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Autore: Enchalott    07/04/2020    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La forza dell’abitudine
 
Anthos sedeva sul trono in posa autorevole e stranamente composta: il lungo mantello blu si adagiava sul pavimento in morbide piegature, lasciando intravedere a tratti il fodero argenteo della spada.
Il suo sguardo, nel quale fascino e forza inumana si intrecciavano indissolubilmente, era fermo sulle due persone inginocchiate ai piedi dello scranno, che tenevano il capo rispettosamente abbassato.
Adara, posta alla sua destra, sentì crescere la preoccupazione nello scorgere la tensione nel corpo minuto della giovane donna bionda genuflessa.
“Che cosa rammenti di Leabharlann, il luogo in cui l’antica Odhran conservava la propria identità?” domandò il reggente senza giri di parole.
Màrsali sollevò con timidezza gli occhi celesti, stringendosi sulle spalle lo scialle di lana decorato con motivi geometrici azzurri, che tuttavia non era sufficiente ad arginare il gelo della paura che percepiva in crescendo alla presenza del principe.
“Non molto, altezza. Mi sono recata lì soltanto un paio di volte” rispose con sconcerto.
“La storia della sezione proibita è vera?” incalzò lui.
La ragazza impallidì ulteriormente, come se il solo nome dell’ala interdetta dell’archivio le avesse arrecato un timore aggiuntivo.
“Sì, maestà” ammise con indecisione “L’ho sempre ritenuta una diceria, ma la mia defunta maestra ha confermato la sua esistenza e si è raccomandata di non tentare mai di oltrepassare quella soglia senza il consenso del Custode”.
“Bah, insulse avvisaglie…” sbuffò il reggente “Chi era l’ultimo deputato all’incarico?”.
“Non lo so, mio signore” sospirò lei, rammaricata “Ho posto la stessa domanda a Siavon e neppure lei, con tutta la sua conoscenza, ne era al corrente. Ha detto che il Custode mancava da almeno due generazioni…”.
“Impossibile” ribatté Anthos, duro “Se l’ingresso è preservato da un’interdizione, la presenza di un protettore si rende necessaria. Altrimenti sarebbero tutte fandonie prive di fondamento. La tua maestra non ha voluto coinvolgerti, indovina, quale che fosse la sua motivazione”.
Màrsali abbassò la fronte, intenerita dal ricordo affettuoso della sua insegnante e sgomenta per la probabile verità sancita dalla voce indifferente del principe.
Anthos ignorò la sua reazione viscerale e appoggiò il mento sulla mano, sorretta dal bracciolo ligneo, riflettendo a occhi socchiusi.
“Haffgan” continuò poi “Sei parimenti nativo di Odhran, sebbene ritengo tu sia vissuto distante da previsioni catastrofiche e scritti polverosi… Rammenti altro?”.
“Con poca chiarezza, maestà” rispose prontamente il demone delle carceri, dopo aver letto le labbra del sovrano “La mia memoria fatica a tornare indietro. Ma ricordo distintamente che mio nonno frequentava Leabharlann e ripeteva spesso che il Custode sarebbe comparso al momento opportuno per riaprire quella porta preclusa a tutti. Che era un bene che nessuno al momento ne conoscesse l’identità”.
“Tuo nonno…” ripeté il reggente, meditabondo “Qual era il suo nome?”.
“Niaal, altezza. È venuto a mancare quando ero ancora un ragazzino”.
Anthos aggrottò la fronte, come se stesse tentando di collegare tra loro quelle rade informazioni, poi scosse la testa, seccato.
“Non mi suggerisce nulla” sancì perentorio “Andiamo là. Le dicerie mi hanno davvero stancato. Se esiste un’entrata proibita, mi occuperò personalmente di interromperne il divieto. È la traccia della vera Gemma del Cielo a interessarmi, non le chiacchiere da noiosa serata in famiglia”.
Haffgan si inchinò senza obiettare, mentre Màrsali rabbrividì, atterrita. Rivedere il buco nero in cui si era dissolta tutta la sua vita precedente… rivivere il tragico attimo in cui il reggente aveva spezzato ogni vita nel perimetro del quartiere che era stato tutto il suo mondo… correre il serio rischio di attirare una visione incontrollata in presenza di Anthos e condannare se stessa e chi la amava alla stessa orrenda fine…
“Muoviti, donna!” grugnì rudemente il guardiano della prigione, apparentemente immune ad ogni coinvolgimento emotivo, interrompendo lo sgorgare delle rimembranze infelici “Non hai sentito il principe? Dobbiamo partire subito!”.
