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Autore: nouveau    06/04/2020    0 recensioni
Adrien Agreste sarebbe potuto essere la persona più brutta, arrogante e trascurata del mondo, alle sue orecchie -come a tutte quelle pronte a prestargli un minimo di attenzione- la sua voce sarebbe risuonata come la più dolce delle melodie.
[AU]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La chiesa era gremita di persone, illuminata da un sole che poco sembrava appartenere al mese di dicembre e che filtrava dalle vetrate della chiesa colorando la navata e gli ospiti di magenta, azzurro e tutte le tonalità che componevano le immagini iconiche delle finestre più in alto.
Marinette si soffermò a ricordare la lezione di storia dell'arte che la signorina Bustier -aveva invitato anche lei, giusto?- aveva fatto loro in seconda media sui rosoni e Notre-Dame.
Tutto piuttosto che pensare al fatto che stava per sposarsi.
La nuvola di chiffon che le svolazzava intorno ad ogni movimento e il rampicante di pizzo che le sfiorava le clavicole non servivano a rendere il tutto più reale ai suoi occhi, la cattedrale completamente vestita di bianco -bianco come la purezza verginale che aveva sempre caratterizzato il loro amore- e di una pallidissima sfumatura di lilla -un colore che di certo non avrebbe mai accostato al suo quasi marito- solo per loro non sembrava altro che una coincidenza.
Eppure era riuscita a fare breccia nell'uomo dei suoi sogni, a far battere per sé il cuore della persona che per anni aveva preso il suo e lo aveva strizzato tra le proprie dita alla stregua di una pallina antistress semplicemente parlando, e forse era proprio questo a sembrarle incredibile.
Ma l'aveva fatto erifletté Marinette mentre sistemava meglio il velo sul visodopo tutta la fatica che aveva fatto per smettere di balbettare davanti a lui si meritava di diventare sua moglie.
Confortata da quel pensiero e dal tocco rassicurante di sua madre, raddrizzò il mento e soppesò il bouquet di lisianthus bianchi prima di afferrare il braccio di suo padre e iniziare a percorrere lentamente la navata, sorridendo impacciata e già sull'orlo delle lacrime nel vedere un uomo grande e grosso come Tom Dupain singhiozzare ad ogni passo.
Si sforzò di non cedere al pianto quando arrivarono a pochi passi dall'altare, salutandolo con un bacio mentre la manona del genitore abbandonava la sua per lasciare il posto a quella dello sposo. Di non cedere alle risate quando colse con lo sguardo Alya -damigella d'onore e testimone indiscussa di quella storia- che, per alleggerire la sua voglia di piangere, le aveva fatto l'occhiolino indicando poi con il capo una testa bionda poco distante da lei e il suo vestito prugna.
E lui era sempre stato bello agli occhi di Marinette, sempre attraente come la luce di una lampadina per una falena e meraviglioso come il più splendente dei soli, ma in quell'elegante completo antracite era una vera e propria visione
Il cuore le mancò un battito prima di palpitare emozionato, finalmente conscia di ciò che stava accadendo; la mano gentile spostò con delicatezza il tulle dal suo viso, liberando il campo visivo di lei dalla patina traforata del velo e permettendole di vedere chiaramente Gabriel Agreste in tutto il suo splendore. 
Un momento
Il sorriso le morì sulle labbra e il suo cuore, il muscolo che fino a poco prima le aveva scalpitato nel petto, si fermò con l'eco di un ultimo battito. 
Gabriel? Sul serio? 
Si voltò confusa verso Alya, ancora sorridente al suo posto e per niente turbata dalla presenza dell'uomo davanti all'altare, quasi come se la sua migliore amica appoggiasse l'idea di lei che sposava lui decisamente più grande e vissuto al posto del figlio coetaneo che aveva sempre ammirato. Lanciò uno sguardo a Nino, in cerca di una mano e di quel raziocinio improvvisamente migrato verso sud e dalla testa dell'amica, ma trovò anche lui perfettamente a suo agio in quella situazione.
 Deglutì, tornando a guardare il suo promesso che era bello, certo, elegante e posato come nessuno al mondo mentre la guardava come se fosse la cosa più bella che avesse mai visto, assolutamente...
Ma restava l'Agreste sbagliato
Quello giusto, infatti, si limitava a seguire con lo sguardo il tutto dal suo posto, accanto a Nino, con in mano un cuscino su cui erano poggiate le fedi. 
Faceva il paggetto
Marinette ebbe quasi l'istinto di ridere della situazione perché ovviamente non poteva limitarsi a sognare qualcosa di bello che le avrebbe fatto passare la domenica a ricordare un lento abbracciata alla sua cotta, ma il suo subconscio trovava giusto riproporle un sogno con plot twist.
Roteando gli occhi e resistendo all'impulso di mettersi a strillare la propria frustrazione, la ragazza iniziò a pensare a cosa dire per tirarsi indietro senza però scappare via imitando un velocista olimpionico.
Il più grande la batté sul tempo, parlando sebbene fosse ancora rivolto al lato di altare occupato dalla sua parte di corte nuziale, un sorrisetto che le provocò una fitta dolorosa al petto per quanto somigliava ad Adrien con quell'espressione.

