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Autore: Soul Mancini    05/04/2020    2 recensioni
[Dedicata a Kim WinterNight per il suo decimo compleanno su EFP! Auguri Kim, e diecimila di queste storie :3]
All’improvviso l’auto vira con violenza verso destra e la fiancata sfiora il guardrail, le gomme stridono sull’asfalto bagnato.
Col cuore in gola, sgrano gli occhi e sono costretto a sorreggermi al sedile.
“Porca puttana” sento borbottare Mike.
“Patton, che cazzo succede?” strilla Trey.
È un istante. Riesco appena a voltarmi verso il mio amico e vedere il suo sguardo colmo di panico, i suoi disperati tentativi di riprendere il controllo sul mezzo, che slitta impazzito sulla strada.
Poi è tutta una serie di botti, colpi, batoste, frammenti che volano in aria, urla, dolore, panico, sbalzi, esplosioni.
Tenuto stretto al mio posto dalla cintura, vedo il veicolo sfasciare la barriera, riversandosi nel dosso oltre la strada. Poi serro gli occhi terrorizzato, incapace di guardare.
Le unghie conficcate nel tessuto del sedile.
Il cuore che batte all’impazzata.
Le orecchie talmente piene di quel frastuono da non accorgermi se sono mie o degli altri le grida che sento.
Ho l’impressione che il mondo intero si ribalti, si distrugga, si rovesci.
E in pochi istanti, così come è cominciato, finisce tutto.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mike Bordin, Mike Patton, Trey Spruance
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mike e il mio amico Mike
Kim,
per il tuo decimo compleanno efpiano avevo pensato a qualcos’altro,  qualcosa di più,
ma come nella vita reale… non riesco mai a farti i regali che vorrei T.T
Scusami davvero per questa triste storia:
non sarà una Pattum, ma… ti vanno bene i due Mike della band? ^^
Ma bando alle ciance…
AUGURI! *____*
Per dieci anni di creatività, di crescita, di scoperte,
dieci anni in cui hai sperimentato, sbagliato, riprovato,
ma soprattutto emozionato, stregato, commosso e divertito con le tue SPLENDIDE storie.
Grazie, a nome di tutto EFP,
per esserci ancora dopo dieci anni,
per le meravigliose recensioni, i consigli, la sincerità, l’entusiasmo.
Grazie per svegliarti ogni giorno e dedicarti col cuore alle tue e alle nostre storie,
grazie per essere un’amica, una lettrice, una sostenitrice e una fonte inesauribile di genuina fantasia.
Da parte mia, GRAZIE per non esserti persa nemmeno una mia storia e per averle recensite tutte da quando mi sono iscritta – e, a proposito, grazie per avermi iscritta!
Grazie per supportare sempre le mie idee e le mie iniziative, grazie per apprezzare le mie storie anche quando a me non piacciono.
GRAZIE, perché da dieci anni accedi ogni giorno a questo sito
e sei semplicemente KIM :3
Altri cento di questi anni efpiani!!! ♥
 
 
 
 
 
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L’auto sfreccia nel gelo della notte, prendendo in pieno le pozzanghere formatesi sull’asfalto e sollevando schizzi a ogni metro.
Devo dire che Mike giuda in modo un po’ troppo sfrenato quando beve molti caffè, ma dopotutto sono tranquillo, ci ho fatto l’abitudine.
Non faccio in tempo a tamburellare il ritmo di una canzone sulle ginocchia che il cantante cambia stazione radio, dandosi allo zapping compulsivo e borbottando tra sé e sé.
“Mi stai facendo venire la nausea, Patton. Riesci a lasciare almeno una canzone per intero?” lo rimprovera Trey dal sedile posteriore con uno sbuffo.
“È colpa mia se in radio passano solo musica di merda?” sbotta lui, armeggiando con la manopola del volume.
“No, è colpa tua se non hai nemmeno un CD in macchina come alternativa” gli faccio notare.
“Oh, questa lasciala!” strilla all’improvviso Trey, sporgendosi per potersi affacciare tra i due sedili anteriori.
Tendo l’orecchio e mi rendo conto che in sottofondo si propagano le note della nostra Epic.
Non posso fare a meno di scoppiare a ridere di gusto nel vedere l’espressione schifata di Mike. “Anche qui? Ma basta, e che cazzo!” ringhia, cambiando stazione con violenza; sembra sul punto di sfasciare l’autoradio.
