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Autore: vincey_strychnine    03/04/2020    1 recensioni
Avevamo solo sedici anni, allora. Avevo baciato una ragazza per sbaglio, e un’altra per una scommessa, anche se mi piace pensare che se non fosse stato per te sarei stato il Casanova del sesto anno. Ma tu mi hai avuto in pugno fin da quando avevamo undici anni, e ci siamo conosciuti da Olivander. Era destino che tu fossi mia. Non lo hai saputo finché non abbiamo avuto sedici anni, ma era come in uno di quei libri babbani che ti piacciono tanto. Io, il nobile, magnifico, talentuoso ed esilarante principe azzurro, tu una bellissima principessa da un altro regno, bella come un oceano: tumultuosa e potente. I nostri occhi si incontrarono, e in un istante ci eravamo innamorati.
Fred Weasley X OC
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fred Weasley, George Weasley, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4, II guerra magica/Libri 5-7
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Parte 1: Fred Weasley non è del tutto privo di meriti

 

Rebecca Nolton era incredibilmente nella media, per una bambina nata durante la Prima Guerra Magica. Il padre e la sua nuova moglie possedevano un rifugio per creature ferite, sia magiche che non, appena fuori Birmingham. Lei era nata in Italia, suo padre e sua madre si erano separati prima che nascesse e lui era subito tornato in Inghilterra, e quando lei aveva quattro anni sua madre Lidia aveva deciso che per il suo bene la figlia si sarebbe dovuta trasferire dal padre, ma nessuno le aveva voluto spiegare sul momento perché, né lei sapeva perché lui fosse andato via. Sapeva solo che erano successe tante cose strane in Europa nel periodo in cui un certo mago oscuro era tornato, anche se per lei erano poco più che ricordi molto offuscati della primissima infanzia trascorsa in sontuosi palazzi barocchi nel centro di un’antica città, e solo quando era già lontana da casa da qualche anno le era stato raccontato della guerra. D’altronde sua madre non si era mai preoccupata troppo di lei, e da quando erano lontane le aveva scritto sì e no una volta all’anno. Adesso viveva da tempo con il padre, su tre acri di terra con abbastanza spazio perché gli animali potessero rimettersi e per il cottage dove i tre abitavano. Da che era abbastanza grande per ricordare con chiarezza, Rebecca aveva vissuto tutto sommato una vita pacifica. Non c’era un gran bisogno di allontanarsi da casa dal momento che la seconda moglie del padre, che aveva una laurea in Erbologia, coltivava il loro cibo e spesso cuciva da sé i vestiti. Rebecca viveva in compagnia di ogni tipo di creatura nel giardino della signora Nolton. Aveva iniziato a imparare la magia quando era molto piccola, incantesimi di un tempo antico che le aveva insegnato la nonna materna Argenta, potente strega, quando ancora vivevano in Italia, parole latine rigorosamente da bisbigliare pianissimo. Ma il padre le aveva spiegato appena lei si era trasferita in Inghilterra, che non avrebbe mai e poi mai dovuto usarle, ed erano rimaste il suo piccolo segreto. Aveva invece imparato dalla moglie di lui, Hestia, ad usare semplici incanti, formule di guarigione sufficienti a riparare le ali dei gufi, che per una bambina di otto anni supponeva fosse abbastanza ragguardevole. Era una grande strega in fieri, o almeno questo era quello che la matrigna diceva ogni volta che vedeva Rebecca e il padre rintanati nello studio di lui ad analizzare pile di libri e circondati di pergamene. Nicholas Nolton raggiungeva esattamente il metro e novantacinque. Era arrivato a quell’altezza a sedici anni e aveva chiesto a Madama Chips di fargli un incantesimo cosicché non continuasse a crescere, e lei aveva acconsentito puramente perché l’idea di uno studente del settimo anno che torreggiava a più di due metri di altezza la spaventava a morte. Nicholas Nolton era un discreto appassionato del mondo babbano e spesso si scambiava lettere con un atro intenditore di nome Arthur Weasley. Aveva una gran testa di capelli biondi e scompigliati che potevano appartenere solo ad uno studioso, occhi scuri, e un paio di occhiali rettangolari appoggiati sul naso storto, risultato di un osso rotto che non si era mai preoccupato di aggiustare adeguatamente. Era molto più pallido di sua moglie, che passava tutto il tempo al sole. Hestia Nolton era il ritratto della sua antenata Cosetta Corvonero. Aveva la stessa sfumatura di capelli neri e gli stessi occhi blu che sembravano abissi, o petali di fiordaliso.