«Non trova che mio figlio sia perfetto, signorina Dupain-Cheng? »

E lei di nuovo socchiuse la bocca, questa volta però per rilasciare uno sbuffo scocciato, pronta a guadagnarsi l'uscita a colpi di bouquet e spazientita da quella che trovò essere una mossa subdola per una persona che voleva ottenere un sì. Rivangare quell'episodio era stato cattivo persino per Hades, Jafar, il Dr. Facilier e il gruppo di villain Disney più spregevoli che le venivano in mente.
Mosse le labbra a vuoto una, due, tre volte come un pesciolino rosso, senza parole e senza fiato tanta era la rabbia.
Ma l'attenzione fu prontamente spostata su un'altra persona e la ragazza non poté che esserne felice, perché forse quella era la parte del sogno in cui il matrimonio veniva interrotto e il vero amore trionfava . 
Adrien infatti si fece avanti, aggirando suo padre per avvicinarla e prendere la mano più piccola di lei tra le sue nettamente più grandi. 
Avanzò per l'ennesimo passo e, quando fu abbastanza vicino da permetterle di sentire il profumo dolce del fiore nel suo taschino, parlò.

« Già, Marinette. Non pensi io sia perfetto? »

Il suono della sveglia per la prima volta fu accolto con riconoscenza.

E il freddo del pavimento un toccasana per il corpo della ragazza che, la mora lo sentiva, stava andando a fuoco dall'imbarazzo.

  
La scena di giorni prima era tornata alla sua memoria, dopo turni in cui si era sforzata di essere professionale e non scappare a gambe levate dall'esame spietato che gli occhi azzurri del direttore di doppiaggio sembravano portare avanti e dalla vergogna bruciante che la pervadeva quando pensava a quanto ingenuamente avesse ceduto. 
Non era solo disagio - Gabriel dal canto suo non era ritornato sulla questione, era stato clemente e aveva lasciato correre un'occasione su cui il caro Jagged Stone avrebbe affondato le unghie- ma anche l'orgoglio ferito a muovere la più piccola, perché per quanto innocentemente avesse risposto facendolo aveva comunque fatto cadere la maschera che tanto si era affrettata ad indossare davanti all'uomo il primo giorno di incisione. 
La copertura era saltata e Marinette era stata esposta senza troppe cerimonie come la fan esaltata che era. 
Non era del tutto così, naturalmente, e le persone a cui aveva raccontato l'accaduto le avevano rassicurata dicendole che semmai una sincerità come la sua era un vanto più che una pecca e la rendeva una persona degna di fiducia.
Ma oltre a cucinare e a dipingere la giovane Dupain-Cheng era anche brava ad esagerare le situazioni e a viverle come vere e proprie tragedie, quindi non riusciva comunque a perdonarsi. Nessun dubbio sulle sue doti attoriali in tema di melodramma. 
Faceva ancora in tempo a tirarsi indietro e a cambiare mestiere? 
Si chiese genuinamente se al Grand Paris facessero ancora assunzioni, se il posto da portiere fosse già stato preso, se il rosso della divisa le avrebbe portato davvero fortuna questa volta.
Mamma ho cambiato idea, si sentiva già dire, voglio fare l'usciere.
E già si immaginava il cappellino sul capo e una giacca di quattro taglie più grandi addosso, ad augurare il buongiorno ad anziani facoltosi in vacanza, a tenere le porte aperte per celebrità con le braccia occupate da sacchetti di boutique, a sorridere rigida mentre una coppia di sposini scendeva dalla Mercedes Benz degli Agrest--- thump.
Camminando impaziente per la sua stanza, infatti, una piega del tappeto aveva posto fine a tutto quel filo folle di pensieri. Dallo specchio a figura intera che teneva accanto alla finestra, dolorante e confusa dalla caduta presa, poté constatare quasi con sorpresa che la sua faccia era ancora lì e oltre al rossore sulla guancia sbattuta contro il pavimento non vi era altro.
Nemmeno la "A" di "ammiratrice" che pensava di essersi stampata in fronte da sola.
Poteva continuare a fare il lavoro dei suoi sogni e che lei aveva solo ammesso esplicitamente di provare una profonda ammirazione per un suo collega, di certo non aveva svelato le sue fantasie matrimoniali. 
Non ancora, almeno.
Colpendosi le guance con due schiaffetti che diede loro un ulteriore velo di rosa si diede la carica, alzandosi da terra con uno scatto e un'energia che le tornò indietro quasi subito, facendole fare un saltello deciso mentre si avviava sulla scala del soppalco e poi sul letto per riprendere a dormire.
(E forse sognare lo sposo giusto) 
Andava tutto bene.



