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Autore: DarkWinter    03/04/2020    7 recensioni
In un ospedale vicino a Central City, i gemelli Lapis e Lazuli nascono da una madre amorevole e devota.
Fratello e sorella vivono un'adolescenza turbolenta e scoprono il crimine e l'amore, prima di essere rapiti dal malvagio dr. Gero e ristrutturati in macchine mangiatrici di uomini.
Ma cosa accadrebbe se C17 e C18 non dimenticassero totalmente la loro vita da umani e coloro che avevano conosciuto?
Fra genitori e amici, lotte quotidiane e rimpianti, amori vecchi e nuovi e piccoli passi per reinserirsi nel mondo.
Un'avventura con un tocco di romanticismo, speranza e amore sopra ogni cosa.
PROTAGONISTI: 17 e 18
PERSONAGGI SECONDARI: Crilin, Bulma, vari OC, 16, Z Warriors, Shenron, Marron, Ottone
ANTAGONISTI: dr. Gero, Cell, androidi del Red Ribbon, Babidi
{IN HIATUS}
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: 17, 18, Crilin, Nuovo personaggio | Coppie: 18/Crilin
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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 Un cielo azzurrissimo. Tanta tanta luce, Sembrava di essere più vicini al cielo da lì.

Quando Diciotto aprì gli occhi rimase sorpresa da tutto quell’azzurro; era il Paradiso?

Poteva anche darsi, ma allora lei che ci faceva lì?

Qualunque posto fosse stato, non si ricordava minimamente come ci fosse finita.

Discorsi e frasi arrivavano ovattati alle sue orecchie, i suoi sensi erano ancora in uno stato di torpore generale che Diciotto non riusciva a scrollarsi di dosso.

C’erano delle piccole mani protese sopra di lei; i suoi occhi non riuscivano bene a mettere a fuoco e non vide a chi appartenevano.

Ovunque guardasse c’era solo cielo.

All’improvviso si senti’ abbastanza bene per mettersi a sedere, quando si guardo’ intorno vide uno sterminato pavimento bianco, delle persone inginocchiate intorno a lei.

Le persone…il gruppo di nemici con Piccolo. E Crilin!

Diciotto scattò in piedi, studiando il nuovo ambiente con aria allarmata. Adesso ricordava.

L’ultima volta che aveva visto il piccoletto era stato quando lui aveva tentato di cacciarla via, prima che la Creatura le saltasse addosso e la inviluppasse nell’oscurità asfissiante da cui non si rendeva ancora conto di essere uscita.

Ebbe un ricordo improvviso di quel momento terribile e le viscere le si contrassero dolorosamente, mentre brividi di paura la scuotevano. Strizzo’ gli occhi fin quando il brutto ricordo svani’, per quella volta. Quando riuscì a tornare calma si rese conto che era viva, il suo corpo tutto intero: non avrebbe mai pensato che sarebbe stato ancora possibile.

E Diciassette? Perché lui non c’era?

La ragazza si muoveva a scatti guardandosi intorno, stava sulle difensive. Tanto per cambiare, la sua mente era annebbiata.

“Stai tranquilla, siamo al palazzo del Supremo, un posto sicuro. Son Gohan ha ucciso Cell, tu non devi più avere paura.”

A parlare era stato lui, il piccoletto. Le spiegò come il figlio undicenne di Son Goku avesse sconfitto la Creatura, ma Diciotto lo ascoltava distratta e confusa e non tenne a mente il nome dell’eroe che li aveva salvati tutti. Le venne fatto sapere che Son Goku, invece, era caduto in battaglia.

“Già, adesso non c’e’ nessuno al mondo piu’ forte di Gohan! Non ti conviene farci del male, né a te né all’altro!” le urlò contro uno del gruppo, un uomo coi capelli a spazzola che le pareva si chiamasse Yamcha. Si chiese dove avesse potuto sentirlo.

L’altro? Allora c’è anche Diciassette!” Diciotto si sentì invadere da una gioia vera.