Lo capisco, anche io sono stufo di sentire ovunque il nostro più famoso singolo, non lo possiamo evitare nemmeno ai concerti e abbiamo cominciato a odiarlo, ma la scena è talmente esilarante che vorrei tanto avere qualcosa per riprendere Patton, mentre il fumo gli esce dalle orecchie.
“Spruance, mettiti la cintura” intima Mike in tono serio qualche istante dopo.
“Sì, mamma” chiosa il chitarrista con un sospiro.
“Lo sai che quando sali sulla mia macchina ci sono delle regole da rispettare.”
“Per esempio non bere troppo caffè?” insinuo con aria innocente.
“La caffeina, essendo un eccitante, aiuta a rimanere svegli e attenti. Se la gente ne bevesse di più…” comincia a sproloquiare Mike, punto sul vivo.
Ma per fortuna ci pensa Trey a interromperlo. “Sì, certo. Che programmi avete per la serata?”
Mi stringo nelle spalle. “Dormire, probabilmente.”
“Beh, allora… stavo pensando di lavorare al testo per quel pezzo che ci ha presentato Bill, almeno me lo tolgo dalle palle. Sì, si può fare” riflette Mike tra sé.
Mi stiracchiò e sento le ossa della schiena scricchiolare; a volte stare ore e ore seduto alla batteria non è così salutare. “Invidio la tua voglia di lavorare e pensare ai nuovi pezzi ventiquattro ore al giorno.”
“Ma lo sai, Puffy, per me la musica è uno svago…”
All’improvviso l’auto vira con violenza verso destra e la fiancata sfiora il guardrail, le gomme stridono sull’asfalto bagnato.
Col cuore in gola, sgrano gli occhi e sono costretto a sorreggermi al sedile.
“Porca puttana” sento borbottare Mike.
“Patton, che cazzo succede?” strilla Trey.
È un istante. Riesco appena a voltarmi verso il mio amico e vedere il suo sguardo colmo di panico, i suoi disperati tentativi di riprendere il controllo sul mezzo, che slitta impazzito sulla strada.
Poi è tutta una serie di botti, colpi, batoste, frammenti che volano in aria, urla, dolore, panico, sbalzi, esplosioni.
Tenuto stretto al mio posto dalla cintura, vedo il veicolo sfasciare la barriera, riversandosi nel dosso oltre la strada. Poi serro gli occhi terrorizzato, incapace di guardare.
Le unghie conficcate nel tessuto del sedile.
Il cuore che batte all’impazzata.
Le orecchie talmente piene di quel frastuono da non accorgermi se sono mie o degli altri le grida che sento.
Ho l’impressione che il mondo intero si ribalti, si distrugga, si rovesci.
E in pochi istanti, così come è cominciato, finisce tutto.
Attorno a me cala un silenzio surreale, interrotto solo dal continuo scorrere delle auto in lontananza.
Mi sembra quasi appartenere a un altro mondo, la strada su cui ci trovavamo qualche istante fa.
Resto immobile, il cuore mi pulsa fin dentro le tempie a una velocità spaventosa.
Resto immobile perché non so che fare, non so nemmeno cosa cazzo sia successo, non riesco a realizzarlo.
Qualche istante dopo, quando l’adrenalina inizia a scemare, pian piano capisco e allora subentra la paura.
Abbiamo appena avuto un incidente spaventoso che ha accartocciato la nostra auto.
Abbiamo visto la morte in faccia.
Invece sono ancora vivo. Respiro, il mio cuore batte.
Ho delle sensazioni che mi fanno capire che sono ancora qui. Per esempio, il braccio destro mi fa male, a partire dalla spalla fino alla punta delle dita. Non riesco a capire se qualcosa me l’abbia infilzato, se sia ancora attaccato al resto del corpo o se ho soltanto preso un brutto colpo.
Però sto bene. Sono vivo.
E Mike?
E Trey?
“Cazzo” mi lascio sfuggire tra i denti. Devo assolutamente trovare un modo per uscire di qui e controllare le condizioni dei miei amici, anche se sono davvero terrorizzato all’idea di ciò che potrei scoprire. Ma non potrei mai vivere nella consapevolezza di non averli assistiti, nel caso ne avessero avuto bisogno.
Sento qualcuno singhiozzare e mormorare alla mia sinistra, ma non capisco da dove provenga il suono di preciso.
Però…
Questo significa che uno dei due è sveglio, è vivo!