 

Rebecca aveva condotto quella che immaginava fosse un’infanzia non convenzionale per una ragazza discendente da due delle più potenti famiglie Purosangue d’Europa. La maggior parte delle ragazzine come lei crescevano sapendo che venivano addestrate per essere introdotte in società e incontrare un buon partito dal sangue puro, ma Rebecca non sapeva nulla di tutto ciò. Quel poco che aveva visto della società di là fuori era l’occasionale amico di famiglia che passava da loro e si fermava per un mese o due, come uno degli animali di cui si prendevano cura. Non fu finché non passò qualcuno che decisamente non era un amico di famiglia che Rebecca ebbe modo di vedere cosa la società dei maghi fosse veramente.

 

Aveva dieci anni quando i Malfoy fecero loro una visita. Pensò che Lucius assomigliasse più ad una statua che ad un umano, non solo perché i suoi capelli avevano lo stesso pallore diafano della pelle, ma perché i suoi occhi erano privi della scintilla che lei aveva sempre attribuito all’umanità. Quel lieve sfarfallare di gentilezza che trovava nelle bestie e negli uomini allo stesso modo. Lucius l’aveva spaventata, a le avrebbe fatto paura anche sua moglie se non le avesse rivolto il più lieve accenno di un sorriso, poi la contrazione delle sue labbra era svanita troppo in fretta quasi come se la donna avesse avuto paura che il marito potesse coglierla con un sorriso sulle labbra. Si erano portati dietro il piccolo Draco, che con il suo rigido contegno e la sua postura era così opposto rispetto a Rebecca che il risultato era quasi comico. Rebecca viveva ogni momento di veglia sotto il sole, i suoi occhi erano grandi, scuri e scintillanti e i suoi capelli cadevano liberi in onde color miele sulla schiena. Inizialmente aveva sorriso a Draco quando i genitori li avevano lasciati soli per ritirarsi nello studio, ma lui non aveva ricambiato il sorriso. Lei non aveva esperienza con i bambini della sua età poiché la maggior parte del tempo la passava con adulti o animali, ma aveva fatto lo sforzo di essere gentile con lui.

 

“Draco è un nome buffo.” Non l’aveva detto con crudeltà. Rebecca stava solo commentandone l’originalità, non le era mai passato per la testa che essere diversi potesse essere una cosa negativa. Ma quando la sua espressione impassibile e statuaria (insopportabile sul viso di un bambino) si era contorta in una di rabbia devastante si era resa conto del suo errore. Una volta che Draco se ne fu andato Rebecca ebbe la premura di dire al padre e alla moglie che i Malfoy non erano persone molto piacevoli. I genitori concordarono con lei.

 

Poco prima, nella primavera del suo nono anno, Remus era passato a trovarli per la prima volta. Erano passati sette anni da quando i Nolton avevano ricevuto notizie del loro vecchio amico. Da quando la guerra era scomparsa assieme a molti dei loro vecchi compagni. C’era una tempesta quella sera e Rebecca era stata tenuta sveglia dagli schianti dei tuoni, a fissare la luna piena. Terrorizzata, sarebbe voluta andare dai suoi ma temeva che li avrebbe svegliati. Quando sentì qualcosa cadere in cucina si decise finalmente ad alzarsi dalla stretta soffocante delle sue lenzuola blu e a cercare il padre e la moglie. Quello che invece aveva trovato era stata Hestia che piangeva in preda al panico e distruggeva la cucina alla ricerca disperata di qualcosa che non si riusciva a trovare, e suo padre accovacciato su quello che sembrava essere un cadavere. Solo che non era un cadavere, perché si agitava e sanguinava senza sosta.

 

“Papà? Chi è?”