Il piccoletto lanciò uno sguardo adirato a Yamcha e le raccontò tutto quello che era successo con Cell, rivelandole anche di come lui l’avesse soccorsa.

“Dovresti solo essergli grata: è merito suo se non sei morta durante la battaglia, e’ rimasto sempre al tuo fianco da quando Cell ti ha sputata fuori.” mormorò indignato Piccolo.

Diciotto non disse niente; non gliene importava.

 “Dov’è Diciassette? Cosa gli avete fatto?”

Crilin fece un cenno con la testa; Diciotto si scostò un poco e vide un ragazzino molto simile a Piccolo, un namecciano, che teneva le mani sospese sul corpo privo di sensi di suo fratello.

Diciotto corse al fianco del ragazzino e si inginocchiò precipitosamente: “Dimmi che è vivo!”

Parlava in fretta, col respiro corto.

Il ragazzino, il Supremo, le annuì mentre continuava a tenere le mani sospese in avanti. Le tolse all’improvviso, quando cielo incontro’ cielo: gli occhi azzurri di Diciassette si spalancarono e lui trasse un sospiro profondo, come se stesse facendo fatica a respirare. Si girò su un fianco, guardandosi attorno con la stessa aria di smarrimento che il gruppo aveva appena visto sul viso di sua sorella.

Quando il suo sguardò incontrò quello di Diciotto, entrambi si fissarono senza parlare.

Si guardavano mentre il loro discorso interiore cominciava a scorrere fluido e ricco, comprensibile a loro due soli.

Il Supremo si dileguò silenziosamente, rivolgendo alla coppia di gemelli un tenero sorriso che nessuno dei due colse.

Il discorso interiore continuò ininterrotto, fin quando le lacrime riempirono gli occhi di lei e la bocca di lui scoprì uno strepitoso sorriso; avrebbero potuto stringersi rotolando sul pavimento, ridendo e piangendo contemporaneamente, ma qualcosa che entrambi sapevano non essere gli sguardi dei nemici impedi’ loro di farlo.

Rimasero semplicemente a guardarsi a lungo, stupiti e sollevati nel vedersi vivi e vegeti.

“Diciassette, stai bene” iniziò lei, cancellandosi dal bel viso l’espressione che tradiva i suoi sentimenti piu’ profondi; ma si interruppe subito quando la volta celeste, da tersa che era, si fece minacciosa e buia.

“E adesso cosa succede?”

“Non lo so, vado a vedere. Stammi vicino.” Diciotto afferrò il gemello per una manica e se lo trascinò dietro, addocchiando un palazzo bianco; arrivarono ad una colonna e si nascosero lì dietro, cercando di vedere cosa stesse succedendo.

Il gruppo era raccolto intorno al giovane Supremo, che tendeva le mani verso qualcosa di luminoso posato ai suoi piedi.

“Che cos’è? Sembrano sassi” sussurrò Diciassette;

Lei guardò attentamente: “Sì, sono sette pietre luminose.”

Ciò che lasciò i due ragazzi con la bocca aperta e il naso in su fu un’enorme figura che si sprigionò da quelle pietre dalla forma sferica, innalzandosi verso il cielo e occupandolo in buona parte.

“Guarda! E’ un drago, tipo quelli delle stampe cinesi!” Diciassette indicò il cielo con un sorriso raggiante “che figata.”

La ragazza fissò ammaliata il luminoso animale, senza capire come mai si trovasse lì.

Qualcuno del gruppetto si era messo a parlare ma loro due erano troppo occupati a fissare il titanico drago per prestare attenzione alle loro parole. Parlavano con il drago!

I gemelli tesero l’orecchio alla voce di Crilin.

“Vorremmo riportare in vita tutte le vittime di Cell.”

Buona, un drago che esaudiva i desideri; c’è sempre tempo per stupirsi.

Diciotto pensò che se da umana le fosse capitato di incontrare una specie di genio della lampada versione animalesca, avrebbe voluto vestiti a volontà e un ragazzo degno di lei.

