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Autore: futacookies    06/04/2020    2 recensioni
{spoiler! se non si è in pari con la pubblicazione del manga}
{scritta per il primo giorno della sakuatsu week! Prompt: touch}
Sakusa sembra sempre così distante.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Atsumu Miya, Kiyoomi Sakusa, Koutaro Bokuto, Osamu Miya, Shouyou Hinata
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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NdA: yay per la sakuatsu week (potete trovare di più qui)! Da quando Furudate-sensei li ha mostrati nel timeskip, non faccio altro che shipparli, quindi direi che il tempismo è stato ottimale. Non ho provato a rendere in italiano il dialetto del Kansai che dovrebbero parlare i Miya perché non sapevo proprio che pesci prendere (se volete farvi due risate, ci ho provato in inglese). Tutto il testo accentrato è sempre conversazione telefonica tra i gemelli Miya. Il riferimento al vivere con gli scarafaggi viene da un capitolo di haikyuubu che potete leggere qui. Non ci sono giganteschi spoiler dal manga, ma sempre meglio prevenire che curare (oltre che molti passaggi diventerebbero più oscuri).
Ho sperimentato con uno stile un po' insolito, ma alla fine ne sono rimasta molto soddisfatta!

Buona lettura!
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Basta un passo

 

 
«Sai, ‘Tsumu», lo chiama Sakusa, usando un tono particolarmente sarcastico in quel soprannome, «sei molto più carino quando resti in silenzio.»

Atsumu, che il quel momento non ha abbastanza fiato in corpo per produrre una risposta sensata, si limita a fargli un gestaccio. Non è colpa sua se è competitivo. Shouyou-kun l’ha sfidato a correre per tre volte intorno al perimetro della palestra, e lui odia perdere (ha perso comunque) (Shouyou-kun ha troppe energie). Adesso è appoggiato allo stipite della porta d’ingresso, mentre Sakusa lo guarda compiaciuto. Atsumu non ha bisogno di uno specchio per sapere che è arrossito (gli ha appena detto che è carino, in fondo).

«Tu non riusciresti nemmeno a completare il secondo giro, Omi-Omi.», gli rinfaccia, appena riesce a respirare regolarmente. «Però tu sei carino anche quando parli.»

Sakusa fa una smorfia e si avvia verso la sua macchina.

«Sei rimasto solo per assicurarti che non morissi?», chiede Atsumu, un sorriso compiaciuto sul suo volto.

«Sono rimasto solo per vederti perdere.», gli risponde Sakusa, chiudendo la portiera della sua auto con un tonfo.
 

 
***

 
“Non lo so che significa, se è rimasto oltre gli allenamenti! Come dovrei saperlo io!”
“Sei tu quello fidanzato!”
“Il fatto che stia con Rintarou non implica che sappia come ci sia riuscito. Non puoi dirglielo e basta?”
“Mi ucciderebbe.”
“Avrebbe tutta la mia approvazione.”
“Fottiti, ‘Samu!”
“Ho già qualcuno che lo fa per me!”
 
 
***

 
Atsumu non sa più cosa fare (non lo sapeva nemmeno prima, ma almeno tentava di fare qualcosa). Sakusa gli piace, non ha problemi ad ammetterlo. Almeno con se stesso (e con suo fratello, che praticamente è la stessa cosa). È indubbiamente un bel ragazzo, gioca benissimo a pallavolo e flirta spudoratamente con lui. Almeno, crede che quello sia flirtare. Gli ha detto che è carino. La settimana scorsa gli aveva detto che era tollerabile, dopo una doccia. Il che significa che c’è stato un miglioramento.

È solo che non sa come prenderlo. Ha sempre qualcosa da ridire, si diverte a prendere in giro impietosamente sia lui, che Bokkun, che Shouyou-kun e a malapena dà retta a Meian-san. Ogni tanto fa qualche uscita come quella di oggi pomeriggio e Atsumu muore direttamente.

Poi c’è la questione dei germi, e Atsumu non è nemmeno troppo sicuro che la sua ipocondria o la sua avversione a farsi toccare siano direttamente collegate, o se siano ceppi di problematiche? diverse. Durante una delle ultime partite ufficiali uno dei giocatori avversari aveva il raffreddore e Sakusa si era rifiutato di giocare, ignorando completamente tutti i rimproveri dell’allenatore.

Gli sembra sempre così distante, così ritratto in un mondo dove a nessuno è permesso di raggiungerlo. Anche quei pochi momenti di scherzo che gli concede sono avvolti da un velo di freddezza che Atsumu non si sente autorizzato a violare. Sakusa non vuole essere raggiunto e forse Atsumu dovrebbe farsi andare bene un flirt ogni tanto e metterci una pietra sopra. Prima che sia troppo tardi (prima che inizi a volere qualcosa che forse Sakusa non potrà mai dargli) (non che non voglia, magari vuole pure) (solo, non può).
 

 
***

 
“Magari dovresti invitarlo a cena”
“Non tutti i problemi si risolvono con il cibo, ‘Samu”
“I miei sì”

Atsumu sente Rintarou dirgli qualcosa che assomiglia molto a “è perché tu sei un maiale” e non può che essere d’accordo.

“Tu non ridere”
“Non sto ridendo”
“Ti ho sentito”
“Non stavo ridendo, stavo annuendo”
“Be’, non annuire”
 
 
***
 

Atsumu preferirebbe morire prima di accettare davvero un consiglio di suo fratello (anche se continua a chiederglieli, giusto per tormentarlo). Però. Però, per quanto la prospettiva di suo fratello che urla trionfante “Te l’avevo detto” sia effettivamente disgustosa, magari invitare Sakusa in un contesto non lavorativo, ma nemmeno troppo informale, può essere un buon modo per rompere il ghiaccio (magari non proprio romperlo) (scioglierlo, ecco).

