CAPITOLO
15
Shinsou
tornò in classe solo due giorno dopo, quando la febbre gli era finalmente
passata.
Era
di nuovo sceso a colazione per ultimo, aveva visto Monoma
ma quello l’aveva fortunatamente ignorato. Ojiro doveva aver già mangiato,
perché non vedeva metà della classe, fra cui Shoji,
Sato e Tokoyami con cui stava sempre in gruppo.
Non
era neanche più venuto a trovarlo, dopo quel pomeriggio.
Quando
Shinsou si era svegliato, quella volta, era solo in stanza, ma stranamente
sotto le coperte. Non ricordava di essercisi messo, e
ne ebbe conferma quando, guardandosi intorno, aveva notato la bacinella sul
comodino e le medicine. E qualcuno, Ojiro probabilmente, aveva portato via il
piatto con la torta.
Per
un attimo era rimasto interdetto all’idea che fosse stato Ojiro a metterlo
sotto le coperte perché, volente o meno, significava che lo aveva toccato. Non
ce lo vedeva ad andare a cercare qualcuno. Doveva averlo fatto lui.
Lo
aveva messo sotto le coperte, gli aveva fatto degli impacchi e gli aveva anche
lasciato delle medicine.
E
Shinsou, quando aveva capito, si era sentito subito meglio.
Anche
se Ojiro non era più tornato a trovarlo e il giorno dopo era stato Midoriya a passare per portargli i compiti, e alla sera era
passato Kaminari, lui si era sentito comunque bene.
Era
decisamente più felice di quanto si meritasse di essere.
Per
questo quando era entrato in classe aveva pensato che permettersi di fargli un
sorriso non fosse una cattiva idea. Ma Ojiro rispose arrossendo appena sulle
goti e distogliendo lo sguardo.
Shinsou
inarcò un sopracciglia, stranito. Non sembrava il comportamento di qualcuno che
era contrario, quanto più...imbarazzato. Ma perché mai avrebbe dovuto?
“Bentornato,
Shinsou!” esclamò Kirishima da in fondo alla classe,
seduto sul banco di Sero che chiacchierava con lui e Kaminari, che alzò la mano per salutarlo.
“We! Ce l’hai fatta a riprenderti!”
“Non
sono mancato così tanto,” gli rispose con una scrollata di spalle, prima di
sedersi al suo posto. Midnight arrivò quasi subito
dopo, dando inizio alla lezione.
Shinsou,
nel corso della mattina, aveva portato lo sguardo su Ojiro in più di
un’occasione, ma quello non aveva staccato gli occhi dal libro neanche per un
secondo e al suono della campanella della pausa pranzo si era alzato ed era
subito andato verso Sato e Shoji per andare in mensa.
Non
aveva fatto neanche in tempo ad avvicinarsi.
“E’
di nuovo nervosetto?”
“Non
iniziare, Kaminari,” lo interruppe subito, alzandosi
e recuperando la cartella.
“Ma
no, non inizio. Ho avuto solo una strana sensazione di deja-vu!”
Shinsou
sospirò. E come dargli torto? L’aveva avuta anche lui, solo che mica poteva
andare da lui e chiedergli che succedeva. Se aveva deciso che aveva di nuovo
voglia di ignorarlo, era libero di farlo.
“Hey, dove te ne scappi pure tu? Ma che, andate sempre in
coppia voi due? Vieni a pranzo con noi, dai!”
“Ehm...”
Shinsou alzò gli occhi su Bakugou, che stava fermo sulla porta con Kirishima e Ashido e probabilmente
stavano aspettando Kaminari. Bakugou pareva già
contrariato da prima, ma quando sentì dire quella frase a Kaminari
gli scoccò un’occhiata tale che Shinsou fu certo se non ci fosse stato Kirishima l’avrebbe già spedito al creatore con
un’esplosione.
“Meglio
di no, Kaminari.”
“E
perché? Eddai, non farti rapire sempre da Midoriya, non c’è mica solo lui!”
“No,
ma almeno lì non rischio di finire al creatore.”
“Dici
Bakugou? Ah, tranquillo, lui abbaia ma non morde!”
“Cos’è
che hai osato dire, faccia da scemo?!”
“Ahia
Bakugou!” sbottò Kirishima, finito inevitabilmente
vittima dell’altro visto che era quello che gli era più vicino e stava cercando
di quietarlo, “Kaminari, Shinsou, vi muovete?”
“Io
quello stronzo non ce lo voglio al tavolo con me, cazzo!” esclamò Bakugou,
ululando in mezzo al corridoio.