Pensando alla parola ragazzo si sentì frizzare il sangue. Ragazzo, compagno, qualcuno con cui condividere la propria vita. Un altro pensiero l’assalì.

Ad un certo punto Diciassette le diede un colpetto alla gamba: “Ascolta! Parlano di noi!”

“...Vorrei che tu potessi far tornare i cyborg 17 e 18 com’erano prima. Due esseri umani.”

Nonostante la distanza, la supervista dei cyborg permise loro di scorgere i luccichii che erano comparsi negli occhi scuri di Crilin, quando lui aveva espresso quella richiesta.

Diciotto trasalì, che razza di richiesta era? Entrambi volsero di nuovo lo sguardo al cielo, nel sentire una voce profondissima, più tonante di una tempesta.

Era il drago che parlava.

“Questa poi! Non ho parole…”

Diciotto non rispose al fratello, di parole non ne aveva nemmeno lei, il drago che parlava era l’ultimo della lista.

I due ragazzi tornarono a fissare Crilin, che aveva chinato la testa con un’espressione sconfitta.

“Il drago ha detto di no, vero?” Diciassette guardò negli occhi sua sorella. Aspettava la sua risposta con uno sguardo trepidante, che nutriva una speranza e un tormento.

Lei rimase stupita e si limitò ad annuire lievemente.

“Facciamo così allora!” il piccoletto aveva di nuovo alzato la testa “almeno questo fallo, per piacere. Potresti liberarli dall’esplosivo che hanno in corpo?”

Diciotto trattenne il fiato, Diciassette la guardo’ smarrito: “Che cosa?! Ma che sta dicendo?”

“La bomba, Diciassette…” la ragazza quasi lo ignorò. Sentiva il cuore in tumulto, era commossa.

Se solo Crilin avesse capito fino in fondo quello che stava chiedendo per loro!

“Mi dispiace, ma non ti seguo. Quale bomba, come…”

“SILENZIO.”

I gemelli rimasero a fissarsi, lui zittito, lei arrabbiata.

“Una volta avevo letto sugli appunti del dottore che nel nostro corpo c’è una bomba” gli spiegò lei “che può servire sia per attacco che per difesa.”

“Ah, scusami tanto se non me l’avevi detto.”

La voce cavernosa parlò di nuovo: “Questo posso farlo. Addio”.

Il drago finì di parlare e si dissolse in un’esplosione di luce, sparendo così com’era arrivato; istantaneamente il cielo ritornò azzurro.

“Non abbiamo più la bomba…” mormorò lei, tastandosi il petto, come alla ricerca di un rigonfiamento o di un peso che non aveva mai sentito, tranne che nel preciso momento in cui Crilin ne aveva fatto parola.

“Io mi sento come prima” le rispose lui “ho ignorato la sua presenza fino adesso.”

“Che strano.”

Diciassette che ignorava dettagli fondamentali perche’ era troppo occupato a pensare alle sue vaccate era qualcosa che davvero la soprendeva.

La mente di Diciotto era totalmente occupata da sentimenti che la mettevano tutta in subbuglio.

Grazie infinite…ti ringrazio tanto…”

Tenne quelle parole per sé, tornando ad ascoltare di nascosto i discorsi del gruppetto.

“Perché hai espresso il desiderio anche per Diciassette?” chiese l’uomo dai capelli a spazzola/Yamcha, guardando interrogativo Crilin.

Il piccoletto cambiò colore, Diciotto sentì chiaramente che la sua temperatura corporea e la pressione del suo sangue erano cambiate. Esattamente come i propri.

“Beh, a me piace Diciotto, ma per lei è più adatto Diciassette, no? Almeno sarà più felice insieme a lui...”

La ragazza sentì un verso strano e si girò verso Diciassette, che si spanciava dal ridere; lo guardò male e contorse la bocca.

“Ma l’hai sentito?! Oh, Diciotto, amore mio!”

Lei gli fece una smorfia. Non resistette più e uscì dal suo nascondiglio:

“Cretino!”

Il gruppetto si sorprese nel vederla balzare fuori all’improvviso.