Gli ci vogliono quattro giorni e una buona dose di coraggio. I primi due giorni li perde a lucidare casa sua: non è abbastanza grande perché si formi troppo disordine e non è che la sua idea di igiene sia così tragica. Quella di Sakusa, d’altro canto, fa sembrare tutto come una questione di vita o di morte. Il terzo giorno, be’, il terzo giorno prova ad invitarlo, ma ha Bokuto alle costole per qualche sconosciuto motivo (in realtà sa benissimo perché) (gli ha alzato pochi palloni durante l’allenamento) (adesso Bokuto pensa che ce l’abbia con lui). Quindi non se ne fa niente. Si rifiuta di invitarlo di fronte al resto della squadra, soprattutto perché sa che le probabilità di rifiuto in quel caso sarebbero altissime.

Il quarto giorno è quello giusto. Hinata e Bokuto stanno discutendo dei prossimi incontri e il resto della squadra si è più o meno disperso. Nel cortile della palestra ci sono solo lui e Sakusa, che l’ha fermato per spiegarli che preferirebbe delle alzate leggermente più alte (Atsumu sa che è una scusa, le sue alzate sono sempre perfette) (però magari ci può lavorare).

«Omi-kun~», inizia, prima che Sakusa possa dirgli qualcosa che gli tolga la capacità di parola. «che ne diresti di venire da me, prima della prossima partita? Così possiamo studiarci qualche vecchio filmato, magari potremmo mangiare qualcosa insieme e-»

Sakusa lo sta guardando come se fosse un curioso esperimento da laboratorio. Come se non si aspettasse esattamente questa reazione chimica, ma è disposto a farsela andare bene. Poi alza gli occhi e il suo sguardo diventa un ghigno impietoso.

«Ohhh, ‘Tsum-‘Tsum, ci organizziamo per vedere le vecchie partite degli avversari insieme?», gli chiede Bokuto, arrivando alle sue spalle e dandogli una pacca sulla schiena. Atsumu vuole morire, davvero. Sapeva che seguire i consigli di suo fratello non poteva portare a niente di buono. Non gli dirà mai di questo fallimento, anche se può già distintamente sentirlo ululare dalle risate.

Hinata sta saltellando a pochi passi da lui: «Allora? Allora, ‘Tsumu-san?»

Non può dire che l’invito era solo per Sakusa. Sakusa, come il grande bastardo che è, sta sorridendo (riesce a vederlo anche se porta la mascherina) (in questo momento è un sorriso che va da un lato all’altro della faccia) (si diverte quando è imbarazzato).

«Allora, ‘Tsumu-san?», gli chiede Sakusa. Atsumu non può arrossire, non può, non vuole e non deve arrossire, anche se Sakusa gli sta lanciando un’occhiata molto languida. Forse è solo il suo cervello che immagina cose, però. Forse è l’effetto che gli fa Sakusa. Arrossisce giusto un po’, per buona misura, solo perché quello che dà a vedere è la punta dell’iceberg di quello che sta sentendo.

«Be’, sì, sì, certo. Che ne dite di venerdì?»

Bokuto e Hinata si illuminano, incominciando a canticchiare qualcosa si strampalato che nemmeno capisce. Guarda Sakusa e vorrebbe almeno un a risposta, non gli sembra di star chiedendo tanto, una rispostina piccola piccola, giusto per testare il terreno. Giusto per sapere se può chiederglielo un altro giorno senza sentirsi in pericolo di perdere la testa. O qualche arto.

«Il tuo appartamento è abitabile?», chiede Sakusa. «Non c’è rischio di infestazioni? Non vivi più con gli scarafaggi?»

«Omi-kun, quella è una storia vecchia di anni!», protesta Atsumu. Non è nemmeno una storia interamente vera. Sakusa scrolla le spalle e continua il suo interrogatorio: «Sei stato male negli ultimi mesi?»

«Sono sano come un pesce, Omi-Omi, lo sai benissimo! Giochiamo nella stessa squadra. Sai quante volte Bokuto ha avuto mal di testa negli ultimi sette mesi, dubito che non sapresti se sono stato malato.»

«Cucini tu?», insiste Sakusa, guardingo. Atsumu annuisce. Almeno questa l’aveva vista arrivare. Si è fatto dare la ricetta degli onigiri al tonno di suo fratello, un classico.

«Be’, peccato che debba perdermi la tua cucina. Mi rifiuto categoricamente di passare del tempo con voi tre senza essere pagato.»

Atsumu vorrebbe protestare. Vorrebbe dire qualcosa come “Omi-kun, non puoi farmi questo”, oppure “Omi-Omi, per favore”, ma resta in piedi come uno scemo, tra Bokuto e Hinata che hanno iniziato a sproloquiare di team bonding e fiducia e di quanto Sakusa sia cattivo. Atsumu non se la sente di dar loro torto.

Sakusa si avvia verso la sua macchina cacciando il telefono e lanciandogli un occhiolino appena prima di infilarsi nel cubicolo. Atsumu sente il telefono vibrargli nella tasca e sa di non poterlo controllare senza dover incorrere agli occhi curiosi dei suoi compagni.
 