Andava tutto male.
La crema era impazzita, il pan di Spagna svenuto per quanto era sgonfio e floscio nella teglia e, santo cielo, meglio non parlare dell'aspetto impietoso di quelli che sarebbero dovuti essere semplici biscotti al limone.
La cucina era un campo di battaglia, grumi di Dio solo sa cosa erano volati in tutte le direzioni quando ballando  il biondo aveva inavvertitamente urtato la ciotola dell' impasto per le crêpes e attivato il frullatore con all'interno gli ingredienti per lo smoothie senza avvitare prima il tappo. Una pioggia di fragola, banana e pesca l'aveva investito senza dargli scampo e a peggiorare la situazione ci si erano messi i gusti d'uovo con il loro albume disgustosamente viscido a rendergli i polpastrelli poco prensili.

Andava tutto male perché la verità più vera di tutte lo prese a schiaffi di prima mattina senza nemmeno dargli il buongiorno: non era meglio di suo padre in cucina
Ed Adrien, con il suo indice quasi affettato via, uno scivolone preso a causa della poltiglia che doveva essere un frullato e l'orgoglio ferito, ne divenne dolorosamente consapevole.
Lui voleva solo la colazione. Che aveva fatto di male?
Certo, forse la sua gola gli aveva fatto pensare di prepararne una fin troppo completa solo per lui, ma uno dei pro di avere suo padre in una convention a sette ore di macchina da lui per tre giorni -il genitore era un uomo stoico e insensibile al demone chiamato Zucchero- era il potersi ingozzare di dolci senza sentire la  costante presenza di un'occhiata di fuoco sulla nuca o una battutina su quella pancia che lui era sicuro non ci fosse ma che era sempre in agguato.
Rassegnato a dover cestinare la sua fantasia saccarotica -un modo di dire che avrebbe sicuramente apprezzato Nino- spense il frullatore senza distogliere lo sguardo dalle mattonelle del piano cottura e mettendo fine al rumore agghiacciante di lame che tritavano a vuoto ed evitando ulteriori schizzi degni dei migliori parchi acquatici o delle peggiori scene del crimine, rischiando di strozzarsi con il suo stesso sospiro sconfitto quando al completo silenzio della cucina si unì un suono esterno.
Il motore del cancello automatico.
Suo padre era tornato in anticipo.
Gli occhi verdi vagarono per quello scenario apocalittico, così radicalmente opposto al paradiso sterile alla Gordon Ramsay, e una goccia di sudore freddo scesa lungo la schiena fu l'unica cosa che anticipò il tentativo disperato del ragazzo di evitare l'ennesimo sermone by Gabriel Agreste: raccogliere il più possibile e nasconderlo sotto il mobile del lavandino nel breve lasso di tempo che il genitore avrebbe impiegato a percorrere la distanza garage-ingresso. 

Ovviamente il cumulo di macerie occupava uno spessore tale da impedire allo sportello di chiudersi completamente, ecco perché con una disinvoltura che solo il panico poteva conferirgli si appoggiò contro questi nell'esatto momento in cui il tintinnio sinistro delle chiavi annunciò il nuovo arrivato.

Adrien rimase lì quando i passi si fecero più vicini.

Si sentì il sedere umido e pensò che molto probabilmente la poltiglia era riuscita ad uscire lo stesso.  Che palle.

Vicini.

I capelli erano completamente incollati alla testa e da biondi erano passati a un colore poco rassicurante che nessun parrucchiere, nemmeno il più incapace di Parigi, sarebbe riuscito a replicare.