“Io e Diciassette siamo fratelli gemelli!”

La ragazza restò per un po’ a guardare le facce lunghe dei presenti.

Sono proprio degli esseri limitati…” Diciassette aveva finito di ridere e, da dietro la colonna, era rimasto a guardare la scena.

“Beh comunque non ci sperare” proseguì lei, lanciata al galoppo “non me ne fregava niente dell’esplosivo che avevo in corpo, hai capito, testaccia?”

Diciotto cercò di calmarsi. Che scena della malavita stava facendo…però non poteva starsene zitta.

Continuava a rimuginare; perché per lei era così importante fargli sapere che non era impegnata?

Una persona con un minimo d’acume si sarebbe accorta che lei e Diciassette avevano la stessa faccia, pensò, ma come mai ci aveva tanto tenuto a spiegarglielo?

Troppa confusione.

Si voltò verso il “testaccia” e lo guardò.

Gli disse solo ci vediamo, prima di spiccare il volo lontano da lì.

 

 

“Potevi almeno aspettarmi, Diciotto, te ne sei andata via senza dire niente.”

I due gemelli volavano senza una meta.  Lei continuava a rimuginare, continuò fino a quando scesero a terra, sedendosi in un prato fiorito.

“Sorella...Non vorrei interromperti, ma dov’è Sedici? Non l’ho piu’ visto.”

L’ultima cosa che ricordava di lui era il suo scendere in campo e smembrare Cell.

Il resto dei ricordi che gli torno’ gli fece chiudere gli occhi all’improvviso, mentre sentiva un brivido lungo la schiena.

Diciotto si riscosse dai suoi pensieri e i suoi occhi s’incupirono mentre scosse la testa.

Guardò mestamente suo fratello, che a sua volta la fissava senza avere i giusti riferimenti per capire: “C’è qualcosa che io non so, Diciotto?”

“Sì, tante cose.”

“Allora andiamo con ordine” la rassicuro’, regalandole un sorriso “più importante, siamo vivi: io credevo che Cell ci avesse…”

Non riusciva a trovare le parole. Non sapeva cosa dire e la paura stava cominciando a salirgli.

 “Mi hanno raccontato tutto quelli là” disse Diciotto “Cell ci ha presi tutti e due: noi non ce lo ricordiamo perché eravamo come svenuti, ma eravamo vivi all’interno del suo corpo. Vivi e vegeti, tutti interi e perfettamente vitali.”

“Io mi ricordo.”

Diciassette seppe, allora, che tutto quello che pensava di essersi sognato mentre era stato intrappolato nel corpo di Cell era vero. Senti’ che anche Diciotto doveva aver visto la morte di Sedici. Una morte piena di onore, degna di come aveva vissuto. Era stato un androide di poche parole e di poche azioni, ma quelle poche parole e azioni sarebbero rimaste per sempre impresse nel cuore dei gemelli. Forse era a lui che il mondo doveva la vita: senza di lui Son Gohan non avrebbe mai raggiunto la trasformazione che gli aveva permesso di sconfiggere Cell, insieme a suo padre Son Goku.

“Ma se Crilin ha chiesto al drago di resuscitare chiunque sia stato ucciso da quel mostro, Sedici dev’essere da qualche parte. Voglio che tu venga con me a cercarlo.”

Il cyborg si era fermato a mezz’aria, le mani sulle spalle della sorella e gli occhi che non si davano pace, cercando di registrare i pensieri di lei.

“Non saprei, Sedici era completamente artificiale.”

“Ma scusa! Se è stato vittima di Cell, perche’ non dovrebbe essere tornato in vita? Vuoi dirmi che un fottuto drago resuscita-morti non puo’ resuscitare anche una macchina? Dai...”

Certo che Diciotto sarebbe andata con lui: Son Goku era morto, quindi per loro non c’era piu’ niente da cacciare. Ora potevano solo vivere liberi.

