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Autore: Sheep01    07/04/2020    1 recensioni
[IT, Fix-It fic]
Aveva fatto i conti con la possibilità che avrebbe potuto restare intrappolato in quelle fogne per sempre. Il suo corpo, le sue ossa, a sgretolarsi nel ventre di Derry. Per sempre.
Ma non era stata Beverly a metterli al corrente che chi moriva a Derry era destinato a non morire mai veramente? Doveva essere vero perché, in qualche universo alternativo a quello, nessun Eddie avrebbe mai potuto sopravvivere a una ferita del genere...
Eppure... eppure...
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 11

 

Eddie lanciò uno sguardo allarmato all'orologio digitale che Richie aveva sul comodino della camera da letto: le dieci passate. Quei numeretti luminosi che irradiavano il tragico avvertimento di quanto fosse in ritardo.

Si guardò allo specchio, cercando approvazione su un look di cui non era affatto certo. Un completo che non rispolverava da mesi. Si raddrizzò la cravatta, una sistemata ai capelli e poi l'ennesimo sguardo all'orologio: «Cazzo», imprecò un'ultima volta, prima di volare letteralmente fuori dalla stanza.

Passò di fronte a Richie che stava sorseggiando pacatamente il suo caffè, al tavolo della cucina, mentre faceva scorrere articoli di giornale sull'ipad. Nemmeno lo vide alzare gli occhi e lanciargli un lungo, valutativo, sguardo.

«Wow... non credevo che ancora ti andasse il completo della prima comunione», commentò divertito, anche se sembrava più ammirato che altro.

Eddie recuperò una tazza di caffè, un'abitudine che ormai era prepotentemente entrata a far parte della sua routine quotidiana e si voltò nella sua direzione, occhiate dardeggianti e tutto il resto.

«Non ti ci mettere anche tu, per piacere. Sono già piuttosto agitato di mio...» si passò una mano sulla cravatta, come a lisciarla, cominciando a chiedersi davvero se non si fosse agghindato in modo troppo formale.

«Aw, Spaghetti, guarda che il mio era un complimento disinteressato, non hai alcun motivo per essere in ansia.»

«Ah, certo, come no. Sono anni che non faccio un colloquio di lavoro.»

«Perché sei una persona noiosa e abitudinaria...»

«Vaffanculo.»

Erano passate poche settimane dal suo rientro a Los Angeles e Eddie aveva deciso che non avrebbe potuto restarsene ancora per molto con le mani in mano. E sopratutto non tollerava più di dover pesare sulle economie di Richie senza dare un contributo essenziale, nonostante lui non fosse per niente contrario a mantenerlo – e godesse enormemente a chiamarlo vezzosamente: il suo concubino.

«Andrà benone, Eds, capiranno immediatamente che razza di scrupoloso, rigoroso, meticoloso, petulante lavoratore tu sia.»

«Hai ingoiato un vocabolario dei sinonimi, stanotte?»

«Non solo quello, mio bel principe...»

Eddie face una smorfia disgustata e passandogli alle spalle gli lanciò una sberla sulla nuca.

«Devo andare», annunciò semplicemente, posando la tazza con il caffè ammezzato accanto a quella di Richie. Quest'ultimo allungò semplicemente una mano, afferrando la sua prima che potesse allontanarsi troppo.

«Sai per che ora finirai?»

Eddie si strinse nelle spalle: «Il colloquio è alle undici, per mezzogiorno sarò libero», o almeno, in cuor suo lo sperava ardentemente. Indossava la giacca da meno di un quarto d'ora e già sentiva caldo e pizzicore ovunque.

«Allora ti raggiungo per pranzo?»

«Ma non devi finire di lavorare alla tua sceneggiatura... ?»

«Dovrò pur mangiare, no?»

«D'accordo», concesse, valutando se allentare la presa per una volta tanto, rendendosi conto di aver davvero bisogno di focalizzare su un supporto morale futuro, in previsione del colloquio, «Ti chiamo quando ho finito», lo sguardo sulla sua mano, «adesso mi lasci andare, per favore?»

«Non ti stai dimenticando qualcosa?» lo frenò di nuovo Richie, con un sorriso che era tutto un programma e il mento proiettato verso l'alto come a reclamare qualcosa che ancora non era arrivato.

Eddie aveva intuito le sue intenzioni ma inarcò comunque un sopracciglio con aria valutativa: «Ho le chiavi della macchina. Il portafoglio. E il cellulare. Ho tutto.»

Richie sospirò un po' esasperato, allentando un po' la presa.

«La tua capacità di distruggere un'emozione è impressionan-», cercò di commentare, ma Eddie si chinò su di lui per rubargli un bacio di commiato e sedare qualsiasi protesta.

«Ci vediamo più tardi», commentò caustico, affrettandosi verso la porta.

«Che bastardo...» biascicò Richie in un sussurro divertito.

 

***

 

La casa era un caos perfetto.

Scatoloni ovunque. Libri e oggetti sparpagliati in ogni dove, fatta eccezione per il passaggio obbligato che portava da corridoio a sala da pranzo e cucina. Non di meno alle camere da letto.

Richie inciampò, per l'ennesima volta, in qualcosa che sbucava fuori dal percorso e per poco non si rovesciò addosso quello che restava del suo caffè.

Non aveva mai avuto particolari problemi a gestire il caos. Da ragazzino viveva in una stanza nella quale sembrava esplosa una bomba: vestiti sparpagliati ovunque, libri introvabili sotto pile di fogli e quaderni di scuola, cassette e compact disk sparsi in giro, in un vortice di fumetti a far da tappeto definitivo al parquet della camera. Ma erano almeno dodici anni che viveva solo (dopo anni di pessimi coinquilini, uno dei quali lui stesso) e da almeno la metà del tempo qualcuno che si occupava di sistemare tutto, mentre lui se ne stava in giro per gli Stati Uniti per i suoi spettacoli.

Quindi si destreggiava, in mezzo a quella folla di oggetti non identificati, con quest'aria di costante meraviglia. Come se fosse stato improvvisamente catapultato in un mondo fantastico e sorprendente. E pure un po' impolverato.

Chi invece sembrava mal sopportare tutto quanto, come immerso in una giungla minacciosa e disgustosa, era Eddie.

«Quello scatolone posatelo laggiù. Laggiù ho detto! Se lo avessi voluto qui, avrei detto qui, no? Siete sordi?!»

Eddie, che con la sua voce d'incanto stava dando amorevoli direttive ai traslocatori.

«State rovinando il parquet, non dovete trascinarlo: sollevatelo!»

Rendendosi assolutamente adorabile ai loro occhi.

Richie fu certo di averli visti attentare virtualmente alla sua vita con gesti piuttosto espliciti. Era riuscito a placarli solo con la promessa di un autografo e una foto ricordo, una volta concluso quel furioso via vai.

Si sedette al bancone della cucina, osservando lo spettacolo come fosse al cinema. Un full HD di Edward Kaspbrak che ronzava in giro per casa sua come un calabrone incazzato, dettando ordini a destra e a manca.

Occhi dell'amore o meno, non poteva fare a meno di pensare quanto adorabile fosse.

«Sapete leggere?! C'è scritto fragile, siete ciechi oltre che sordi?!»

Veramente adorabile.

Lo vide marciare nella sua direzione, fumando come una ciminiera. Richie allungò una mano per versargli un bicchiere di succo d'arancia. Prima che potesse dire qualsiasi cosa, gli rifilò fra le mani il bicchiere, accompagnandolo con un sorriso tutto denti.

«Grazie», lo sentì stronfiare bruscamente, trangugiandone il contenuto come non bevesse da giorni, per dirigere poi di nuovo la sua attenzione agli operai che non facevano che portar dentro scatoloni.

«Sei più preoccupato tu della mia roba di quanto non lo sia mai stato io.»

«Non c'è solo la tua roba lì in mezzo, ci sono i mobili nuovi. Ci sono le mie cose... qualcuno dovrà pur preoccuparsene, dato che né tu, né quegli scaricatori di porto, sembrano capirne l'importanza.»

Richie ne capiva l'importanza eccome, ma sarebbe stato disposto a vivere in una topaia con un materasso all'angolo e un tavolo malridotto al centro della stanza, purché condivisa con Eddie.