 

“La mia bacchetta, Prendi la mia bacchetta, Rebecca!” la ragazzina era pietrificata a guardare gli occhi girati all’indietro di un tale Remus Lupin. “Adesso, Rebecca!” scattò all’azione. Non era nulla di nuovo, spesso si svegliava e vedeva i suoi che si affrettavano a curare qualche povera creatura dilaniata, ma questa volta non era un animale. Trovò la bacchetta di suo padre e lui cominciò a mormorare incantesimi di guarigione non appena fu fra le sue mani. Poi andò in cucina e trovò quello che Hestia stava cercando, una fiala di pozione Cura-ferite. La maggior parte della pozione era conservata nel deposito vicino agli animali, era raro che un membro della famiglia si facesse abbastanza male da necessitare più di un semplice incantesimo. Ma era tenuta a portata di mano per i casi di emergenza, come quando Rebecca si era rotta la testa su un sasso cercando di levitare nel giardino.

 

La matrigna l’aveva rimproverata mentre le spostava i capelli dal viso. “Devi imparare ad essere paziente con te stessa, Becky. Tutto succede a tempo debito e non c’è fretta che tu cresca così rapidamente.” Rebecca aveva imparato la lezione, ma non esattamente nel modo che intendeva Hestia. Smise di levitare sul terreno roccioso ma continuò a farlo sopra al letto, tenendosi in equilibrio finché non fu sicura delle sue abilità. La signora Nolton scherzava e diceva che non era una sorpresa che Rebecca fosse così ambiziosa dal momento che suo padre era un Serpeverde.

 

Era rimasta sveglia tutta la notte a fissare la figura addormentata di Remus Lupin. Non era insolito trovare Rebecca Nolton stesa sul pavimento del rifugio senza niente a farle compagnia oltre a una coperta di lana, mentre osservava un nuovo animale. Erano sempre molto spaventati nelle prime notti, senza dubbio perché si aspettavano di ricevere lo stesso trattamento pesante che gli era stato riservato troppe volte fuori dal rifugio. 

 

Remus Lupin si era svegliato con davanti gli occhi grandi e curiosi di Rebecca Nolton e per un minuto l’aveva scambiata per un gufo. Si limitava ad osservarlo mentre lui si tirava a sedere sulla branda che i Nolton avevano fatto apposta per lui, senza proferir parola mentre esaminava la nuova conoscenza.

“Tu devi essere Rebecca, io sono Remus Lupin,” fu il primo a parlare, allungando la mano per salutare la ragazzina che posizionò la sua mano in quella dell’uomo, quattro volte più grande della sua, e la strinse con fermezza. 

 

“Sta bene?” gli chiese e lui fece una smorfia di dolore mentre portava le gambe al lato del letto, gesto che sicuramente faceva bruciare la ferita ancora non del tutto guarita sul fianco. 

 

“Sto molto meglio ora grazie ai tuoi.” Lei annuì e gli allungò una tazza di tè che aveva preparato per lui. “Ti ringrazio Rebecca, è molto gentile da parte tua.” Soffiò via un po’ di vapore e bevve un sorso.

 

“Come conosce papà e Hestia?” lui la guardò con attenzione tentando di capire cosa sarebbe stato appropriato divulgare.

 

“Sai qualcosa su quello che è successo quando eri ancora in Italia?” lei annuì con fierezza, nonostante la sua giovane età, il padre e Hestia non avevano voluto allontanare la bambina dalle verità del mondo, ma solo spiegarle come conviverci. Le piaceva considerarsi una vera e propria adulta con tutti i libri che aveva letto e le sue conoscenze sulla guerra, e i suoi erano troppo divertiti dalla cosa per contraddirla.

 

“Colui Che Non Deve Essere Nominato formò un gruppo chiamato i Mangiamorte, basato sul principio che i maghi e le streghe Purosangue sono superiori ai Sanguemisto e ai Nati Babbani. Siccome era una cosa veramente assurda, fu formato l’Ordine della Fenice di cui facevano parte anche papà ed Hestia, per porre fine al suo regno del terrore.” Remus sorrise, divertito. Aveva recitato il passaggio da Storia della Magia Moderna dal 1725 ad oggi, si ricordava ancora di Nicholas Nolton che glielo leggeva quando era stato inizialmente pubblicato.

