3.
Achille bussò alla porta
della villa di Athena
proprio mentre questa, dall’interno, veniva aperta da Apollo.
I due, sorpresi parimenti, si
squadrarono per
alcuni attimi prima dell’intervento di Alessandra,
visibilmente incinta, che si
mise in mezzo per celiare: «Sembrate due filetti di
baccalà, in questo momento,
lasciatevelo dire.»
Riscuotendosi a sufficienza per
sorridere alla
mortale, Apollo ammise: «La sorpresa è stata
così grande che persino io mi sono
lasciato andare a un’espressione ben poco consona per la mia
bellezza. Tu,
piuttosto, mia pupilla, come stai?»
Sorridendo divertita mentre Achille
grugniva un
brontolio incomprensibile, Alessandra si tastò il ventre
arrotondato e chiosò:
«Mi sento una balena spiaggiata e non riesco più a
guidare la mia auto da rally
ma, per il resto, va tutto bene. Athena, piuttosto?»
Tornando serio, Apollo li
invitò a entrare e
domandò loro: «Resiste. Voi, piuttosto, come avete
saputo?»
«Memnone era in visita,
l’altro ieri, e ci ha
informati» dichiarò a quel punto Achille,
chiudendosi la porta alle spalle.
Rammentando l’amicizia
tra i due, Apollo assentì
senza chiedere altro e, dopo aver accompagnato la coppia in salotto
– dove si
trovavano un paio di cugini di Felipe, oltre a Efesto –
disse: «Vi lascio in
loro compagnia. Io vado a recuperare quelle malandrine delle mie
nipoti. Hanno
rubato le reti da caccia della madre e, mentre giocavano nel bosco, ci
sono
finite sotto, così non riesco a trasmutarle a casa,
né loro riescono a
sfuggirne.»
Alessandra sbatté
perplessa le palpebre ed esalò:
«Stavo per chiederti come hanno fatto a rubarle, ma
preferisco non sapere, in
effetti.»
«E’
meglio… quelle due riescono a fare cose fuori
dalla grazia di qualsiasi dio» le assicurò la
divinità, scuotendo esasperato il
capo. «Prega che il piccoletto lì dentro sia
più calmo.»
Ciò detto,
uscì a grandi passi, le mani nelle
tasche posteriori dei jeans e l’aria di una persona che aveva
bisogno di una
lunga, lunghissima passeggiata per
schiarirsi le idee.
Non era quindi strano che Apollo
non si fosse
trasmutato fino al luogo in cui si trovavano le gemelline; aveva
bisogno di
tempo per stare da solo, e in santa pace, e una passeggiata per il
bosco era
l’ideale.
Nel salutare i presenti, quindi,
Alessandra e
Achille chiesero lumi in merito alla situazione e, quando anche Athena
e Anita
fecero la loro apparizione, la coppia le salutò con calore.
«Non dovevate disturbarvi
a venire, specialmente
nelle tue condizioni» sospirò Athena, lanciando
un’occhiata turbata ad
Alessandra, che però si schernì.
«Oh, non devi pensarci!
E’ come se non ci fosse! O
meglio, c’è perché non riesco
più ad allacciarmi le scarpe con un po’ di
grazia, ma per il resto è tranquillo e scalcia
pochissimo.»
«Sapete
già?»
«Un maschio. Il problema
è che abbiamo ancora
diversi dubbi sul nome» ammiccò Alessandra,
lanciando un’occhiata ad Achille,
che si adombrò in viso.
«Lei ritiene che Peleo
sia davvero fuori
discussione» brontolò Achille, intrecciando le
braccia sull’ampio torace.
Scoppiando a ridere, Athena
esalò: «Lo credo bene,
Achille! E’ un nome davvero desueto!»
Persino Efesto si
dichiarò d’accordo e, sorridendo
alla coppia, domandò: «Perché, molto
semplicemente, non scegliete un nome che
non provenga dalle vostre famiglie? Scelto il primo, potrete mettere un
secondo
e terzo nome con i nominativi dei vostri padri, ma il primo
sarà quello più
usato, e su quello non dovrete litigare perché
sarà del tutto nuovo, per voi.»
«Tu cosa
consiglieresti?» domandò allora Alessandra,
rivolta al dio del fuoco.
«Beh, Alessandro, visto
che la mamma del pargolo è
così bella, e ha un nome così bello e
importante» ironizzò Efesto, facendo
scoppiare a ridere la donna.
Athena e Anita sorrisero
nell’annuire e Achille,
con un sospiro, lanciò un’occhiata ai cugini
gemelli di Felipe – Amos e Jorge –
domandando: «Voi che dite?»