Quando avevano deciso, su suggerimento di Eddie, di lasciare il vecchio appartamento di Richie e andare a vivere in un posto che entrambi avrebbero potuto chiamare casa, Richie era rimasto affascinato dalla perizia con cui si lui era preoccupato di cercare il posto ideale. Pro e contro stilati in una lista che sarebbe risultata maniacale anche al caso clinico più irrecuperabile del reparto psichiatrico di Los Angeles. Eddie gli aveva confessato che gli sembrava di fare finalmente qualcosa di attivo, nella sua vita, dato che Myra, in precedenza, aveva deciso persino il più piccolo particolare nella casa che avevano condiviso per più di dieci anni, così Richie lo aveva lasciato fare. Dopo settimane di ricerche infruttuose, era saltata fuori una villetta, piccola ma funzionale. Di fronte a un rigoglioso viale alberato. Provvista di un piccolo giardino e un porticato che a Eddie sembrava piacere particolarmente. Richie fantasticava spesso su quel porticato, le future serate passate a chiacchierare su una sedia a dondolo che si sarebbe preoccupato di acquistare al più presto. Gli piaceva l'idea di ricominciare in un posto nuovo, diverso. Qualcosa con cui avrebbe potuto creare nuovi ricordi con Eddie al suo fianco.

«Credo che dovresti solo rilassarti un po', non possiamo inaugurare questo posto con un ricovero in ospedale per esaurimento nervoso. Doveva essere una cosa divertente, no?» cercò di incoraggiarlo, accarezzandolo amorevolmente sulla schiena.

Eddie gli lanciò uno sguardo dispiaciuto.

«Lo so, è che vorrei solo che fosse tutto... perfetto?»

Richie gli passò un braccio attorno alle spalle, per attirarlo un po' a sé.

«La perfezione non esiste, Spaghetti, anche se ti ci svegli accanto ogni mattina», si indicò con aria teatrale, incoraggiandolo a ridere, «mi sembra già straordinario poter vivere con te, Eds. Non ho bisogno di molto altro.»

Eddie gli rivolse un sorriso fra l'imbarazzato e il grato.

«Piantala...»

«Sono dei professionisti. Lasciali fare, poi ci pensiamo noi a sistemare tutto come più ci aggrada. E ricorda che il poster di Magnum P.I. lo voglio sopra il divano.»

«Mai nella vita avremo un poster di Magnum P.I sopra il divano, Richie», il cambio d'atmosfera più repentino della storia.

«D'accordo. Allora in camera da letto. Immagina Tom Selleck a darci la benedizione ogni sera e ogni mattina. Come nemmeno nei miei sogni bagnati di adolescente.»

«D'accordo, penso mi trasferirò nell'appartamento accanto», Eddie si districò dalle sue braccia, «Ragazzi, cambio di programma! Fuori tutto, non ci vivo più con questo psicopatico!»

«Ragazzi, ci aggiungo un filmato con gli auguri alla mamma se lo placcate alla porta!»

Persino gli operai si misero a ridere.

 

***

 

Era la prima vera uscita pubblica per Eddie, quella della première dello speciale su Netflix.

Non amava particolarmente essere sottoposto alla tensione della stampa, ma mai avrebbe permesso a Richie di trascorrere una delle serate più appaganti della sua vita da solo.

Non erano passate molte settimane da quando Richie aveva, in qualche modo, reso pubblica la loro relazione. Qualcuno aveva perfino cercato di contattarlo per scrivere un pezzo su di lui, ma Richie era stato piuttosto chiaro sul non avere alcuna intenzione di mettere su pubblica piazza la sua vita privata a favore di gossip da rivista da quattro soldi. Aveva un compagno che rispettava e amava e che era riuscito a dare equilibrio alla sua vita, e di questo avrebbero dovuto accontentarsi. Dopo la prima ondata di mass media che avevano cercato di indagare più a fondo sulla faccenda, di scoprire i retroscena di quel nuovo compagno che, secondo fonti non del tutto specificate, era un amico d'infanzia di Richie, le cose si erano lentamente sedate in una routine accettabile. Di tanto in tanto qualche fastidioso paparazzo faceva loro delle foto, ma la monotonia e la mancanza di scandali di alcun tipo avevano scoraggiato le insistenze della stampa.

Solo l'account instagram di Eddie, che principalmente usava per postare fotografie di scarso interesse e non aggiornava con molta frequenza, era stato letteralmente preso d'assalto dagli ammiratori di Richie, quando aveva pubblicato un selfie di loro due assieme sulla spiaggia di Pasadena. Il pubblico era letteralmente esploso d'entusiasmo: Eddie ne era rimasto dapprima sorpreso e poi si era sentito straordinariamente, inspiegabilmente appagato da una sorta di collettiva approvazione. Infine era stato costretto a mettere l'account in modalità privata, per arginare una cosa ormai andata fuori controllo; ma il danno ormai era fatto. Richie ne aveva riso fino allo sfinimento, spiegandogli che prima o poi ci avrebbe fatto l'abitudine.

Però era certo che niente lo avrebbe mai abituato alle serate come quella. Nè a costringerlo a replicare tanto presto.

I flash dei fotografi, le interviste, l'atmosfera assurda del party di benvenuto e quello di commiato. Le chiacchiere di fondo e le occhiate di celebrità che faticava a riconoscere.

Non era esattamente il tipo di mondo di cui amava far parte, ma lo stupore e l'entusiasmo negli occhi di Richie, quella sera, erano sufficienti a fargli superare l'inadeguatezza del baraccone che girava loro intorno. Non riusciva a capire se era più orgoglioso o innamorato di lui o un misto di entrambi, ma la carica di affetto e ammirazione da cui si sentiva sopraffatto, arrivava a sedare la sua voglia di scappare a gambe levate, anche solo per il modo in cui Richie, per tutto l'arco della serata, si fosse sempre preoccupato di tenergli la mano o rincorrerlo non appena qualche giornalista lo allontanava da lui per rubargli una rapida intervista.

«Ancora un bicchiere di Champagne e corro a vomitare dentro il primo scollo di vestito che vedo», se non altro, nonostante l'atmosfera vip, Richie non sembrava poi tanto diverso dal se stesso di sempre. Eddie lo percepiva come un segnale incoraggiante. L'onestà di Richie come uomo e come artista, imprescindibili l'uno dall'altro, dicevano abbastanza sull'uomo con cui aveva scelto di condividere la vita.

«E allora smettila di bere...» Eddie gli sfilò dalle mani il bicchiere e bevve l'ultimo sorso tutto d'un fiato. Uno shot per darsi l'ennesima botta di coraggio della serata, nonostante i suoi sensi fossero già piuttosto sedati dall'alcool.

«Ehi... vacci piano, Eds o mi toccherà ricordarti chi sei e cosa ci fai a Los Angeles, come l'ultima volta che ti sei ubriacato.»

«Non eravamo a Los Angeles, l'ultima volta che mi sono ubriacato... ma a Philadelphia.»

«Dio benedica Philadelphia!»

Eddie alzò lo sguardo su di lui, un sorriso un po' sghembo. Su questo non poteva certo dargli torto.

La sua vita era completamente cambiata, in meglio, da quando era volato a Philadelphia per assistere al suo spettacolo, senza sapere cosa aspettarsi.

E diavolo! se Richie era maturato in tutti quei mesi. Lo spettacolo che avevano proiettato in anteprima allo speciale per Netflix gliene aveva data ampia conferma. Divertente e commovente. Una storia che ripercorreva gli anni della sua vita, fino ad approdare al sostanziale equilibrio e appagante felicità del presente. Eddie era certo che persino la critica sarebbe stata positiva a riguardo. Uno sguardo sincero e disincantato sulla sua vita. Senza compromessi o censure.

«Sono orgoglioso di te, Richie», disse solo; un po' l'alcool a parlare un po' la reale volontà di dargli quel riconoscimento che gli aveva sempre negato. Non per mancanza di fiducia o apprezzamento: se Eddie aveva sempre mantenuto le distanze era solo perché era certo di non essere la persona più qualificata per poterlo giudicare, in campo professionale o meno.

E Richie sembrò cogliere al volo l'occasione.

«Che hai detto?», lo sentì ripetere, portandosi una mano all'orecchio. Aveva sentito benissimo, lo stronzo. Ma per una volta tanto, Eddie decise di non costruirci una storia attorno.

«Che sono molto orgoglioso di te, Boccaccia!», disse, alzando di almeno un tono la voce, così che a sentirlo non fosse solo lui, ma anche le persone che stavano loro attorno, prendendo Richie di sorpresa.

«Adesso sì che mi viene davvero da vomitare», farfugliò questi, guardandosi attorno, sopraffatto.