Nell’angusto spazio a mia disposizione, provo a voltarmi e quel che vedo mi lascia spiazzato: Mike è cosciente, sta piangendo disperatamente con le mani a coprirgli il viso e il petto scosso dai singhiozzi, mentre farfuglia qualcosa a proposito del fatto che per lui sia finita e che se lo sentiva.
“Mike” provo ad attirare la sua attenzione, con la gola secca e la voce roca.
Lui all’improvviso sembra riscuotersi, mi scruta con gli occhi sgranati, pieni di lacrime e terrore, come se mi vedesse per la prima volta. “Puffy…”
Mi si stringe il cuore, sembra un bambino spaventato. Non l’ho mai visto così prima d’ora. Se solo penso che stavo per perderlo…
Scaccio quei pensieri e il fastidioso nodo in gola che mi si è formato e cerco di riprendere il controllo. “Ehi. Sì, sono qui” lo rassicuro.
“Siamo morti. Entrambi. È per quello che riesci a vedermi, vero?” mormora, la voce tremante e rotta.
Mi viene quasi da ridere. “No, siamo entrambi vivi.”
Distolgo lo sguardo da lui e cerco di allungare il collo – il braccio mi brucia terribilmente a quel movimento – per cercare di capire le condizioni di Trey. “Ehi” cerco di richiamarlo.
La figura del chitarrista è riversa e inerme sul sedile, stretto anche lui dalla cintura. Mike gli aveva detto di allacciarla.
“Trey?” Sollevo il tono della voce.
Ma lui non reagisce.
Cazzo. E adesso?
È uno strattone a riscuotermi nuovamente; Mike ha allungato una mano e si è aggrappato con disperazione alla mia maglietta, mentre piange ancora più forte di prima. “Io non voglio morire adesso, non voglio morire! Ho ancora così tante cose da fare, la musica e poi… è tutta colpa mia, non dovevo guidare, non devo guidare più… devo scappare dalla macchina, andare via” blatera tra i singhiozzi.
Mentre i suoi occhi vagano per l’auto distrutta in cerca di una via di fuga e le sue dita stringono forte la mia maglietta, sento il suo respiro accelerare e mi rendo conto che, oltre al profondo shock, rischia anche un attacco di panico.
In questo momento la cosa che mi spaventa e mi inquieta di più è la sua reazione, non la situazione in cui ci troviamo. È sempre stato così distaccato, così padrone di sé anche nei momenti più folli, che ora averlo così fuori controllo mi spiazza. Non so come gestirlo.
Deglutisco a vuoto. “T-tranquillo Mike, ti porto io fuori di qui. Te lo prometto, okay? Stai calmo, andrà tutto bene.”
Andrà tutto bene per davvero? Come faccio a rassicurarlo, se non lo so nemmeno io?
Non mi sono mai ritenuto una persona particolarmente tenace e coraggiosa, sono solo un ragazzo che se ne sta tranquillo e vive la sua vita senza grandi colpi di scena, ma adesso è tutto nelle mie mani e so che devo fare qualcosa.
Okay, devo pensare con ordine.
Il primo passo è slacciarmi la cintura, che cede facilmente. Una volta libero, devo capire se la portiera – o quel che ne rimane – si può aprire.
“Puffy?” Mike mi richiama con un filo di voce.
Gli rivolgo giusto un’occhiata: si stringe le braccia al corpo e guarda davanti a sé con gli occhi spalancati.
“Sì?”
Non posso muovere il braccio destro, mi fa troppo male, così dovrò tentare con la mano sinistra.
“Dov’è Trey?”
Mi mordo il labbro inferiore. “È dietro” ribatto, cercando di mantenere un tono neutrale, quasi allegro.
Cerco a tentoni la levetta per aprire lo sportello e la tiro. Si apre. Oh, perfetto!
“È morto, vero? Non ce l’ha fatta. L’ho ucciso! È per questo che non parla… Trey…” grida Mike isterico, per poi scoppiare di nuovo a piangere.
“No, non è vero, non è così. Ascoltami: lui è ancora vivo, infatti noi dobbiamo uscire dalla macchina così, quando arriveranno i soccorsi per aiutarlo, faranno ancora più in fretta” gli spiego con calma, come se stessi parlando a un bambino. In effetti sembra proprio quello l’attuale stato mentale del cantante, ha vissuto un grosso trauma.
“Non voglio morire, non voglio!” strilla ancora lui, serrando gli occhi con forza. È come se nella sua mente stesse rivivendo di nuovo l’incidente.