«Che, con una
così bella mujer, non
puoi che dire di sì» chiosò Amos, e
Jorge fu più che
d’accordo.
Achille allora sospirò
e, con una scrollata di
spalle, dichiarò sconfitto: «Sapevo che sarebbe
finita così. E Alessandro sia.»
Alessandra gli diede un bacetto
sulla guancia,
gorgogliando un ‘grazie’
prima di
tornare seria e, rivolgendosi ad Athena, domandò:
«Si hanno notizie?»
Lei scosse il capo e
replicò: «Siamo al quinto
giorno, e ancora Moros non ha riaperto i lembi del mantello. Dice che
non c’è
nessuno, all’altro lato, perciò non ci pensa
nemmeno a far sbirciare a
qualcuno.»
Scuotendo il capo, Achille
borbottò: «La cosa più
difficile di tutte è l’attesa. Scontrarsi sul
campo di battaglia non era mai
così tedioso come l’aspettare che i corni
suonassero la carica.»
«Ti capisco»
assentì Athena, scuotendo il capo. «Se
potessi, sfonderei le porte del regno di Chaos e raggiungerei mio
figlio alla
testa del mio esercito, con la spada in una mano e il mio scudo di
Medusa
nell’altra, ma non si può fare.»
Achille annuì
comprensivo, prima di domandarle con
un mezzo sorriso: «Da quant’è che non
imbracci un’arma, mia signora?»
Levando un sopracciglio con aria
dubbiosa, lei
esalò: «Beh, da quando evitai che Apollo ti
accoppasse con una delle sue
frecce, in effetti.»
«Allora, col dovuto
rispetto, è passato troppo
tempo. Vieni con me, mia signora, e tira di spada con il tuo protetto,
come
facemmo un tempo nelle terre dell’Ellade» la
pregò Achille, levando una mano
verso di lei.
Dubbiosa, Athena osservò
quella mano non sapendo
bene che fare ma, nel trovare il plauso di Anita nei suoi occhi scuri,
acconsentì
con un mezzo sorriso e disse: «Accetto il tuo invito, mio
pupillo… ma avrai
bisogno di un upgrade al tuo
abbigliamento. Jeans e felpa non sono l’ideale.»
Ciò detto si
levò in piedi, schioccò le dita e,
sotto lo sguardo sorpreso di tutti, Achille tornò a
indossare la sua possente
armatura. Una corta spada - chiamata kopis
– riapparve al suo fianco, assieme allo scudo
legato al braccio, su cui
spiccavano bracciali di cuoio incisi a fuoco.
Pesanti schinieri proteggevano le
sue tibie, mentre
calzari di pelle tornarono a fasciare i suoi piedi, già
pronti a correre nella
radura per allenarsi come un tempo.
Alessandra lo ammirò
senza parole mentre il marito,
muovendosi lentamente per riprendere confidenza con il peso di
quell’attrezzatura un tempo a lui ben nota, sorrise divertito
e chiosò: «Non
sto neppure male, dopotutto.»
Athena annuì, replicando
con ironia: «Ti sei
mantenuto in forma, mio pupillo, ma non basterà a mettermi
in difficoltà.»
Nell’ammiccare, uno
scintillio argentato la avvolse
e, in un batter di ciglio, Athena tornò a essere la dea
della guerra, colei che
aveva guidato guerrieri e vinto battaglie.
Achille si inchinò
spontaneamente, mormorando
ossequioso: «Sono qui per servirti, mia signora.»
«Onora il tuo nome,
Pelide Achille, e concedimi
requie da questo imperituro dolore» sospirò la
dea, avviandosi fiera verso
l’esterno della villa, subito seguita da Achille.
Lo sparuto gruppetto rimase in
religioso silenzio
finché non li vide uscire, dopodiché Anita
mormorò: «Ha fatto bene a chiederle
di scuotersi un po’. Stava davvero deperendo, senza
novità da parte di Érebos.»
«Achille è
voluto assolutamente venire anche per questo.
Dopotutto, lui conosce da molto tempo la sua dea» sorrise
speranzosa
Alessandra, prima di domandare: «Andiamo a vedere? Non ho mai
visto un
combattimento di questo genere.»
«Poco ma
sicuro!» assentirono i gemelli, mentre
Jorge offriva il braccio ad Alessandra.
Anita li lasciò andare
e, quando fu finalmente
sola, intrecciò le mani per una preghiera silenziosa. Ognuno
aveva i propri
modi, per trovare la pace dal dolore.
