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Autore: Shora    05/04/2020    2 recensioni
Può l'amore esistere tra persone separate da secoli di differenza? E se ciò accadesse che ripercussioni avrebbe sugli anni a venire? Il destino ha deciso di unire tre ragazzi. Amore, morte, misteri... Cosa nasconde Parigi che tutti ignorano? Che segreti custodiscono le persone che ognuno di loro pensava di conoscere?
Ecco a voi il primo capitolo di quella che spero cresca e diventi una trilogia. Buona lettura e spero vi piaccia XD!
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Chloè, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo cinque:

Il sole mi riscaldava il viso durante la mia prima gita a Parigi del 1798. Eravamo andati solo io e Adrien. Da quel che avevo capito Chloè aveva da fare. Era passato qualche giorno da quando avevo scoperto di poter passare attraverso dei portali temporali e di conseguenza tornare indietro nel tempo. Mi erano state spiegate, durante altre visite a villa Agrèste alcune cose, che avrebbero dovuto aiutarmi a capire meglio cosa dovevo fare, senza comunque darmi spiegazioni sulla missione che dovevo compiere con Adrien e Chloè. Di quello continuavano a tenermi all’oscuro. Ero però venuta a conoscenza di altre cose in ugual misura interessanti. Ad esempio avevo scoperto che non esisteva solo il passaggio all’interno di Notre Dame qui a Parigi, ma in verità la città ne era piena! Ogni portale conduceva ad un anno preciso che si ripeteva in loop nel tempo. Questi Squarci si trovavano in tutto il mondo, disseminati per varie nazioni e portavano in varie epoche. Un anno non si ripeteva mai due volte. Questo voleva dire che se voleva tornare nel 1832 bisognava necessariamente essere a Parigi e passare attraversi il muro di Notre Dame e da lì se si voleva visitare, che so io, l’Inghilterra in quell’anno, bisognava viaggiare all’interno dell’anno stesso. Non avevamo un tempo prestabilito per stare nel passato, ma mi era stato spiegato che non era sicuro starci troppo a lungo per quelli che avevano chiamato “una serie di fattori”, tra cui ero sicura centrassero anche quei folli omicidi che volevano liberarsi di noi. I portali temporali si creavano casualmente durante il tempo, ciò voleva dire che non esistevano tutte le epoche ancora. Non c’era nemmeno una regola riguardo al perché nascessero in determinati luoghi e nazioni. Fatto sta che quella mattina mi trovavo ai Jardin des Tuileries e non si stava affatto male in quel lontano 1798. Avevo finalmente imparato a camminare negli ingombranti abiti che M. Agrèste aveva cucito per me. Quel giorno, per quella passeggiata, portavo un meraviglioso vestito azzurro polvere. Non mi ero ancora del tutto abituata allo stretto corpetto che mi toglieva il respiro, ma confidavo di riuscire a farlo. Se ci era riuscita Chloè, potevo farcela anche io. Per tornare al 1798 bisognava attraversare uno Squarcio presente all’interno del Louvre. Eravamo stati dunque scortati, con i vestiti di qualche secolo fa, al famoso museo e grazie alle conoscenze del sindaco con i dipendenti, ci fecero entrare da una porta di servizio, in modo da dare il meno possibile nell’occhio. Il passaggio si trovava nei magazzini del Louvre. Io e Adrien, vestito di tutto punto e adatto al XVIII secolo, scendemmo le ripide scale guidati da Andrè mentre Gabriel Agrèste chiudeva la fila. Arrivati ad una piccola stanzina, il ragazzo mi fece l’occhiolino e, tastando il muro di fronte a noi, fece poi scivolare la mano attraverso di esso. Faceva sempre uno strano effetto vedere come il braccio di Adrien entrasse nella parete come se non avesse consistenza. Mi sorrise prima di sparire completamente. Venne dunque il mio turno. Mi avvicinai e presi un bel respiro. Con gli occhi chiusi mossi un passo e poi un altro e in men che non si dica mi sembrava di essere di nuovo immersa in un budino congelato. Poi il freddo sparii di colpo.