Mi sta facendo paura. Devo darmi una mossa.
Scendo dall’auto e mi accorgo che siamo stati proprio fortunati: non si è ribaltata. O meglio, non so dire cosa sia successo, ma in ogni caso siamo atterrati dritti, giusto un po’ inclinati verso destra.
Mi metto in piedi a fatica e a quel punto mi accorgo di tutti i dolori che mi attraversano il corpo, primo fra tutti quello al braccio, ma per fortuna le gambe sembrano integre e riesco a camminare più o meno bene. Mentre circumnavigo il veicolo distrutto, mi costringo a non osservarlo, non soffermarmi sui dettagli; la realtà è ancora troppo dura e concreta da accettare, non voglio sapere in che condizioni è.
Una volta giunto alla portiera ammaccata e deformata del lato del guidatore, la spalanco con forza e questa si scardina completamente, uscendo dalle guide. In altre occasione avrei riso a trovarmi con uno sportello d’auto tra le mani, ma ora non ne ho voglia; lo scaravento di lato, in mezzo agli altri rottami che si sono staccati e sono finiti a terra, e cerco di chinarmi per scrutare e parlare a Mike.
Lui mi fissa come se fossi un alieno, le iridi scure ancora piene di lacrime.
“Ascoltami, devi liberarti della cintura di sicurezza. Ce la fai?” gli chiedo.
“Sono in trappola.”
“No, adesso ti faccio uscire. Però, per favore, ti devi togliere la cintura. Riesci a muoverti e a farlo?”
Finalmente lui sembra capire ed esegue ciò che gli ho chiesto. Apparentemente non ha problemi gravi alle braccia e alle mani, ma noto una smorfia di dolore ogni volta che muove la testa. Forse l’ha sbattuta e ha un trauma cranico, forse è per questo che si comporta in maniera strana.
“Okay, adesso prova a uscire.”
“Mi fa male la gamba destra” piagnucola.
Deglutisco e mi domando se sto facendo la cosa giusta: nei film, quando capitano incidenti di questo tipo, intimano ai malcapitati di non muoversi fino all’arrivo dei soccorsi. Ma Mike ha il respiro accelerato e temo che la situazione non migliorerà se rimarrà ancora dentro questa fottuta macchina.
“Così tanto da non riuscire a muoverti?”
Mi fissa con un’espressione spaventata e non ribatte, ma pian piano si muove e posa a terra il piede sinistro.
Gli regalo un sorriso incoraggiante e gli tendo una mano per aiutarlo; lui la afferra e la stringe forte, poi con un mugolio si trascina definitivamente fuori. La gamba destra non riesce a sorreggerlo bene, così si appiglia a me per mantenersi in equilibrio e mettersi in piedi.
Non solo: mi abbraccia. Con disperazione, con necessità, come non aveva mai fatto prima. Mi si butta letteralmente addosso, fregandosene dei miei e dei suoi dolori, stringendomi come se fossi il suo unico punto fisso in mezzo a un uragano.
Mi viene quasi da ridere al pensiero che sia proprio Mike l’artefice di un gesto del genere, proprio lui che evita gli abbracci e qualsiasi contatto troppo invasivo, che preferirebbe essere torturato piuttosto che raccontare e manifestare i suoi sentimenti.
Eppure cosa mi resta da fare se non ricambiare? Anche se posso farlo solo col braccio sinistro, lo stringo forte a me e lo lascio accoccolare sulla mia spalla, lo sento tremare come una foglia e sobbalzare per via dei singhiozzi, sembra così fragile mentre mi sommerge di lacrime. attorciglia le dita ai miei dreadlocks e li tira, respira affannosamente e si lascia sfuggire qualche rantolo strozzato.
“Quindi tu sei vivo… e lo sono anch’io… Puffy, ti voglio tanto bene…”
Sento le lacrime pungermi agli angoli degli occhi, ma non devo cedere, non è il caso. Devo essere forte e padrone di me, almeno io.
La verità è che non me l’aspettavo.
“Anche io. Ti fa male la gamba?”
“Mi fa male ogni singola fottuta parte del corpo.”
Scoppio a ridere e non so nemmeno perché. È tutto così surreale…
“Oh mio dio!” Una voce alle nostre spalle mi raggiunge, riportandomi alla realtà. Tuttavia non mi preoccupo di voltarmi e qualche secondo più tardi una figura maschile dall’età non meglio identificata entra nel mio campo visivo. “Che casino… ragazzi, state bene?”