 
***

 
“Ha detto sabato
“Quindi avevo ragione”
“Non è questo il punto. Ha accettato”
“Sì che è questo il punto, è andata esattamente come ti avevo detto”
“Sta’ zitto, ‘Samu”

 
 
***
 
Venerdì dovrebbe essere una serata tranquilla. Divertente. Può usare Bokuto e Hinata come cavie per la sua cucina. Può portarsi avanti sullo studio della squadra avversaria, così almeno avrà qualcosa di intelligente da dire a Sakusa. Può iniziare a prepararsi psicologicamente.

La verità è che un completo fallimento: Hinata ha portato delle birre e quindi a metà del primo set sono già un po’ alticci, troppo sentimentalmente investiti nella partita per prestare seriamente attenzioni alle mosse precise dei giocatori: simpatizzano per l’asso, urlano tutte le volte che un libero riesce a prendere una palla particolarmente complicata, mandano qualche foto a Sakusa dicendogli che si sta perdendo una grande serata (Atsumu non è riuscito a fermarli) e Sakusa nemmeno risponde. Non visualizza nemmeno. Si dimenticano pure di dirgli se i suoi onigiri erano almeno commestibili. Come se non bastasse, casa sua è di nuovo un disastro, quindi il sabato mattina Atsumu lo passa a raccogliere briciole di riso e lucidare mattonelle.

Non l’ha mai fatto prima. Cioè, l’ha fatto domenica scorsa, e anche un po’ lunedì, quando si stava preparando per invitare Sakusa. Ma di certo non l’ha fatto quando sua madre è venuta a trovarlo dall’Hyogo e non pensava che l’avrebbe mai fatto, almeno prima che Sakusa si unisse alla squadra.

E quello era il minimo sindacale, un requisito basilare per convincere Sakusa anche solo ad avvicinarsi a lui. Poi ci doveva mettere qualcos’altro. Tipo una cucina non velenosa. Un bel faccino (che non guastava mai, no?). Un po’ di silenzio (visto che lo trovava carino quando stava zitto). La promessa di non toccarlo, sicuramente. Quella è la regola non scritta del team. Nessuno tocca Sakusa, o quantomeno ci prova. Be’, Hinata ancora ci prova, ogni tanto, ma comunque non ci riesce.

Almeno ha accettato, no? Certo, lo aveva messo in quella situazione imbarazzante con Bokuto e Hinata, ma si era premurato si dargli un secondo appuntamento. Una possibilità. Questo sicuramente deve significare qualcosa, ma non sa bene dire cosa.

Sabato pomeriggio è un incubo. Ogni volta che gira gli occhi gli sembra di vedere polvere. Spazza sul pianerottolo per evitare che entri polvere quando gli aprirà la porta. Spolvera il davanzale, giusto in caso Sakusa voglia affacciarsi (il suo appartamento dà sulla strada, non c’è molto da vedere) (ma, nel dubbio). Cinque minuti dopo un piccione decide di cagare sul davanzale. Atsumu impreca e caccia guanti e spugna. Il prossimo piccione che si avvicina sarà un piccione morto, decide.

Quando Sakusa verso le sei gli manda un messaggio per chiedergli l’indirizzo, Atsumu a stento crede che stia succedendo davvero. Non c’è niente di cui essere nervoso, si dice. È solo un compagno di squadra. È solo un ragazzo che gli piace. Non è detto che debba stare con lui per il resto dei suoi giorni (non è detto che starà con lui). Ma sarebbe felice se magari anche Sakusa-, se-, ecco-, be’, se anche Sakusa provasse qualcosa per lui, oltre a divertirsi flirtando con lui.

 
***
 
 
“Se mi trovasse fastidioso?”
“Tu sei fastidioso, ‘Tsumu”
“Anche tu”
“Però io ho un fidanzato”
“Non è che se me lo rinfacci diventano due. Ah, ecco, ha bussato”
 
 
***
 

«Ehi, Omi-kun!», lo accoglie, aspettando pazientemente alla soglia che Sakusa si togliesse le scarpe.

«Miya.», lo saluta, e Atsumu non può non imbronciarsi.

«Non sono più ‘Tsumu?», chiede, guardandolo pieno di aspettativa. Se adesso nel team tutti chiamano Sakusa “Omi-kun” è perché Atsumu ha cominciato subito a chiamarlo per nome. Sakusa-kun era troppo asettico, e sembrava che gli stesse venendo una sincope ogni volta che lo chiamava.

«Atsumu.», concede Sakusa, pur riluttante. Poi gli ficca un pacchetto in mano. «Sono mochi.», spiega. «Li ho fatti io.»

«Fighissimo! Sono sicuro che siano buonissimi!», commenta entusiasta.

«Tsk.»

«Non farmi “tsk”, Omi-Omi! Tu non sei convinto che i miei onigiri saranno buonissimi?»

«Assolutamente no.», commenta Sakusa, un sorrisetto sornione stampato in viso. «Ma sono stato disposto a correre il rischio. Ritieniti fortunato, Atsumu

C’è un tono di superiorità, nel modo in cui pronuncia il suo nome, che dovrebbe fargli venire voglia di fare a pugni. Se suo fratello dicesse il suo nome così, adesso già si starebbero rotolando sul pavimento. Invece lo dice Sakusa e tutto quello che vuole è rispondere che sì, effettivamente, lui è l’uomo più fortunato del mondo (è in ogni caso un passo avanti rispetto al monocorde “Miya” con cui si è rivolto a lui da quando lo conosce) (certo è ancora lontano dal suo obiettivo finale) (si sta avvicinando, almeno).

Gli mostra la cucina, poi il salotto e Sakusa non commenta nulla di troppo cattivo, se non che le sue piante sembrano un po’ abbandonate a se stesse (quindi è tutto pulito) (quindi non ha sbagliato niente, per ora).

