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Autore: Dark prince    06/04/2020    0 recensioni
Coppie principali: DaiSuga/ OiSuga/ IwaOi
"Molti, erroneamente, pensano che il diamante sia perfetto e indistruttibile nella sua forma più complessa.
Nulla di più errato."-Il ragazzo dai capelli chiari si sporse appena dal cornicione e sorrise nel sentire il vento sferzare il suo viso. -"In realtà è la cosa che più somiglia ad una persona: Basta trovare il suo punto di rottura e tutto finisce a pezzi."
Genere: Angst, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Daichi Sawamura, Hajime Iwaizumi, Koushi Sugawara, Tooru Oikawa
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Immagini indelebili e forti percorsero la mente di Sugawara che ritenne la catena di eventi che fu scatenata, da quella fatidica notte al campo, solo un gioco di pessimo gusto del destino: a questo piaceva giocare sporco, in modo viscido e senza usare regole.

Ma lui non era una persona che giocava senza regole, lui era onesto, ligio, il giapponese perfetto, il figlio perfetto.

Quando si ritrovò ad alzare lo sguardo, scostando la sua attenzione dal libro di Murakami che stava leggendo, e notò la madre compiere le sue quotidiane faccende domestiche iniziò ad avvertire un senso di colpa che tornò a portarlo nell’oblio.

Lui non era affatto il figlio perfetto, anzi, era qualcosa che nessun genitore voleva avere in casa, un qualcosa di cui vergognarsi e nascondere alla società; Se solo potesse urlare al mondo e liberarsi di quel peso opprimente…
“Mamma, devo dirti una cosa”

“Mamma, non mi piacciono le ragazze”

“Mamma, sono gay e innamorato di...”

- Daichi… “

Il nome dell’altro gli scappò dalle labbra in un sussurro, tanto che si ritrovò ad allarmarsi e controllare che il genitore non lo avesse sentito, cosa che non accade, per fortuna, ma il destino stava di nuovo per mettere in campo le sue pedine più perfide.

Il suono della porta fu la distrazione di Koushi dai suoi pensieri tanto che lo portò ad alzarsi per andare ad aprire, evitando altre rotture alla madre impegnata con la biancheria da stendere, camminando in modo calmo e tranquillo senza sforzare il corpo che si stava ancora riprendendo dalla brutta influenza di quei giorni.

Aprì senza neanche porsi il problema di chiedere chi fosse, ritrovandosi di fronte alla persona che, poco prima, stava tormentando i suoi pensieri più reconditi: Daichi era lì, con la sua espressione severa, lo sguardo fisso, che sembrava voler scrutare nell’animo dell’alzatore, come se i suoi sensi avessero intuito che c’era qualcosa che lui, l’amico di sempre, il suo fedele vice, gli nascondeva da alcuni mesi.

“ Sono venuto a portarti i compiti, ovviamente” - il moro soffiò quelle parole senza muoversi dall’uscio della porta, tenendo sulla spalla la cartella con tutto il necessario - “Ho sentito dagli insegnati che il malore in palestra era dovuto ad una brutta influenza e non ho trovato… corretto disturbarti al cellulare.”

Bugia.

Bugia, bugia, bugia.

Stava dicendo una bugia.

Sugawara sorrise, un sorriso veramente grato, un sorriso contento nel vedere l’altro perché gli era mancato.

La sua dose di veleno giornaliera gli era mancata.

“Grazie… Ma vieni dentro, non stare fuori” -Si scostò dalla porta il padrone di casa, lasciandola aperta a Daichi per permettergli di entrare, spostandosi in automatico verso la cucina per mettere su i fornelli l’acqua per il tea.

Dopo i saluti convenevoli, la preparazione del necessario per fare una merenda, si erano ritrovati entrambi in camera del vice capitano, per restare tranquilli mentre parlavano dei compiti da recuperare, gli aggiornamenti con la squadra. Ma Daichi sembrava non riuscire a scostare lo sguardo dell’altro, seguendolo per tutta camera quando questo si muoveva anche solo per prendere una matita dalla scrivania.

“Sai, mi stavo domandando come mai Oikawa fosse venuto a scuola” - la sua voce sembrò che a stento stesse trattenendo un fremito per la rabbia “ E abbia lasciato gli allenamenti del bel mezzo, senza dire nulla ai compagni.”.

Lo sguardo di Koushi scattò verso l’altro e sembravano quelli di un corvo impaurito, di fronte a qualche nemico e in quel momento, il nemico, era un suo compagno, un suo simile.

“Questo mi fa pensare che lui sapesse… che stavi male, Sugawara.”