 

“Esatto, beh, tuo padre ed Hestia costruirono questo posto come rifugio per le streghe e i maghi feriti durante la guerra, poiché su questo terreno della famiglia di Hestia Cosetta Corvonero in persona aveva fatto un incantesimo di protezione ed era una delle poche barriere che Voldemort…” lei sobbalzò al sentir pronunciare quel nome, gli occhi vigili come se potesse spuntare dal muro. “…Non poteva penetrare. Sono molto coraggiosi, i tuoi.” Rebecca sorrise anche se velata da un’ombra di malinconia ed annuì, naturalmente questo lo sapeva già. Suo padre era sicuramente una delle persone migliori al mondo, tutti lo dicevano in continuazione. Nessuno menzionava mai Lidia e talvolta anche lei stessa scordava che Hestia non era la sua vera mamma.

 

Sedettero in silenzio per un po’, Remus osservando la sua tazza e Rebecca considerando la possibilità di iniziare una nuova amicizia. “Ha fame, signor Lupin?”

 

“Sono molto affamato, in effetti.”

 

“Come le preferisce le uova?” stava già andando verso la cucina.

 

Remus Lupin rimase con i Nolton per cinque mesi. Convertirono il laboratorio botanico al chiuso della signora Nolton in una stanza per gli ospiti, Rebecca cominciò a chiamare Remus ‘Remy’ dal secondo giorno della sua permanenza, e continuarono a scriversi anche molto tempo dopo che se ne fu andato. Era passato un bel po’ di tempo da quando Remus era stato chiamato Remy da qualcuno, così lui la ricopriva di regali e non scordava mai di passare a fare una visita a Natale o per il suo compleanno. Lei possedeva uno scaffale pieno dei libri che lui le aveva regalato oltre ad una serie di bizzarri monili. Un carillon della Cornovaglia che si diceva fosse appartenuto ad un vampiro cannibale, un gioco del mondo babbano chiamato Magic-8-ball, che era probabilmente la cosa meno magica che lui le aveva mai donato. Il miglior regalo arrivò per il suo undicesimo compleanno, a metà Giugno. Non era passato a consegnarlo di persona perché era in viaggio in Groenlandia a studiare qualcosa che certamente giaceva in una caverna fredda abbastanza da fargli perdere un dito del piede o due. Assieme al pacco mandò una foto della costa ghiacciata, con due cuccioli di orso polare che facevano la lotta nella neve. Lei strappo la carta da pacchi come un leone che sbrana una zebra. Lì, appoggiata nella bambagia c’era una scatola di legno, con papaveri arancioni dipinti sul coperchio. Era lunga quanto il suo avambraccio, la aprì e la sua bocca si spalancò.

 

“Per la barba di Merlino,” bisbigliò stupita. Dentro, accoccolato su un cuscino, c’era il gattino più adorabile che Rebecca avesse mai visto in vita sua. Hestia scoppiò a ridere quando si sporse per vedere per cosa la figliastra fosse così sbalordita.

 

“Oh, Remus! È proprio da lui fare una cosa del genere. Caro, vieni a vedere cos’ha regalato Lupin a tua figlia,” ridacchiò la signora Nolton deliziata.

 

“Beh ha un tempismo perfetto, adesso avrai un animale da portare a Hogwarts!” Il gatto aveva il manto da siamese, ma il pelo era troppo lungo perché fosse di razza pura. Gli sfiorò il nasetto nero e il gattino spalancò infastidito le piscine azzurre dei suoi occhi, agitando la coda e dandole le spalle. Aveva ancora un letto per animali da quando aveva ospitato una famiglia di porcospini nella sua camera l’estate precedente, lo sistemò accanto alla sua scrivania mentre si accingeva a scrivere un biglietto di ringraziamento per Lupin.

 

Caro Remy,

 

