpresa.
- Mi dispiace. È curabile?
- È così da quando è nato.
Mangia poco perché la maggior parte di ciò che ingurgita lo vomita, è molto debole, riesce a malapena a correre, ha bisogno di dormire almeno quindici ore a notte, e se non prende le sue medicine giornalmente viene colpito da violenti spasmi che lo fanno tremare come una foglia.
Ogni anno che passa è sempre peggio, si indebolisce costantemente.
I monaci dicono che non c’è cura.
- In questo villaggio sono i monaci che si occupano di queste faccende? – quella domanda attirò lo sguardo attento del ragazzo su di lui, facendolo scattare.
- Formalmente sì.
In realtà, sono le streghe che preparano gli intrugli e riconoscono le malattie.
Quelle parole non lo sorpresero, ma riuscirono comunque a far scorrere un lungo brivido freddo sulla schiena del giovane prete.
- So bene che in questo villaggio la stregoneria e la magia sono accettate, se praticate da voi servitori del Diavolo.
- Già, dovrete abituarvici, padre.
- E ditemi, le streghe e gli stregoni riescono a …?
- Ho provato di tutto – rispose Blake interrompendolo, abbandonandosi con la schiena poggiata alla sedia, guardando un punto nel vuoto. – Magia bianca, magia nera, pozioni istantanee, incantesimi temporanei, riti di purificazione.
La magia non funziona.
- Dunque anche voi praticate arti magiche?
A tale domanda, Blake riportò gli occhi su padre Craig, mostrandogli un sorriso intenerito, di quelli che si rivolgono ai bambini o ai mendicanti lungo la strada.
- Padre, dovrete imparare molto su questo posto, nei pochi giorni che avete a disposizione.
È raro trovare un servitore del Diavolo che non abbia mai usufruito della stregoneria, in questo villaggio.
Nonostante tutti cerchino di evitare l’argomento come la lebbra, come se parlarne potesse riportare alla luce vecchi fantasmi, tutti ne fanno uso in un modo o nell’altro, direttamente o indirettamente.
Ditemi, ad Armelle, invece, chi si occupa dei malati? – lo sorprese con quella domanda, avvicinando di poco il volto, puntando i gomiti sul tavolo.
- Per lo più levatrici e balie.
- Tuttavia, ho letto che ad Armelle avete trovato delle cure miracolose ad alcune malattie, in passato.
- Dove lo avete letto?
- In uno dei libri della biblioteca di Bliaint. Posso portarvi a fare un giretto anche lì, se lo desiderate.
È chiusa al pubblico, ma so come entrare.
- Beh, chiamarle cure miracolose forse è un po’ esagerato. Tuttavia, sì, vi confermo che alcuni uomini hanno ottenuto dei rimedi utilizzando delle tecniche naturali.
- Calore. Calore e raffreddamento. Ebollizione e ibernazione. Hanno utilizzato anche dei fumi ottenuti dalla fusione di metalli? – gli domandò il ragazzo, sommergendolo di tutte quelle parole che non si aspettava di udire seduti su un tavolino in attesa della cena, alcune delle quali risultavano sconosciute persino alle sue orecchie.
- No, non che io sappia. Ma potrei sbagliarmi o non essermi informato quanto voi – gli rispose sinceramente.
- Potrebbero anche aver usato dei minerali, aver ricreato artificialmente delle proprietà contenute in cristalli, piante e fiori che non conosciamo. Hanno sicuramente sperimentato, sperimentato molto su delle cavie, magari animali di piccola taglia. Si sono appuntati tutti i passaggi e hanno ritentato con tempistiche e dosi differenti.
Mentre lo osservava esporgli tutto ciò, capì che Blake fosse uno di quei rari ragazzi talmente svegli e acuti
da rendere impossibile agli altri stargli dietro, ed era quello che stava accadendo a lui in quel momento.
Si chiese come fosse possibile rimanere illesi dinnanzi ad un tale vulcano di idee in eruzione, di sete di conoscenza, di energia viva e densa.
Quando terminò di parlare, il giovane prete restò a guardarlo, rimanendo in silenzio, prima di porgli una domanda totalmente fuori contesto. – Ditemi, Blake, in seguito a ciò che è accaduto ai tempi di Allister Chaim, si è mai ripetuta la tremenda calamità che ha colpito, stravolto e decimato il vostro villaggio, dopo la divisione?
A ciò, Blake gli rivolse un’espressione indecifrabile. – Ovviamente no. Altrimenti, a cosa sarebbe servito costringerci a continuare a vivere tale sadica tortura?
Non seppe che cosa volle dire con quella risposta, quale intenzione e significato celasse, ma padre Craig preferì non indagare.
- Mia madre sta arrivando con lo stufato, padre.
Spero possiate godervi la cena e che, durante il vostro soggiorno qui, il Signore sia con voi.
Il vostro, certamente.
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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