***
Acaste sorrise gentilmente ad
Aiolos, quando lo
vide avvicinarsi a lei e Zéphyros.
Ormai da giorni si trovavano nei
Campi Elisi e, per
non disturbare troppo le anime ivi presenti, le varie
divinità si erano ridotte
a stazionare la maggior parte del tempo entro i confini del tempio
delle Moire.
Miguel non aveva mai abbandonato il
divino gruppo
e, a turno, tutti loro avevano passato del tempo con lui. Acaste aveva
così
scoperto nel padre di Alekos un uomo ricco di interessi e di profonda
cultura,
oltre che una persona allegra e dall’indole gentile.
In lui, Acaste aveva rivisto molte
caratteristiche
di Alekos, ma anche peculiarità uniche soltanto a Miguel e
che, sicuramente,
avevano conquistato a suo tempo il cuore di Athena.
«Come sta?»
mormorò Aiolos, indirizzando
un’occhiata all’addormentato vento di primavera.
Acaste indirizzò
un’occhiata al poco lontano Hypnos
e replicò: «Si è assopito non appena ha
abbassato la guardia per un attimo. A
turno, Hypnos ci sta facendo dormire tutti. Da quel che ho capito, non
vuole
accumuli di nervosismo in uno spazio ristretto come la zona del tempio
delle
Moire.»
Aiolos assentì,
continuando a osservare la mano di
Acaste che, gentilmente, carezzava i riccioli chiari di
Zéphyros. Sorridendo,
poi, dichiarò: «Sei stata un’autentica
manna dal cielo, per lui. Zéph è stato
colui che più di tutti, tra noi, ha faticato ad accettare la
prigionia e,
grazie a te, gli è diventato più leggero
contemplare il futuro, perennemente
legato com’è all’isola di
Salina.»
Acaste sorrise nel lanciare
un’occhiata alla
personificazione del vento dell’ovest e, annuendo,
chiosò: «Lui lo è stato per
me in egual modo. Per millenni mi sono rifiutata di uscire dai mari,
timorosa
di fare la fine delle mie sorelle, innamoratesi di mortali e poi
ridotte in
lacrime dalla loro scomparsa. Non volevo ridurmi a quel modo
perché credevo –
erroneamente – che fosse sciocco lasciare che il proprio
amore cadesse nelle
mani di coloro che non potevano reggerne il peso.»
Aiolos assentì
pensieroso, sedendole al fianco e
intrecciando le braccia sulle ginocchia ripiegate. Acaste
ammiccò al suo
indirizzo per un attimo prima di aggiungere: «Ero davvero
superficiale,
all'epoca!»
«Non avevi ancora fatto
le tue esperienze. Cosa ti
fece cambiare idea?»
«Alekos» ammise
lei. «Mi mostrò come fosse bello vivere
in mezzo ai mortali, e quanto il loro mondo potesse offrire attrattive
e
curiosità. Ammise con me di avere le mie stesse paure, e di
non ritenersi
abbastanza coraggioso dal lasciarsi andare ad amori anche effimeri con
le
amiche mortali… non come la madre, per intenderci, che aveva
donato il suo
cuore a Miguel.»
Insieme, quindi, osservarono
l’anima di Miguel, nei
pressi dell’entrata del tempio e in compagnia di Artemide ed
Era.
«La mortalità
spaventerebbe chiunque, soprattutto
noi, che non ne comprendiamo appieno il peso» ammise Aiolos,
battendole una
mano sulla spalla.
«Parlare con Miguel
è stato illuminante e, mio
malgrado, ho dovuto ricredermi anche sulla nostra supposta
superiorità. Su
molte cose, siamo assai limitati» si irrise Acaste,
sorridendo mesta. «Ora,
comprendo molto di più come Athena possa averlo amato, e
come lui possa averla
resa felice… e questa consapevolezza mi sta aiutando a
comprendere meglio che
rapporto voglio avere con Zéph.»
«Spero sia una
consapevolezza positiva» si
arrischiò a dire Aiolos.
Acaste annuì con un
risolino, asserendo: «Dare
molto più peso al tempo passato assieme è un
particolare a cui, in precedenza,
non avrei pensato, visto che il tempo non ha importanza, per noi.
Invece, mi sono
resa conto che anche per noi ha un valore, e ho deciso di non dare
nulla per
scontato, e di vivere appieno ogni esperienza, ogni sensazione
provata.»
«Mi sembra
un’ottima cosa» annuì Aiolos.
«La
superficialità fu il mio errore e, proprio per questo,
condannai a imperitura
prigionia i miei amici. Se tu renderai più piacevole questa
eterna condanna a
uno di noi, io ne sarò felice.»