«Piantala... e goditela, Rich», Eddie allargò le braccia come ad circondare tutto quanto, «questa gente è qui tutta per te. Una volta riuscivi a far ridere sei ragazzini in una cittadina dispersa nel Maine, adesso arriverai praticamente in tutto il mondo. Sei riuscito a realizzare il tuo sogno e questo è straordinario. Veramente straordinario. Ed io sono orgoglioso di te.»

Ribadire il concetto gli sembrava particolarmente importante in quel momento e quando rialzò lo sguardo si rese conto che Richie aveva gli occhi lucidi. Ormai era una consuetudine così consolidata che fu solo per indulgenza se si trattenne dal sospirare, vagamente esasperato.

«Giuro che non ti farò mai più un complimento in vita mia se ogni volta finisce in questo modo.»

«In che modo? Non sto facendo niente, lo giuro!» stronfiò Richie, sollevandosi gli occhiali per darsi un contegno ed evitare che si appannassero.

«Comunque è buffo, Eds...», riprese, la mano che ancora andava a cercare la sua «è bella questa cosa di Netflix, del lancio mondiale dello speciale e tutto quanto ma... è così strano, perché da ragazzini l'unica persona che desideravo far sempre ridere eri tu», gli disse.

Questa volta fu Eddie ad accusare il colpo. E gli tirò un pugno dritto nello stomaco per impedirgli di specchiasi nei suoi, di occhi umidi.

 

***

 

Se i genitori di Richie avevano accolto in modo pacato e tutt'altro che sorpreso il suo coming out pubblico (asserendo perfino di averlo già annusato, in tempi non sospetti), sembravano invece aver accolto con straordinario entusiasmo l'annuncio che Eddie Kaspbrak fosse il suo nuovo compagno.

Eddie chi? Il ragazzino asmatico che stava a Derry?

Sua madre lo aveva rammentato più rapidamente di quanto non avesse fatto suo padre. Forse grazie alla sua innata capacità di apprendere le cose senza doversi sforzare troppo. Una cosa che Richie aveva ereditato, e che gli era tornata utile, sopratutto durante gli anni scolastici e poi con la sua carriera. La memorizzazione aveva sempre avuto un ruolo fondamentale nella sua vita, lo aveva aiutato a sfangarsela nelle situazioni più assurde. Nonostante un disgraziato clown avesse forzato un po' la mano per costringerlo a dimenticare un paio di dettagli fondamentali della sua infanzia, questa cosa non gliel'aveva strappata per sempre.

Per quello Richie aveva deciso che fosse arrivato il momento di presentarlo ufficialmente ai suoi genitori o meglio, a ricordare loro che, a volte, le cotte infantili tornano e si concretizzano in modo del tutto inaspettato, dopo quasi trent'anni.

I suoi genitori ancora abitavano nel Maine. Ripercorrere quelle strade fu quasi catartico per entrambi, ma meno traumatico di quanto si fossero aspettati. Le terapie a cui entrambi si erano sottoposti dopo l'incubo del ritorno a Derry e tutto il resto avevano fatto la loro parte. E in ogni caso, erano sicuri di non avere più nulla di cui temere. Soprattutto adesso che erano insieme. Richie si sentiva sempre un tantino indistruttibile quando era con Eddie. Pensiero sdolcinato o meno era la sensazione che gli scatenava dentro ogni volta che realizzava quanto fosse stato fortunato a riaverlo nella propria vita.

«Sei troppo silenzioso per i miei gusti, sei nervoso, dottor Kappa?», indagò Richie che stava cercando una scusa qualsiasi per riempire il silenzio stampa: la macchina che avevano affidato loro dall'aeroporto non sembrava essere pratica per la ricezione di alcuna stazione radio.

«Di rivedere i tuoi?», lo sentì pronunciare, distraendosi dalla quieta contemplazione del panorama tutt'intorno. Si voltò nella sua direzione, mezzo sprofondato nel sedile del passeggero e Richie riuscì solo a cogliere il suo sguardo assonnato, prima di tornare a seguire la strada.

«Sì... ? E di essere tornato qui, anche.»

Eddie scrollò le spalle e si tirò un po' su.

«Non particolarmente. Sono solo un po'... pensieroso, tutto qui. Questo posto ti costringe... a pensare.»

Richie non riusciva a dargli completamente torto.

«Ma per i tuoi non sono nervoso affatto», si preoccupò di metterlo al corrente, «ci siamo già sentiti in videochiamata un paio di volte e comunque li conosco da quando eravamo due disgraziati con i pantaloncini corti e le ginocchia sbucciate.»

«Eri tu, principalmente, quello con i pantaloncini corti.»

«Ah, ti sei scordato i tuoi bermuda color merda liquefatta?»

«Eddie Kaspbrak! Ma che parole usi?!»

Eddie rilasciò una risata, tornando a guardare fuori dal finestrino.

«No, non sono nervoso di incontrare i tuoi. In realtà sono felice di rivederli. Dovresti esserlo anche tu...»

Richie corrugò la fronte, intuendo a malapena quello che gli passava per la testa, con quella nota un po' malinconica.

«Ma io lo sono. Felice di rivederli, intendo.»

«Non era quello che volevo dire...»

Richie cercò di nuovo il suo sguardo che però gli fu negato. Il riflesso di Eddie dal finestrino, tutto ciò che gli era concesso durante quella rapida distrazione dalla strada.

«Eds...»

Lo sentì sospirare.

«Sono solo un po' stupito, tutto qui.»

«Stupito di cosa?» Richie sapeva che insistendo sarebbe riuscito a farlo parlare senza dovergli tirar fuori le parole con le pinze. Eddie era come un vaso di Pandora, quando lo convincevi ad aprirsi. Con pazienza e tenacia.

«Del fatto che che... insomma, mi abbiano accettato. Del fatto che sembrino entusiasti anche loro di rivedermi. Non li avessi sentiti per telefono probabilmente avrei fatto fatica a credere che non stessero fingendo.»

«Ah, i miei non riescono a fingere, su questo puoi scommetterci. E poi... che vai farneticando? Perché non avrebbero dovuto accettarti? Con un figlio come il sottoscritto, tu devi sembrargli una specie di santo redentore.»

Eddie tornò su di lui, le sopracciglia aggrottate, tipiche di quando stava pensando a qualcosa fin troppo intensamente.

«Mia madre non avrebbe mai accettato una cosa del genere.»

Richie per qualche istante sembrò sorpreso di quella uscita, ma poi capì: Eddie stava pensando a sua madre. Certo che stava pensando a sua madre. Il ritorno verso Derry e tutto il resto. Una madre alla quale, nonostante tutto, aveva voluto bene. Che aveva pianto il giorno in cui era morta e poi tutti gli altri a venire. Che ancora piangeva, di tanto in tanto. Era difficile lasciarla andare completamente, era difficile lasciar andare qualcuno che si era preoccupato di farti sentire così amato, sebbene non nel modo migliore in cui avrebbe potuto dimostrarlo. E così difficile da accettare che mai avrebbe potuto vedere come la vita di suo figlio era cambiata.

«Ma tua madre non è qui per biasimarti, Eds... non- Dio, credevo avessimo affrontato un sacco di volte questo discorso. Non devi cercare la sua approvazione anche adesso.»

Non arrivò alcuna risposta da Eddie e per un tragico istante temette di averlo offeso.

«Non sto cercando la sua approvazione, Richie», lo sentì dire, dopo un lunghissimo, esasperante silenzio «stavo solo pensando che...» Una pausa per trovare le parole giuste forse. «... che nonostante tutto ci avrei provato a portarti da lei così come tu stai facendo con i tuoi. Che non mi sarei vergognato di farlo, capisci che intendo?»

Richie allentò appena la pressione sull'acceleratore per prendersi tempo a voltarsi di nuovo nella sua direzione. La strada era deserta, nessuno avrebbe protestato per questo.

«Credo... di sì?»

«Sì, perché è importante che tu capisca... che non mi sarei nascosto. So che sembra facile dirlo ora che lei non c'è più ma... è importante per me che tu lo capisca. Se avessi una famiglia a cui presentarti lo farei, perché non ci sarebbe stato niente altro al mondo a rendermi più orgoglioso che presentarti alla mia famiglia. Ma tutto ciò che è rimasto della ma famiglia sono... io. E quindi dovrai accontentarti della mia parola...»

Richie accostò al bordo della strada, fermando definitivamente il veicolo.

Per potersi voltare del tutto verso di lui e guardarlo finalmente in viso come aveva desiderato fare per tutto il tragitto.