Mette immediatamente il video della prima partita, perché in fondo lui è una frana nella socializzazione (lo è anche Sakusa, forse per questo potrebbero piacersi) (starebbero bene insieme). Ecco, senza tutta la confusione di Hinata e Bokuto è più facile concentrarsi. Alcune giocate ancora le riconosce.

«Il loro libero», commenta, «è bravissimo. Però tu non dovresti avere problemi, no?»

Le ha ricevute solo durante gli allenamenti, le schiacciate di Sakusa, ma sa che non sono facili da bloccare. È che riesce a mandarle in angoli spaventosamente precisi, oppure in una posizione opposta a quella del suo corpo, ed è semplicemente un incubo, doverlo fermare.

Invece di accettare il complimento, o rispondere qualcosa di molto carino, tipo che lui non ha mai problemi perché le alzate che riceve sono perfette, Sakusa cambia immediatamente argomento, studiando la rotazione di partenza del primo set.

Alla fine, be’, non è che va male. Ma non va neanche bene. Certo, ottiene l’importantissima informazione che sedersi sullo stesso divano è accettabile, se mantengono le dovute distanze. Ottiene l’ancora più preziosa informazione che l’onigiri al tonno non era terribile, ma Sakusa preferisce quelli al salmone. Però non riesce a dirgli che gli piacerebbe, vederlo di nuovo così, solo loro due, senza allenamenti né compagni di squadra. Di certo non gli dice che gli piace, ma proprio tanto, perché non si crea l’atmosfera giusta e Atsumu non è il tipo che arronza le cose. Sicuramente avrà un’altra occasione. Perché non dovrebbe dargliela? È andato tutto bene, in fondo. Nei prossimi giorni si impegnerà anche a prendersi cura delle piante, così sembreranno perfette, la prossima volta.

 
***
 
“Allora, gliel’hai detto?”
“Cosa? No, ovviamente no!”
“Cagasotto! Che ci vuole a dirgli che ti piace? Mica è difficile”
Mica è difficile”, lo scimmiotta Atsumu, mentre sente una serie di rumori dall’altra parte della cornetta.
“Non ascoltarlo, ‘Tsumu”, commenta Rintarou. “Gliel’ho dovuto dire io, che gli piacevo, altrimenti anche lui era ancora disperatamente solo”
“Io non sono disperatamente solo!”, protesta, ma la sua voce è persa nel suono di una piccola zuffa.
 
***
 
Diciamo che lui non è disperatamente solo, ma a volte si ci sente. Per cui, un paio di settimane dopo quel primo fatidico appuntamento (non crede che per Sakusa sia un appuntamento) (non crede che qualcuno sano di mente lo consideri un appuntamento), dopo volte in cui Sakusa ancora si ostina a chiamarlo Miya (soprattutto davanti al resto della squadra) e dopo aver trionfalmente vinto la partita per cui si stavano preparando (ha provato ad usare delle alzate un po’ più alte, giusto un pelino, un paio di centimetri) (effettivamente Sakusa aveva ragione, ma le sue alzate sono comunque sempre perfette), si sente pronto a chiedere un secondo round. Senza dover usare la scusa di una squadra avversaria da studiare, magari.

Gli manda un messaggio, così deve evitare la fatica di trovarlo da solo in palestra, e può anche non preoccuparsi di Hinata e Bokuto, che ogni tanto ancora rinfacciano a Sakusa di averli abbandonati.

Perché no?, gli risponde Sakusa, ed è tutto quello che gli ci vuole per fiondarsi nello sgabuzzino a recuperare guanti e detersivi, pronto a combattere polvere, briciole e piccioni. Si assicura di comprare del salmone per gli onigiri e di annaffiare quotidianamente le sue piantine. Nemmeno lo dice ad Osamu, che tanto non è mai d’aiuto. Lo prenderebbe in giro, al massimo.

Perché no?, gli ha detto Sakusa, e sembra quasi una promessa. Non ha motivo di rifiutare, non ha motivo di allontanarsi. Magari, in fondo, gli piace. Magari si è affezionato. Magari no.

Quando finalmente arriva, gli mostra tutto contento le sue piante, che onestamente sembrano anche di quando i suoi gliele hanno regalate. Sakusa sembra sinceramente divertito e alza un braccio, forse per dargli una pacca sulla spalla, forse per scompigliargli i capelli. Atsumu non lo sa e non lo saprà mai, perché improvvisamente Sakusa si immobilizza e poi abbassa lentamente il braccio.

«Ho fatto gli onigiri al salmone.», gli annuncia, per smorzare un po’ di quella tensione. Sakusa annuisce distratto, lo sguardo fisso sulla mano che aveva appena alzato. «Non sono buoni come quelli di mio fratello, però-», insiste (per lui è stato sempre difficile socializzare come le persone normali) (e Sakusa non sta collaborando).

«Ti va qualcosa da bere?», gli propone, aprendo il frigo e cacciando un paio di birre (lo sa che sono atleti e non dovrebbero bere) (ma quello che l’allenatore non sa, non può ferirlo). Sakusa sembra riprendersi sono nel momento in cui si ritrova la bottiglia sotto il naso. Assottiglia gli occhi.

«L’hai disinfettata?»

Atsumu lo guarda mortificato. Ovviamente non l’ha disinfettata. Sapeva che sarebbe andato storto qualcosa, prima o poi. Ritira la bottiglia e si ovvia verso la cucina. Apre la porta dello sgabuzzino e caccia i guanti e il disinfettante.