Grazie per il regalo! Ho aiutato a badare a dei gatti prima ma non ne ho mai avuto uno tutto mio quindi puoi solo immaginare quanto sono stata contenta quando ho aperto la scatola, che a proposito è una delle cose più belle che ho mai visto. Porterò sia la scatola che il gatto ad Hogwarts quando inizierà il semestre. Hestia spera che sarò smistata in Corvonero perché dice che sono una strega inusualmente brillante per la mia età, ma secondo papà me la caverei meglio in Serpeverde come lui, e so che tu e gli altri loro amici tiferete sicuramente per Grifondoro quindi non so proprio che pensare. Sto ancora cercando un nome per il gatto, penso si stia ancora abituando a me e quando ci saremo conosciuti meglio potrò trovargli qualcosa di adatto, anche se mi sembra abbia decisamente il muso da Azazel forse Azzie sarebbe un nome più carino. Anche se sono stata molto felice nel riceverlo, ci sono rimasta male che tu non sia venuto quest’anno. Verrai per Natale, vero? Ho deciso che non tornerò a casa se tu non ci farai una visita e farò sapere ai miei che la separazione dalla loro bambina è completamente colpa tua. Com’è la Groenlandia? Su cosa stai facendo le tue ricerche? Stammi bene, Remy. Non farti ammazzare, e grazie ancora per Azzie, è davvero il migliore dei gatti.

 

Ti voglio bene,

 

Beck

 

Hestia aggiunse una fiala di corno di Bicorno triturato e radice di Mandragola con l’istruzione di metterne un pizzico nel tè mattutino, per mantenersi al caldo fra i ghiacci, e la lettera fu spedita.

 

L’estate passò senza troppi eventi. L’avevano messa ad occuparsi dei clienti che intendevano adottare un animale e le avevano dato anche il compito di prendersi cura delle stalle. La mattina aiutava Hestia in giardino, anche se spesso questo voleva dire leggere qualcosa sotto una pianta di tasso mentre Azzie attaccava api e farfalle ignare. Quando fu il momento di prepararsi per Hogwarts, Rebecca ebbe l’estremo piacere di provare il suo primo attacco di panico.

 

Sedeva sul pavimento della sua camera, con le ginocchia premute forte contro il petto come se quel gesto potesse migliorare le cose. Azzie era incredibilmente preoccupato, i suoi miagolii si facevano sempre più forti perché lei non riusciva a rassicurarlo di star bene. Ma non riusciva a sentire nulla oltre al confluire del sangue nelle sue orecchie. Il gatto si alzò sulle zampe posteriori e le pose le anteriori sulle ginocchia, mentre il muso grigio indagava, senza capire cosa stesse succedendo. Aveva conosciuto a malapena una decina di bambini in vita sua, e nessuno di quelli si era tenuto in contatto con lei. Come sarebbe stato essere intrappolati in un castello senza vie di fuga? Il concetto di indipendenza era sempre stato intrigante per Rebecca, andarsene per mille avventure, senza una preoccupazione al mondo. Ma mentre la realtà della sua solitudine si fece strada in lei realizzava che forse non era pronta per nulla di tutto ciò. Bussarono alla porta.

 

“Stai bene cara?”

 

“Sì Hestia!” urlò.

 

“Bene, partiamo per Diagon Alley a mezzogiorno!”

 

“D’accordo!”

 

I passi della matrigna si allontanarono e i respiri affannosi di Rebecca tornarono, subito seguiti da un singhiozzo disperato. Rebecca si strinse più forte e aggrottò le sopracciglia, tentando disperatamente di calmarsi.

 

È solo una scuola, un sacco di ragazzini ci vanno e stanno tutti bene, anche tu starai bene. Se quei ragazzini ci riescono perché non dovresti riuscirci tu? Hestia e papà sono sopravvissuti a una guerra, Remy gira il mondo, questo non è niente a confronto. Potresti essere morta in un burrone, o coinvolta in una guerra, va tutto bene. Questa è una sciocchezza. Va tutto bene. È una sciocchezza. Va tutto bene. È una sciocchezza.

 

Si ripeté questo mantra nella testa finché non si sentì abbastanza bene da alzarsi. Azzie aveva smesso di miagolare già da un po’ e invece ora si era sdraiato ai suoi piedi, urtandoli con la testa ogni tanto per ricordarle che non era da sola, o almeno così a lei piaceva pensare. Guardò dentro allo specchio decorato che era appartenuto a Cosetta Corvonero e ora stava appoggiato nell’angolo della cameretta di un’undicenne. Si spostò i lunghi capelli dal viso e si guardò finché il rossore non se ne fu andato dalle sue guance e le tracce delle sue lacrime non si furono asciugate. Respirò a fondo e indossò un pullover blu.

 

“Hestia!” chiamò, “Sono pronta!” la donna sporse la testa dalla cucina, con la farina sparsa in fronte e sulla gonna nera.