La veggente si alzò annuendo e seguì rapida il marito fuori dalla sala del trono.
Adara osservò di slancio il principe, che nel frattempo si era levato in piedi: il suo sguardo cupo abbracciava il paesaggio esterno, spazzato dalla pioggia.
“Intendi scavare nel baratro che tu stesso hai prodotto?” domandò incuriosita “Pensi di trovare nel sottosuolo qualcosa che si è salvato?”.
“Fatica sprecata” rimandò lui con un guizzo scaltro “Non ho nessun desiderio di nuotare nella melma, come puoi immaginare”.
“Ma allora…?”.
Anthos si voltò, scrutandola con astuzia e con lieve ironia.
“Mh… hai visto di cosa sono capace” mormorò “Né il fango né la cenere sono in grado di arrestarmi. Usa la fantasia”.
La mente della principessa si riempì dell’immagine di lui che apriva faticosamente le mani, tra le quali la polvere di un’esistenza ormai ultimata era ritornata a essere vita.
“Oh, stelle!” esclamò, realizzando improvvisamente le sue intenzioni “Non pretenderai di far risorgere l’intera Odhran con i tuoi poteri? Anthos, metteresti gravemente a rischio te stesso pur di ottenere la Pietra del Cielo? L’altra volta tu…”.
Il giovane sogghignò, glaciale.
“Temi per la mia vita, Adara?” disse, avvicinandosi “O è un nuovo, sterile tentativo di farmi la morale? Oppure, semplicemente, vuoi mantenere il patto stretto con Irkalla?”.
“Il Nemico” continuò la ragazza, trascurando il sarcasmo insito nelle sue parole “Non è sconfitto. Ti attende là fuori e tu gli stai offrendo un’opportunità insperata. La tua eccessiva sicurezza mi spaventa a morte”.
“In tal caso” ribatté Anthos, sollevandole il viso “Sarebbe la mia occasione. Quando si ripresenterà, vedrà il suo ultimo giorno. Ishkur non prevarrà”.
“No… non è così” sussurrò lei, scuotendo la testa “Ci siamo sbagliati sin dall’inizio, Anthos… me ne sono resa conto occupandomi di quell’affresco e forse è troppo tardi… Siamo stati azzardati, eccessivamente presuntuosi e non abbiamo capito l’indizio evidente che si presentava ai nostri occhi. Abbiamo dato tutto per scontato”.
Il principe la fissò, palesemente sconcertato, seguendo poi l’indice che puntava al dipinto sulla parete dirimpetto.
“Ancora quel dannato scarabocchio!” ringhiò tra i denti, infastidito “Che cos’hai visto di così importante questa volta?”.
Le dita di Adara, posate sul suo avambraccio, scesero a stringergli la mano e lui non si oppose. Lo guidò verso la parete decorata, che risultava più nitida e pulita rispetto a prima, ma certo non più semplice nell’interpretazione.
“Il nero che affonda tutti gli altri elementi” spiegò “Non è dovuto al tempo e non è una copertura successiva o una mancanza. È stato dipinto insieme con essi… la luna rossa, Amathira vittoriosa e l’uomo sconfitto. Anthos… il buio è uno dei personaggi! Anzi, forse è il protagonista assoluto della scena! È l’oscurità che ha circondato uomini e dei e che probabilmente sta dirigendo le fila del destino!”.
Il reggente si passò bruscamente la mano tra i capelli biondi. Osservò con attenzione i colori bruni e i particolari della raffigurazione, in estrema concentrazione. Le sue dita si serrarono leggermente in quelle di lei, mentre esaminava minuziosamente le caratteristiche elencate. Sospirò impercettibile.
“È possibile” affermò poi, privo di qualunque accento.
“Solo questo?!” domandò Adara con incredulità, valutando quella reazione eccessivamente accomodante.