Lo sapeva?

Oh, si che Tōru lo sapeva.

Lo sapeva da tempo che lui stava male.

“ … Qualcosa del genere...” - Si umettò le labbra con la lingua, avvertendole incontrollabilmente secche - “Da quando si è concluso il rientro sportivo, al campo, ci siamo scambiati il numero di telefono”

Il senso di colpa stava iniziando a divorare Koushi, avvertendo di essere anche un pessimo amico.

Era pessimo in tutto e per tutto, e questo non migliorava quando si ritrova il capitano, il suo capitano, così vicino: il suo sguardo lo stava tagliando in due e avvertì un sentimento negativo da parte sua.

Daichi era arrabbiato. Era arrabbiato con l’altro, era arrabbiato con sé e, più di tutti, era arrabbiato, senza capire il perché, con Oikawa.

“ Senti: lo so che ultimamente sono stato distratto, per via degli esami, dell’università da controllare e tutto ma… puoi contare su di me, lo sai”

No, no no no no. Daichi non doveva usare quelle parole.
“Lo so, ma mi sembravi veramente in crisi e poi sto conoscendo anche altre persone così, no?” Il suo sorriso dolce, accondiscendente, riuscì a interrompere quella catena di rabbia e risentimento.

La mano del vice capitano si allungò, andando a sfiorare la fronte dell’altro con le fini dita, scostandogli alcuni ciuffi fin troppo scomposti.

Sawamura restò immobile, lasciandolo fare, abituato che l’altro lo mettesse in ordine, che gli sistemasse la divisa quando la notava in disordine.

Ma lo sguardo di Koushi si soffermò sulle sue labbra che ormai si era ritrovato spesso a contemplare, a pensare come fossero al tatto, a lasciarsi andare a pensieri per nulla casti, per nulla tranquilli.

“ ...Sì. Suppongo di sì.

Ma ti stai comportando in modo strano da quando… siamo tornati dal campo.” -Ma no. Non gli piaceva quella cosa, non gli piaceva che Koushi poggiasse il suo viso contro la spalla di Oikawa.E non capiva perché.

“ Allora siamo in due che abbiamo avuto un mutamento.” -Ma qualcosa, nella mente sveglia di Suga, si attivò dopo quello scambio di parole “… Anche perché, per saperlo, ti sei informato e sei andato alla Aoba Johsai, no?

Altrimenti non sapresti che ha lasciato gli allenamenti.”

In un lampo, le parti si invertirono, tanto che Daichi si ritrovò con il corpo rigido, lo sguardo sorpreso e le labbra dischiuse: Bingo.

“ … Non importa.” Suga continuò con il suo atteggiamento tranquillo, senza insistere, senza mettere alle strette il compagno poiché rischiò di farlo saltare come una molla troppo tesa.

Per lui, l’importante, era stato capire come avesse avuto le informazioni.

Forse l’alzatore aveva rischiato troppo nel mettere in mezzo Tōru, che aveva cercato sempre di tenere ben celato, ma le domande stavano iniziando a diventare troppe e insistenti.

Tornarono entrambi a controllare i compiti, lasciando scorrere quel pomeriggio che sembrò durare una eternità e di questo, entrambi, ne erano stati grati: era una pausa dai pensieri, un ritorno alla quotidianità che li vide seduti uno di fianco all’altro, a ripetere alcuni passaggi matematici.

Sugawara, forse perché ancora febbrile, o forse era stato cullato dalla presenza del moro, si ritrovò con il poggiare il capo sulla spalla del capitano e addormentarsi così, senza esternare nessuna difesa: Era con Daichi, cosa poteva andare storto?

Quest’ultimo, dal canto suo, si ritrovò ad osservare il viso del collega e a chiedersi cosa davvero gli stesse nascondendo; sospirò e prese la decisione di sollevarlo per poterlo poggiare sul letto, spostando prima le coperte, e farlo restare al caldo.
-“Direi proprio che per oggi abbiamo finito” - scosse il capo, lasciandosi scappare un sorriso “E che dovresti stare a casa a riposare, ancora.”

Koushi sembrò destarsi a quelle parole e lasciò sbucare il capo dalle morbide coperte, annuendo appena, con gli occhi socchiusi e lo sguardo stanco: si limitò ad allungare la mano, sfiorando quella di Daichi, prima di tornare nel mondo di sogni che, vorticosamente, lo trascinò nell’oblio.

Ma quella mano venne afferrata, venne presa in un tocco gentile ma deciso che la lasciò andare solo dopo avergli lasciato una lieve carezza sul dorso.