“Oh,
su, non fare tutte queste storie!” squittì anche Mina, appoggiandosi al braccio
di Kirishima per affacciarsi verso Bakugou, “Mangiamo
solo insieme, mica te lo devi limonare! Andiamo adesso? Voglio mangiare, ho
fame!”
“Vaffanculo Ashido!”
“Grazie,
anche a te, tesoro!” sorrise apertamente lei, “Adesso andiamo? Su, forza!
Muovete quei bei sederini!”
“Bei...sederini?”
mormorò Shinsou, sempre più perplesso, ma lasciò che Kaminari
lo prendesse per il braccio e lo trascinasse fuori, verso la mensa.
Bakugou
però non era d’accordo sulla sua presenza, e anche se Kirishima
e Ashido fecero in modo che si sedesse il più lontano
possibile da lui, mettendosi in mezzo, nel passargli accanto non esitò a
ringhiargli contro.
--
Shinsou
non provò a forzare Ojiro neanche una volta, nei giorni successivi.
In
classe lo salutava appena a mezza voce, ma quando Ojiro distoglieva lo sguardo
si limitava a sospirare e lasciarlo in pace.
Aveva
tutto il diritto anche di cambiare idea, Ojiro. Era lui la parte lesa, aveva il
coltello totalmente dalla parte del manico e mai si sarebbe azzardato ad
andargli contro, anche se per un periodo aveva sperato che le cose si potessero
risolvere.
Ma
forse era semplicemente impossibile.
Quella
volta, l’ultima in cui avevano parlato civilmente, ormai quasi una settimana
prima, Ojiro gli aveva detto che perdonarlo lo aveva fatto sentire meglio, e
che non si stava sforzando. Ma forse non era così.
Non
che credesse fosse un bugiardo, ma semplicemente doveva aver capito altro standogli
così vicino. O forse, febbricitante, aveva detto o fatto qualcosa che non
ricordava affatto?
Perché
era stato dopo quel giorno che Ojiro aveva smesso di nuovo di parlargli.
Ma
lui davvero non lo ricordava.
O
meglio, gli sembrava di non aver fatto niente, ma iniziava a dubitare che i
suoi ricordi fossero consequenziali. Forse gli mancava un pezzo del pomeriggio?
Non
avrebbe saputo dirlo.
Ma
dopotutto, anche se avesse semplicemente cambiato idea di punto in bianco, non
avrebbe avuto diritto di dirgli assolutamente nulla.
Quindi
taceva, guardandolo con la coda dell’occhio sia in classe che in mensa ma senza
rivolgergli la parola e, soprattutto, cercando di stargli più lontano
possibile.
Se
Ojiro gli aveva tolto di nuovo il saluto, allora era abbastanza evidente che
non volesse avere a che fare con lui, quindi già da qualche giorno se Ojiro
rimaneva in Sala Comune con gli altri, di solito per studiare col gruppo
capitanato da Momo, lui saliva in camera e restava lì, da solo.
E
forse gli faceva anche un favore.
Aveva
la scusa per sfuggire a Midoriya e Shinsou aveva
sempre preferito studiare per conto proprio. Si concentrava meglio.
Farlo
con Midoriya, a volte, in preparazione a qualche
compito o interrogazione, poteva essere utile, soprattutto per la presenza anche
di Iida e Todoroki che erano fin troppo preparati. Ma
preferiva comunque farlo in solitudine.
E
anche quel giorno era così. Soprattutto visto il periodo che stavano vivendo, e
tutti i dubbi che Midoriya aveva ancora in testa e
per i quali, anche se senza mai puntargli il dito, gli rivolgeva di continuo
occhiate strane. Con quegli occhioni verdi
inquisitori che sembravano sempre sul punto di scrutargli l’anima e che,
adesso, lo mettevano fin troppo in soggezione.
Per
lui in quel momento era molto meglio così.
Se
ne stava in camera sua, e in neanche un paio d’ore aveva quasi finito tutti i
compiti che avevano dato per il giorno successivo. Se riusciva a finire presto
forse poteva anche leggersi un libro o guardarsi un film.
Non
era un programma così malvagio, per la serata.
Non
appena riuscì a chiudere il libro di matematica si stiracchiò per bene e a
lungo sulla sedia, sgranchendo schiena e spalle, e solo dopo si decise ad
alzarsi.
Erano
appena le nove e mezza. Gran parte dei suoi compagni dormivano e l’altra metà
era comunque nelle proprie stanza, di norma, a quell’ora, quindi si ritenne
libero di scendere e prepararsi qualcosa di caldo da bere. Un tè per esempio. Si
diresse quindi nella cucina, passando per il salotto vide svegli solo Kaminari, Sero e Mineta, ma non era una novità. Quei tre facevano sempre
nottata se potevano.