“No” ammise lui, divertito “Ho scelto una donna perspicace e me ne compiaccio. Anche se non ti sei minimamente posta il dubbio sul fatto che il male rappresentato dalla tinta scura dilagante possa ritrarre me e non il Traditore degli dei”.
“Non crederò mai a un’eventualità del genere!” rimbrottò la ragazza “Piuttosto temo che tu sia la figura in ginocchio… che l’oscurità riesca ad avere ragione di te…”.
Anthos rise lieve, come se avesse udito una battuta di spirito.
“Il fatto che quello stia indossando il Medaglione non rende certa la sua identità. E ti assicuro che niente riuscirà a sconfiggermi, soprattutto quando avrò trovato la Pietra mancante. Perciò, muoviamoci alla svelta senza farci intimorire da una vecchia rappresentazione di cattivo gusto. Non voglio perdere la prerogativa”.
“Quale vantaggio credi di poter decantare?” chiese lei, tutt’altro che convinta “Il Distruttore ha deciso di non frenare il suo acerrimo Nemico. Di lasciarlo a te, quindi anche questa eventualità è sfumata… forse spera che vi annulliate a vicenda e se la cosa non ti crea problemi è perché sei un incosciente!”.
“Sei tu che ti sei convinta di riuscire a procurare l’appoggio del dio della Distruzione, non so in base a cosa! Piuttosto, avresti dovuto domandargli il significato recondito del tuo adorato affresco. Magari lui avrebbe risolto le tue… perplessità?”.
“Non ce n’è stato il tempo” sospirò lei, ignorando l’ironia “Il divino Irkalla era… sì… lui era così terribile e severo… ma anche così pacato e triste e solo…! Sono riuscita a porgergli alcune parole, il mio rispetto e a sentirmi più inutile del solito”.
Il principe abbassò lo sguardo sulla moglie e le sue mani le afferrarono delicatamente le spalle, in una sorta di abbraccio a distanza.
“Ma guarda…” ridacchiò caustico “Il ragazzino Aethalas non è più il tuo preferito?”.
Adara avvampò suo malgrado.
“Questa invece è un’inopportuna convinzione tutta tua!” ribatté prontamente, liberandosi dalla stretta “Non perdi occasione per rinfacciarmi l’indecenza un rapporto che non ha nulla di indecoroso e che non comprendi affatto. Devo iniziare a credere che un uomo come te sia geloso di Narsas?”.
Lui la squadrò, spietato e algido, ma non rispose.
“Bene” concluse la principessa, incontrando il suo silenzio “Allora vado a cambiarmi, se hai esaurito le munizioni contro di me. Non posso cavalcare con l’abito lungo”.
Anthos la guardò abbandonare la sala e poi gettò un’occhiata furente al dipinto.
“Un uomo come me, eh…?” sussurrò fra sé “Persino io sono in grado di distinguere la profondità dei sentimenti… di provarli per intero. Scelgo solo di non farlo”.
 
Màrsali cavalcava con prudenza: non era molto esperta e la strada scivolosa non costituiva certo la migliore circostanza per saggiare le proprie doti di amazzone.
Osservò la schiena poderosa di Kesthar, che procedeva sicuro in sella a un robusto baio dallo sguardo temerario: l’animale si era lanciato sotto l’acquazzone con focoso entusiasmo e si era immediatamente guadagnato uno strattone al morso, così aveva frenato l’esuberanza, rispettando le precedenze.
In testa alla fila, il reggente del Nord si celava sotto uno spesso mantello azzurro e il suo viso impenetrabile era quasi del tutto nascosto sotto il cappuccio abbassato. La pioggia battente ruscellava sulle sue spalle e pareva sferzare una statua di ghiaccio. Illtyd trottava fiero, incurante del fango che gli inzaccherava le lunghe zampe candide, aprendo la via verso l’indistinta periferia della capitale.
La veggente captò subito qualcosa di differente nell’atteggiamento del principe e non se ne diede ragione. Apparentemente non era diverso dal solito, sebbene quella mattina avesse stranamente concesso a Adara di montare per conto suo.
La regina di Iomhar la affiancava, avvolta in una cerata bruna e nei propri pensieri tumultuosi, mantenendo lo sguardo perso sul paesaggio deprimente.
Màrsali si ritrovò a pensare che tra di loro potesse essere accaduto qualcosa.