 


 

 

-“Daichi?”-

Oikawa si ritrovò a fissare il compagno di squadra, Shigeru, con una espressione confusa in viso.

-“Sì. L’ho visto l’altro giorno. E’ venuto in palestra e cercava te, ma non trovandoti ha parlato con Hajime: sembrava avere una certa fretta.”-

Sul volto del capitano sembrò apparire un sorriso divertito ma il suo pensiero di concentrò di più nel mettere in ordine la palestra scolastiche che preoccuparsi della presenza dell’altro nella sua zona di comando.

Quello che però lascio interdetto il ragazzo, era il fattore che Hajime, a detta di Shigeru, fu la loro lunga chiacchierata’ e le espressione preoccupati in viso: che lui e Koushi fossero stati scoperti?

Improbabile.

Era sicuramente per la sua entrata alla palestra della Karasuno e questo mise assieme i pezzi del puzzle.

Ora aveva la spia che aveva riferito tutto al suo vice ed era pericoloso se quei due erano in contatto fra di loro.

-“Probabilmente cercava qualche consiglio da capitano...” -E qui il suo sorriso, il più finto che avesse nel repertorio personale, si mostrò.- “Per riacchiappare qualche pecorella smarrita.”-

Una volta finito di sistemare quella zona della palestra, si ritrovò a guardarsi attorno e a rendersi conto che non era più rimasto nessuno: decise così di congedare l'unico altro ragazzo rimasto con lui lì.

Una volta rimasto solo, si sedette su una panca, con l’ultimo pallone rimasto in circolo, a fissare l’ambiente vuoto e oscuro, preferendo tenere accesa solo una luce fioca che illuminò la sua figura; Fra le mani lasciò girare la palla, osservandone il movimento circolare come incantato e si perse per qualche secondo in quella spirale che formavano i disegni impressi sopra.

In quel momento tutto sembrava avere senso, soprattutto nell’avere quell’oggetto che aveva monopolizzato la sua intera esistenza. Tanto, lui, il grande Re, era nato solo per giocare a pallavolo e niente più. Non doveva preoccuparsi di ragazze, della famiglia, degli amici… L’importante era giocare, no?

L’importante era vincere, affrontare tutte le sfide, uscirne sempre da campione quale era destinato ad essere.

Lui era nato vincente e questa era sempre stata la sua più grande sicurezza.

Ma questi pensieri lo fecero sentire stranamente vuoto, come una lumaca che aveva lasciato indietro il suo guscio troppo vecchio, o troppo brutto. Anche se escludeva assolutamente l’ultima cosa.

Dopo un periodo imprecisato si alzò da quella fredda panca e si decise e prendere le sue cose per poiuscire e chiudere la porta della palestra, usando la chiave che ormai portava sempre con sé: si ritrovò a lanciare un ultimo sguardo attorno, per controllare che nulla fosse fuori posto, e avvertì un vento gelido, pungente, improvviso e tempesto.

Gli sembrava una sorta di avviso, come la calma che anticipa sempre una potente bufera.

Per suo stupore, c’era qualcuno che lo attese, poggiato vicino al cancello semi chiuso, che guardava con poco interesse il cellulare che aveva nella mano destra.

“ Hai dimenticato qualcosa in palestra, Iwa-chan?” - Quel sorriso smielato riappare, cacciando via l’espressione stupita nel ritrovarlo lì, ad attenderlo, da solo. “ Se vuoi ti lascio le chiavi, così recuperi le cose, e vai via.”

-“Ti stavo aspettando” - Diretto, senza esitazione, ripose il cellulare in tasca il vice capitano, voltandosi a guardare l’altro negli occhi, deciso, anche se un’ombra di timore sembrava offuscare le sue iridi.

-“ Oh, pensavo che fossi ancora arrabbiato con me.”- E lui, Tōru, di sicuro non si tirava indietro nel provocare quella oscurità per farla uscire fuori, come se fosse desideroso nel vedere il lato oscuro di Hajime.

-“Puoi essere serio, per una volta, e non mostrare quei sorrisi fasulli?” - Le mani. Le mani di Iwaizumi si strinsero a pugno, in una morsa letale e pericolosa.- “Credo che dovremmo parlare. Di… quel giorno.” -E la voce tremò, incerta, cosa non tipica del ragazzo.