Avvistando un grande prato fiorito sotto di loro, Diciotto si fece seguire da suo fratello ed entrambi atterrarono, mettendosi comodi. Lei abbassò un attimo gli occhi e quando riprese a parlare la voce le tremava: “Diciassette…voglio chiederti scusa.”

Il ragazzo si ravviò i lunghi capelli: “Di cosa?”

Diciotto riuscì a inghiottire le lacrime: “Per non averti aiutato, quando Cell…”

Seduta fra le piante fragranti, la ragazza nascose il viso fra le ginocchia e lasciò che la voce tremasse senza controllo, mentre dei singhiozzi che non volevano uscire la scuotevano tutta.

“Perdonami Diciassette, ti prego; io non ho più capito niente…ed è stato orribile, io non sapevo cosa fare. Cos’hai provato?”

Diciassette fissò un punto indistinto all’orizzonte: “E’ indefinibile. È stato come morire.”

“Io prima mi sono sentita soffocare, poi non lo so.”

Sorvolò su quello che aveva appreso da Piccolo, su come Crilin l’avesse tenuta tra le sue braccia mentre davanti a loro infuriava la battaglia che si era conclusa con l’annientamento del piu’ terribile crimine prodotto dalla mente folle del dottor Gero. Quando tutto si era calmato l’intero gruppo -più loro due- si era trasferito nel posto in cui, poco dopo, i gemelli avevano ripreso conoscenza.

Diciassette le disse che credeva che si fossero sciolti o qualcosa di simile. Com’era possibile quello che sua sorella gli aveva appena raccontato? Non glielo chiese, ormai aveva perso il conto di tutte le cose impossibili che gli erano capitate.

Le disse anche qualcos’altro, che gli venne in mente quando ripensò a quello che aveva detto lei: “Se e’ vero che abbiamo visto e sentito tutto mentre eravamo prigionieri, allora e’ vero anche quello che abbiamo sognato?”

La ragazza non capiva.

“Mi ricordo del sacrificio di Sedici, della voce di Son Goku, e del fatto che sognavo sempre una ragazza. Non è quella che dici tu” Diciassette vinse sul tempo la sorella “una ragazza più o meno della nostra età: aveva dei bellissimi capelli rossi, si stringeva a me e mi abbracciava. Io la prendevo in braccio e la baciavo, eccetera.”

Diciotto vide suo fratello abbassare lo sguardo, imbarazzato, e cio’ la fece sorridere: “Quindi?”

“Quindi vorrei che tu mi aiutassi, oltre a Sedici voglio cercare anche lei: era così vero come sogno, io sentivo di volere tantissimo bene a questa ragazza, il suo corpo non mi era estraneo, come se davvero io con lei avessi...come se l’avessi conosciuta.”

La cyborg cerco’ di non ridere, intuendo quello che lui aveva voluto dire: “Hai detto che era rossa”.

“Sì.”

“Sicuro che non fosse Sedici?”

Diciassette si alterò: “Ti sembra che ci sia da scherzare?”

Magari era una che Diciassette conosceva da umano.

“…devo trovarla. Se l’avessi qui, in questo momento, la prenderei fra le mie braccia e non la lascerei piu’” Diciassette scrutò il cielo con aria sognante “se da umano la conoscevo, chiunque fosse, è stata qualcosa che mi ha salvato in un posto dove la salvezza non c’era.”

“Guarda che sei un cyborg, non una ragazzina con gli ormoni in tempesta.”

Poi fu lei ad abbassare lo sguardo: “Comunque non me lo scorderò mai, Sedici: spero che tu abbia ragione e che un giorno ci ritroveremo, tutti e tre.”


 

/

L’annuncio che la situazione Cell era finita era stato diffuso da ogni stazione radio, ogni canale televisivo, era su tutti i social network, su tutti i giornali, c’erano stato fuochi d’artificio e feste in tutto il Paese. Ora molti canali mostravano in tempo reale il campione del mondo Mr. Satan mentre rilasciava interviste, faceva Q&A con i fan, firmava foto. Quello, un esperto di arti marziali, era l’eroe che aveva sconfitto Cell, un pazzo di cui nessuno riusciva a capire l’identita’.