“Mia signora” mormorò gentile “Percepisco il vostro turbamento e mi duole non potervi appoggiare come vorrei. Potete fidarvi di me, se lo desiderate”.
“Lo so… sei un’amica insostituibile e questo non ha nulla a che vedere con le tue doti” rispose la principessa, scacciando la palpabile tristezza dall’espressione “Sono infinitamente in ansia per mio marito in verità. C’è qualcosa in lui che... oh! Appare in superficie come un pesante malumore o come un’ostinazione ancor più radicata da parte sua… ma io lo conosco bene. Qualcosa, di cui evita accuratamente di parlarmi, lo ha mandato in tensione e l’unica definizione che potrebbe calzargli a pennello in questo frangente mi riesce inconcepibile”.
“La vostra valutazione è di primaria importanza” affermò la veggente, garbata “Siete molto sensibile, dunque non sottovalutate il vostro grado di empatia. Siete la persona che più di tutte gli è vicina. L’unica cui il reggente lo concede”.
Adara sospirò, cercando i termini più appropriati e stringendo le redini tra le dita.
“Addolorato” confessò “È come se qualcosa lo stesse tormentando nel profondo dell’anima, lo stesse consumando… ma non ne comprendo la natura”.
Màrsali sollevò lo sguardo sull’uomo appena distinguibile nella bruma e non poté che assentire. La chiaroveggenza fece eco a quella certezza, accompagnata dall’ineffabile conoscenza del suo sogno ricorrente. Quello che non poteva rivelare ad alcuno, pena una sofferenza insopportabile.
“Non siete in sella a Illtyd con lui” disse “Perdonatemi, se ipotizzo una motivazione che ha strettamente a che vedere con voi”.
“Sono sorpresa anch’io” ammise la principessa “Ma non è successo nulla di particolare tra noi. Anzi, Anthos ha lasciato che fossi presente alla ricerca della Pietra senza eccepire e questo non può che essere un segnale positivo”.
“Forse è ciò che prova vostro marito a essere diverso” congetturò la fanciulla bionda con gentilezza “Si fida di voi e non vuole ammetterlo per puro orgoglio. Oppure, per la prima volta nella vita, teme per l’incolumità di un’altra persona e l’avervi condotto qui equivale a un non volervi perdere di vista, sebbene non in stretto contatto… Anche lui, come me, percepisce certamente l’incombere oscuro del Nemico”.
“Mi dispiace…” sussurrò Adara con infinita amarezza.
Màrsali piegò il capo senza comprendere.
“Che lui ti abbia costretta a tornare a Odhran. Posso immaginare come tu ti senta”.
La veggente sorrise, sporgendo una mano guantata verso il braccio della compagna.
“Non angustiatevi. Ciò non avviene per caso. È fondamentale che il principe completi il Medaglione che regge, non solo per individuare il Diadema e per contrastare i suoi poteri maligni. È necessario per lui in senso stretto, lo avverto con chiarezza. Senza la Gemma del Cielo, Anthos non potrà realizzare il proprio compito”.
“Tu sai che cosa intende fare?” domandò la ragazza, sorpresa.
“Purtroppo no. Vostro marito è illeggibile, non mi è consentito penetrare né il suo futuro né i suoi attuali pensieri. Per questo…” aggiunse però con allegria “… voi siete decisamente più indicata! Lo affermo con sicurezza, senza aver bisogno di scrutare il vostro divenire. Dunque fatevi animo, altezza!”.
Adara arrossì, ma sulle sue labbra si disegnò finalmente un sorriso sollevato. I suoi ragionamenti corsero agli ultimi giorni e alle azioni decisamente inconsuete che avevano caratterizzato il principe sin da quando…
Irkalla.
Da quando le era apparso il Distruttore. La divinità incarnata era il fattore discriminante per Anthos, se non stava prendendo un abbaglio. Ogni volta che i loro discorsi sfioravano l’argomento, lui erigeva una barriera di silenzio o di scherno, come se si stesse schermando dall’ingombrante presenza di Irkalla. Ma non ne aveva paura, no, quello era altrettanto certo. Forse il pensiero di dover sostenere lo scontro con addirittura due esseri superiori era eccessivo anche per un individuo resiliente come lui? No… non si trattava neppure di quell’eventualità. Non gli avrebbe consentito di occultare ulteriormente il segreto all’interno di uno scrigno di reticenza e di arroganza. Sapeva come affrontarlo: non lo avrebbe lasciato solo.
