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Autore: manpolisc_    05/04/2020    12 recensioni
•Primo libro della trilogia•
Sharon Steel è una ragazza di diciassette anni che vive a Ruddy Village, una cittadina tra il Nevada e la California. La sua vita non è mai stata semplice: è stata definita pazza per le cose che vede e alle quali la gente non crede, che l'hanno portata a sentirsi esclusa. Solo l'arrivo di una persona come lei riuscirà a farle capire di non essere sbagliata, ma solo diversa. Scoprirà la sua vera natura e dovrà decidere del proprio destino.
Dal testo:
- È solo un bicchiere che è caduto. - Mormoro. Mi guarda, accennando un sorriso divertito.
- E la causa della sua caduta è solo qualcosa alle tue spalle, che brancola nel buio, pronto ad ucciderti. -
Genere: Azione, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Capitolo 5

Piega gli arti e si lancia contro di me. Chiudo gli occhi, aspettando la mia ora, ma non arriva. Invece sento un urlo e percepisco una luce bianca, così bianca che sembra strapparmi le palpebre, gli occhi, la pelle, ma allo stesso tempo la desidero, non so perché. Si sente un botto metallico contro gli armadietti e un successivo tonfo. Qualcuno mi afferra per il braccio con forza per tirarmi su dal momento che comincio a ribellarmi, urlando. Non voglio aprire gli occhi, spaventata di quello che potrei trovare. Quel coso che ho visto prima era orrendo, terrificante, e non ho voglia di vedere qualcos'altro che mi manderebbe fuori di testa.
- Non uccidermi! - Imploro mentre cerco di liberarmi, dandogli pugni addosso, ma mi stringe il braccio ancora più forte. Non so con quale forza non stia singhiozzando come una deficiente. Semplicemente non ho tempo di piangere. Una piccola parte di me sta ancora cercando il modo di lottare, sebbene tutto il resto del mio corpo si sia del tutto arreso.
- Non ti voglio uccidere. Ringrazia che ti ho raggiunto in tempo. - Riconoscendo la voce, apro lentamente gli occhi, timorosa, mentre ne incontro un paio blu: Jackson Mitchell. Non so se sentirmi sollevata o spaventata ancora di più nel vederlo. Sollevata perché non sono morta, non ancora; spaventata perché non so dove sia quella cosa. Ma ancora più importante, come ha fatto Jackson a farlo scappare e come faceva a sapere che ero qui? Sto per chiederglielo, ma lui parla prima di me. - Non c'è tempo. Esci da qui. - Mi spinge verso la porta, allontanandomi di poco da lui nello stesso istante in cui un tubo esplode e così il muro del bagno. Jackson se ne accorge giusto in tempo e si mette davanti a me, come se fosse uno scudo, appena l'acqua si scaglia contro di noi. Chiudo gli occhi e mi copro il viso con un braccio, aspettando quella doccia fredda. L'acqua, però, non arriva. Li apro subito dopo, notando Jackson con le braccia aperte e tese, mentre essa si schianta contro i muri, bagnandoli ulteriormente. Non so se darmi un pizzicotto o meno per accettarmi di non star sognando. Non è possibile quello che sta facendo. I maghi non esistono, anche se sarebbe l'unica "spiegazione" per quello che sta succedendo. L'acqua, nel frattempo, sta diminuendo, ma i muri ancora tremano, come se qualcosa ci stesse passando attraverso.
- Ma... come... - Provo a parlare in un sussurro, senza respiro, non riuscendo neanche a trovare le parole per fare una semplice domanda e chiedergli come abbia fatto. Abbasso lo sguardo a terra: l'acqua ci arriva quasi alle caviglie. Si piega sulle ginocchia e immerge la mano, senza darmi una risposta. Pian piano, l'acqua comincia ad attorcigliarsi intorno alle sue dita, fino a inglobare la mano ed essere definitivamente assorbita, scomparendo all'altezza del polso. Sebbene sia rimasta solo una piccola pozza vicino alla porta rotta, il pavimento è ancora tutto umido. Nonostante lo stupore e il turbamento per quello che ha fatto, mi giro a cercare la vera ragione per cui sono venuta negli spogliatoi: Delice. Non ho tempo per dare di matto, seppur quello che ha fatto sia semplicemente assurdo. Comunque mi ha salvato. Solo... mi sembra di star sognando. Voglio uscire da qui il più presto possibile, e alla svelta. Se quella cosa è ancora qui dentro, non penso che possiamo perdere altro tempo. Lui sembra sapere quello che fa; cioè, ha fatto scappare quel mostro! Io, però, non so cosa sia né, tantomeno, come scacciarlo.