«Puoi aprire gli occhi Coccinella.» mi disse la voce di Arien. «Non vedo mostri in giro.» Spiritoso. Dopodiché salimmo le scale, trovando le porte aperte, come ci era stato assicurato (avevamo un mazzo di chiavi per sicurezza), ed uscimmo nella Parigi del XVIII secolo. Ora camminavamo tranquilli per il meraviglioso giardino in fiore. Dovevo stare attenta a non guardare nessuno in modo troppo stupito o troppo esplicito. Io e Adrien passeggiavamo fianco a fianco e, secondo le indicazioni dateci dall'Organizzazione, eravamo fratello e sorella. Fu proprio su quell’argomento innocuo che provai ad intavolare una conversazione.
«Certo che… fratello e sorella...» commentai. Lui alzò un sopracciglio.
«La cosa ti infastidisce?» domandò.
«No, ma… dico guardaci! Nemmeno ci somigliamo!» lui liquidò tutta la faccenda con un movimento della mano, come se dovesse scacciare una mosca, e uno sbuffo.
«Potrei benissimo essere un figlio bastardo.» dichiarò. Non dissi nulla.
« “Bastardo” significa...»
«So cosa significa.» sbottai. Non ero ignorante fino a quel punto. Dopo una decina di minuti di camminata silenziosa notai che Adrien era un po’ inquieto. Si guardava continuamente intorno e aveva la fronte un po’ corrucciata. Mi avvicinai un po’ per farmi sentire.
«Devi andare in bagno?» sussurrai. Non sapevo come venivano trattate le funzioni corporali nel 1798, ma per scrupolo non volevo che la coppia vicino alla quale stavamo passando ci sentisse.
«Come?» domandò lui distratto. Stava guardando totalmente da un’altra parte.
«Se vai dietro a quel cespuglio non ti vede nessuno. Se sei più tranquillo ti faccio da palo.»
«Ma che diavolo stati dicendo?!» il ragazzo si voltò verso di me, leggermente irritato.
«Non dovresti vergognarti, dover andare in bagno è del tutto normale!» risposi risentita.
«Non devo andare in bagno, maledizione!» sussurrò fra i denti. Si lanciò una fugace occhiata indietro. Feci uguale, non vedendo nulla di particolare. Adrien mi diede una leggera spinta con la spalla, spostandomi di peso verso destra e al margine del viale.
«Sul serio Coccinella, da dove ti vengono queste idee?» chiese, con un mezzo sorriso. Non era comunque tranquillo, si vedeva.
«Ma insomma? Che ti prende?» mi fermai, stringendo arrabbiata i lembi del mio vestito. Lui lanciò uno sguardo ai miei pugni chiusi.
«Così lo stropicci.» mi fece notare. Si ostinava a evitare il discorso.
«Me ne frego del vestito!» dichiarai forse a voce un po’ troppo alta, tanto che due donne che stavano passando vicino a noi sobbalzarono e mi inviarono un’occhiata scandalizzata. Si vede che esprimersi in questa maniera era poco signorile. Adrien mi afferrò per un braccio, avvicinandomi a sé.
«Abbassa la voce, dannazione!» sibilò teso. Si guardò di nuovo intorno.
«Forse è il caso di tornare indietro.» sentenziò deciso. Sentii scendere la sua mano fino al mio palmo. Incurante del fatto che io non stessi stringendo alcun dito attorno alla sua stretta e non avessi detto alcun docile: “Va bene, come vuoi tu.”, mi trascinò nella direzione dalla quale eravamo venuti. Non puntai i piedi giusto per non attirare più attenzione di quando stavamo già facendo.
«Emm… Adrien?» chiamai.
«Che vuoi?» mamma mia come era scontroso. Neanche quaranta minuti prima mi sorrideva e mi faceva un occhiolino, mentre ora mi trattava come una bambina cocciuta.
«La gente.» dissi solo. Lui si fermò di colpo e lanciò un’occhiata intorno a lui. Una serie di persone lo guardavano costernati e, intanto, una parte delle dame bisbigliava dietro dei ventagli che avevano con loro. Mi mollò la mano sgarbatamente e altrettanto bruscamente riprese a camminare, anzi, il termine corretto è marciare. Faticai a stargli dietro. Quando raggiungemmo il Lovre ero praticamente senza fiato e anche leggermente sudata. Dio come stringeva il corpetto! Mi portai una mano al petto.
“Respira Marinette, respira!” mi intimai. Ma per quanta arie prendessi mi sembrava di non averne abbastanza

«Adrien...» chiamai preoccupata. Cominciavo ad avere la vista un offuscata. Quei puntini non c’erano prima, vero?
«Cosa c’è adesso?» si voltò esasperato. Ma feci a tempo a vederlo strabuzzare gli occhi per poi cadere a terra svenuta.