Sollevò lo sguardo su di lui e spronò il cavallo, accostandosi allo stallone bianco. Illtyd nitrì brevemente, scrollando la criniera con approvazione.
Anthos lo fece spostare con un lieve movimento dei talloni, lasciando spazio sufficiente per entrambi. Scostò il cappuccio bagnato e le sue iridi d’ambra sfolgorarono impietose su di lei attraverso il grigiore della mattina inoltrata.
 
Persino il suo ombroso destriero era felice per la vicinanza della principessa… o forse aveva semplicemente consolidato l’abitudine di averla intorno. Poteva essere così anche per lui? Nient’altro che un’assuefazione a Adara?
Socchiuse le palpebre a quell’eccentrico interrogativo, che a rigor di logica meritava una risposta negativa. A differenza di Illtyd, Anthos poteva scegliere liberamente e dunque aveva optato per portarla con sé e per non separarsene, nonostante fosse assolutamente consapevole della distanza incontrollabile della parte più profonda di lei nei suoi confronti. Nulla lo avrebbe distolto da quella convinzione dolorosa, a dimostrazione della quale riteneva di aver ricevuto la recente riprova. Non avrebbe dovuto stupirsene in fondo. In quel caso, scegliere non era affatto dipeso da Anthos.
La propria reazione interiore agli ultimi avvenimenti, invece, era stata un urto di rimando che non aveva considerato di poter subire e che, inoltre, lo aveva posto difronte alla propria realtà, mostrandogli senza pietà quanto fosse interiormente stanco di lottare in solitudine. Tuttavia, avrebbe continuato a farlo a costo di autodistruggersi. Non avrebbe concesso neppure alla donna che aveva sposato e che aveva dissolto la prigione costituita dal suo orgoglio di intuire che persino lui, Anthos di Iomhar, aveva miseramente bisogno di una speranza.
Adara non aveva esitato ad attraversare la sua tenebra, a trovarlo e a raggiungerlo nel buio, a completare quella parte di lui che aveva sempre respinto, come se si trattasse di qualcosa di degradante. Eppure no, non avrebbe consentito alla propria anima di arrendersi, non avrebbe deposto le armi, non avrebbe ammesso di essere… pronto. A lei non lo era stato. Aveva commesso quell’unico errore. Gli era stato fatale. Ma non si sarebbe lasciato sconfiggere da quel se stesso che, nell’ombra del suo io più segreto, appariva alla stregua di un riflesso di luce. Quello che percepiva avrebbe dovuto restare relegato nel flusso dell’autoesame che stava effettuando. Sarebbe stato l’unico. L’ultimo. La follia che lo aveva attraversato, trascinandolo altrove nelle illusioni, era ormai estinta. Avrebbe dovuto sigillare il proprio vissuto recente. La sua intelligenza non poteva fare altro che spingerlo ad ammettere la realtà, non ad accettarla. Tantomeno a piegarsi ad essa.
Parole remote e cariche di verità, che si facevano strada nella sua mente. Quanto bruciavano nella sua memoria e quanto suonavano ardue da assumere nel crogiolo tenace della sua fierezza! Quella non se ne sarebbe andata, mai, neppure se l’incubo che lo tormentava da un tempo infinito si fosse realizzato. La dignità dell’essere presente a sé brillava come un faro, un unico appiglio in un oceano di sconforto mascherato da indifferenza. Una difesa ancora invitta.
Perché non deridi te stesso, ora? Sarebbe quanto meriti. Perché hai permesso che tutto questo avvenisse? Hai sempre saputo che la speranza è fatta di nuvole trasparenti. Perché ti sei affidato al cuore di un’altra creatura? Ora sai di possederne uno altrettanto fragile e sperimenti il dolore che ne scaturisce. Non hai imparato nulla? Ti sei perso… nessuno verrà in tuo aiuto… non illuderti più… conserva ciò che di te rimane…
 
Odhran si mostrò in tutta la sua assenza, divorata dal potere arcano che su di essa aveva sfogato il proprio odio incontenibile.
