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Autore: Biblioteca    07/04/2020    0 recensioni
[Grande Grosso e Verdone]
[Grande Grosso e Verdone]Un mio tributo al primo film di Verdone che ho visto sul grande schermo, in cui immagino la serata di due personaggi del terzo episodio "Saluti da Taormina".
Si tratta di Steven, il figlio dei "bruni arricchiti" Moreno e Enza, in vacanza in un lussuosissimo hotel per cercare di ritrovare l'unione familiare perduta.
In questo albergo, l'unica persona quasi coetanea di Steven (quindicenne e romanista sfegatato) è Irene, che lavora nella hall dell'albergo; precisa e algida, la ragazza finisce per fare amicizia proprio con Steven e i due....
Genere: Commedia, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Steven si comportò molto bene. Non alzò troppo la voce una volta dentro al ristorante, cercò di trattenersi con l’accento mentre parlava con i camerieri, chiese consigli a Irene su cosa ordinare.
Si stupì di non trovare i supplì nel menu degli antipasti.
“Sono una specialità romana, nemmeno a Torino li fanno.”
“Ma la pizza è specialità napoletana e la fanno ovunque! Pure in America e ci mettono sopra di tutto!”
Irene rise. Poi continuò: “Possiamo provare gli arancini, qui seguono la ricetta tradizionale, li fanno molto buoni. Però guai a dire che sono come i supplì.”
“E chi si sognava di dirlo?”
Anche sulle pizze Steven non sapeva come orientarsi e ne discusse insieme a Irene.
Alla fine optò per una pizza all’ortolana, preparata con verdure fresche e di stagione.
Si stupì quando la ragazza ordinò una quattro formaggi.
“A saperlo prima! È pure pè me la mia preferita!” esclamò Steven appena il cameriere se ne andò via.
“Preferita no, è che mi piace come la fanno qui.”
“Se te do un pezzo de la mia, che me la fai assaggià?”
La capacità di Steven di trattenere l’accento durò poco.
“Ma certo!” fece Irene sorridendo divertita.
Gli arancini arrivarono presto ed erano veramente buoni, tanto che Steven si lasciò sfuggire un mugolio di piacere. Ne ordinò altri due che furono portati insieme alla pizza.
Steven aveva molto appetito ma cercò di non abbuffarsi e di stare composto sulla sedia. Più volte tolse i gomiti dal tavolo, mormorando uno “scusa” anche a bocca piena.
La cosa non passò inosservata; Irene lo osservò sempre sorridente.
“Vedo che ti sono piaciuti molto gli arancini.”
“Sì. Molto.”
“Senti Steven… Scusa se te lo chiedo, ma da quando ti ho visto, non ho fatto altro che farmi questa domanda.”
Steven arrossì.
“Chiedi pure!”
“Perché non volevi più parlare con i tuoi genitori?”
Steven si bloccò; non era la domanda che si era aspettato.
La prima volta che erano usciti insieme, durante la granita, avevano parlato di un sacco di cose. Ma erano tutti argomenti leggeri, adatti a ragazzi della loro età: film, internet, avventure scolastiche… e avevano parlato di Roma, di Torino e di tutte le città dove Irene aveva lavorato.
I loro problemi invece non avevano trovato molto spazio.
Irene aveva accennato alla sua situazione familiare, ma non più di tanto. Steven non aveva insistito a chiedere ed era stato ben felice che allora lei non avesse chiesto nulla a lui.
Però, pensandoci bene, avrebbe dovuto aspettarsi prima o poi una domanda come quella. In fondo era stata la stessa domanda che tutti gli avevano fatto da quando aveva iniziato a prendere quell’atteggiamento verso i suoi genitori: lo avevano chiesto amici, compagni di scuola, professori, lo psicologo e ovviamente gli stessi Enza e Moreno.
Ma Steven non aveva mai fatto quella domanda a se stesso. Anche perché era convinto di sapere già la risposta.
“Non abbiamo niente da condividere. Tutto qua.” Le disse.
“Davvero tutto qua?” fece Irene un po’ sorpresa dopo un minuto di silenzio.