Vicini.

Avrebbe passato tutta la sua gioventù e parte della sua vecchiaia a pulire quel macello.

Vicini.

Adrienentola.

Quando vide la maniglia muoversi chiuse istintivamente gli occhi in attesa.

« Tuo padre non stava esagerando.. »

Si ritrovò a spalancare gli occhi, le pupille grandi quanto spilli a causa della sorpresa ma soprattutto della luce che la figura sull'ingresso aveva alle spalle. 
Una risata che si propagava tra la devastazione mentre un sacchetto si posava sull'unico pezzo di piano sgombro e un paio di occhiali da sole venivano spostati dal naso per unirsi a quelli che -l'odore era inconfondibile, erano croissant alla crema- finiva poggiato sul bancone in marmo. 
Un sorrisetto accompagnò la fine della frase.

« ..combini davvero disastri, quando non sei supervisionato. »

Delle dita gentili tolsero dai capelli di Adrien un pezzo di guscio d'uovo ma il biondo non vi fece caso, piuttosto batté le ciglia prima di prorompere in un sonoro e -mai come quella volta- teatralissimo:

«Zio?!»

Sébastien Dupont, speaker di punta di una famosissima radio francese e fierissimo responsabile di un programma privato incentrato sul doppiaggio, sorrise e rizzò fieramente il mento e le spalle, indicandosi con il pollice.

« In carne ed ossa. »

***

Il bello di essere parte della famiglia di Adrien era l'essere principalmente circondato da artisti top gamma, l'essere cresciuto tra mostri sacri che sceglievano deliberatamente di dedicargli tutto il loro tempo libero e le loro attenzioni per viziarlo come un principino.
Tuttavia le cose hanno sempre un lato negativo e la sua situazione non era da meno: essere a una conferenza sulla recitazione o al cenone di Natale non faceva differenza perché per tutte le persone all'interno della stanza il doppiaggio e il teatro non erano un modo come un altro per fare soldi e pagarsi il pane: erano vita.
Il momento della poesia imparata a scuola era un'ottima opportunità per nonno Gerard di ricordargli di usare il diaframma e fargli perdere il resto dei versi, il finto broncio e gli occhi da gattino fatti per impietosire la madre e farsi dare un altro pezzo di torta un simpatico spunto di conversazione per parlare del metodo Stanislavski e lasciarlo a guardare agonizzante la fetta di torta tenuta in bilico troppo in alto per la sua altezza di bambino.
La sua infanzia era costellata di episodi del genere, aneddoti divertenti che finivano con il renderlo il più simpatico alle feste e che lo facevano ridacchiare ogni volta che ne raccontava uno, ma che si distanziavano di parecchie posizioni in classifica da quelli vissuti con suo zio.
Perché suo nonno paterno e sua nonna materna erano stati vittima di una deformazione professionale, un riflesso incondizionato dovuto ad anni ed anni di sala di incisione e palchi teatrali, mentre ciò che guidava il moro era innegabile e palese per tutti: bastava guardarlo negli occhi verdi e scorgere lo sguardo compiaciuto per capire che trovava divertente metterlo in imbarazzo, che sfottere bonariamente il suo unico nipote era qualcosa a cui era particolarmente affezionato.
Ed essendo Adrien, appunto, Adrien, farlo era fin troppo facile. 
Degno di Maes Hughes in persona, Sébastien possedeva la più vasta collezione di filmati di suo nipote, persino più grande di quella di Nino -il che significava molto considerando che il duo Lahiffe-Agreste in terzo superiore aveva monitorato tutte le lezioni di educazione fisica di un  intero quadrimestre scolastico- e non solo poteva vantare una filmografia completa ed inedita di suo nipote, ma possedeva inoltre un tempismo tale da trovarsi nel posto giusto al momento giusto e poter aggiornare costantemente la collezione, una teoria confermata dal click  proveniente dallo smartphone che puntò in faccia ad Adrien in  quei 0.30 secondi che avevano passato insieme. 
Il biondo, abituato alla cosa, non fece nulla per impedire l'inevitabile e si mosse solo per passarsi una mano tra i capelli, azione di cui si pentì nell'istante in cui la sostanza che glieli sporcava tutti entrò in contatto diretto con il suo palmo; arricciò il naso in un'espressione che da sola valse altri scatti e  fu libero dall'assalto dell'obiettivo solo quando lo zio si mosse -naturalmente senza perdere l'espressione e il sorriso affilato da Stregatto- per afferrare uno dei pochi stracci scampati alla minaccia rappresentata dai suoi tentativi culinari e cercare di pulirgli la faccia.