 

“Perfetto, cara, dammi solo il tempo di cambiarmi e partiremo.”

 

I Nolton entrarono nel caminetto dopo che Nicholas ebbe gridato Diagon Alley e tutto quello che Rebecca riuscì a vedere per alcuni secondi fu luce verde.

 

“Bene cara, da dove vuoi cominciare?” Rebecca guardò suo padre come se le avesse appena fatto la domanda più stupida del mondo. Ridacchiò divertito: “Da Olivander, giusto,” disse facendo strada con sicurezza, aprendo la folla facilmente grazie all’alta statura. Rebecca seguiva con il cuore che batteva forte. Non che avesse paura di questa parte, anzi era qualcosa che attendeva con impazienza. Spesso aveva fabbricato finte bacchette con i rametti caduti dal tasso in giardino, agitandoli in aria come meglio poteva e gridando incantesimi che aveva sentito dire agli zii. Qualche volta li aveva usati anche per recitare le antiche magie latine della nonna, ma era stata presto rimproverata. Quando la porta di Olivander si aprì e lei entrò per la prima volta quasi pianse di gioia: finalmente sarebbe diventata una vera strega. C’era già una coppia di ragazzi dai capelli rossi lì dentro, assieme ad un uomo che Rebecca presumeva essere il padre. Uno dei gemelli aveva già la sua bacchetta, sedeva con il pacchetto in mano e attendeva pazientemente che il fratello ne provasse un’altra.

 

“Pino, anima di piuma di Fenice, 11 e 3/4, flessibile,” disse un uomo anziano, emergendo da dietro uno scaffale che arrivava al soffitto ed era pieno fino alla cima di bacchette di ogni tipo.

 

Rebecca capì che suo padre era impaziente di parlare con l’uomo dai capelli rossi, ma aspettava pazientemente che il ragazzo avesse testato la bacchetta. Lo fece e una scintilla arancio vivo partì dalla punta, esplodendo e frammentandosi in aria.

 

“Abbiamo trovato la sua bacchetta, signor Weasley,” non appena la bacchetta del ragazzo fu portata da Olivander a impacchettare, il signor Nolton fece un passo avanti.

 

“Arthur!” lo salutò giovialmente. L’altro uomo si girò con un largo sorriso, ricordando da quanto tempo non si vedessero. “Questa è mia figlia, Rebecca, Becky questo è il mio amico, il signor Weasley, te lo ricordi no? È quello che ti ha regalato il gufo di pezza per il tuo sesto compleanno.” Ah certo, ricordava quel gufo. Era stato il suo compagno di dormite per anni prima che una manticora particolarmente feroce lo sbranasse. Ricordava anche vagamente la presenza dei Weasley alla festa per i suoi sei anni. Aveva due figli della sua età che erano dei veri teppistelli, e aveva pregato Hestia di non invitarli mai più dopo che li aveva visti pungolare una fenice morta, ma i bambini a volte sono crudeli. Era certa che fossero maturati da allora, e in più si era trovata molto bene con i loro fratelli maggiori.

 

“Sì! Signor Wealsey, è un piacere rivederla.”

 

“Questi sono due dei miei figli, Fred, George, venite a salutare.” I gemelli si alzarono e salutarono i Nolton con sorrisi perfettamente gradevoli. I tre adulti si persero in una discussione alquanto interessata sugli artefatti Babbani e Rebecca guardò i gemelli imbarazzata mentre aspettavano che la bacchetta di Fred fosse impacchettata.

 

“Quindi siete al primo anno?” era una domanda stupida. Sapeva che erano al primo anno, avevano la sua stessa età. I loro volti si illuminarono un po’ nonostante la futilità della sua domanda, il che la fece sentire sollevata. “Io credo che verrò smistata in Serpeverde, o in Corvonero,” i due ridacchiarono e si scambiarono uno sguardo.

 

“Davvero, Rebecca, fossi in te spererei in qualcosa di meglio…”

 

“…Tutti sanno che Grifondoro è la Casa migliore.”

 

Rebecca sorrise, era abituata alla rivalità goliardica fra Case. Non aveva alcun significato oltre a quello, ma offriva anche un finto senso di intimità di cui sentiva di aver bisogno per calmare i nervi e smetterla di fare domande stupide.