Li
ignorò e andò dritto verso i fornelli per prepararsi un tè, ma aveva appena
messo piede nella cucina quando vide chiaramente la coda di Ojiro ondeggiare
pigramente a destra e a sinistra. Si fermò sulla porta, indeciso, ma Ojiro gli
dava le spalle e forse, con un po’ di fortuna, non si era neanche accorto di
lui.
Rimase
comunque a guardarlo per un po’, non riuscì ad evitarselo, e forse proprio per
questo Ojiro si voltò, sentendosi osservato.
Shinsou
svicolò più veloce che poté.
“Shinsou?”
Era
sicuro che Ojiro fosse in stanza, a quell’ora, se non addirittura addormentato,
invece se lo ritrovava in cucina con un bicchiere d’acqua in mano. Se era sceso
solo per bere, e proprio in quel momento si erano incontrati, il karma doveva
odiarlo davvero tanto.
Se
odiasse lui od Ojiro non ne era però sicuro.
Perché
di norma a lui non sarebbe dispiaciuto vederlo, osservarlo, stare fermo anche
solo a goderselo con gli occhi, ma quell’aria sciupata che aveva ultimamente
faceva male. Perché era colpa sua.
E
Ojiro doveva star odiandolo, quindi incontrarlo non doveva rasserenarlo
affatto.
Preso
com’era da quei pensieri funesti non si era minimamente accorto dei passi alle
sue spalle, almeno fin quando non si sentì afferrare per il polso. E per un
attimo raggelò.
Perché
se era stato un gesto istintivo per placcarlo, quello di Ojiro, ancora non lo
lasciava. Ancora non interrompeva il contatto.
Anzi,
strinse ancora più forte.
“Shinsou...?
Fermati un attimo!”
Shinsou
si bloccò all’istante, a quella richiesta, e si voltò a guardarlo.
Il
tono con cui glielo aveva chiesto era stato quasi un’imposizione, ma adesso se
ne stava lì, fermo con gli occhi bassi e il labbro inferiore fra i denti.
Gli fece tenerezza.
“Se...ecco,
puoi tornare in cucina, se ti serviva. Io ho finito.”
“Non
importa, non dovevo fare niente di particolare.”
Ojiro
annuì, per un attimo strinse ancora la presa.
Era
stato l’istinto a spingerlo a buttarsi all’inseguimento di Shinsou, quando
l’aveva visto andare via in quel modo, dopo averlo trovato ad osservarlo.
Il
problema era che ora non sapeva bene che cosa fare. Dire.
In
quei giorni aveva pensato a lungo, e non era arrivato a niente. Era solo
confuso. Voleva e non voleva le stesse cose, desiderava e temeva le stesse
situazioni.
Era
follia pura, quella che aveva in testa.
Ma
dopotutto erano svariati giorni che aveva la sensazione di star impazzendo.
Ma
Shinsou gli era sempre stato a distanza di sicurezza ed era riuscito, in un
certo senso, ad accantonare tutto quello in un angolo remoto della sua testa.
Facendo finta che non esistesse.
Trovarlo
che lo guardava di nuovo in quel modo, come quando non gli toglieva gli occhi
di dosso a inizio anno, se pur in verità con un altro tipo di sguardo, lo aveva
in un certo senso spronato, poco prima.
Perché
adesso che sapeva perché Shinsou lo fissava, perché si sentiva così nudo
davanti ai suoi occhi viola in classe, a lezione, in spogliatoio, non poteva
semplicemente ignorarlo.
E
soprattutto non poteva ignorare il fatto che, adesso che aveva acquisito quella
consapevolezza, anche il suo modo di vederlo era cambiato. E di pensare, anche.
L’aveva
mal giudicato, aveva malinteso quegli sguardi perché convinto d’altro, cieco
nelle sue certezze per un passato di cui Shinsou non era neanche invischiato.
E
adesso che sapeva perché, quindi, tutto aveva preso un’altra ottica. L’aveva
capito quando era andato da lui quella sera, e l’aveva trovato febbricitante e
debole.
Pensava
di aver odiato l’essere stato baciato a forza, ingannato, l’essere stato
toccato, e spogliato.
E
invece, per un misero istante aveva rimpianto di averlo fermato.
Di
non ricordarsi il sapore delle sue labbra.
E
fin dall’inizio aveva avuto il terrore che qualcuno potesse scoprire quello che
era successo e dirlo ad Aizawa, che Shinsou potesse
autodenunciarsi al docente. Che lo mandassero via.
Che
non potesse più vederlo.
E
quei pensieri non avevano senso.