- Esci, ti ho detto. - Ripete un po' più preoccupato stavolta, continuando a mantenere un tono freddo e distaccato, ma soprattutto determinato a farmi seguire i suoi ordini.
- Devo trovare la mia amica. - Senza ribattere, sbuffa e inizia a controllare le tubature. Io vado vicino agli armadietti, cercando di ricordare nel mio sogno dove stava Delice. Cosa difficile dal momento che non l'ho direttamente vista, ho solo cercato di seguire la sua voce. Comunque cammino verso gli armadietti in fondo dato che qui, dove siamo noi ora, non c'è. Infatti Delice è stesa a terra vicino ad essi. Sorrido felice quando la vedo: il mio sogno aveva ragione. Per fortuna non me la sono data a gambe levate prima, altrimenti non oso immaginare la fine che avrebbe potuto fare. Ora devo solo trovare un modo per portarla fuori di qui. Potrei chiedere al ragazzo biondo di aiutarmi, ma preferisco che mi tenga lontano quell'essere. Non vorrei che spuntasse di nuovo davanti a me.
Mentre cerco di alzarla sento un botto contro gli armadietti dall'altra parte degli spogliatoi e un gemito strozzato di dolore. Mi giro di scatto per cercare con lo sguardo Jackson, preoccupata che gli possa essere successo qualcosa. Alla fine la mia peggior paura si è avverata: il mostro trascina il biondo contro il muro. Dopo aver creato due bolle di saliva di colore verdognolo, con cui gli tiene ferme le mani, lo trascina dai piedi. Devo fare qualcosa, devo aiutarlo. Glielo devo. Tra l'altro, se non lo aiuto, non usciremmo mai vivi da qui. E soprattutto lui sta rischiando la vita per una persona che non conosce neanche. Devo cercare un modo per liberargli le mani: queste ci hanno già salvato prima. Mi accorgo, però, di quanto sia stupido il mio pensiero: non so effettivamente di cosa siano fatte quelle bolle e, dal loro spessore, non penso che esploderanno con una semplice puntina. A tratti non riesco neanche più a vedere le mani del biondo. Cerco qualcosa a terra per colpirlo, dato che è l'unica cosa che posso fare, ma non c'è niente che possa lanciargli senza slogarmi un braccio. Si avvicina a Jackson che serra la mascella, impotente, e ritrae la testa all'indietro per allontanarsi dal mostro, per quanto gli sia possibile.
- Mitchell, nelle correnti marine del Mediterraneo sei il gossip dell'anno. - Dice la creatura con voce metallica. Con la sua lunga lingua, lecca la guancia di Jackson per assaporarlo. Lui si scansa mentre quella creatura gli gira intorno dopo avergli bloccato anche i piedi con un'altra bolla che produce con la bocca. La vicinanza dei loro volti è spaventosa. Come fa a non urlare per il terrore? Storco il naso a quel tanfo di pesce che si sta man mano diffondendo. Nonostante ciò, non perdo la mia concentrazione e continuo a guardarmi intorno. Deve esserci qualcosa alla fine. Peccato che gli attrezzi siano in palestra: sarei riuscita a lanciare qualche peso, credo.
Dopo aver trovato qualche lucchetto a terra, provo a tirarglielo contro, anche solo per distrarlo, ma è come se gli stessi lanciando dei fiori. È intenzionato a leccare di nuovo Jackson, ma lui non glielo permette questa volta, anticipandolo e sputandogli in un occhio.
- Ti sembra il modo di trattare una celebrità? - Chiede Jackson con sorriso beffardo. Il mostro caccia un urlo e, con un movimento secco della mano, gli graffia la gamba, lasciando le impronte degli artigli anche sui suoi jeans. Jackson urla per poi stringere i denti e respirare velocemente cercando di combattere il dolore mentre i suoi jeans iniziano a impregnarsi di sangue.