«Non c'era nemmeno bisogno di specificarla una cosa del genere, Eddie.»

«Invece sì. Invece era importante.»

Richie scosse la testa.

«D'accordo. Se era importante per te allora... va bene.»

«Non trattarmi con accondiscendenza, Rich... per favore.»

«Non è accondiscendenza, ascolta: stai facendo un discorso astruso. Perché non è vero che non ce l'hai una famiglia.»

«Se parli di quella zia che sta nel Vermont...»

«No, ma quale zia che sta nel Vermont, Spaghetti! Parlo di me. Credevo di essere io la tua famiglia, ormai.»

Lo vide sgranare gli occhi e aprire e chiudere un paio di volte le labbra, senza dire una sola parola, come un pesce fuor d'acqua.

«Cosa? Sei la mia famiglia, come lo sono i miei genitori. Forse di più dei miei genitori, dato che in questi ultimi mesi ho visto più te che loro. Ma in ogni caso...» allungò una mano per stringergli una spalla, «se vuoi presentarmi a qualcuno della tua famiglia consideralo già fatto. Credo di conoscermi piuttosto bene. E penso che nonostante tutto potrei accettare che frequenti un tizio come me. Io non mi frequenterei, perciò il tuo sacrificio lo affronto con enorme gratitudine.»

«Sta' zitto, Rich», esalò Eddie in un sussurro incerto.

«No, non credo che starò zitto. Non prima di avertelo sentito dire. Sono la tua famiglia, Eddie? Perché per me lo sei, ma non credo reggerei il colpo se mi dicessi che per te non è lo stesso.»

Eddie restò in silenzio per qualche istante, le labbra che tremavano appena, ancora mute, in un tentativo di dare una risposta che improvvisamente mise anche Richie in agitazione.

«Sei la mia famiglia, Richie. Certo... certo che sei la mia famiglia.»

Nemmeno si era reso conto di aver trattenuto il respiro.

«Bene», sussurrò con aria definitiva, «Bene...» ripeté, prendendosi tutto il tempo per sporgersi definitivamente verso di lui e attrarlo in un abbraccio che Eddie ricambiò senza esitazione.

 

***

 

«Non lo so perché questo cane ci sta seguendo, Kaspbrak!»

Eddie aveva cercato per tutta la mattina di seminare quel cane. Un incrocio fra un bracco e uno spinone color bianco e nocciola.

La sessione mattutina di jogging domenicale si era improvvisamente trasformata in una maratona per seminare quella palla di pelo che non faceva altro che pedinarli. E sembrava particolarmente attratto da quello scemo di Richie che gli dava più corda di quanto meritasse. Lo trattava con troppa familiarità per poter credere che fosse stato un incontro del tutto casuale.

Eddie aveva rallentato per correre al contrario, mentre Richie stava di nuovo accarezzando quell'ammasso di pulci.

«Cristo santo, Richie! Ma non lo vedi quel coso è ricettacolo di germi? È sporco e puzza quando una discarica. Probabilmente ha persino le zecche.»

«Ma quali zecche... ha il collare.»

«Che c'entra? Secondo te un cane con il collare non può avere le zecche? Lascialo perdere, il suo padrone tornerà a riprenderselo.»

Richie aveva rallentato fino a fermarsi.

«Non lo so, Eds, è qualche giorno che lo vedo gironzolare qui attorno. Secondo me si è perso.»

Lo vide chinarsi e dargli una bella grattatina dietro le orecchie. Eddie ebbe un brivido di ribrezzo.

Ma non potè far altro che interrompere la sua corsa, per tornare sui suoi passi.

«Ah! Allora lo ammetti che lo conosci.»

«Non so se lo conosco, non mi ha mai detto come si chiama. Frollino? Cookie Dookie? Chuck Le Blanc?»

E giù a spupazzarselo nemmeno fosse un peluche di cachemire... se mai fossero esistiti peluche di cachemire.

«Ti prego, Richie...»

«Dovremmo almeno denunciare di averlo trovato... che ne so, alla polizia? Non possiamo lasciarlo qui. Da solo», lo vide alzare uno sguardo supplice, «potrebbe finire sotto a una macchina o, Dio non voglia, ingoiare qualche polpetta avvelenata. Dottor Kappa, dall'altro della sua professionalità medica, non possiamo permettere che accada una cosa del genere, non crede? Mh? Non crede?»

«Ma di che polpette avvelenate vai farneticando?» Eddie si ritrovò già esasperato da quella assurda conversazione.

«Non lo sai? Hanno trovato almeno tre cani morti nell'ultimo... anno. Un pazzo. Sono sicuro che solo un pazzo potrebbe fare una cosa del genere a cosini tanto tenerosi.»

«Ma ti senti quando parli?» Eddie si ritrovò a far roteare gli occhi, «Teneroso non è nemmeno una parola.»

«Aw, non dicevi così l'altra sera quando ti cospargevo il corpo di olio balsamico e ti chiamavo con tutti quei vezzeggiativi che...»

«Piantala! Piantala...» si portò una mano di fronte al viso, strizzandosi gli occhi alla base del naso, per recuperare un po' di tranquillità mentale, «ormai è evidente che questo allenamento è saltato.»

Richie si rimise in piedi, il cane che sbavava come e più di una fabbrica di gelatina.

«Quindi andiamo a portare questo teneroso alla polizia?»

«Io non vado proprio da nessuna parte, tu ci vai. E spera che non finisca tutta l'acqua calda per la doccia, mentre sei fuori.»

Qualcosa dovette andare storto in quel discorso perché l'ora successiva Eddie e Richie la passarono entrambi al commissariato alla ricerca dei padroni perduti di tale... Gunter. Un cane che aveva tutta l'aria di essersi davvero perso.

«Signori, credo di avere una pessima notizia per voi...» l'ufficiale di polizia a cui avevano presentato il caso, li stava osservando dietro un paio di lenti a mezzaluna che Eddie era convinto di aver visto indossare solo a Silente, in uno dei duecento film di Harry Potter che aveva intravisto in televisione. Per un attimo Eddie fu convinto che stesse sbirciando in modo un po' troppo insistente la mise di Richie, che per la cronaca non aveva nulla di indecoroso a parte una maglietta tecnica che metteva in evidenza quella sue grosse braccia. Braccia di cui Eddie fu improvvisamente, estremamente geloso.

«Il padrone del cane risulta... deceduto. Da almeno un paio di settimane. Deve essere quel tizio stroncato d'infarto al parchetto dei cani. Una brutta storia.»

«Deceduto? Che diavolo vuol dire: deceduto?!» era scoppiato Eddie, mettendo in imbarazzo persino Richie sulla questione. L'ufficiale gli lanciò uno sguardo fra il perplesso e il risentito.

«Lo perdoni è solo sconvolto dalla notizia», intervenne Richie, e poi, in un mezzo sussurro, «analizza i rischi per lavoro, è una cosa che lo coinvolge sempre a livello personale...»

Il poliziotto fece schioccare la lingua mentre Richie tirava un calcetto a Eddie per sedarlo dal ribattere ulteriormente.

«Qual è la procedura, in questo caso, agente?» gli chiese, per dar modo di far scorrere la conversazione in modo rapido e indolore.

«La procedura è che questo cane finisca dritto dritto al canile...»

Eddie, suo malgrado, rilasciò un sospiro di sollievo: «Ottimo, bene. Ve ne occuperete voi, immagino», disse, sentendo di aver comunque fatto il proprio dovere di buon cittadino. Il poliziotto annuì e si rimise in piedi. L'ombra di Richie però prevenne qualsiasi altra azione e con la sua incredibile stazza si frappose fra l'agente e il... cane.

«No, un momento», disse solo, rendendo palesi le sue intenzioni.

«Richie?» indagò Eddie, già estremamente preoccupato dalla piega della faccenda.

Lo vide alzare una mano come a impedirgli di parlare.

«E se invece trovassimo qualcuno disposto ad adottarlo e prendersene cura, prima che finisca al canile?»

Il poliziotto inarcò un sopracciglio.

«Se il passaggio di proprietà viene registrato regolarmente all'anagrafe canina, non vedo perché no.»

Eddie sentì qualcosa di pericoloso serpeggiargli nello stomaco. Qualcosa che sembrava più panico che altro.

«Richie, ma che diavolo stai... ?»

«Conoscete qualcuno che potrebbe prendersene cura?» investigò il poliziotto, intuendo la risposta così come l'aveva già tragicamente compresa Eddie.