«Spero che la mia
amicizia renderà felici anche
voi» sottolineò per contro Acaste.
«Questo è
sicuro» assentì Aiolos prima di sospirare
sgomento quando, all’improvviso, una scossa tellurica
sommosse financo le
pareti dell’Oltretomba.
Acaste poggiò lesta le
mani dietro di sé per
sorreggersi mentre Zéphyros, ridestandosi di colpo,
balzò a sedere frastornato
ed esalò: «Ma che succede?!»
Tutte le divinità
presenti levarono lo sguardo in
direzione del tempio, mentre Poseidone usciva da esso con
l’aria sconvolta al
pari degli altri. Neppure lui – che pure era
l’Enosigeo – sembrava comprendere
i motivi di quella scossa.
Preoccupato, Aiolos
incrociò lo sguardo del padre
un attimo dopo ma, al suo dissenso, comprese la sua totale
estraneità a
quell’evento. Non era lui a scuotere la Terra a quel modo.
Chi, dunque, poteva tanto?
***
Athena incespicò nei
propri piedi quando una scossa
tellurica riverberò nel terreno, scuotendo i dintorni con la
stessa energia di
un’onda di piena lanciata sulla costa.
«Ma che
diavolo…?» esalò Achille, allargando i
piedi per mantenersi saldamente eretto.
Il tutto durò solo pochi
istanti, fu superficiale
quanto veloce, ma mise in allarme Athena che, turbata, inviò
un messaggio allo
zio, chiedendo turbata: “Ma che sta
succedendo, zio?”
“Non
è opera mia, Athena… e, se il terremoto
è
giunto fino a te, mi viene il dubbio che sia stato avvertito un
po’ ovunque, a
questo punto” replicò Poseidone,
turbato.
La dea fece tanto
d’occhi, a quelle parole, e
replicò ansiosa: “Vuoi
forse dirmi che…”
“Non
posso dirti nulla, Athena, perché non capisco
di che natura sia, quel terremoto. Le faglie non si sono mosse.
E’ come se
l’intero pianeta sia stato scosso dall’esterno il
che, capisci bene, ha del
folle.”
Athena si ritrovò
addosso gli sguardi turbati dei
presenti e, nell’affondare la lama della spada nel terreno,
ringraziò lo zio
per le informazioni ricevute e, ad alta voce, disse:
«E’ stato un rimbalzo
energetico di origine divina… ma non
è
venuto da uno di noi.»
«Esistono altri pantheon
che potrebbero averlo
fatto?» domandò turbata Alessandra.
Scuotendo il capo, Athena
replicò: «Vi sono diversi
dèi che camminano tra noi, e non tutti appartengono al mio
pantheon, ma nessuno
di loro ha causato questo bang
planetario. Li sento nella testa, e sembrano tutti equamente
confusi.»
I gemelli si guardarono
vicendevolmente con
espressione turbata e Achille, nel prendere accanto a sé la
moglie, domandò
alla sua dea: «C’è un pericolo
immediato?»
«In realtà,
non credo. Poseidone mi ha detto che le
faglie sono in ordine, non ne hanno minimamente risentito. Mi ha detto
che è
come se qualcuno avesse scosso la Terra come una palla di
neve» replicò Athena,
liberando man mano l’icore nel suo sangue.
«Non è molto
piacevole, come idea…» brontolò
Achille, prima di reclinare il viso quando il bagliore della pelle
della dea
divenne fastidioso da osservare. «Cosa stai facendo,
ora?»
«Mi sto concentrando per
tentare di capire a chi
apparteneva l’energia che ha scosso il pianeta»
mormorò Athena, mentre Anita li
raggiungeva nella vicina radura, il viso pallido e preoccupato.
La donna non si curò del
bagliore della dea e, una
volta raggiuntala, la afferrò a una mano – mentre
Athena escludeva quel punto
per non ustionarla col suo potere – ed esalò:
«Tesoro! Quel tremore era…»
Lei assentì torva,
tornò al suo precedente stato e,
nell’abbracciare la ex suocera, asserì:
«Sì. Era Alekos.»
***
Dioniso finì nuovamente
a terra, quando un tremore
titanico squassò tutto ciò che li circondava.
Mentre lo stesso Chaos si faceva
perplesso in viso di fronte a quell’esplosione improvvisa di
energia, la stella
si ingigantì fino a diventare grande quanto un palazzo di
sei piani.
Sgomento, Dioniso fissò
preoccupato Chaos che,
turbato suo pari, mormorò: «Si stanno scontrando.