“Sara’ che sono sempre io a sospettare tutto, ma c’e’ qualcosa che non mi convince di lui. Non sembra provato da una battaglia come dev’essere stata quella contro quel tizio, Cell. Chiamare Orange City come lui, addirittura!”

Gage se la rideva: si rifiutava di adorare Mr. Satan e di spendere soldi per andare alla nuovamente battezzata Satan City, a schiacciarsi contro i cancelli del villone di Mr. Satan, nella speranza che la star sapesse che lui esisteva. Ridendo e scherzando, fra quelli che erano tornati a casa durante i Cell Games per stare con le loro famiglie e quelli che ora avevano intrapreso il viaggio della speranza per incontrare l’eroe, il campus era quasi vuoto.

Lui si era, come al solito, limitato a videochiamate e telefonate con la sua famiglia a East City:

visto che si stava per laureare, voleva passare con Carly tutto il tempo che poteva. Lei era tornata a Central City una volta sola, per fare un saluto a suo padre e assistere insieme a lui all’inaugurazione del monumento ai caduti.

Per tutto il tempo che avevano avuto a disposizione, le era piaciuto passare il tempo con Gage. Si era rivelato un tipo alla mano, facile da impressionare e che pendeva dalle sue labbra; risvegliava in Carly una compassione distante che, a volte, lei confondeva con la pieta’.

Gage avrebbe potuto essere.

Lui era stato implacabile fin dal giorno in cui si erano incrociati per la prima volta al poligono di tiro; lei per un po’ di tempo era stata indecisa.

Una cena qui, quasi un bacio li’, Carly finiva sempre per tirarsi indietro quando si doveva passare ai fatti. Non ci riusciva.

E Gage era un ragazzo cosi’ dolce; Carly sapeva che paragonarlo all’altro che se n’era andato era un errore madornale. Era sbagliato, terribilmente ingiusto.

Era inutile paragonare Gage dalla voce pacata al vivace Lapis; le belle braccia robuste di Gage e la varieta’ di sorrisi e sorrisetti sexy di Lapis, il marrone profondo e l’azzurro acceso dei loro occhi.

Non c’entravano niente l’uno con l’altro, ma la mente di Carly era marchiata a fuoco.

Stava cominciando a credere che avrebbe condotto una vita solitaria, con la forza dell’abitudine quell’idea di tranquillita’ cominciva a piacerle.

Ma poi, in pratica, eccome se Carly paragonava la maniera di baciare di Gage -tenera, ma ancora un po’ grezza- alla bocca morbida di Lapis, alla sua presa esperta quando la schiacciava in modo eccitante contro di lui.

Ovunque Lapis fosse ora, lei non poteva seguirlo. Era inutile cristallizzarsi su un capitolo della sua vita che era finito in modo cosi’ tragico, in una maniera che andava totalmente al di la’ del suo controllo, delle sue scelte.

Carly poteva pure fare finta che nulla in vita sua fosse andato terribilmente storto; pero’ il dolore della perdita e la nostalgia erano state enormi quando Gage, nell’intimita’ della sua stanza nel campus, si era tolto la maglia mentre si beveva con gli occhi le curve di Carly, spogliandola della sua biancheria semplice con uno sguardo che riluceva di emozione.

Quando si erano distesi, Carly aveva sussurrato scuse sincere mentre si immaginava ancora una volta il corpo di Lapis penetrare il suo.

“Io non ci riesco, Gage. Non riesco a dimenticare.”

Gage l’aveva implorata di parlare con lui, di lasciare che l’aiutasse. Mentre lei si era rivestita, dandogli le spalle, Gage le disse che l’amava; l’amava come non aveva mai amato nessuna, ma non poteva garantirle che avrebbe avuto la possibilita’ di aspettarla per sempre.

Cosi’ l’aveva guardata rivestire quella pelle eterea che lui non avrebbe mai assaporato, guardandola fra lacrime che non aveva versato mentre lei lasciava la stanza.