- Voi Ondini siete ripugnanti e stupidi, non mi meraviglio del fatto che siate sempre i primi a essere uccisi. - Si prepara ad attaccarlo di nuovo mentre il mio sguardo cade sulla sua coda che non si stacca dall'acqua, come se avesse bisogno di quella per... vivere.
- Mi sa che non hai letto abbastanza riviste su di me se pensi che sia un Ondino, allora. - Ghigna Jackson. Un sorriso più stanco che ironico questa volta. La sua gamba ora è quasi del tutto sporca di sangue. Prendo un'anta di un armadietto rotto e leggermente appuntito e corro d'impulso verso la coda. Il mostro si accorge troppo tardi di me per fermarmi. Gliela taglio come se avessi in mano un coltello affilato mentre questo urla, scagliandosi poi contro di me. Con una sola mano riesce a scaraventarmi contro il muro e farmi sbattere la testa. L'ultima cosa che riesco a sentire è l'urlo di Jackson.

 ***

Intravedo una forte luce sotto le palpebre che mi costringe pian piano ad aprirle. Quando riacquisto del tutto la vista mi guardo in giro a fatica per osservare una stanza a me ignota. C'è una sedia di fianco al lettino bianco sul quale sono sdraiata, più in là un piccolissimo tavolo e la porta. Sono dentro un'ambulanza, completamente blu. Provo a mettermi in piedi, scendendo dal lettino, ma la testa mi gira. È come se ci fosse un trapano dentro che cerca di bucarla. Inoltre sento anche un ronzio fin troppo fastidioso nelle orecchie, neanche fossi stata per un'intera notte in discoteca con la musica a livelli altissimi.
Cado a terra con le mani sulle tempie e proprio in quel momento la porta si apre ed entra un'infermiera che sta controllando dei fogli. Appena si accorge di me li poggia sul tavolo frettolosamente e mi dà una mano ad alzarmi. Le sussurro un "grazie" e mi passa una tazza di tè dopo che mi ha aiutato a sedermi di nuovo sul letto, poi ne bevo un sorso. Ha lo stesso sapore di quello che ho bevuto l'ultima volta che sono svenuta, quando successero quelle stranezze in casa.
- Allora, ti va di raccontarmi cosa è successo? - Bevo un altro sorso e poi le passo la tazza, che posa sul tavolo in modo delicato. È abbastanza giovane, con capelli neri che le arrivano fin sotto le spalle e gli occhi di un castano scuro, simile a quello della cioccolata fondente. È piccola di statura e l'uniforme le va un po' larga. Forse ha appena iniziato. Beh, venire a sentire le mie storie assurde non è male come primo giorno. Comunque le inizio a raccontare tutto quello che è successo poco prima, o almeno quello che ricordo. A ogni parola che dico, il suo sguardo diventa sempre più perplesso, quindi smetto di parlare. Lei mi fissa per qualche secondo, poi annuisce, accennandomi un sorriso dolce, anche se mi sembra più compassionevole.
- Hai preso una bella botta. È tutto a posto. Nello spogliatoio è solo scoppiato un tubo, e per la pressione troppo forte un pezzo d’intonaco si è staccato e ti è caduto in testa. Non sappiamo perché fossi lì tutta sola, ma è un miracolo che tu non abbia un’emorragia interna. - Mi rassicura lei, mostrandomi di nuovo quel sorriso irritante. Corrugo la fronte, in segno di disapprovazione.
- Non mi è caduto niente in testa, e non ero sola. C'era un ragazzo con me. E la mia migliore amica. - Mi guarda preoccupata, come se fossi pazza. È inutile insistere. Meglio che faccia finta di bermi la storia del pezzo d’intonaco. Non è la prima volta che qualcuno non mi crede.
Fortunatamente la porta si spalanca prima che possa riprendere il discorso e Delice mi salva da un dialogo alquanto scomodo da portare avanti.
- Grazie a Dio! Come ti senti?! - Lei si butta su di me, stringendomi forte. Gemo per il dolore alla schiena, ma sono felice che stia bene. L'unica cosa che mi sfugge è come sia uscita da lì e sia già così pimpante. Beh, alla fine mi sfuggono fin troppe cose in questa faccenda.