Avrebbe
dovuto odiarlo.
Perché
no, invece? Perché si sentiva così?
Perché
quella stretta allo stomaco che aveva provato fin da principio, nell’averlo in
classe e per di più nel banco accanto, invece di sparire era aumentata?
Il
disagio, l’inadeguatezza.
E
il desiderio.
Gli
aveva chiesto lui di non toccarlo.
Adesso,
però, adesso che era lui ad averlo toccato di propria iniziativa, se ne
pentiva, e non riusciva a lasciare il suo polso.
“Ojiro?”
Alzò
appena gli occhi, a quel richiamo. Gli aveva messo l’altra mano sulla sua,
ancora intorno al suo polso, ma non per spingerlo a lasciarlo. Non con la
forza, quantomeno.
Era
preoccupato.
“Stai
bene?”
Ojiro
aprì bocca per dire che no, non stava bene, ma cambiò idea prima ancora di
emettere il primo suono.
Aveva
pensato che toccarlo, dopo quello che gli aveva fatto, gli avrebbe dato
fastidio, ma non era così.
Quindi,
quanto il suo desiderio, conscio o meno che fosse, di ricordarsi il sapore
delle sue labbra poteva stare in equilibrio con quelli che erano, invece, i
bisogni del suo corpo?
“Non
lo so,” rispose, sincero, prima di aprire la porta della stanza di Shinsou, che
non era stata chiusa a chiave, e spingercelo dentro.
Hitoshi
eseguì meccanicamente, spiazzato.
“Posso...aiutarti?”
Ojiro
non gli rispose, non a voce almeno.
Ma
Shinsou non avrebbe mai potuto aspettarsi niente di quello che accadde due secondi
dopo quella domanda.
Ojiro,
infatti, dopo aver chiuso la porta della camera con la coda, lo spinse verso il
muro, alzandosi in punta di piedi per riuscire a congiungere le sue labbra con
le proprie.
Shinsou
irrigidì le spalle, colto di sorpresa.
Che...stava
succedendo?
Forse
si era addormentato con la faccia sul libro di matematica senza che se ne fosse
accorto e adesso stava sognando. Perché se era un sogno, era un bel sogno.
Ma
se era la realtà...come doveva giudicarla?
Perché
Ojiro, proprio Ojiro, dopo tutto quello che era successo, dopo tutto quello che
gli aveva fatto, dopo avergli chiesto di non toccarlo, dopo averlo ignorato per
giorni...perché adesso lo baciava?
Era
un bacio leggero, praticamente a stampo, ma era comunque un bacio.
Non
capiva.
Non
capiva più niente.
Ma
sapeva che non poteva lasciarsi andare all’istinto di prenderlo per le spalle e
approfondire il contatto. Schiudergli le labbra a forza per poter incontrare la
sua lingua.
Quello
non poteva farlo.
Per
questo lo afferrò e se lo allontanò di scatto, quasi con violenza. Troppa
forse.
“Cosa...cosa
stai facendo?” soffiò Shinsou, il capo chino per non essere costretto a fissare
quel volto. Percepiva il suo stupore, poteva immaginare gli occhi sgranati, le
guance arrossate, e forse era meglio se non vedeva niente di tutto quello.
“Ora
capisci perché mi ha dato fastidio?”
Shinsou
sgranò gli occhi. Evidentemente aveva fatto male ad immaginarlo stupito e
sconvolto. “Cosa? Ti stavi...vendicando?”
Ojiro
sobbalzò visivamente, “No!” esclamò, “Non era quello...quello che volevo
dire...”
“Allora
perché mi hai baciato?”
“Io...”
si morse il labbro con così tanta forza da spaccarlo e Shinsou si mosse
d’istinto, a quella vista, prendendogli il volto fra le mani e passandogli il
pollice sul labbro ferito per liberarlo dalla piaga dei denti.
“Non
fare così...”
Ojiro
serrò gli occhi, incassando la testa nelle spalle, “Mi dispiace,” soffiò,
“Scusami...”
“Non-”
Non poté neanche finire la frase, aveva appena aperto bocca che Ojiro si era
già voltato per sfuggirgli via.
“Ojiro!
Aspetta!”
La
sua voce si perse nel corridoio, accompagnata solo dai passi frettolosi di
Ojiro per le scale.
Poteva
andargli dietro, forse avrebbe dovuto.
Ma
Ojiro gli sembrava così sconvolto da se stesso che, forse, la cosa migliore che
poteva fare era lasciarlo un po’ solo, per pensare e schiarire le idee.
E
forse lui poteva sperare. Anche se non lo meritava affatto.
Non meritava Ojiro.