«Sei stato un’irresponsabile!» sentii dire qualcuno.
«Ti ho già detto che lo richiedeva la situazione!» inveì arrabbiato Adrien.
«Marinette non è ancora abituata a sforzarsi con un corpetto. Doveva essere una camminata tranquilla!» continuò la voce che riconobbi come quella di M. Agrèste.
«E lo sarebbe stata se non...» si zittì di colpo come mi misi a sedere. Mi portai una mano alla testa. Gabriel si avvicinò.
«Ehi, Marinette.» mi salutò.
«Come stai?» mi chiese con un sorriso preoccupato. Mi guardai intorno. Ero di nuovo a Villa Agrèste, in una stanza mai vista, ma che classificai come salotto, seduta su un comodissimo divano. Indossavo ancora il vestito azzurro, ma notai che il corpetto era stato allentato.
«Bene… credo. Sono...»
«Sì, sei svenuta.» mi confermò il padre di Adrien. Puntai gli occhi sul ragazzo. Era appoggiato allo stipite della porta con le braccia incrociate e lo sguardo arrabbiato.
«Sono contento che tu stia bene. Ero un po’ preoccupato per te.» annuii, ma ero convinta fosse più preoccupato per la sua incolumità se mi fosse successo qualcosa. Mia madre non ci sarebbe andata leggera.
«Vado a cambiarmi.» dichiarai.
«Non dovresti sforzarti.» mi disse M.Agrèste.
«Sto bene.» assicurai alzandomi. Mi diressi verso la porta e vedendo Adrien immobile feci un sospiro.
«Potresti spostarti?» senza dire una parola si mosse d’un passo e mi lasciò passare. Aprii la porta. Certo che quel ragazzo era veramente bipolare. Appena fuori ripresi subito l'orientamento di dove mi trovavo e dove fosse la sartoria. Andai a passo deciso in quella direzione. Poco prima di arrivare però sentii provenire da una stanza una bellissima musica da pianoforte. Mi avvicinai curiosa e mi sporsi per guardare all’interno. Quello che vidi mi lasciò davvero incantata. Chloè ballava con un accompagnatore immaginario, mentre un ragazzo che non avevo mai visto stava seduto al piano e suonava una sinfonia di Mozart. La ragazza ballava in modo leggero, perfettamente a tempo e con un vestito blu notte semplicemente sublime. Ero davvero invidiosa per come si muoveva a tempo e in modo così naturale. Sentii dei passi e prima che potessi voltarmi Adrien mi passò davanti, senza degnarmi di un’occhiata, ed entrò nella stanza.
«Scusa il ritardo! Mio padre mi ha detto che mi stavi aspettando.»Fece una specie di inchino a Chloè e le prese la mano. Dopodiché cominciò a danzare con lei. Oddio com’era bravo anche lui! Erano perfetti insieme. Sentii una stiletta di dolore al petto e con sospesa mi resi conto che ero gelosa. Avrei voluto essere io al posto di Chloè, avrei voluto io ballare con lui, muovermi con leggerezza e essere splendida in un vestito blu senza svenire come una sempliciotta. Dopo due giri della stanza si fermarono contemporaneamente alla fine della sonata. Chloè fece un risolino malizioso. Poi si voltò verso il ragazzo seduto al pianoforte.
« Vielen dank Franz. Du warst sehr nett.»* disse la ragazza. Dopo un attimo di smarrimento capii che aveva parlato in tedesco. Il tutto senza un attimo di esitazione.
«Es war ein vergnügen, Mademoiselle Chloè»** rispose lui alzandosi. Mi morsi il labbro. Cosa ci facevo effettivamente qui? Tutti loro avevano ragione. Non avrei mai imparato a ballare come riusciva a quei due e il tedesco sembrava una lingua così complicata. Mi diressi verso la sartoria, dove avevo lasciato i miei vestiti di questo secolo. Mi sentivo terribilmente inutile.

*Grazie mille Franz. Sei stato davvero gentile.
** È stato un piacere mademoiselle Chloè

  
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