«Non ci avevo pensato.», si giustifica. Sakusa ride (è un risolino minuscolo) (Atsumu sa che si diverte quando è in difficoltà). Mette i guanti anche lui, gli fa vedere come disinfettare senza mancare nemmeno un angolo.

«Ma dopo la birra non sa di alcol?», chiede. Sakusa scrolla le spalle.

«Meglio dei germi.»

Atsumu non ribatte. Stanno per un po’ in silenzio, poi Atsumu ci prova davvero, a fare conversazione. Racconta vecchie storie di quando giocava al liceo, di come battibeccasse sempre con suo fratello. Del fatto che ogni tanto gli manca, l’Hyogo, che in fondo a Tokyo è tutto molto più frenetico. Più asettico.

«È la città più popolata al mondo, sai?», gli spiega. «Tokyo, intendo. Eppure sembrano tutti così distanti.»

«Meglio così.», borbotta Sakusa.

«Tu eri carino anche al liceo.», dice a un certo punto. Non sa nemmeno perché glielo dice. Si ricorda, dopo la finale dell’Interhigh che avevano perso, di aver rotto le scatole a suo fratello per un’intera estate, Sakusa qui e Sakusa là e Osamu aveva minacciato di cacciarlo di casa. Poi c’era stato l’allenamento alla nazionale giovanile e be’, Atsumu poteva dire che Sakusa Kiyoomi era davvero uno dei ragazzi più belli che avesse mai visto, poteva addirittura dire che in alcuni momenti la sua cotta per Sakusa superasse quella per Kita-san, ma Sakusa all’allenamento non aveva mai parlato con nessuno, aveva solo abbaiato qualche domanda su Ushiwaka a Tobio-kun. Per cui, uhm. Meglio mettere da parte la cotta per Sakusa. E l’aveva fatto, davvero. Finché non si era aggiunto alla squadra.

Questo ovviamente non glielo dice, perché se Sakusa è già completamente arrossito, se avesse detto altro avrebbe potuto prendere direttamente fuoco, o insultarlo (almeno sa che questo è un gioco che possono fare in due) (non deve essere sempre la sua vittima).

Sakusa si morde il labbro e lo guarda, molto intensamente, nonostante il rossore che gli raggiunge le orecchie. Sono l’uno di fronte all’altro, seduti a due capi diversi del tavolo, perché la distanza a quando pare non è mai abbastanza, nemmeno in una casa così piccola (Atsumu vorrebbe solo avvicinarsi un poco) (anzi, vorrebbe che Sakusa si avvicinasse) (spontaneamente).

«Perché non mi dici direttamente che ti piaccio?»

Adesso tocca ad Atsumu, arrossire, e balbettare qualcosa di completamente incoerente. Deve negare? può Sakusa, per una volta, smettere di metterlo in difficoltà? In fondo è in difficoltà anche lui. Tamburella nervosamente le dita sulla gamba, si rifiuta categoricamente di guardarlo.

«Atsumu.», lo chiama Sakusa, e lui guaisce come un animale ferito. È un animale ferito. Nell’orgoglio, almeno.

«Mi piaci anche tu.»

 
***

 
«Vuoi davvero dirmi che l’unica cosa che sai cucinare sono gli onigiri?», chiede Sakusa, poggiando una busta sul bancone della sua cucina. «Prendi il disinfettante.», gli dice. «Io vado a lavarmi le mani.»

Dopo il secondo appuntamento, ecco, Sakusa ha pensato che sarebbe stato carino mangiare qualcosa di diverso dagli onigiri. Il problema è che il miglior alleato di Atsumu in cucina è il forno a microonde, e da quando si è trasferito a Tokyo le uniche volte in cui non mangia cibi precotti o surgelati solo quelle in cui suo fratello si ferma da lui.  

Quindi Sakusa non solo si è offerto di cucinare, ma anche di insegnargli.

«So fare un po’ di tutto», gli spiega, dopo essere tornato dal bagno. «Perché, be’, non mi fido dei supermercati. Compro solo lo stretto necessario. E poi non si può vivere di surgelati.», aggiunge, guardandolo con rimprovero (Atsumu si fa piccolo piccolo) (promette che imparerà a cucinare davvero).

Lo osserva attentamente mentre taglia le verdure. Mentre prepara il brodo e cuoce la carne. Gli ha detto che mangeranno ramen. Atsumu pensa a tutte le confezioni di ramen istantaneo nella sua credenza. Poi cerca di non pensarci troppo.

Sakusa è un insegnante molto severo. Atsumu è davvero contento che giochi a pallavolo e non insegni in una scuola, perché altrimenti sarebbe stato l’incubo di ogni studente. Glielo dice, per scherzare.

«Mia madre avrebbe voluto.», commenta seccamente. «Non crede che questo sia un lavoro abbastanza serio. Dice che potrei perdere tutto al primo infortunio, e non ha tutti i torti. Per questo sono andato al college, prima di iniziare la carriera da professionista.»

Atsumu pensa a come sarebbe adesso, la sua vita, senza Sakusa. Sarebbe ancora il palleggiatore dei Black Jackals, questo è sicuro, però sente che gli mancherebbe qualcosa. Tipo qualcuno da cui farsi tormentare.

«Scommetto che tu eri un pessimo studente.», gli dice Sakusa, correggendo il modo in cui sta impugnando il coltello.

«Mio fratello era peggio di me.», ribatte.

Sakusa lo guarda dubbioso: «Non è una giustificazione.»

«Sono un ottimo alzatore, però.», chiarisce soddisfatto. Sakusa scrolla le spalle. «Dai, Omi-Omi!», insiste, «Non morirai per un complimento.»