Steven non rispose subito. Finì prima il suo pezzo di pizza. Sapeva bene che non era tutto là.
“Sai” disse infine “una vorta annavo a scuola co quelli der borgo mio. Tutti pischelli come me, che però m’ammiravano. Dicevano sempre che mi padre era un grande per aver fatto li sordi. E io ero fiero di mi padre perché me sembrava un omo vero, che lavorava pe fa felici a me e a mamma. Ma poi i sordi so diventati tanti, veramente tanti e papà m’ha mannato ar privato, ar classico. M’ha detto: Ah Steven, devi studià, devi datti da fa. Proprio lui che manco l’ha finito er liceo. Io volevo sta co gli amici mia, volevo annà a fa l’arberghiero, comme a te.”
A sentire quelle parole, Irene arrossì un pò.
“Sai perché? Perché volevo viaggiare. Volevo annà in posti nuovi e magari lavoracce. Ma papà e mamma non erano d’accordo. Quando so annato a quella scuola, gli amici mia se so sentiti traditi. A scuola ero er poveraccio, in borgata ero lo snob. L’unico modo c’avevo pe mantenè i contatti era entrare in curva. Così ho studiato. Me so imparato a memoria tutto d’er carcio. E un giorno so annato dar capo di curva e ho detto che volevo annà co loro. Mi ha fatto delle domande, ho risposto bene a tutte. M’hanno preso. E finarmente ho trovato degli amici veri. Co mamma e papà parlà non serve. Non capiscono molto.”
Irene, che aveva ascoltato fissandolo in silenzio lentamente annuì: “Grazie per avermi risposto. Credo di aver capito.”
Ripresero a mangiare e per un po’ non dissero nulla.
“Nemmeno i miei volevano che facessi l’alberghiero.” Disse Irene.
“No?!”
“No. Volevano che facessi un liceo ‘normale’. Sai sono tutti e due laureati e io sono figlia unica. Sarei stata una specie di vergogna. Poi niente, mio padre ha perso il lavoro e così l’idea di avere un entrata in più in casa gli ha fatto piacere.”
“Ma come, gli mandi li sordi a casa?”
“Certo. Un quarto del mio stipendio è per loro.”
“Ma perché? So sordi tuoi!”
“Litigano, rompono, ma sono pur sempre i miei genitori. Mi hanno cresciuta e voluto bene; e a modo loro me ne vogliono ancora. Solo perché non mi trovo a mio agio ad averli vicino non vuol dire che non debba comunque aiutarli. Se ci pensi, ogni persona che è su questo mondo, da noi due ai calciatori, al cuoco che ha preparato gli arancini, tutti noi siamo qui perché qualcuno ci ha amato quando eravamo indifesi.”
Steven alzò per un momento gli occhi al cielo. “C’hai ragione” disse poi sorridendo.
Gli ritornò in mente di quando era bambino e andava con Enza e Moreno alla spiaggia libera di Ostia e tutti e tre insieme facevano il castello di sabbia. Momenti stupendi e semplici che non sarebbero tornati mai più.
“IRENE!”
Un urlo lo riportò alla realtà e lo fece sobbalzare dalla sedia. Anche Irene aveva lasciato cadere la forchetta e si era girata.
“Irene! Sono io Franco! Ti ricordi!?”
Steven rimase immobile: un ragazzo elegantemente vestito, con i capelli impomatati e biondi, della stessa età di Irene si era avvicinato con un sorriso raggiante al loro tavolo.
Steven non capì perché, ma si sentì all’improvviso allarmato.

 
(Ho voluto immaginare un passato per entrambi i personaggi, probabilmente diverso da quello immaginato da Verdone ma credo in linea con il loro carattere. In questo capitolo si accenna a un’uscita precedente dei due con tanto di granita. Purtroppo non ho trovato da nessuna parte la scena da sola (anche perché non sono presenti né Verdone né la Gerini) ma è un momento tenero tra questi due personaggi che però a me non bastava e mi ha spinto a scrivere questa fan fiction dedicata a loro. Ci stiamo comunque avvicinando al finale. Spero che nel prossimo capitolo riesca a mettere tutto il necessario per concludere questa storia)
  
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