«Direi di sì!» Richie aveva risposto con troppo entusiasmo per essere ancora fraintendibile. «Questo cucciolone viene a casa con noi!»

«No!»

«Sì!»

«Richie!»

«Signori... ?»

Eddie lo sentirono urlare fino al terzo piano della stazione di polizia. Fu un miracolo se non passò l'intera nottata in cella.

 

***

 

«Sei proprio sicuro che non sia stata una sua idea, quella di portare a casa Gunter?»

Richie annuì con molta convinzione, mentre Mike si riempiva un altro bicchiere di vino.

Stavano entrambi osservando Eddie, fuori in giardino, in compagnia del cane. Avevano perso il conto di quante palline gli avesse lanciato affinché gliele riportasse, da quando aveva annunciato che lo avrebbe fatto muovere un po', per paura di vederlo ingrassare nel tempo quanto il suo padrone. Richie, nella fattispecie.

«La cosa divertente è che ha cercato di fingere che non gliene fregasse niente per almeno un paio di giorni, quando è venuto a casa con noi. E ora guardalo: la più affettuosa della madri», sospirò Richie, portandosi una mano al cuore con trasporto.

«Aw, Eddie ha un cuore buono, sotto quella corazza da...»

«Furetto isterico? Non hai nemmeno idea di quanto.»

«Furetto isterico?» rise Mike, sorseggiando il suo vino, «spero non sappia che lo chiami così o rischi di far esplodere casa.»
«Oh, ha nomignoli molto più coloriti di quello, te l'assicuro. E a riprova del suo cuore buono, posso dirti che alla fine, li accetta tutti quanti.»

Mike sorrise benevolo. Era arrivato a Los Angeles da un paio di settimane e dopo essere stato ospite di Bill e sua moglie Audra, era approdato da Richie e Eddie che gli avevano riservato una stanza per qualche giorno. Il suo viaggio non si era ancora interrotto, dopo anni di stallo a Derry. Stava scrivendo un libro e il suo anno sabbatico andava alla grande, a suo dire.

Mike meritava, forse più di tutti gli altri, di ricevere grandi soddisfazioni dalla vita, dopo essere stato il guardiano solitario di una cittadina maledetta. Di risorgere e prendersi tutto ciò che si era sempre negato.

«Non siete cambiati molto da quando vi conosco...» commentò.

«Vuoi dire che siamo rimasti due ragazzini?»

«Anche. Ma fidati se ti dico che è una cosa... estremamente confortante.»

Richie gli lanciò uno sguardo sorpreso, ma grato.

«Credo di capire che intendi.»

E lo capiva veramente. Sapere di aver recuperato con gli anni, tutta quella genuinità a cui era stato abituato da ragazzino. Ne aveva più che mai bisogno. E per Mike sembrava lo stesso.

«Ti ricordi il giorno in cui Eddie è partito da Derry?»

Richie sgranò gli occhi con uno sbuffo, quasi divertito.

«Credo non riuscirò a scordarlo di nuovo tanto facilmente», il batticuore, il trauma, la nostalgia, il cuore spezzato. Cose che non era certo di voler ripercorrere tanto presto.

«E te la ricordi quella lettera che ti ho aiutato a scrivere e che ti sei portato via... quando sei stato tu, quello a lasciare Derry?»

«Credo... di sì. Non ricordo esattamente cosa ci avevo scritto ma... penso di averla buttata qualche giorno dopo il trasloco. Ho dimenticato tutti voi con una rapidità sconcertante», e lo rammentò con rammarico e rimpianto, come fosse stata colpa sua, l'aver dimenticato.

Forse aveva cominciato a dimenticare tutti loro nel momento stesso in cui avevano varcato i confini della città. Non riusciva a pensare a niente di peggio.

Si era distratto con questi orribili pensieri giusto il tempo di vedere Mike armeggiare con la borsa che aveva posato a terra, accanto al tavolo di cucina e tirarne fuori un quaderno dall'aria decisamente vissuta.

Richie non seppe perché, ma il suo cuore prese a battere più rapido.

Guardò Mike allungargli quello che aveva l'aria di essere un vecchio foglio di quaderno, ingiallito dal tempo. Di almeno trent'anni.

«Non me lo dire...» esalò incredulo, riconoscendo immediatamente la propria scrittura e tutto l'inchiostro sprecato a cancellare e riscrivere frasi.

«Ho conservato la brutta copia, già. Ero convinto che un giorno sarebbe... servito a qualcosa. E immagino di aver fatto bene, visto come sono andate le cose. Credo che sia arrivato il momento che arrivi al suo destinatario.»

Richie recuperò la lettera, osservandola con un misto di nostalgia e commozione. Il se stesso di quattordici anni che guardava al futuro, convinto avrebbe avuto modo di rivedere molto presto tutti i suoi amici. E nello specifico Eddie. Lo stesso Eddie a cui aveva dato il suo primo bacio e che aveva pianto per giorni, dopo la sua partenza. Che aveva fantasticato di riabbracciare, con cui aveva immaginato di poter costruire un futuro, un giorno, nell'innocenza della sua gioventù. Lo stesso Eddie che adesso, per un fortuito e straordinario caso del destino, ora camminava per il giardino della casa che avevano scelto assieme, a giocare con il cane che avevano adottato assieme.

«Questo è veramente un tiro mancino, Mikey. Mi ero ripromesso di non mettermi a piangere come un deficiente quando sei entrato da quella porta, ma adesso...»

Mike gli diede una pacca sulla spalla, mal trattenendo una risata.

«Bill me lo aveva detto che sei diventato un sentimentalone, ma non pensavo fino a questo punto.»

«Lo sono sempre stato! Solo che non potevo farvelo vedere, ragazzi, andiamo. Avevo una reputazione da duro da difendere.»

«Oh, sì, ti ci sei sempre impegnato parecchio a farcelo credere.»

Si umettò le labbra e ripiegò la lettera, deciso a tenersela buona per quando il momento sarebbe stato opportuno.

«Ma il contenuto di quella lettera già diceva tutto il contrario. In una qualche misura speravo sarebbe finita così.»

«Così, con me che piango come un cretino?»

«Così con noi... ancora tutti insieme.»

Quando Eddie rientrò per lavarsi le mani da un Gunter che lo aveva sbavato più del necessario li trovò abbracciati.

«Per l'amor di Dio, mi sono allontanato solo per mezz'ora!»

«Non fare il geloso, Kaspbrak!» lo rimbrottò Mike, raccattandolo per un braccio e costringerlo a unirsi a quella disgustosa manifestazione d'affetto collettivo.

 

***

 

Eddie a volte ancora si svegliava nel cuore della notte, residui di un incubo che scivolavano via non appena riapriva gli occhi. La sensazione di disagio restava per qualche istante per poi evaporare, nel momento in cui si rendeva conto di avere Richie al suo fianco.

Spesso si prendeva del tempo per osservarlo, mentre dormiva. Le labbra appena dischiuse, i capelli arruffati e la sensazione del suo calore tutt'intorno alla stanza. Di tanto in tanto si rendeva conto che anche lui sognava. Probabilmente alcuni incubi sarebbero stati duri a morire. Probabilmente se li sarebbero portati appresso per sempre. Ma in fondo, un monito per non abbassare mai la guardia su una felicità che si erano tenacemente guadagnati.

Richie quella notte però non dormiva. Quando Eddie riaprì gli occhi, scosso dal brivido di occhi gialli nell'oscurità, sentì il calore della sua mano sul viso, dell'altra sul cuore. E furono i suoi di occhi che incontrò, rassicuranti e benevoli, anche se ancora un po' assonnati.

«Scusa...», mormorò incerto Eddie, «ti ho svegliato io?», si preoccupò di chiedergli. Non sapeva mai quanto fossero agitati i suoi sogni, finché Richie non gliene dava conferma, il giorno successivo.

«Nah...», il calore della sua mano sul cuore, mentre il battito accelerato lentamente si placava, «cos'era stavolta? Hai dimenticato di pulire le zampe al cane? O di spegnere il telefono prima di metterlo sotto carica?» Il modo in cui sdrammatizzava sempre, in questo caso era molto più che ben accetto.

«Forse non ho chiuso la porta del capanno in giardino», gli diede corda, in un rito che era diventato ormai consuetudine. Riportare gli incubi alla realtà quotidiana. Per averla sottomano, per renderla reale e concreta.

«Ouch. Domattina potremmo dover avere a che fare con una mandria di scoiattoli impazziti.»

«Non credo che gli scoiattoli si radunino in... mandrie. Forse branchi.»