“Non che uno possa ritenere di star bene dopo aver quasi perso la vita” commento con una risatina nella speranza di stemperare l’atmosfera, ma la mia uscita è veramente infelice.
“Scusami, è una domanda stupida. Vi serve qualcosa?”
Mike si stringe ancora di più a me e inizia a mugolare col volto ancora seppellito nella mia spalla; non smette di tremare, non reagisce neanche quando lo chiamo.
Come se non bastasse, attorno a noi si sta raccogliendo un gruppo di persone che, oltre a non essere di nessun aiuto, non fanno che mormorare, piagnucolare e commentare. Tra l’altro qualcuno ci ha addirittura riconosciuti come membri dei Faith No More.
Disperato, sollevo lo sguardo sul mio interlocutore. “Senti, il mio amico ha un attacco di panico, lo porto lontano di qui perché tutta questa gente lo innervosisce. Potete per favore chiamare i soccorsi? C’è un altro ragazzo nella macchina.”
“Li abbiamo già chiamati, arriveranno a breve.”
Sollevato, annuisco e trascino Mike qualche metro più in là, evitando come posso gli ostacoli disseminati a terra. Lui cammina a fatica e non sembra intenzionato a lasciarmi andare, questo complica ancora di più la situazione.
Mi fermo accanto a una gomma che è saltata via dalla macchina e mi guardo attorno: la quiete che ci circonda mi provoca un’orribile sensazione alla bocca dello stomaco. È tutto esattamente uguale a prima, eppure mi sembra di essere precipitato in un altro mondo.
“Ehi, Mike.” Con movimenti goffi, provo ad allontanare delicatamente il cantante da me, voglio guardarlo in faccia per capire il suo stato.
Lui fatica a stare in piedi, così si appiglia alla mia manica, ma non oppone resistenza. Ora il suo respiro sta tornando regolare, anche se nei suoi occhi alberga un’espressione allucinata.
“Vuoi sederti?” gli chiedo con premura.
“No.”
“Hai bisogno di qualcosa?”
Ma lui sembra non sentire la mia domanda: i suoi occhi sono persi alle mie spalle, ispezionano la scena che si sta svolgendo dietro di me. L’auto distrutta, la gente radunata tutta intorno, le sirene dell’ambulanza che cominciano a percepirsi in lontananza.
E un lampo di consapevolezza e improvvisa lucidità gli attraversa gli occhi. Come se si fosse risvegliato, come se avesse capito.
Prende un profondo respiro per poi espirare bruscamente, infine mi lascia andare di scatto e mi dà le spalle. Gli fa male stare dritto in piedi senza appiglio, ma non lo dà a vedere.
“Voglio un caffè.” Il suo tono è fermo e irremovibile, sembra appartenere al solito Mike. È tornato in sé.
La cosa mi spiazza: come diavolo ha fatto a cambiare così repentinamente?
“Non credo sia possibile” mormoro.
“Come sarebbe a dire? Stavo per morire e non posso avere nemmeno un fottutissimo caffè?” ringhia, allontanandosi di qualche passo. Trema vistosamente, ma stavolta per la rabbia.
“Cerca di ragionare: a meno che non abbiano una macchinetta del caffè sull’ambulanza…” provo a ribattere, ma lui mi interrompe con un grido isterico.
“Io sto ragionando, okay? Lo sto facendo! E voglio un cazzo di caffè, adesso! E voglio bruciare la mia merdosa patente, tanto non guiderò mai più, e voglio che questa macchina sparisca e anche tutta questa gente che è qui senza fare niente, sono tutti rincoglioniti! Potevano almeno farmi un caffè e…”
Faccio un passo verso di lui e cerco di attirare la sua attenzione posandogli una mano sulla spalla, ma lui si ritrae come se l’avessi scottato; si volta di scatto e mi fulmina con un’occhiata talmente truce da farmi paura. Temo davvero che voglia farmi del male. “Non toccarmi” sibila.
Prendo un profondo respiro e mi porto una mano sulla fronte. Capisco il trauma, ma sembra quasi volermi prendere per il culo.
“Anch’io ero dentro quella macchina, so cos’hai vissuto, ma…”
“Ma vaffanculo Bordin, vai a farti fottere! Ho visto la morte in faccia, ho pensato che fosse finita e ho quasi ucciso altre due persone! Questo lo capisci, eh? Capisci cosa vuol dire essere responsabile di una cosa del genere, eh?! No, non lo capisci, non capisci mai un cazzo! E ora è pieno di gente che ci guarda e ci fa le foto e domani su tutti i giornali usciranno una valanga di articoli che parlano di noi e del nostro incidente, mentre io sarò in un fottuto ospedale e non riuscirò a dormire per via degli incubi, porca puttana! Voglio un caffè!”