E’ cominciata.»
«Scontrando?
Chi!» esalò Dioniso.
«L’umanità
di Alekos contro la sua divinità» gli
spiegò Chaos, stringendo le mani a pugno per
l’ansia.
«Quindi,
Eris…» ansimò Dioniso, afferrando un
braccio di Chaos con espressione atterrita.
«E’ viva, non
temere. Ma ancora non è riuscita a
farsi udire da Alekos.»
«E adesso? Che
succederà?»
Chaos lo fissò spiacente
e, scuotendo il capo,
replicò: «Davvero non lo so.»
***
Érebos si
levò come un falco dalla panca su cui era
rimasto assiso fino a quel momento e, livido in viso come mai era stato
in
tanti millenni di esistenza, si precipitò verso Moros con il
chiaro intento di
violare un altro tabù.
Aveva riconosciuto perfettamente
quell’onda di
energia, e non faticava a credere che anche Athena avesse compreso a
chi
potesse appartenere.
Alekos era arrivato a un bivio
della sua esistenza,
e nessuno di loro era lì per aiutarlo, e questo era
inaccettabile sotto tutti i
punti di vista.
Afferrato perciò il
figlio a una spalla, disse
perentorio: «Lasciami entrare. Non è
più tempo dei tentennamenti.»
Moros, però, scosse
lentamente il capo, scostò con
gentilezza la mano del padre e replicò: «Tu sai perfettamente che non posso farlo. Nel
momento stesso in cui tu
tentassi di entrare, il tuo corpo andrebbe in briciole, e ogni speranza
di vita
di Alekos finirebbe in quell’istante. Tu e lui non potete
trovarvi nello stesso
posto e allo stesso momento, ora come ora, od ogni cosa che
è stata messa in
moto dal gesto di Eris e Dioniso, verrà vanificata. Anche
tu, come gli altri,
dovrai attendere.»
Érebos lo
fissò in preda all’ira più nera, ma non
poté
che accettare le parole del figlio e, nello stringere a pugno le mani,
crollò
in ginocchio ed emise un grido pieno di rabbia e di dolore.
Nyx fu subito da lui e,
nell’avvolgergli le spalle,
lo scosse leggermente prima di dirgli: «Vai da Athena. Stai
con lei. Ora come
non mai, dovete stare insieme. Vigileremo noi sull’entrata, e
non abbandoneremo
mai l’avamposto. Te lo giuro.»
“Fai
come dice lei, Érebos. Rimarrò anch’io,
qui,
ma tu prenditi cura di Athena”
disse una voce alle loro spalle.
Le due divinità Ctonie
si volsero e, dinanzi ai
loro occhi, videro la figura luminosa di Miguel che, attorniata dalle
divinità
presenti nell’Oltretomba, si avvicinò e aggiunse: “Tu e lei dovete stare insieme, ora. A
questo fronte baderemo noi.”
Nel rialzarsi da terra, il dio
Ctonio assentì
brevemente e, dopo un ultimo sorriso a Nyx e un ‘grazie’
a Miguel, Érebos trasmutò per tornare a casa.
Fu solo a quel punto che Moros si
concesse il lusso
di lasciarsi andare a una lacrima ribelle e la madre,
nell’abbracciarlo,
mormorò: «Lo so, è difficile.»
«Non sopporto di vederlo
star male a quel modo, ma non potevo
farlo passare. Sarebbe morto! Sarebbero morti
entrambi!» sospirò Moros,
stringendosi con forza alla madre.
Nessuno dei presenti osò
dire qualcosa. Vedere il
compassato e intransigente Moros lasciarsi andare al dolore, era
qualcosa di
più unico che raro e dava l’idea della
pericolosità di quei momenti,
dell’instabilità stessa del futuro.
Per quanto vi fosse un potenziale
immenso,
all’interno delle mura del tempio delle Moire, non sarebbe
bastato per dirimere
la matassa infernale in cui, in quel momento, era invischiato Alekos.
Solo il tempo avrebbe detto loro quale risoluzione, quella specifica singolarità, sarebbe progredita nell’Universo.
N.d.A.:
Alekos sembra trovarsi davvero in guai seri, e i nervi di coloro che lo
stanno attendendo oltre le porte del regno di Chaos si fanno ormai
flebili. La tensione è alle stelle, e i messaggi che
giungono dal regno del Creatore non aiutano a rasserenarsi. Il tremore
che ha scosso la Terra stessa può essere solo foriera di
disastri... sarà in grado, Eris, di contrastare un simile
potere?