Anthos smontò di sella sull’argine della spaccatura che oltraggiava la terra fradicia e il lungo mantello ondeggiò al vento, mentre gli altri tre osservavano mestamente lo scenario con animo disparato.
Lo sguardo altezzoso del reggente si posò sulle rovine del quartiere, calcolando rapidamente a spanne la posizione primigenia degli edifici che non esistevano più. Avanzò di qualche passo costeggiando il baratro e si fermò poco più distante, come se fosse certo di aver trovato le vestigia di Leabharlann in quella desolazione.
“Haffgan” chiamò deciso, voltandosi.
Il demone delle prigioni saltò prontamente giù dalla propria cavalcatura e raggiunse il suo sovrano, avanzando sul percorso fangoso con l’ascia a doppia lama agganciata sulla schiena e lo sguardo spento di chi non prova la minima emozione.
In verità, nonostante gli anni trascorsi e quasi dimenticati, era impegnato nell’arduo tentativo di sopprimere i propri sentimenti vorticanti e di mostrarsi indifferente, di celare la profonda angoscia che lo attanagliava in quel momento. La forza dell’abitudine venne in suo soccorso e sul suo viso segnato dalla cicatrice non transitò altro che freddo, profondo distacco.
“Il luogo era questo?” domandò il principe.
L’energumeno si sfregò la barba incolta, esaminando i frammenti della struttura passata del suo luogo natio con attenzione, come se ciascuno di quegli avanzi fosse particolarmente indicativo. Gli apparvero preziosi come una giornata di sole. Forzò ancora la propria indole a non lasciar emergere la malinconia e si espresse, laconico.
“Non posso affermarlo con certezza, maestà” rispose “Temo che i miei ricordi siano eccessivamente nebbiosi”.
Anthos raccolse un pugno di terra bagnata e strizzò gli occhi, oltrepassando la contingenza e focalizzandosi su una mappa mentale nota a lui soltanto.
“Non voglio perdere tempo” commentò “C’è un’unica soluzione. Portami tua moglie”.
Haffgan si inchinò profondamente con l’unico scopo di occultare il pallore spettrale che gli aveva scolorito il volto. Non aveva idea di che cosa il reggente volesse tentare con l’apporto di Màrsali, ma era certo che la ragazza sarebbe incorsa in un pericolo serio e inevitabile tra i suoi artigli. Cercò rapidamente una scusa per salvaguardarla, ma qualunque motivo avesse accampato, non avrebbe sortito altro effetto se non quello di destare sospetti in quell’uomo scaltro. Tacque, in preda al turbamento.
Gli occhi azzurri della veggente rimandarono il suo stesso timore, la paura smodata per la situazione critica che avrebbe potuto verificarsi. Tuttavia, non poté sottrarsi alla richiesta e raggiunse il signore del Nord con angosciata rassegnazione.
“Ho bisogno della tua memoria” affermò il principe, fissandola con durezza “Sonderò la tua mente e accederò ai ricordi che hai di Odhran. Perciò cerca di concentrarti in particolare sull’esatta collocazione della costruzione. Sai come funziona, vero?”.
“S-sì, ma…” balbettò lei, terrorizzata al pensiero “Non ho mai provato…”.
“Non importa. Ci penserò io. Sappi che più mi resisterai più sarà fastidioso, anche se non userò la coercizione bensì l’incanto dell’acqua”.
La veggente annuì debolmente, stringendo le mani una contro l’altra. Era in trappola. Se Anthos avesse scorto nelle pieghe dei suoi ricordi che Haffgan non l’aveva stuprata, che l’aveva aiutata per amore, che lei aveva segretamente contattato Dionissa per conto della principessa, che l’aveva servita e appoggiata da sempre di nascosto da lui…
Le iridi d’ambra del reggente si fecero ancora più spietate, come se stesse vagliando la sua paura e la sua esitazione con dubbio crescente. Se esisteva un modo per nascondere le reminiscenze scomode e compromettenti, lei non lo conosceva… e se anche ne fosse stata al corrente, di certo il principe sarebbe stato immensamente più forte della sua reticenza e avrebbe vanificato quel puerile tentativo di difesa.
“Ai vostri ordini” mormorò piano.