D’accordo, il mio lavoro qui è ufficialmente finito. Ho aiutato Mike finché poteva, gli sono stato accanto mentre era in crisi e ora il mio ruolo è fargli da bersaglio mentre sfoga tutto lo stress accumulato.
Dopotutto mi va bene così, rispecchia perfettamente ciò che è il nostro rapporto. Non mi arrabbio, non lo farei mai e non ne ho motivo, soprattutto non ora che il cantante non è in sé.
Non ribatto, mi limito a osservarlo mentre continua a imprecare e bofonchiare tra sé, cercando di camminare come può e incespicando ogni due passi.
Forse dovrei fermarlo, rischia di peggiorare la sua situazione, ma non so come fare. In genere è Bill quello che riesce a farlo calmare.
Già, Bill. Avrei proprio bisogno di lui in questo momento… ma no, meglio che non ci sia, sarebbe tremendamente in ansia.
E devo pure avvisare mia moglie…
“Siete voi i ragazzi che hanno avuto l’incidente?”
Mi volto lentamente e mi ritrovo faccia a faccia con un giovane paramedico che mi scruta con le sopracciglia aggrottate.
“Sì. Io sono Mike e lui è il mio amico Mike” gli spiego con un sorrisetto, indicando il cantante che ancora borbotta per i fatti suoi a qualche metro da me, poi torno serio. “Come sta Trey?”
“Intendi…”
Annuisco. “L’altro ragazzo che c’era in auto.”
“Lo stanno portando fuori.” La sua espressione è imperscrutabile, non riesco a cogliere nessun indizio. “Comunque, come vi è saltato in mente di uscire dalla macchina e andarvene a zonzo così? Potreste avere delle fratture e dei traumi gravi, dovevate restare fermi! Tu riesci a salire in ambulanza? Vado a recuperare il tuo amico Mike che zoppica terribilmente…”
“Non sarà così facile convincerlo” lo avverto, ma lui mi ignora e si avvicina a Mike. Quest’ultimo si innervosisce subito e inizia a urlargli contro, chiedendogli del caffè.
Stufo di quella faccenda, lascio il povero medico a combattere con quella causa persa di Mike e mi avvicino alla macchina, da cui una squadra di soccorritori sta portando fuori un Trey ancora privo di sensi.
“Come sta?” chiedo loro allarmato, facendo qualche passo avanti.
“Fai largo, per favore. Stai indietro” mi intima distrattamente qualcuno.
Hanno già disposto una barella con cui trasporteranno il corpo del chitarrista.
Sospiro. “Vi prego, ditemi qualcosa sulle sue condizioni! Sono un suo amico, ero con lui in macchina…”
Una ragazza della squadra mi lancia un’occhiata preoccupata. “Anche tu sei una vittima dell’incidente? Ti accompagno subito in ambulanza e cerco di capire quali sono i danni… cosa ci fai in giro? Ti fa male qualcosa?” mi domanda apprensiva, piazzandomisi di fronte.
Scuoto il capo. “Non me ne vado finché Trey non sarà fuori da quell’auto.”
“Ma…”
“Niente ma! Ho già perso un amico per un incidente del genere, non ho intenzione di andarmene così” sbotto.
E mi rendo conto di quanto siano dolorose quelle parole: ho già vissuto tutto ciò, Cliff se n’è andato per un incidente stradale, questo è un fottuto deja-vu.
Tutto comincia a farsi sfocato mentre la realtà mi crolla addosso ancora e ancora. I paramedici mi dicono che Trey è vivo, il suo cuore batte e il respiro è regolare, che la situazione è stabile e probabilmente ha solo battuto la testa e perso i sensi; ma l’unica cosa a cui riesco a dare importanza è il suo corpo disteso sulla barella mentre lo portano dentro una delle due ambulanze a nostra disposizione.
Allora una lacrima sfugge al mio controllo, qualcosa dentro il mio cuore si spezza, i dolori e la tensione iniziano a farsi sentire tutti insieme.