 

“E lasciami indovinare, te l’ha detto la tua mammina?” chiese inarcando un sopracciglio chiaro.

 

“No,” negò George con un sorriso.

 

“Lo sappiamo per certo,” Fred mise su una finta aria altezzosa che a Rebecca ricordò quella vera di Draco Malfoy. Rise ed alzò gli occhi al cielo. “E non c’è niente di peggio di Serpeverde. Ma suppongo che Corvonero invece non sia troppo male.”

 

“In effetti il blu ti sta proprio bene, Freddie.”

 

“Sì, ma a te sta uno schifo George, ti sbatte proprio.” George annuì.

 

“Sicuri che ci entrereste a Corvonero? Non dovrebbero essere quelli intellettuali?” il suo sorriso lasciava capire che stava scherzando e i gemelli finsero di offendersi.

 

“Beh sappi che sono un grandissimo intellettuale,” George assentì alla la frase del fratello, “È vero, una volta l’ho visto leggere Aristotele.”

 

“Davvero impressionante,” Rebecca non sembrava minimamente impressionata.

“Ecco la sua bacchetta, signor Weasley, la usi con saggezza, e fanno quattordici galeoni,” Rebecca vide Fred e George irrigidirsi quando sentirono il totale e istintivamente fece qualche passo verso di loro. Il signor Weasley pagò e i ragazzi subito aprirono i pacchetti meticolosamente preparati da Olivander.

 

“Dove sei diretto adesso Arthur?”

 

“A casa, credo. Anche se Molly non tornerà per almeno un paio d’ore.”

“Lo vuoi un bel bicchiere di birra? Offro io,” Arthur stava per obiettare ma la signora Nolton intervenne. 

 

“Terrò d’occhio io i ragazzi, Arthur, voi avete tanto di cui parlare,” il sorriso di Hestia era caloroso.

 

“Solo se non è un grosso problema, Hestia… Fred e George possono essere un po’…“ Hestia alzò al cielo gli occhi fiordaliso. 

 

“Arthur, posso occuparmi di una stanza piena di maghi infortunati e posso anche tenere a bada due undicenni,” il sollievo comparve sul volto di Arthur e acconsentì ad andare con Nicholas volentieri. 

 

“Fred, George, fate i bravi,” i gemelli salutarono il padre e Hestia sorrise ai due maliziosi ragazzini, accomodandosi su una sedia e guardando mentre Rebecca prendeva la prima bacchetta offertale da Olivander.

 

“La piccola Rebecca Nolton,” le sue zampe di gallina si accentuarono mentre le sorrideva. “Mi stavo chiedendo quando sarebbe venuta nel mio negozio, ricordo ancora la bacchetta di suo padre: legno di quercia, anima di corde di cuore drago, nove pollici e mezzo,” annuì l’anziano mago, “lo ha servito bene. Dunque vediamo di trovarne una anche per lei, che ne dice signorina Nolton?” aprì la scatola che teneva in mano. “Legno di cipresso, anima di crine di unicorno, otto pollici, appena un po’ elastica.”

 

La sua mano si strinse attorno al manico e seppe subito che non era la bacchetta per lei. La lasciò andare come se il legno l’avesse bruciata, corrucciata.

 

“Non questa, eh? Bene…Vediamo un po’, vediamo un po’… Ah! Ecco, corniciolo, nucleo di piuma di fenice, otto e tre quarti.”

 

Rebecca quantomeno non provò repulsione immediata toccando la bacchetta. La tenne in mano per molto e con convinzione l’agitò in aria, una finestra si ruppe e lei sobbalzò. Hestia sembrava alquanto sorpresa.

 

“Irascibile,” commentò Olivander, e non si riferiva alla bacchetta. Aggiustò in fretta la finestra prima di sparire di nuovo fra le pile di bacchette, dando a Fred il tempo di fare un gesto col pollice all’insù alla ragazza per congratularsi.

 

“George non ha rotto nulla mentre provava le bacchette.”

 

“Che peccato,” disse Rebecca ancora un po’ scossa dall’improvviso frantumarsi del vetro. Né il padre né sua moglie avevano avuto un’esperienza simile quando avevano provato le bacchette.