Adara fu percorsa da un brivido, sebbene il Crescente non si stesse muovendo. Comprese a grandi linee le intenzioni del marito e fece in fretta a dedurne le possibili, nefaste conseguenze.
“Non sarebbe meglio tornare alla fortezza e consultare una cartina?” obiettò con biasimo “I tuoi poteri non garantiscono l’incolumità di Màrsali e io non voglio che abbia a soffrirne. Se Odhran giace in pezzi, la responsabilità è unicamente tua… parli sempre di prezzo da pagare. Non trovare ciò che brami è quanto stai saldando per non aver mostrato pietà verso i tuoi sudditi in precedenza”.
La veggente sbiancò violentemente all’affermazione: prezzo da pagare. Quei termini cambiarono distintamente gradazione nella sua mente, connettendosi con precisione capillare alle immagini del sogno che Anthos le aveva lasciato interpretare mesi prima. Iniziò a tremare per una scomoda sensazione aggiuntiva.
“Assurdità” ribatté lui, infastidito “Non sono un dilettante, se scelgo di mia volontà di non arrecare danno ad alcuno, i miei poteri risultano innocui”.
“Può darsi” rincarò lei “Ma che cosa accadrebbe se Ishkur dovesse attaccarci mentre tu sei impegnato a tirare fuori Leabharlann dal pantano? Chi ci difenderà?”.
Leuhan” sogghignò il giovane, categorico “Perciò avvisami, se avverti qualche movimento inconsueto. O, a fronte delle tue ostinate rimostranze, devo pensare che tu abbia qualcosa da occultare in combutta con la tua cameriera?”.
Adara lo guardò con rabbia, ma non aggiunse altro per evitare ulteriori danni.
 
La pioggia aveva riempito le cavità naturali sino a farle tracimare, così Anthos non ebbe difficoltà a trovarne una adatta alle sue esigenze nella gibbosa rientranza di una roccia erosa dal ghiaccio.
Indicò alla fanciulla bionda il luogo, porgendole le mani senza possibilità di scampo.
Si sedette sulla pietra viscida, incurante dell’ostilità degli elementi in tempesta.
Màrsali avvertì la presa salda del principe sui polsi e arrossì a quel tocco estremamente deciso; subito dopo, il rigore dell’acqua nella quale lui aveva immerso le estremità di entrambi la distolse dall’imbarazzo. Un’onda circolare si propagò nel piccolo spazio concavo, segno che lui aveva iniziato a richiamare a sé le proprie doti.
La veggente percepì il suo potere devastante ma tenuto magistralmente a freno che la percorreva a caccia di memorie lontane. Non si oppose, così come le aveva minacciosamente suggerito prima, tuttavia compì contemporaneamente quanto Siavon le aveva sempre raccomandato: pensare alle nevi candide di Iomhar, lasciarsi attraversare, assecondare l’energia presente anche se non scaturiva da lei, invisibile corrente nella corrente.
Il respiro di Anthos si fece lieve e regolare, raggiungendo quella sorta di trance che gli avrebbe consentito di sondarla senza ostacoli.
Il calore del contatto increbbe, facendo intiepidire il liquido trasparente nel quale lui le teneva affondate a forza le mani. Màrsali percepì la sua presenza oltre la fisicità e fu tentata a sua volta di indagarne le profondità più nascoste.
Aveva già sperimentato in passato che il Medaglione costituiva per lei un blocco insormontabile, ma in quella comunanza interiore il libero consenso del principe alla condivisione avrebbe potuto cambiare lo status quo. Forse, mentre l’uomo scandagliava il suo passato, sarebbe parimenti riuscita a intravedere qualcosa di lui. Un muro non si può abbattere in una sola direzione: eliminarlo avrebbe concesso accesso simmetrico a chi era provvisto di pari doti mistiche. Anthos era convinto che lei avesse perduto le sue facoltà, forse era quella la ragione per cui aveva scelto un metodo tanto semplice quanto esaustivo per scoprire quanto cercava e non si era eccessivamente preoccupato di mostrare il fianco. Avrebbe abbassato le difese?
Si impose cautela, certa che se lui avesse soltanto compreso le sue intenzioni, l’avrebbe uccisa all’istante nel peggiore dei modi.