“Vi prego, posso salire con lui? Non posso…” imploro i medici, correndo verso l’ambulanza, ma i portelloni si richiudono troppo velocemente e il mezzo schizza via sulla stessa strada bagnata con il guardrail sfasciato su cui viaggiavamo anche noi. Con gli occhi pieni di lacrime, lo osservo mentre si allontana.
“Andiamo?” La ragazza di poco fa mi è piombata nuovamente a fianco e stavolta non ci sono scuse, mi porterà dentro l’ambulanza.
Annuisco senza incrociare il suo sguardo – detesto mostrarmi così fragile – e la seguo.
Una volta all’interno mi mordo il labbro per trattenere i singhiozzi e mi passo la manica sinistra sugli occhi, poi mi guardo attorno: hanno immobilizzato la gamba a Mike e – incredibile! – gli hanno dato un caffè fumante in un bicchierino di plastica, che ora sorseggia con fare soddisfatto. Sembra essersi calmato per il momento, anche se ha lo sguardo perso nel vuoto e la mente altrove.
Mi fanno sedere su un lettino accanto a lui.
Io non lo guardo.
Lui non mi guarda.
Sa che sto piangendo, ma non dice niente e a me va bene così. Preferirei essere invisibile in questo momento.
 
 
“Puffy! Porca puttana!” Bill irrompe nella stanza come un uragano: è pallido come un fantasma, si torce nervosamente le dita e ha gli occhi sgranati. Mi si precipita addosso e si trattiene dallo stringermi in un abbraccio solo perché nota il mio braccio destro completamente ingessato e il resto delle medicazioni sparse per il corpo.
Rido. “Billy, dai, calmati, siamo ancora vivi!”
“E meno male, mi è sceso un infarto quando ho saputo dell’incidente! Quell’altro che rischia di andare in overdose, voi che accartocciate una macchina… cazzo, avrò bisogno di uno psicoterapeuta per stare ancora in questa band!” commenta lui in tono lugubre, per nulla divertito.
Sospiro e mi stringo nelle spalle. “Mi dispiace. Poteva andare peggio. A Roddy non l’hai detto, vero?”
Bill scuote il capo e si accomoda accanto a me. “Ci manca solo che per l’ansia si spari una doppia dose e allora toccherebbe a lui venire d’urgenza al pronto soccorso. E hai già avvisato la tua donna?”
“Sì, ci raggiungerà anche lei. Sai, Mike ha dato di matto dopo l’incidente” gli racconto. Ancora mi sembra incredibile ciò che è successo e che ho vissuto.
“Perché, quand’è che non dà di matto?” sogghigna lui.
Ridacchio a mia volta. “Si comportava come un bambino, gli è venuto un attacco di panico, mi ha abbracciato, ha detto di volermi bene…”
Il bassista sgrana gli occhi incredulo. “Stava male davvero.”
“I medici hanno detto che ha avuto uno shock enorme che l’ha portato prima a regredire quasi a uno stato infantile, poi a sfogare tutto con una crisi isterica, e che probabilmente non ricorderà niente dell’accaduto.”
“Come se non fosse in sé? Insomma, come quando sale sul palco?”
Scoppio a ridere e gli batto una pacca sulla spalla con la mano sana. “Esatto. Sai, si sente responsabile perché era alla guida, penso che a scioccarlo sia la consapevolezza di aver quasi ucciso due persone, oltre che di essere quasi morto.”
Bill si fa serio e mi scruta, i suoi occhi sono pieni di malinconia. “Non fate mai più scherzi del genere.” Detto ciò, mi si avvicina e mi stringe cautamente in un abbraccio, stando attento a non farmi male.
Ricambio come posso e mi rendo conto di quanto sono fortunato a poterlo fare ancora una volta. Non avrei mai sopportato di andarmene e lasciare da solo Bill, uno dei miei migliori amici, oltre a tutte le altre persone che amo.
Quando sciogliamo l’abbraccio, lui ha gli occhi lucidi, ma cerca di nasconderlo e si mette in piedi, stiracchiandosi. “Bene, è giunto il momento di andare a trovare Patton. Sai dov’è?”
Mi metto in piedi a fatica, una fitta mi attraversa la schiena. “Penso sia con Trey.”
Insieme ci incamminiamo nella stanza accanto, in cui il chitarrista è tenuto sotto osservazione, dal momento che ancora non ha ripreso conoscenza.
Eppure siamo costretti a ricrederci quando, ancora in corridoio, sbirciamo oltre la porta aperta e vediamo Trey schiudere timidamente gli occhi; Mike, accanto a lui su una sedia a rotelle, si sporge verso di lui con preoccupazione e impazienza.