 

“Ecco qua, signorina Nolton! Proprio quello che cercavo: legno di tasso, nucleo di corde di cuore di drago, 11 e mezzo, flessibile,” la prese delicatamente, temendo che si ripetesse quello che era appena successo. Era di un bel bianco, la base incisa come ali di drago. Perfettamente dritta e non troppo sottile. La agitò piano stavolta, come un direttore d’orchestra, e una serie di scintille viola ne fuoriuscirono, volando e riempendo l’aria prima di smorzarsi. “Credo che abbiamo trovato la sua bacchetta, signorina Nolton,” Olivander sembrava soddisfatto e Hestia ringraziò e pagò rapidamente.

 

Venne chiesto a Fred e George se avessero preferito tornare dal padre o andare con loro a comprare il necessario per la scuola per Rebecca. Fred guardò la ragazzina e sorrisero assieme, e bastò decisamente come risposta. Passarono assieme ancora tre ore, radunando oggetti e libri. Erano sulla via del negozio di cucito per comprare tre uniformi scolastiche quando Rebecca suggerì di fermarsi per un gelato.

 

“A voi ragazzi piacerebbe un gelato? Ma che domanda è, a quale razza di bambino non piace il gelato?”

 

“A uno decisamente discutibile, signora Nolton,” le disse Fred. Hestia annuì solennemente.

 

“Spero che voi ragazzi Weasley non giriate con soggetti di questo tipo.”

 

“Certo che no signora Nolton, non usciremmo mai con gente del genere.”

 

“Bene, allora che gusto vorreste?” si avvicinò al bancone ordinò il suo all’amarena e il caramello salato per Rebecca, aspettando pazientemente che Fred e George prendessero la loro decisione.

 

“Io lo prenderò al cioccolato, per favore,” disse George all’uomo.

 

“Anch’io.”

 

Con il gelato in mano, Fred e George educarono Rebecca riguardo all’abbigliamento di tendenza e la informarono che il color pervinca la faceva sembrare slavata, anche se lei non era del tutto convinta che sapessero che colore fosse il pervinca.

 

“E che ne dici di un vestito, cara? Ai miei tempi facevamo grandi balli, banchetti, cose così, vorrai apparire al meglio!” disse Hestia trasognata mentre piroettava lungo il reparto dei vestiti eleganti. Estrasse qualcosa in pizzo e scosse la testa, riponendolo.

 

“Non credo che le matricole siano invitate, Hestia,” disse Rebecca con un broncio. 

 

“Peccato. Al terzo anno, allora,” si diressero all’ingresso del Paiolo Magico, e a Rebecca sarebbe piaciuto posticipare la separazione dai Weasley. Per la prima volta da un po’ di tempo, si sentiva in pace. Come se fosse nel suo ambiente. Fred e George avevano completamente alleviato le sue paure e inibizioni, e se tutti ad Hogwarts erano come loro, allora da là non se ne sarebbe mai andata!

 

Sorrise tristemente, incerta sul da farsi, e loro sembravano chiedersi lo stesso.

 

“Ci vediamo fra tre settimane, allora,” si schiarì nervosamente la gola, girandosi per seguire la matrigna dentro al Paiolo Magico.

 

“Ehi, di un po’ Nolton, hai voglia di scrivermi? Magari se mi metto a studiare all’ultimo minuto, potrei davvero diventare un intellettuale e non so proprio cosa leggere,” lei sorrise e si mise i capelli dietro l’orecchio, estraendo una penna dall’inchiostro infinito che aveva incastrata lì.

 

“Dammi la mano, Weasley,” lui obbedì rapidamente, praticamente ficcando tutto il braccio nella mano di lei. Gli scrisse rapidamente l’indirizzo sulla pelle lentigginosa. “Scrivimi, allora.” Poi aggiunse subito: “Anche tu George, leggere un po’ ti farebbe bene,” lui si imbronciò. 

 

“Io non sono un traditore come Fred,” disse piccato, fingendo di guardare storto il fratello.

 

“Come dici tu George,” disse lei ridendo. “Ciao, allora,” i suoi occhi incontrarono quelli di Fred ed entrambi guardarono subito da un’altra parte. “Vi vedrò presto entrambi,” sorrise e diresse ai gemelli un saluto con la mano, rincorrendo la donna che le gridava di sbrigarsi.

 
  
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