« Temo tu possa risolvere solo con una doccia, ragazzino. »

Fu il  verdetto dell'adulto responsabile davanti a lo scenario apocalittico, le condizioni del ragazzo e, sopratutto, alle deliziose chiazze che tempestavano il soffitto. 
Quelle in tutta onestà Adrien non sapeva nemmeno come fossero arrivate lassù.

« Grazie del consiglio zio, non so come farei senza di te »

Si limitò a rispondere il biondo -che biondo, ormai, non lo era più considerando il rosa che gli copriva la testa- sospirando.
Un definito splat cadde sul pavimento e inevitabilmente la loro attenzione si spostò nuovamente in alto, su una buccia di banana miracolosamente attaccata al muro.
Il più grande non ridusse il sorrisetto felino, ma tuttavia iniziò ad arricciarsi le maniche della camicia scura e non perse un secondo per rispondere:

« Saresti ancora in castigo per quella volta che hai distrutto la cristalliera schiantandotici contro con la bicicletta. » 

E poi, come conferma alla sua reputazione:

« Natale duemilaquattro, giusto? »


Adrien lasciò andare uno sbuffo, iniziando a raccattare le poche scodelle rimaste sul piano della cucina .
Sarebbe stata una lunga mattinata.








Correva l'anno 2018 l'ultima volta che ho aggiornato, Boku No Hero Academia era in prima tv su Italia2, il cielo era azzurro sopra Berlino e la vita era daijoubu.
Al tempo non avevo lo spettro della laurea che mi volteggiava sulla testa, ma comunque vivevo questo stato d'animo che vivo ogni volta che torno a rileggere questa fan fiction.
È a metà tra la presa di coscienza -non so gestirle le long- e la delusione, perché i primi due capitoli mi piacevano di più rispetto a quello che ho scritto fin'ora
MA
sebbene i sentimenti siano ancora quelli mama didn't raise a quitter quindi tanto vale assecondare la corrente e vedere dove mi porta.
Nel lasso di tempo in cui sono mancata sono successe cose, tra queste c'è stata la bellissima notizia direttamente da casa di colui che ha ispirato questa fan fiction: è nato Enea Aquilone e suo padre ne ha annunciato la venuta al mondo con un post così delicato e meraviglioso che già a metà lettura ero in lacrime.

Nelle note tendo ad andare un po' in tutte le direzioni e me ne scuso, ma nonostante io legga ff e frequenti EFP da più di un decennio proprio non sono capace di imparare a scriverne di decenti 
(cosa che vale pure per le long, guarda caso)
AD OGNI MODO, oltre a ringraziare tutti per il tempo dedicatomi e per le recensioni -mi cogliete di sorpresa e siete pazzeschi- mi sembra il caso di rispondere a qualche domanda lasciatami nel capitolo precedente da mergana:

Come mai il padre di Gabriel Agreste si chiama "Gerard"? 
Per questa domanda sono andata a cercare nella chat whats app in cui ne parlavo con una mia amica (ciao Elena)
Quando ho messo in piedi questa storia ho scritto di come Gabriel, sebbene fosse figlio d'arte, sia stato comunque un uomo che si è reso noto per il proprio talento e non per cognome che porta. Nonostante questo, però, mi sono fatta comunque un'idea della tipologia di uomo che mi serviva: un uomo affascinante, gentlemen e che, sebbene sia stato un personaggio di spicco ha sempre tenuto i piedi per terra e un ottimo senso dell'umorismo.
In seguito ho cercato su Nomix nomi maschili francesi e ho scelto questo proprio perché era quello che più si accordava alla mia idea. In più è incredibilmente musicale.