- Bene, credo... - Mormoro. - Cosa ci facevi negli spogliatoi, comunque? - Chiedo, non ricordandomi bene il motivo. La parte del pezzo d’intonaco potrebbe essere anche vera, visto che davvero alcune sfaccettature mancano, ma solo in modo parziale.
- Ero andata a prendere il mio cardigan, ricordi? Poi un tubo è esploso e mi ha preso in pieno. Tu cosa ci facevi lì? - L'acqua può averla anche colpita in pieno, ma mi sembra fin troppo asciutta. Io ancora sono umida. Questa storia mi puzza sempre di più. Non che non creda alle sue parole, però c'è sempre qualcosa che non mi torna.
- Avevo... - Sto per dirle del sogno che ho fatto, ma poi penso che sia più giusto tacere. Non voglio che anche Delice cominci a prendermi per strana dal momento che do retta a quello che è solo un fenomeno psichico. - ... lasciato la mia tuta lì. - Concludo vaga. So che non mi ha creduto. Nessuno mi crederebbe mai se dicessi come sono andate realmente le cose, e l'infermiera è stata un'ottima prova per verificarlo. Subito dopo sospira, sollevata.
- L'importante è che tu stia bene. Ti chiamo più tardi, mamma mi sta chiamando da ore e devo tornare a casa. - Annuisco. Mi abbraccia di nuovo e poi esce. Non mi meraviglio che sua madre non sia venuta ad assicurarsi di persona che la figlia stesse bene. Ormai conosco i suoi genitori e posso dire fermamente che il lavoro interessa loro più di Delice.
Mi alzo anch'io. Mi sento bene ora: il dolore alla schiena è come se fosse sparito e anche il mal di testa sta passando, specialmente quel ronzio. La stessa cosa è successa l'altro giorno nel mio salotto. Chi avrebbe mai detto che il tè fosse un ottimo antidolorifico? Prendo lo zaino e apro la porta.
- Dove pensi di andare? - Si affretta a fermarmi l'infermiera, preoccupata.
- A casa, mi sento meglio. - E lo penso davvero. È come se mi avessero ricaricato le batterie. Ho voglia addirittura di correre. E ho anche fame. Sta per ribattere, ma la rassicuro sorridendo. Nessuna infermiera mi avrebbe lasciato andare dopo quello che mi è successo eppure, notando che effettivamente sto bene, lo fa.
Appena esco dall'ambulanza noto immediatamente il preside parlare con un poliziotto. Alcuni ragazzi sono rimasti ad ascoltare, curiosi dell'accaduto. Quando mi vedono, iniziano a sussurrare. Mi guardo in giro, noncurante di loro, per poi vedere Jackson allontanarsi. Corro per raggiungerlo e gli sbarro la strada, superandolo. Lui mi fissa con sguardo allarmato. Non aveva previsto di dover rifare i conti con me, a quanto pare.
- Non voglio un "niente" o "un suicidio di armadietti" come risposta. Che cosa è successo lì dentro? -
- È esploso un tubo, non te l'hanno detto? - Mi risponde, disinteressato.
- Sì, ma voglio la tua versione dei fatti. - Mi guarda abbassando un po' la testa. Dannata la mia altezza. Non risponde, mi squadra solo. - Quel coso che è uscito dall'acqua... - Insisto, sapendo che non mi risponderà.
- Non ero lì dentro, non so cosa tu abbia o creda di aver "visto". – M’interrompe bruscamente, assumendo lo stesso tono freddo di quando mi ha risposto la prima volta. Gli controllo la gamba, dato che è stato ferito lì, per avere una prova di non essermi immaginata tutto: i pantaloni sono stati ricuciti. Sapevo che non avrebbe potuto nascondere facilmente quel graffio. Si accorge che lo guardo dove non dovrei e mi sorpassa infastidito. - Rimettiti presto. - È l'unica cosa che mi dice, con tono piatto, mentre se ne va. Sono furiosa a causa del suo comportamento. Lui era lì con me, non mi sto inventando nulla. Perché dovrei? Non capisco perché continui a negare l'evidenza. Senza rendermene conto, comincio a sentire un bruciore sulla mano, così forte da farmi lanciare un piccolo lamento di dolore. La apro, osservandone attentamente il palmo, ma non c'è niente. Sto impazzendo.
   
 
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