«Okay, va bene. Sei un buon alzatore.», gli dice con tono monocorde, mentre gli fa segno di allontanarsi dai noodles che ha appena iniziato a cuocere.

«Ottimo.», s’impunta Atsumu (se lo può permettere) (sa che è un ottimo alzatore).

«Sì, okay, come dici tu.», borbotta Sakusa, distratto dai fornelli. «Vedi di non montarti la testa.»

 
***

 
“Quindi adesso state insieme?”
“Be’, no, non esattamente”
“Dio, ‘Tsumu, solo tu puoi complicare una cosa così semplice”

 
***

 
No, la verità è che non stanno insieme. Anche se tutte le volte che Sakusa lo chiama per nome Atsumu ascende ai cieli. Anche se Sakusa è a casa sua una sera sì e l’altra pure (non si ferma mai a dormire, ovviamente) (stanno sempre a quasi mezzo metro di distanza, sul divano) (Sakusa non ha mai nemmeno provato a baciarlo) (Sakusa non l’ha mai nemmeno toccato).

Atsumu non ha il coraggio di chiederglielo. No, non è nemmeno il coraggio, il problema. È che ha paura che Sakusa scappi. Che si senta costretto a doverlo toccare, a doverlo baciare, a doversi fermare da lui perché è quello che fanno le coppie. Ma non deve. Atsumu non vuole costringerlo. Gli piacerebbe, certo. Gli piacerebbe tantissimo. Ma se Sakusa non vuole, be’, possono stare a mezzo metro di stanza sul divano. Possono non toccarsi. Finché non sarà pronto (Atsumu ha paura che Sakusa non sarà mai pronto) (ecco, adesso vuole qualcosa che sa di non poter avere) (c’è cascato con entrambi i piedi).

L’altra sera hanno provato a fare del sushi, insieme. Sakusa è sempre più bravo, per quanto gli dispiaccia ammetterlo. Ma erano così vicini (perché la cucina è minuscola) e Atsumu è sicuro che si siano sfiorati, almeno un paio di volte (quindi) (quindi magari può proporgli) (non sa nemmeno lui cosa) (tenergli la mano?) (gli piacerebbe davvero tanto se Sakusa volesse tenergli la mano) (potrebbe piangere, se lo facesse).

«A cosa stai pensando?»

Ci sono momenti in cui Atsumu non vorrebbe essere così trasparente (gli piacerebbe mantenere un po’ di mistero) (magari così Omi-Omi lo troverebbe più figo) (invece è un libro aperto). Deglutisce, indeciso sul da farsi.

Si avvicina un po’. Sono solo una manciata di centimetri, ma scivola verso Sakusa abbastanza da farlo ritrarre.

«Non ho intenzione di toccarti.», spiega (anche se vorrebbe) (Dio, come lo vorrebbe). «Ma- potresti farlo tu? Toccarmi, dico.», termina. Ha la gola secca. Sakusa non gli è mai sembrato più distante. Vorrebbe solo che- che prendesse la mano che ha teso, a mezz’aria (che lo toccasse, vorrebbe che lo toccasse).

«Sono pulito.», assicura, giusto per smorzare l’aria tesa. Sakusa lo guarda indeciso.

Forse è stata una cattiva idea (“tu hai sempre cattive idee”, gli direbbe Osamu) (ma adesso Osamu non c’è) (c’è Omi-kun, che è infinitamente più spaventoso di suo fratello). Alla fine sta per abbassare il braccio (in fondo non c’è niente di male) (ha solo chiesto) (Omi-kun può anche rifiutare) quando Sakusa lo ferma.

«Aspetta!», gli dice, e Atsumu sente di poter restare fermo in quella posizione fino al prossimo Natale. Anche se già gli sta venendo un crampo. «Lo so, che sei pulito.», borbotta Sakusa, prendendogli la mano. «È solo», inizia a spiegare, giocando con le sue dita (Atsumu potrebbe morire) (morirebbe felice, davvero), «che non sono molto abituato. A toccare le persone.»

«L’avevo immaginato.»

«Be’, non c’è bisogno di essere un genio per riuscirci.»

«Omi-kun, così mi ferisci!», esclama, portandosi la mano libera al petto. In questo momento, mentre ride e continua ad accarezzargli piano il dorso della mano, Sakusa non sembra così distante.
 

 
***

 
“Mi stai dicendo che prima di oggi non ti aveva mai nemmeno toccato?”
“Puoi non farla sembrare una cosa così scandalosa?”
“’Tsumu, vi frequentate da quattro mesi”
“Tra una settimana saranno cinque”
“Appunto: tu conti i giorni da quanto ti ha detto che gli piace e lui non riesce nemmeno a toccarti. È una follia!”

 
***
 

Non è una follia. Certo, Atsumu sa che non tutte le coppie funzionano così (in realtà loro sono gli unici), ma in fondo ognuno ha i propri tempi. Lui e Sakusa hanno il loro. Non tutti riescono a vivere felicemente con il fidanzatino del liceo. E poi a lui va bene così. Certo, è un po’ presto per sbilanciarsi, ma potrebbe dire di essersi innamorato di Sakusa (in realtà lo pensa e basta) (ma potrebbe anche dirglielo).

Sakusa è gentile (gli ha portato una crema per le mani, quando gli ha detto che era iniziata la stagione in cui le cuticole diventano secche), è anche fastidioso (battibeccano sempre durante gli allenamenti), è un ottimo cuoco (sì, è più bravo di suo fratello, perfino nel fare onigiri). Quando lo guarda Atsumu sente che potrebbe sciogliersi da un momento all’altro. Ma non è mai molto vocale sui suoi sentimenti. Non lo sa, Atsumu, se Sakusa prova le stesse cose. Non sa se quando gli prende la mano lo fa perché è quello che vuole davvero, o solo perché gliel’ha chiesto.