“Concentrati su Odhran…” mormorò il reggente, percependo il prevedibile sconvolgimento interiore della controparte.
Fece indietreggiare il sé a favore delle reminiscenze di Màrsali, per acquisirne il pieno controllo, ritirandosi gradualmente in una zona remota e invalicabile del proprio io. Quella ragazzina conservava un’energia spirituale straordinaria, nonostante non fosse più in grado di incanalarla in seguito alla violenza con la quale aveva ordinato a Haffgan di profanarla.
Probabilmente, il potere di una veggente restava come sospeso e incorrotto, anche dopo che questa aveva perso la purezza. Fu assalito da un interrogativo disturbante, ma lo dissolse per non perdere la strada rifinita attraverso le memorie di lei.
Rovesciò lo scorrere del tempo in anni e calò ancora più all’interno della sua mente, percependone chiaramente i timori, alla stregua di battiti cardiaci accelerati.
Odhran riapparve nell’emissione energetica come se ancora sorgesse tra le nevi incorrotte di Iomhar, forse più bella di quanto non lo fosse mai stata in realtà, filtrata dall’affetto sincero della proprietaria dei ricordi. Tetti spioventi ornati di stalattiti gelate, comignoli che esalavano fumo serpeggiante, strade che emergevano nitide tra due sponde di coltre candida… vita pulsante nonostante il gelo, nonostante la Profezia, nonostante lui.
Anthos ignorò la stilettata che avvertì al cuore e optò per una visione dall’alto, piegando le memorie della ragazza a quel fine, per sovrapporre l’immagine presente di distruzione a quella dolce rievocazione del passato. La tensione emotiva scaturente da lei gli si trasmise attraverso il contatto, tuttavia le immagini si fecero più nitide.
Il principe scelse una via, guidato dal focalizzarsi di lei, che gli stava rendendo semplice l’atto, su Leabharlann e la individuò tra gli edifici di legno: nessuna solennità, nessun tratto distintivo. Solo una soglia come tante e un pesante portale istoriato con simboli antichi, che riuscì a interpretare senza difficoltà.
Inquadrò quello sprazzo di reminiscenza e passò attraverso l’ingresso per avere traccia completa della suddivisione interna dell’antico archivio, soffermandosi su un uscio sprangato, condotto difronte a quei battenti serrati e intimidatori dalla schiva reverenza che i sentimenti della veggente producevano nella condivisione.
Udì il divieto che Siavon aveva sottolineato alla giovanissima Màrsali, indicando le incisioni con le scritte arcaiche che contornavano gli stipiti e l’architrave dell’ingresso proibito. Le tradusse in un batter di ciglia e sorrise sprezzante nell’intravedere tanta superflua prudenza in quell’avvertimento, che non era affatto servito a tutelare la Gemma del Cielo dalla mano rapace di chi l’aveva sottratta.
Ciononostante, aveva trovato quanto si era preposto: la collocazione dell’ala preclusa gli era finalmente nota, gli sarebbe stato sufficiente sfiorare le ceneri di Odhran con un milionesimo del suo potere e Leabharlann sarebbe risorta immantinente.
Iniziò a riguadagnare la coscienza di sé e a sganciare quella della veggente dal proprio volere, lasciando il tempo libero di volare nella sua direzione naturale.
Qualcosa lo distrasse, una sorta di dissonanza che non avrebbe dovuto esistere. Microscopica ma presente, simile alla sensazione che aveva sperimentato quando aveva intrapreso l’incanto dell’acqua. La forza dell’abitudine gli impedì di trascurare quel particolare minimo, sul quale diresse la propria stuzzicata attenzione. Percepì un’improvvisa resistenza, azione che prima non si era verificata: trovare un ostacolo imprevisto lo indusse a forzarlo, avvertì le mani della ragazza sgusciare dalle sue e serrò la tenuta, impedendole di spezzare la contiguità.
Comprese in un lampo: la collera gli si riversò nell’anima come un torrente che rompe gli argini, mischiata ad altre emozioni che avrebbe voluto contenere e nascondere.
Aprì gli occhi sulla giovane donna che gli sedeva difronte e le sue iridi dorate sfolgorarono feroci e disumane. Uno sguardo che sanciva morte.
“Tu…” mormorò con ira “Mi hai mentito!”.
   
 
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