«... e questo è tutto per oggi, su National Geographic.»

Eddie sorrise, andandogli incontro, cercando le sue gambe con le proprie.

«Torna a dormire, Richie.»

«Tornaci tu, io ho intenzione di restarmene qui ancora un po' in contemplazione del mio Spaghetti.»

«Contento tu...»

Lo sentì attrarlo a sé, avvolgerlo con le braccia. Se l'indomani avesse avuto mal di schiena per la posizione scomoda non se ne sarebbe lamentato più di tanto.

 

***

 

Richie sbirciò fuori dalla finestra che dava sul porticato di casa.

Come previsto Eddie si trovava lì, un manuale di lavoro sulle ginocchia.

Le sere autunnali in California erano miti e gradevoli e sapeva che finalmente avrebbero potuto sfruttare appieno il potenziale di quel dondolo tanto anelato, senza doversene necessariamente restare chiusi in casa con l'aria condizionata.

Recuperò un paio di bottiglie di birra fresca e uscì, lasciandosi investire dal profumo di cespugli odorosi. Gunter sonnecchiava in un angolo, accanto alla sua ciotola dell'acqua, come si fosse addormentato poco prima di ricordare che era uscito per bere.

Richie si sedette accanto a Eddie. Il dondolo cigolò rumorosamente, interrompendo per qualche istante il quieto silenzio del vicinato. Di tanto in tanto, rumori delle abitazioni vicine o di una macchina lontana.

«Tieni...» gli allungò una birra. Eddie rialzò la testa dal suo tomo fatto di dati statistici e formule che Richie non avrebbe mai compreso e l'accettò con gratitudine.

«Ancora fermo sulla tua presentazione di domani?» gli chiese retoricamente.

Era una settimana che Eddie si stava preparando, studiando tomi di libri e appunti dall'aria disordinata. Promozione in arrivo o meno, Richie ammirava la sua dedizione.

«Già. Ma penso di poter fare una pausa». Richiuse il manuale con un tonfo sordo e lo sistemò a terra, accanto a una pila di quaderni per gli appunti. Lo guardò stappare la sua birra: il tappo fece un verso buffo che svegliò il cane.

«E' arrivata una lettera», lo sentì dire, indicando con la testa una busta color avorio posata sul tavolino, accanto al dondolo. Il tono di Eddie non sembrava così casuale come voleva far credere. Richie ormai poteva dirlo a occhi chiusi.

«Per me?»

«Anche...» lo sentì indugiare, prima di portarsi la bottiglia alle labbra e mandare giù un corposo sorso di birra.

Richie lo guardò con sospetto e si allungò per recuperarla. La busta era già stata aperta e riportava sull'intestazione, l'indirizzo di Ben Hanscom e Beverly Marsh.

«Perché quei due idioti ci hanno mandato una lettera?»

Eddie si strinse nelle spalle, ma non lo guardò. Si rese conto che stava fingendo solo quando capì che la lettera era già stata aperta. E probabilmente già letta.

Ne sfilò il contenuto con sospetto, ritrovandosi a stringere fra le dita un biglietto dall'aria sofisticata. Sopra di esso erano incise lettere color argento e oro che annunciavano, senza troppi fronzoli, un matrimonio.

«Ma che figli di...» esalò Richie, rialzando lo sguardo su Eddie che gli stava restituendo un'occhiata piuttosto esplicita.

«Perché non ci hanno detto niente l'ultima volta che ci hanno chiamati?!» nemmeno si rese conto di aver alzato la voce di almeno un'ottava.

«Forse volevano farci una sorpresa», scrollò le spalle Eddie, che però stava già sorridendo, deliziato dalla reazione di Richie o forse solo dalla notizia.

Un matrimonio. Richie si era chiesto per mesi quando Ben e Beverly gli avrebbero annunciato una cosa del genere; in fondo era prevedibile, era nell'aria ma ora che gliel'avevano presentata su un cartoncino color avorio tutto imbellettato di lettere arzigogolare era riuscito comunque a restarne sorpreso.

«Diamine, sì che è una sorpresa. Chi cazzo si sposa in inverno?»

«Bev e Ben, a quanto pare», commentò serafico Eddie, posando la birra e ripulendosi le labbra con il dorso della mano.

Richie continuava a leggere e rileggere il cartoncino, sentendo qualcosa di caldo e piacevole alla base dello stomaco. Una conferma che la vita stava davvero andando avanti, stava completando il suo corso. Due anni interi erano trascorsi da quando erano tutti quanti riusciti a rimettere mano al proprio destino. Due anni interi dove finalmente avevano potuto scegliere in piena facoltà e consapevolezza di chi fossero, cosa farne, del resto delle proprie vite.

Se guardava indietro a tutto quello che aveva dovuto affrontare per arrivare lì, in quel momento, non rimpiangeva un bel niente. Nemmeno le scelte peggiori che aveva fatto negli anni più bui della sua esistenza. La scalata lunga e dolorosa per approdare a un sentiero in pianura, non privo di ostacoli ma decisamente più agevole.

«Bè, immagino dovremo chiamarli per complimentarci con loro.»

«Magari domani», sbadigliò Eddie, «anche Bill è d'accordo». Alzò il cellulare per mostrargli la conversazione che si erano scambiati, forse poco prima che Richie uscisse con le birre.

Farli penare un po' per la mancanza di tatto nel comunicare loro la notizia.

«Mi sembra giusto. Suspence. Siete due stronzi quando vi ci mettere tu e William, lo sai questo, vero?»

«Non siamo stronzi, solo vendicativi. Ci faremo perdonare con un regalo a sorpresa quando meno se l'aspettano.»

«Diabolici.»

Eddie rise appena, mentre Gunter di nuovo assopito, sbuffava rumorosamente e muoveva le zampe posteriori, sognando qualcosa.

Richie posò di nuovo la busta sul tavolino, aprendo a sua volta la birra.

«Chissà perché i matrimoni generano sempre così tanta felicità. Insomma... sono solo due firme su un contratto, no?» domandò, senza sapere esattamente dove volesse andare a parare.

«Immagino che le persone siano ferme a un concetto romantico di amore eterno. Contratto o meno. La conferma di una... promessa?» disse Eddie, pensieroso.

«Immagino di sì.»

«Anche se la storia e la statistica ci insegnano che niente dura per sempre, men che meno i matrimoni, sopratutto in America.»

Richie si volse per guardarlo: «Però tu ti sei sposato comunque.»

Eddie fece una smorfia e scrollò le spalle come a sottolineare il concetto.

«E faccio parte di quella percentuale di divorzi.»

«Oh, andiamo, di certo quando ti sei sposato non pensavi al divorzio.»

«Se lo avessi fatto, sarei stato più furbo, stipulando un contratto prematrimoniale conveniente. Ma Myra non era d'accordo... ed io neppure.»

«Allora ti sei sposato per amore, vedi?»

Eddie fece schioccare la lingua e bevve un altro lungo sorso di birra, forse per non esprimere immediatamente quello che gli girava per la testa.

«Mi sono sposato perché mi sembrava giusto farlo. Perché è quello che la gente si aspetta. Perché è così che funziona la società.»

Richie riuscì a cogliere l'amarezza nelle sue parole. Il senso di oppressione.

«Mi sembra una considerazione piuttosto cinica.»

«Lo è.»

«Quindi pensi che anche Ben e Beverly si sposino perché è giusto farlo?» tentò Richie, affatto consapevole del perché, improvvisamente, quella conversazione avesse assunto dei toni tanto importanti per lui.

Eddie non rispose subito, si prese del tempo per finire la sua birra e posare a terra la bottiglia vuota.

«No. Penso che si sposino perché è quello che si meritano», sorrise, «posso essere cinico su tante cose ma non su quello che provano i miei amici.»

Richie si ritrovò a sorridere a sua volta, di nuovo quella sensazione di calore in fondo allo stomaco, che no, non era per via della birra. Se lo guardò in modo strano nemmeno se ne rese conto, ma l'espressione sul volto di Eddie si era fatta improvvisamente troppo seria e valutativa per ignorarla.

«Che c'è?» gli domandò, toccandosi il viso come se ci fosse qualcosa che lo aveva costretto a guardarlo in quel modo. Ma sotto sotto impaurito che avesse colto il pensiero che era appena sbocciato nel suo cervello.

«Niente», gli rispose, prima di guardarlo rimettersi in piedi, e recuperare appunti, libri e bottiglia della birra vuota, «penso sia arrivato il momento di andare a letto, domani sarà una giornata intensa.»