«Ti sei lavato i denti?», gli chiede Sakusa, appena si è tolto le scarpe.

«Sì? Certo che mi sono lavato i denti, Omi-kun, ma che razza di doman-»

Il resto della sua protesta muore. Anche Atsumu sente di morire un po’, perché lo ha appena baciato. Sì, okay, è stato un attimo, è durato così poco che potrebbe sembrare un’allucinazione (magari è davvero un’allucinazione). Si è avvicinato e gli ha appena sfiorato le labbra. Atsumu non se l’aspettava. Davvero, aveva previsto che dovessero passare un altro paio di mesi anche solo per chiedergli un bacetto sulla guancia. E invece.

Sta sorridendo come uno scemo. Sa di starlo facendo. È questo l’effetto che gli fa. Lo rimbambisce.

«È stato-», inizia (inaspettato, vorrebbe dire. Bellissimo. Ti prego, fallo ancora), ma Sakusa lo interrompe.

«Non credo di voler accettare critiche.»

«È stato fantastico.»

Sakusa alza gli occhi al cielo e borbotta contrariato, perché ovviamente non gli crede. Atsumu si sente un po’ offeso, ma è troppo felice per farci caso. Magari può baciarlo di nuovo, prima di cena.
 

 
***

 
“Oh, be’, congratulazioni. Quindi adesso state insieme?”
“Cosa? Ah, be’, non è che ne abbiamo parlato”

 
***

 
Sakusa ogni tanto lo bacia (sono sempre baci rapidissimi) (Atsumu muore tutte le volte). Altre volte gli tiene la mano. Atsumu è più che contento di passare quasi tutto il suo tempo libero a pulire casa sua. Magari uno di questi giorni potrebbero anche andare a cena fuori. Oppure Sakusa potrebbe invitarlo a casa sua.

Hinata dice che ormai è evidente che sia innamorato (Bokuto ha chiesto: «Ma di chi?», quindi ancora spera di salvare la faccia). Sakusa ridacchia e durante gli allenamenti gli lancia un occhiolino. La tortura è la sua forma preferita di mostrare affetto. Almeno, Atsumu crede che sia affetto. Deve esserlo, altrimenti non si sarebbe mai spinto a baciarlo.

Un conto è toccare una mano, che, in fin dei conti, se si tratta di una mano disinfettata potrebbe farlo con chiunque. Potrebbe toccare la mano di Hinata. Quella di Bokuto. Quella di Meian-san (Atsumu non vuole pensare a Sakusa che tocca altra gente) (in fondo, trattandosi di Sakusa, è un gesto molto intimo) (non dovrebbe condividerlo con nessun altro). Un conto però è baciarlo, e stavolta Atsumu non gli ha chiesto niente, ha fatto tutto da solo (perché voleva?).

Stare insieme sul divano adesso è molto più semplice. Non c’è più mezzo metro di distanza tra di loro (solo pochi centimetri) (a volte le loro spalle si toccano). E anche più difficile. Ogni parola che dice potrebbe essere quella sbagliata.

«Omi-kun~», lo chiama, mentre Sakusa non può muoversi perché ha le mani nell’impasto del pane. «Ma noi, di preciso, cos’è che siamo?» (è da giorni che ci sta pensando) (Atsumu non può nemmeno toccarlo) (non è che se lo accettasse come fidanzato si farebbe toccare) (Atsumu lo sa) (Omi non fa sconti a nessuno) (però magari può essere lui a volerlo).

«Mhh.», commenta Sakusa, poi caccia la mano nel pacco di farina e gliene butta un po’ sul naso. «Tu sei un idiota.»

«Cattivo!», protesta (vorrebbe abbracciarlo) (vorrebbe tirargli addosso della farina).

«E io», continua, ignorando le sue proteste, «sono innamorato di un idiota.»

Atsumu sente il bisogno di sedersi. Si accascia proprio affianco a Sakusa. Lo guarda, mentre impasta con più forza, come se cercasse di passare all’impasto l’imbarazzo del momento.

«Anch’io.», dice dopo un po’. Alza gli occhi e si trova di fronte solo uno sguardo ironico. «Nel senso che- uhm, tu non sei un idiota. Però- uhm. Ecco. Devo proprio dirlo?», chiede.

Sakusa sta sorridendo (dovrebbe sorridere così per sempre) (senza malizia, senza sarcasmo).

«Sono innamorato di te.», ammette infine. «Anzi», si corregge, e non sa proprio da dove stia venendo quest’idea (ma è sempre stato un tipo impulsivo), «Credo di amarti, Omi-kun.»
 

 
***
 
“Gli hai detto che cosa?”
“Che lo amo”
“E lui?”
“Ha detto grazie
 
***
 
Quel grazie, onestamente, era più di quanto si aspettasse (si aspettava che Omi-kun non gli parlasse più) (che scappasse dal suo appartamento). Invece era rimasto. Adesso Atsumu sta valutando l’idea di presentarlo ufficialmente a suo fratello. Se non lo lascerà allora, be’, allora ci sono poche probabilità che lo faccia in futuro.

«Non so.», risponde Sakusa, quando glielo propone. «Sa un po’ troppo di ufficiale.»

Atsumu sospira (Sakusa si sta allontanando di nuovo) (non vuole che Sakusa si allontani) (vorrebbe solo che si avvicinasse) (che lo potesse toccare).