Trey mormora qualcosa che non siamo in grado di sentire, allora Mike gli afferra una mano e la stringe forte tra le sue. I suoi movimenti sono limitati dalla gamba fasciata e dal collare che gli blocca il capo, ma da quel piccolo gesto emerge tutto l’affetto che prova per il suo amico e il sollievo nel vederlo di nuovo vigile.
Anche io tiro un sospiro e mi rilasso: non conosco benissimo Trey e probabilmente non ci avrò mai il rapporto che scorre tra lui e Mike, ma mi sono affezionato a lui e sono contentissimo che si stia riprendendo.
“Si vogliono bene” mormora Bill, colpito da quella scena.
Sorrido tra me. Probabilmente Mike non ricorda niente di quello che è successo sul luogo dell’incidente, e se mai si ricordasse non ammetterebbe mai di avermi abbracciato e di essersi appigliato a me, ma non fa niente. Il mio dovere è stato fatto, mi va bene anche così.
Io e Bill ci scambiamo uno sguardo pieno di significato e so che ha capito, non c’è bisogno che glielo dica.
“Entriamo?” mi chiede.
“Entriamo.”
 
 
 
 
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Io veramente non so nemmeno cosa dire a riguardo di quello che avete appena letto, non lo so e non so nemmeno se sono soddisfatta o meno, boh, so solo che è un delirio e spero possa piacere a qualcuno :D
Però la stesura di questa storia mi è servita per arrivare a una conclusione – anzi, consolidarla: voglio troppo bene a Puffy :3
So che forse non sono riuscita a caratterizzarlo egregiamente, nonostante sia la voce narrante, ma capitemi, questo batterista è troppo enigmatico e lo devo ancora capire bene :P
Per quanto riguarda gli eventi narrati, ho un po’ di note e precisazioni da fare!
Allora, la storia si basa su un evento realmente accaduto a metà degli anni Novanta, ai tempi di King For A Day… Fool For A Lifetime, ovvero il primo album in cui non c’è Jim Martin come chitarrista e che la band ha registrato con Trey Spruance. Quest’ultimo era già da prima amico di Mike Patton, in quanto chitarrista dei Mr. Bungle, ma che è rimasto nei Faith No More solo per l’album sopracitato.
Nell’incidente d’auto (di cui si sa poco e niente) sono stati davvero coinvolti Mike Patton, Mike “Puffy” Bordin e Trey Spruance, e a quanto pare era proprio il cantante a essere alla guida; è stato davvero orribile per loro che l’hanno vissuto, hanno rischiato grosso ed è stato un momento di grande paura e anche riflessione.
Tutto il resto me lo sono immaginato io, dato che non si sa praticamente niente ^^
Quando Puffy accenna a Cliff, l’altro suo amico che ha perso la vita in un incidente stradale, si riferisce a Cliff Burton, che è stato il bassista dei Metallica fino al 1986 – anno in cui il tour bus della sua band ha avuto un brutto incidente. Sono riusciti a salvarsi tutti tranne lui.
Mike Bordin, Cliff Burton e Jim Martin erano veramente amici e hanno suonato insieme in una band quando erano ancora molto giovani.
Per quanto riguarda la moglie di Puffy, il batterista ha sposato Merilee nel 1994, dopo che erano fidanzati da dieci anni – non è una cosa romantica? *-* – quindi al momento dell’accaduto dovrebbero essere, secondo i miei calcoli, novelli sposi.
Quando Mike Patton sclera e pretende di avere un caffè, ho fatto riferimento alla sua reale ossessione per questa bevanda, non riesce a vivere senza o a iniziare una giornata… si può definire una dipendenza XD
Quando Bill parla di “quell’altro” che rischia di morire di overdose, si riferisce a Roddy, il tastierista della band, che proprio in quel periodo stava combattendo con la sua dipendenza da eroina.
Infine: il titolo è tratto dal testo di Digging The Grave, singolo proprio di quel periodo ^^
E niente, è il caso di chiudere qui queste chilometriche note XD
Grazie a chiunque abbia letto, chi frequenta questa categoria sa che in genere i FNM ispirano demenzialità ma stavolta ho voluto rischiare, provare a raccontare un episodio un po’ diverso e dal sapore più drammatico, spero sia piaciuto :)
Alla prossima!!! ♥
E ANCORA TANTI AUGURI KIM *___________*
 
 
   
 
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