Richie annuì, facendo ballare appena la birra rimasta nella sua bottiglia, accogliendo a occhi chiusi il bacio che Eddie si preoccupò di fargli arrivare sulla fronte. Lo sentì indugiare più del necessario, prima di lasciarlo andare.

«Porta dentro il cane, quando rientri. Non fare tardi», gli disse.

Richie annuì e lo seguì con lo sguardo fino a che la porta di casa non si richiuse alle sue spalle.

Lo sguardo tornò di nuovo sull'invito di matrimonio.

Il pensiero stava già germogliando e crescendo nella sua testa e sapeva che non sarebbe stato così facile estirparlo.

«Sei un coglione...» commentò, portandosi una mano al viso.

Gunter guaì nel silenzio, in segno di mesta approvazione.

 

***

 

Eddie fu svegliato dall'odore di qualcosa che stava bruciando.

Se inizialmente aveva pensato si trattasse solo dello strascico di un sogno particolarmente realistico, ben presto si rese conto che no, quello che sentiva non poteva essere una proiezione onirica del suo subconscio. La puzza di bruciato era reale e vagamente nauseabonda. L'insistente latrato di Gunter, anche. Si trovò seduto sul letto vuoto in un istante, a scendere dal materasso con il rischio di inciampare nei suoi stessi piedi per la fretta e precipitarsi verso la cucina, seguendo la scia di fumo che sapeva provenire da lì.

«Che sta succedendo?», chiese, adocchiando il cane che trotterellava nervoso, chiuso fuori in giardino, poi Richie in piedi dietro ai fornelli e subito dopo la vampata di fuoco che stava crepitando allegramente in una delle padelle.

Eddie accorse in aiuto, mentre Richie stava tentando di riempire una brocca d'acqua per spegnere l'incendio.

«Fermo, fermo! Per l'amor di Dio, niente acqua!»

Si chinò verso uno scaffale della cucina, per recuperare un piccolo estintore che si era preoccupato di acquistare in tempi non sospetti e dopo averlo sbloccato ne scaricò un po' addosso al fuoco che si spense con uno sbuffo inappagato.

Restarono così, fermi a contemplare il piccolo disastro di polvere bianca che ora imbrattava la cucina e i residui di fumo che si sparpagliavano pigramente per la stanza.

A Richie uscì un singolo, distratto colpo di tosse.

«Ma che stavi facendo?» domandò Eddie, posando l'estintore sul piano di cucina, osservando il contenuto della padella che ora non aveva più una forma riconducibile a nessun alimento commestibile.

«Cercavo di preparare uova per colazione», commentò, con una nota sconsolata nella voce.

«Flambè?»

«Non esattamente...» lo vide allungare la mano verso il manico della padella e ritrarla immediatamente per paura di scottarsi, «immagino che non si possano salvare adesso.»

«Direi di no», commentò Eddie, un po' rammaricato del fatto che gli incomprensibili sforzi di Richie si fossero esauriti tanto drammaticamente. Aprì la finestra lì accanto e improvvisamente gli venne da ridere.

«Non ci provare, Eds...», lo ammonì Richie, ma si capiva dal modo in cui aveva piegato le labbra che stava cercando di dissimulare lui stesso l'impulso di sghignazzare, «volevo farti una sorpresa.»

«Oh, sicuramente ci sei riuscito. Svegliarsi con la cucina in fiamme... grossa sorpresa», gli diede una pacca sulla schiena, mettendosi a ridere davvero ora: Richie non tardò a seguirlo, lasciando crollare tutta la spinta d'orgoglio che gli aveva impedito di farlo immediatamente.

«Ordiniamo qualcosa al bar all'angolo?» propose Eddie.

«Immagino che riprovarci non sia nelle opzioni.»

«Non prima di ripulire questo sfacelo almeno», aprì un cassetto e ne tirò fuori un paio di stracci, «tieni. Recupero i detersivi e chiamiamo il bar.»

Richie annuì sconsolato, recuperando la padella per svuotare le sue povere uova carbonizzate nel cestino della spazzatura. Per la prima volta Eddie realizzò che sembrava tenerci davvero.

«Ci possiamo riprovare domani se vuoi...» gli disse, avvicinando il tavolo, rendendosi conto solo in quel momento che era stato apparecchiato con tutti i crismi: tovaglioli puliti, le tazze per il caffè che avevano comprato a un mercatino dell'usato con le loro iniziali, del pane bianco, biscotti e marmellata e spremuta d'arancia in brocca. L'attenzione per i dettagli gli scaldò il cuore. Si chiese se non gli fosse sfuggito qualche evento particolare: ma il compleanno di Richie era ancora lontano, il proprio era già passato. E l'anno insieme lo avevano festeggiato un paio di settimane prima, bevendo birra e sbocconcellando pizza, con una maratona di horror in sottofondo, ai quali non avevano prestato grossa attenzione, intenti a far tutt'altro sul divano del salotto (grazie al cielo, privo della benedizione di Tom Selleck e del suo magnum P.I, poster che, per la cronaca, era stato relegato all'ingresso, ad accogliere Eddie ogni volta che rientrava a casa da lavoro(un piccolo compromesso pur di non averlo in camera da letto).

Solo dopo aver vagliato le varie possibilità si rese conto di una busta posata sul tavolo, fra la brocca di spremuta e la tazza che Eddie usava per colazione. Sopra la busta c'era scritto il suo nome in stampatello.

«Rich...» lo richiamò, sollevando la busta.

Quando Richie rialzò lo sguardo, lo vide modulare un «merda» con le labbra e infine abbandonare gli stracci nel lavandino.

«Non era previsto che accadesse così ma...» sospirò avvilito, «Richie non ne fa una giusta due punto zero, immagino.»

Eddie abbassò lo sguardo sulla busta, ora vagamente agitato sul contenuto, ma non meno curioso di capire che diavolo stesse succedendo.

«Posso aprirla? O... avevi in mente di aspettare?» gli domandò, sperando ardentemente che Richie non avesse un'altra sfilza di sorprese prima di permettergli di districare il nodo della vicenda.

«In realtà stavo aspettando la banda di musicisti e il drone che sgancia palloncini e coriandoli dalla finestra ma...» lo prese chiaramente in giro, «immagino che sì, tu possa aprirla.»

Eddie non sorrise nemmeno ma si limitò ad inarcare un sopracciglio e infine dissigillare quella benedetta o maledetta busta.

La prima cosa che lo colpì fu la scrittura decisamente disordinata, ancora incerta, vagamente infantile... ma assolutamente riconducibile a Richie. Tutte quelle cancellature e macchie, impossibili da dimenticare. Gli tornarono in mente i pomeriggi a fare compiti insieme a scuola o rinchiusi nelle loro camerette. Le volte che aveva cercato di copiare i suoi appunti, di interpretare le zampe di gallina di Richie. A sghignazzare ad ogni frase mal interpretata, sopratutto quando era Richie stesso ad essere incapace di capire che diavolo avesse scritto. Il ricordo lo fece sorridere come un imbecille.

«Che cos'è?», gli domandò, un po' titubante sul cominciare a leggere. Non del tutto sicuro di riuscire a simulare l'emozione di avere tra le mani qualcosa di tanto... vecchio. Qualcosa che lo riportava di certo indietro di decenni. A quando tutto era così meraviglioso e semplice e spensierato, per certi versi.

«Dovresti leggerlo per capirlo, Spaghetti. Non posso imboccarti proprio tutto.»

Eddie si umettò le labbra, indeciso se mettersi comodo o meno. A corto di risoluzioni efficaci, se ne restò lì, in piedi accanto al tavolo, ancora con i suoi boxer e la maglietta troppo larga di Richie, che usava per pigiama.

«Derry, Maine, 12 agosto, 1990», esordì, colpito perfino dalla data, «Caro Eddie... caro, per modo di dire», iniziò a leggere ad alta voce, prima di rialzare lo sguardo mentre Richie si stringeva nelle spalle e con un'occhiata un po' imbarazzata lo spronava a continuare.

Eddie fece per riprendere a leggere a voce alta, ma il suo sguardo prese a scorrere un po' troppo rapido sulla carta per permettergli di farlo davvero. E in un istante, contro la sua volontà, fu immerso in una silenziosa lettura della missiva, cancellature comprese.

 

''Caro Eddie,

caro per modo di dire.

Considerato il modo in cui sei praticamente scomparso in questi mesi, il caro è l'ultima cosa che ti meriti, per quanto mi riguarda. Ma Mikey, che mi sta aiutando a mettere insieme le idee per buttare giù queste poche righe, ha insistito che è così che si cominciano le lettere. Così l'ho scritto. Per salvare le apparenze.