 

Gage era restato. Anche se sapeva che Carly non poteva dare di piu’, ci aveva provato ed era ormai determinato a trarre gioia da ogni piccola briciola di lei che riusciva ad accaparrarsi: il brillio dei suoi capelli color carota, parlare delle loro rispettive lauree e future carriere, la presenza di Carly alla discussione finale della sua tesi. Erano piccole pillole di felicita’ per Gage, cambiavano la sua giornata.

Dal canto suo Gage era diventato, durante quell’anno, l’ancora che aveva tenuto Carly attaccata alla realta’, salvandola. Non passava giorno senza che lei si sentisse in colpa per non aver potuto ricambiare i sentimenti di un ragazzo come lui.

Ebbe pero’ l’occasione di capire quanto Gage fosse comunque importante per lei un pomeriggio, mentre erano seduti a pranzare nella mensa dell’universita’.

Al fischiare beffardo dei suoi conoscenti, gli stessi con cui era andato al poligono quel pomeriggio, Gage abbassò gli occhi per l'umiliazione.

“Fa’ finta di non sentirli.”

Carly gli mise protettivamente un braccio sulla schiena, mentre origliava con attenzione i discorsi del gruppetto seduto al tavolo dietro al loro:

"Che sfigato, è un anno che le va dietro e non se l'è ancora portata a letto."

 "A letto? Non ha manco visto di striscio quei bazooka. Ma forse io potrei…"

Gage sussultò quando Carly sbattè con rabbia una mano sul tavolo; vide lo sguardo nei suoi occhi passare dalla pazienza alla furia assoluta e guardò con confusione e ansia mentre lei si girava e iniziava a camminare verso l'altro tavolo, un'aria di superiorità sulla sua fronte corrugata.

E poi le persone nella mensa assistettero a una scena incredibile: una giovane donna minuta che si avvicinava a un tavolo dove sedevano tre giovanotti che ridevano e le fischiavano dietro mentre lei puntava i piedi davanti al più grosso, un bestione di almeno cento kg, tanto grosso quanto Gage.

“Questo è da parte di una persona troppo gentile per farlo.”

Tutti la guardarono flettere il braccio e poi colpire il bestione in viso con un gancio amatoriale, ma efficace. Gli altri due smisero di ridere mentre il loro compare grugniva dal dolore tenendosi la mascella, accasciato sulla sua sedia. La gente applaudì e fischiò.

Altre ragazze a cui lo stesso scimmione aveva mancato di rispetto gridarono "vai così, sorella!" mentre Carly passava, andandosi a riprendere il suo posto vicino a Gage.

Gage era quasi ipnotizzato dalla gente che stava ancora facendo cori da stadio: "K.O., K.O.!"

Quasi non si accorse che il suo prode cavaliere si era seduto di nuovo vicino a lui, mentre scuoteva la mano per il dolore.

“Ti sei fatta male per colpa mia.” Gage si sentì ancora più giù, mentre le accarezzava la mano. Non era rotta, ma lui vide alcune macchie rosse, il cui colore sembrava livido sulla pelle bianchissima di Carly.

E adesso, ancora sanguinante per via del pugno, il bestione stava venendo da loro. Carly colpì di nuovo il tavolo, mentre Gage si alzò per affrontarlo.

“Cagasotto di un Gage! Hai problemi con noi e mandi lei?”

Carly non poté fare a meno di urlargli che era stata una sua decisione, i due uomini finirono lo stesso per risolvere la questione con una botta ciascuno, poi smettendola spontaneamente. Dopotutto non erano più al liceo.

Pochi giorni dopo, il torace di Gage era ancora viola e dolorante per la botta che aveva ricevuto dall'altro ragazzo.

“Che figura di merda, Gage...”

“Quel gancio sinistro non era poi così male. Non sapevo che fossi capace di pestare. Voglio dire, sei un cecchino ma continui a sorprendermi.”

La fece sorridere: “Mi è stato insegnato.”

“Da chi? In questo caso, potrei farmi dare qualche consiglio.”

“Qualcuno che conoscevo.”