Che personaggio doppierà Chloé nella storia? E come sarà l'amicizia che ha con Adrien?
Il discorso di Choé è molto simile a quello che vale per Max e Kim, in realtà.
Avevo bisogno di personaggi che mi introducessero a una dinamica, nel caso specifico di Max e Kim l'intenzione era quella di spiegare che spesso nel mondo del doppiaggio (e in particolare se si parla di doppiatori molto giovani che lavorano molto) si finisce inevitabilmente per fare amicizia o comunque avere a che fare con bene o male le stesse persone, a svilupparci amicizie e addirittura relazioni (per fare un esempio reale: Alex Polidori e Sara Labidi) o nel caso di Chloé quello di lavorare nello stesso cast di Marinette. Non so ancora che personaggio darle perché i dettagli legati all'anime che doppieranno non sono estremamente rilevanti ai fini della trama.
Questo significa che non si vedranno mai più? No, ma per onestà intellettuale devo ammettere che non ho pensato a lungo ai dettagli della loro "comparsa". 
(La voce di Kim è quella di Nissolino, comunque).
Per quanto riguarda l'amicizia tra Chloé ed Adrien, beh, penso sia presto e non voglio citare qualcosa che poi magari non inserirò per questo o un altro motivo, ma generalmente penso a loro come ad un mancato rapporto fratello/sorella, una cosa che sono anche nel canon alla fine.
Sono amici da troppo tempo e si vogliono troppo bene per pensare a una possibile relazione amorosa tra di loro, non so ancora se inserire una possibile amicizia tra le loro famiglie però.

 

E per concludere la domanda da un milione di dollari: di quanti capitoli sarà la ff? 
Mentirei se dicessi che ho un'idea precisa della lunghezza, della quantità dei capitoli o di quanto tempo ci impiegherò ad arrivare all'epilogo. Oltre ad avere un problema con le storie long e le slowburn -questa è entrambe le cose e da persona che è solo al capitolo 6 non posso che stimare tutti gli autori che ne scrivono e lo fanno anche in modo meraviglioso- sono anche una persona priva di costanza, quindi i caricamenti sono sporadici (insoddisfacenti) e rari come la cometa di Halley.
Questo capitolo è in cantiere da più di un anno e solo oggi l'ho portato a termine e pubblicato, capirai quindi che dare un numero o una data sarebbe rischioso.
Ti ringrazio per la domanda, però.


ORA
nel pezzo di capitolo che riguarda lo pseudo matrimonio ho cercato di buttarci un po' del simbolismo che mi fa venire le farfalline nello stomaco, in particolare per quanto riguarda l'allestimento della cattedrale. Erano piccoli suggerimenti, puntini da collegare per raggiungere la consapevolezza che a sposare Marinette non era Adrien, ma Gabriel.
Il mio personale piéce of resistance è stato darle un bouquet di lisianthus, un fiore molto apprezzato in Francia e tradizionalmente usato per le decorazioni matrimoniali, ma che viene associato ai concetti di grazia ed eleganza.  Oltretutto, questi sono fiori che hanno anche una variante in lilla -il cui significato in quel caso è "amore sincero"-  e mi sembravano on brand con l'aesthetic di papà Agreste.
Ma perché questo matrimonio?
Marinette è una che prende male i suoi fallimenti personali e non sa perdonarsi da sola nemmeno disattenzioni piccole, mi sembrava giusto scrivere di una sua -secondo lei- brutta figura che la raggiungeva anche nei sogni. 
In più è stato divertente e l'immagine di Adrien paggetto mi fa ridere.

Ma veniamo all'altra stella del firmamento francese apparsa a fresco a fresco in questa storia dove tutti sembrano sgomitare per farsi spazio: Sébastien Dupont.
Il nome Sébastien divenne molto popolare in Francia e Spagna nel Medioevo, ma ancora oggi vanta molti portatori, tra cui proprio lo zio di Adrien. Il nome stando a ciò che dice Behind the Name significa "venerabile" e, personalmente penso che non potevo sceglierne uno più azzeccato nemmeno volendo a quella che è la personificazione umana di una forma di Camembert.  
È fratello di Emilie e, così come la sua versione mini, trova divertente vedere suo nipote comportarsi da ragazzino.
Farà ancora una comparsa? Lo spero, per il momento mi limito a dargli una fotocamera in mano e a dirgli divertiti frà.

(Dupont era un cognome molto comune in Francia e mi piaceva un sacco)

Per il momento ho finito, spero voi stiate passando questa quarantena in modo piacevole
(e a casa, come bravi bambini) magari essendo più produttivi di me che mi limito a scrollare e saltare da un'app all'altra fino a quando il mio corpo non decide che è un buon momento per dormire.
Mi raccomando, siate responsabili e limitate al minimo le uscite, altrimenti De Luca vi manda i carabinieri con i lanciafiamme.

Prima o poi tornerò ad aggiornare ancora, per il momento:
so long, suckers!

Nouveau
(Sono le 06.48, perdonate eventuali errori di HTML per favore)

 

   
 
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