«Dov’è che hai detto che ti fa male?», gli chiede poi. Atsumu indica il punto tra il collo e la spalla che gli ha fatto passare l’inferno negli ultimi giorni. Sakusa si è offerto di fargli un massaggio. Atsumu non se l’è fatto ripetere due volte.

«Devo togliermi la maglietta?», propone, stendendosi supino sul suo letto.

«No, non è necess-», Sakusa si ferma, guardando la sua faccia speranzosa. «Hai fatto la doccia?»

Atsumu annuisce vigorosamente, imprecando poi per il muscolo contratto. Sakusa sospira.

«Puoi toglierti la maglietta.», concede, e gli sale sulla schiena per arrivare meglio alle sue spalle. La pomata che usa è fredda (ma le sue dita sono così delicate) (per la prima volta non gli dispiace soffrire di torcicollo). Poi la forza che usa per massaggiarlo aumenta e Atsumu non può fare a meno di gemere dolorante.

«Da quanto stai pensando di presentarmi a tuo fratello?», gli domanda, mentre continua a cercare di sciogliere i suoi muscoli (fa davvero male) (ma non l’ha mai toccato così a lungo) (non vuole davvero lamentarsi).

«Da un po’.», confessa. Sakusa non risponde per qualche minuto (adesso lo sta proprio uccidendo) (Atsumu sa che è necessario) (ma fa male comunque).

«E vorresti presentarmi in qualità di…?»

«Fidanzato?», tenta, sperando di non morire nel mentre. Sakusa Kiyoomi è il suo fidanzato. Altrimenti non starebbe cercando di ucciderlo nel tentativo di fargli passare il torcicollo (questa è una cosa che non farebbe mai fare ad Hinata) (o a Bokuto) (probabilmente nemmeno a suo fratello).

Adesso gli sta massaggiando le spalle. Questo è piacevole. Molto piacevole (non ammetterà mai di essersi tolto la maglietta per questo preciso motivo). Le sue mani sono sulle scapole, poi scendono lungo la colonna vertebrale, risalgono e scendono ancora un po’. Atsumu sente la testa molto leggera. È sicuro di non aver bevuto (anche se c’era una bottiglia di sakè in giro) (è pronto a giurare che non è per quello). Infine gli dà un pizzicotto sul fianco destro.

«Io ho finito.», annuncia. «La crema dovrebbe fare effetto entro poco minuti.», afferma, rotolando giù dal letto.

«Omi-kun~», lo chiama (ha ancora la testa molto leggera) (vorrebbe soffrire il torcicollo più spesso). «Posso toccarti?», chiede, con un lamento (un po’ si pente di averglielo chiesto) (non vuole costringerlo a dirgli di sì) (vorrebbe solo toccarlo) (potrebbe morire se gli dicesse di sì).

Sakusa non gli risponde. Lo studia per un po’ (lo fa sentire un insetto) (piccolo e sporco) (Atsumu sente il bisogno di una doccia, adesso) e poi si siede accanto a lui. Atsumu si tira dritto a sedere, in attesa. Poi Sakusa porge una mano verso di lui e l’abbandona tra le sue (Atsumu non sa che dire) (ha paura di toccarlo) (gliel’ha letteralmente appena chiesto) (si sente una damigella vittoriana).

La prima cosa che fa è piegargli un po’ la mano, studiare meglio il fatidico polso che lo rende uno dei migliori giocatori del campionato. Sakusa ride.

«Sei un sempliciotto.», borbotta.

Atsumu intreccia le loro dita e sospira. Non dovrebbe fargli questo effetto, tenergli semplicemente la mano. Invece riesce a sentirsi il cuore in gola. Quasi non riesce a guardarlo.

«Ci ho pensato anch’io.», gli dice a un certo punto Sakusa, stringendo la sua mano a sua volta. «A questo.», specifica, indicando le loro mani giunte. «A presentarti ai miei.», aggiunge, mentre Atsumu quasi non riesce a sentirlo (e che gli batte davvero tanto, il cuore) (gli farà venire un infarto). «A una relazione ufficiale.», continua, ignorando completamente il fatto che Atsumu sia vicino al collasso.

«Omi-Omi~», protesta Atsumu, «non puoi dire una cosa del genere così!»

Sakusa lo spintona un po’, poi resta appoggiato alla sua spalla. Potrebbe essere sempre così. Sarebbe facile, se fosse sempre così.

«Ce la fai a farmi finire di parlare senza esplodere?», chiede, fingendosi scocciato.

«Dipende da quello che vuoi dire.», mugola Atsumu (non pensa di poterglielo promettere) (sta davvero per esplodere).

«Che ti amo, idiota.», sussurra, sporgendosi per dargli un bacio sulla guancia. Poi ritira la mano e si alza. «E adesso credo di aver bisogno di una doccia.», commenta, dirigendosi verso il bagno (Sakusa un paio di settimane fa ha portato un accappatoio e uno spazzolino nuovo) (giusto per le emergenze).

Però, adesso, anche se sono effettivamente distanti (sono in due camere diverse), Sakusa non gli è mai sembrato più vicino. Alla fine non era fisica, la distanza che dovevano ricoprire, pensa (era, ovviamente, emotiva). Per cui non importava, quanto si avvicinasse Sakusa (o quanto si avvicinasse lui), l’importante era percorrere quella distanza insieme. Fare un passo, per quanto piccolo, l’uno verso l’altro.
 

 
***
 

“Quindi mi stai dicendo che adesso vuole conoscermi?”
“Solo se ti lavi le mani prima di stringergliele”
 
 
  
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