Gli occhi di Carly si fecero di nuovo tristi. Erano seduti su una panchina all'interno del campus, guardando da lontano il ghiacciaio Grande Eden e i terreni del RNP, sotto di esso.

Se non fosse stato per la lotta che aveva provocato, Carly avrebbe trascorso la giornata a fare passeggiate nel RNP con Gage come avevano pianificato da tempo, e Gage non avrebbe gemito di dolore ogni volta che respirava.

Si vergognava molto di se stessa: “Non potevo non fare nulla. Non sopporto che ti trattino così.”

Gage si voltò verso di lei con un sospiro malinconico: “Ti ringrazio infinitamente per il tuo aiuto. Ma tutto questo, perderci la nostra giornata fuori, essere ridotto in questo stato, è successo perché io sono uno smidollato. Cosa ti è passato per la testa, speravi di metterlo K.O.?”

Carly sapeva di non poter mettere fuori combattimento un tipo di quelle dimensioni con la sua scarsa esperienza in combattimento, ma almeno era contenta di essere riuscita a fargli male.

“No, no Gage. È una questione molto più profonda. C'entro solo io.”

Carly voleva sempre fare qualcosa di buono per le persone a cui teneva. Ogni piccola buona azione nei loro confronti contava, per renderli felici, per ricordarsi quanto loro fossero importanti.

“Perché hai voluto difendermi?”

E così, spontaneamente, Carly gli disse tutto d'un fiato quello aveva iniziato ad approcciare, ma che non aveva mai finito, quella volta che era fuggita dalla camera da letto.

“Perché mi importa di te, anche se non posso darti quello che cerchi. Quando hai a cuore qualcuno e vuoi che lo sappiano devi agire subito, farlo adesso, senza aspettare domani. Perchè queste persone non saranno lì per sempre, il tuo tempo è limitato.

Un giorno sono lì e conti di passare la tua vita con loro, vuoi fare o dire qualcosa di carino solo per ricordare quanto li ami. E finisci per procrastinare, pensando di avere ancora molti giorni per farlo. Ma poi, ti giri un secondo e loro non ci sono più. Li hai visti solo il giorno prima e forse ci hai pure litigato: e quando se ne sono andati e basta, non puoi più rimediare a nulla. Non hai più la possibilità di dire loro che li ami. Se ne vanno troppo presto. Per sempre.”

La sua voce si spezzò, cercò di reprimere un singhiozzo.

Quando Carly aveva iniziato a parlare dell'amore della sua vita i suoi occhi si erano riempiti di lacrime, e non aveva potuto continuare. Gage capì una volta per tutte che non poteva farci niente, Carly non sarebbe mai stata sua. 

Era stata innamorata, una volta, poi l'aveva perso; aveva lasciato implicito che lui ora era morto. Questo la precludeva a lui: Gage si era detto che avrebbe potuto competere con qualcuno di più intelligente, di più virile, di più bello, di più simpatico. Chiunque il suo rivale in amore fosse stato, avrebbe potuto ragionare con una persona in carne ed ossa.

Ma con un morto, non poteva competere. Era un'entità perfetta, idealizzata. Probabilmente Carly continuava a rivivere in loop tutti i suoi ricordi con lui e Gage non aveva nessuna chance contro quello lì.

Paradossalmente quel giorno Gage trovò pace, apprendendo finalmente la verità dietro all'incapacità di Carly di amarlo.

E la lasciò andare. Liberò il suo cuore da un peso opprimente. Rinunciò a lei, all'impossibile.

 Quando per lui venne il momento di ritornare a East City, dopo la laurea, decise di dire addio a Carly. Sapeva che a lungo andare, per lui sarebbe stata una sofferenza insopportabile continuare a vedersi davanti quella che per lui era la ragazza piu’ bella del mondo, cosi’ vicina ma completamente inarrivabile.

Nel momento dell’addio si erano dati un lungo abbraccio, augurandosi una lunga vita felice. Una vita che non avrebbe piu’ incluso l’uno o l’altra.


 


 


 

   
 
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