-“Non credo proprio.” - il moro Si fermò a qualche metro dal suo vice, tenendo le mani nelle tasche della giacca, preferendo anche restare distante dal raggio di azione dell’altro: voleva proprio evitare di essere preso a pugni - “ Quello che è successo non cambia, Hajime. Dai la colpa all’alcool, al mio egocentrismo, a tutto quello che vuoi.Cerca tutte le scuse possibili se non vuoi accettare la verità.
Dal canto mio, posso… scusarmi nei modi: ero ubriaco, non sono riuscito a controllarmi come si deve.”-

Disse quelle parole con un tono grave, rendendole più dure più di quanto già lo fossero per entrambe le parti, guardando il suo amico d’infanzia negli con la sua espressione stanca. Terribilmente stanca.

-“E puoi anche andare in giro a dirlo: sono arrivato al mio limite.” - Era sicuro che stava condannando sé stesso a quel modo, ma stava anche spingendo se stesso e Koushi ad uscire allo scoperto - “Mi importa di giocare a pallavolo. Fino a quando potrò farlo, il resto non ha valore.”

In quel modo tagliò ogni via di fuga ad Hajime, si era di nuovo esposto per vincere una delle sue battaglie personali contro i mulini a vento.

-“Cosa diamine stai dicendo?? se si viene a sapere, nessuno ti prenderà in squadra! Idiota!” - La voce di Iwaizumi si era alzata, i suoi occhi sembravano più arrabbiati di prima ed era stato proprio lui ad annullare le distanze fra di loro, tanto che Tōru si ritrovò a chiudere gli occhi pronto ad incassare un qualsiasi colpo ma quello che avvertì fu una pressione sulla fronte, conseguenza del fattore che l’altro avesse appoggiata la propria contro la sua.

-“Senti, io non ci sto capendo nulla e questa cosa mi manda ai matti, Tōru. Siamo amici da parecchio.” - Sorrise il capitano, ritrovandosi a socchiudere gli occhi mentre ascoltava Hajme parlare- “Qui le cose non sono facili. In Giappone non sono facili, ti rendi conto?”

 

-“Non è che uno sceglie di esserlo, Iwa-chan...” - Interruppe il monologo del suo vice e quasi non scoppiò in una risata- “ Perché, credimi, mi risparmierei un sacco di problemi e non arriverei al limite di ubriacarmi e saltare addosso al mio migliore amico.”

Lo sguardo furente dell’altro lo zittì, ma non a farlo smettere di sorridere come un imbecille, avvertendo un calore che lo stava dilaniando.
-“ Infatti, ti ho detto che non ci capisco nulla di queste cose, ma non ti lascio nei casini solo perché non comprendo.”

Oikawa, a quelle parole, avvertì quella lieve spiaggia di paradiso inghiottirlo, sempre di più, scomparendo del tutto quando l’altro si allontanò da lui. - “Questa volta devi farlo: fa male già così.”- Senza dire altro si scostò, oltrepassandolo per uscire dal cancello. -“Preferisco andare a casa da solo, scusami.”

Una volta superato il cancello si mise a correre senza aspettare un secondo. Corse. Corse e iniziò ad innalzare un muro attorno a se stesso , ignorando l'amico d'infanzia che lo stava chiamando che a gran voce, che stava cercando di fermarlo anche se era tardi: Tōru era troppo lontano dalle mani del vice capitano.

Era lui ad allontanarsi da Hajime, a correre per salvarsi dopo che si era buttato in mare aperto, alla merce degli squali pronti ad azzannarlo.

Non poteva avere al suo fianco, come amico, una persona del genere.

Non poteva avere solo come amico una persona che poteva quasi dire di amare.

Già aveva sopportato abbastanza e aveva bisogno di una boccata d’aria, di una pausa da quel turbinio di pensiero.

I suoi piedi si mossero in automatico verso la metropolitana, prendendo il treno per un soffio e lasciandosi indietro Iwaizumi con il fiatone: non era a conoscenza della direzione del treno, in quale zona della sua città. Per lui l’importante era allontanarsi da lì almeno per quel momento, fuggendo come un codardo.

Alzò il capo solo nell’avvertire il movimento della carrozza, segno che si stesse muovendo, ma non era troppo tardi per non notare la presenza e lo sguardo di Hajime seguirlo.

Ma dove voleva scappare?

Il giorno dopo si sarebbero rivisti.

Il giorno dopo, per un motivo o per un’ altro, tutto sarebbe cambiato.

Per tutti.

“Parla, anche se ti sembrerà che non ti ascoltino.

Fallo, anche se sembrerà strano agli occhi degli altri il tuo agire.

Pensa, senza seguire nessuno schema.

Ama…

Ama e basta, senza nessuna riserva.”

 


Angolo auto.
Quella che si parcheggia
So bene che aggiorno questa storia dopo anni, e non pretendo mica che molti la seguano, ma avevo un conto in sospeso e mi sono decisa di continuarla.
Enjoy~
  
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