La vera lettera che avevo intenzione di scriverti iniziava così: Eddie, sei uno stronzo. Di quelli che galleggiano e se ne stanno in giro per tanto tempo. Perché come altro potrei descrivere qualcuno che nemmeno si è degnato di rispondere alla lettera di Mike? O di comunicarci se aveva cambiato indirizzo, da quello che si era preoccupato di lasciarci, prima di partire? Se non ha mai nemmeno cercato di contattarci, sapendo perfettamente che aspettavamo sue notizie? Mi piacerebbe dirti che sei stato l'unico a trattarci in questo modo, ma la cruda realtà è che nessuno dei Perdenti, in questi mesi, si è mai fatto vivo. Se suona come un rimprovero è perché lo è. Mike ed io ci siamo preoccupati, quando nemmeno Big Bill o il buon Covone ci hanno mai risposto. Per questo ora mi trovo a scriverti una lettera. Che ho tutte le intenzioni di portarti a mano, il giorno che ne avrò la possibilità. Così non potrai proprio sfuggirmi e non potrai dire di averla persa. E nemmeno la mia amata signora Kaspbrak, potrà impedirmi di fartela arrivare, sebbene gelosa della relazione che mi lega a lei.

Vorrei chiederti come stai, come sta andando nella nuova città, nella nuova scuola, con i tuoi nuovi amici, ma suppongo siano tutte notizie che mi preoccuperò di estorcerti dal vivo, quando ci vedremo.

Perché saranno, credo, quelle più facili da chiedere ad alta voce, mentre quello che sto per scriverti forse non avrò mai il coraggio di dirtelo, guardandoti negli occhi.

La verità è che ci manchi, a Mikey e me.

Ma sopratutto a me... manca quella tua strabiliante capacità di reagire alle provocazioni. Voglio bene a Mike, ma non è esattamente la stessa cosa. È praticamente impossibile farlo incazzare. Con te era così facile. Un concentrato d'ira formato famiglia, pronto ad esplodere per ogni stupidaggine. Grazie per avermi tolto tutto il divertimento, Spaghetti.

Sopratutto a Mike, giusto per fartelo sapere. Perché l'estate qui è lunga e noiosa. Ogni tanto andiamo ancora ai Barren ad ascoltare la radio e lanciare legnetti in quelle acque putride per vederli galleggiare via, lontano da Derry, come piacerebbe fare anche a noi, un giorno.

Di tanto in tanto ancora torno alla sala giochi, per distrarmi un po', ma non funziona granché se non c'è nessuno con cui vantarsi dei risultati. É come se l'estate si fosse spenta e avesse perso un sacco di colore, da quando non ci siete più. Da quando tu non ci sei più.

Da quando tu non ci sei più.

E tutto ciò a cui riesco a pensare è il giorno in cui ci siamo salutati, prima della tua partenza. Ci ho pensato tanto, ci ho pensato spesso e mi chiedo quale diavoleria sarebbe uscita dalla mia boccaccia se mi avessi dato il tempo di parlare dopo quello che è successo, invece di scappartene via come hai fatto.

Probabilmente ti avrei solo detto che per me era lo stesso. Che è sempre stato lo stesso. Anche se non ho mai cercato di essere più esplicito di come lo sei stato tu.

Spero di rivederti presto, di ritrovarti bene e magari un po' cresciuto, qualche millimetro. Non mi aspetto molto di più, nanetto. Spero di poterti insultare dal vivo come meriti. E spero di poterti abbracciare di nuovo, Eds, Eddie... Spaghetti, stritolarti un po', e poterti dire, comunque, quanto ancora tu sia carino, carino, carino. Carino come piace a me.

Con affetto (questa me l'ha suggerita Mike come chiusura, un tocco di stile),

Richie 'Boccaccia' Tozier

 

P.S: Saluta Sonia da parte mia e dille che mi manca da impazzire. Lei sa.

 

Eddie non alzò subito lo sguardo, lesse e rilesse quelle parole, sentendosele entrare nelle viscere come continue stilettate. Una allo stomaco, una alla gola, un'altra al cuore. Molteplici al cuore.

Le cancellature, la scrittura nervosa, la frustrazione di Richie, la paura, il dolore, il risentimento e la malinconia. Tutte lì, evidenti nero su bianco. Per un istante se ne sentì sopraffatto, e si ritrovò a pensare al se stesso quattordicenne, impaurito e solo, senza memoria alcuna dei suoi precedenti tredici anni, un ragazzino convinto di essere indegno dell'affetto di veri amici, amici che non ricordava di aver mai avuto. O dell'amore di qualcuno che non fosse sua madre. Se solo Richie fosse davvero riuscito a raggiungerlo, gli anni successivi, a strapparlo via da quella mostruosa amnesia che lo aveva privato dei ricordi del periodo più gioioso della sua intera esistenza. I ricordi della persona che aveva amato... per una vita intera.

«Richie... questa è...»

«Una lettera. Che ho scritto almeno trent'anni fa», rispose Richie sottolineando l'ovvio, come non fosse sicuro di cosa dire o fare. Come non lo fosse stato davvero nemmeno mentre progettava di fargliela leggere, quella dannata lettera.

«Come... ?»

«Mike, quando è stato qui», prese di nuovo la parola, forse conscio che Eddie non avesse granché voglia di parlare o di fargli capire quanto la voce fosse compromessa. Impossibile però nascondere quanto gli tremassero le mani, «questa è la brutta copia di una lettera che non ho mai spedito. Avevo intenzione di portartela a mano, un giorno. Ma non potevo certo prevedere che mi sarei dimenticato di te... e della lettera, una volta uscito da Derry».

Il pensiero di Richie che varcava i confini di quella maledetta città e lentamente si lasciava scivolare via tutti i ricordi dell'estate di IT, dei Perdenti e del suo Eddie Spaghetti fu un'altra sferzata allo stomaco. I suoi buoni propositi, le sue speranze, cancellate con un colpo di spugna.

Immediatamente comprese tutto quello che Richie doveva aver passato per causa sua. La concretezza di un bacio, di una rivelazione e l'impossibilità di avere alcuna ricompensa o gratificazione. Dimenticare e essere dimenticato.

Un'ingiustizia grande quanto l'universo.

«Mi sembrava il momento giusto per fartela avere...» concluse e Eddie lo guardò con aria interrogativa, anche se ancora apertamente turbata.

«Oggi? Perché oggi?»

Richie si strinse nelle spalle.

«Perché oggi sono esattamente due anni che sei tornato nella mia vita», commentò con un sorriso incerto, «so che gli anniversari non sono esattamente il tuo forte, Eds, ma credo di aver marchiato a fuoco quella data... nel cervello, per sempre.»

Due anni. Come aveva fatto a non pensarci? Due anni prima, di un giorno come quello, Eddie Kaspbrak scendeva dalla sua macchina e si fermava di fronte alla Giada dell'Oriente. La paura e l'incertezza di un incontro con persone che non vedeva da ventisette anni, per prestare fede a un patto che aveva giurato di mantenere quando non era che uno stupido ragazzino con il braccio ingessato. E l'ansia di riabbracciarli tutti. Tutti quanti. Nonostante il serpeggiante terrore latente che gli vibrava nello stomaco.

Ma era solo quando aveva rivisto Richie che molti dei suoi ricordi avevano preso a sbloccarsi, uno dopo l'altro, risvegliati dal suono di un gong.

Due anni che Richie Tozier era tornato nella sua vita. Ed era tornato per restarci. Restarci, presumibilmente per sempre.

Eddie si ritrovò ad augurarsi che sarebbe stato per sempre. Due parole che presero concretamente forma nella sua testa.

«Sono un idiota...», commentò solo, sentendosi sopraffatto da qualcosa a cui adesso riusciva a dare un nome. Gli camminò incontro, mollando la lettera sul tavolo, per raccogliere con una mano il colletto della sua camicia, affondargli l'altra fra i capelli e attirarlo bruscamente a sé per un lungo bacio. Che non voleva essere il mero pretesto per chiedergli scusa per non essersene ricordato. Solo un bacio che in quel momento si augurò riuscisse a trasmettergli quanto lo amasse. Quanto lo aveva sempre amato.

«Nonostante le uova carbonizzate, posso affermare che questa cosa sia stata un estremo successo», mormorò Richie, un po' scombussolato, non appena gli fu concesso di riprendere fiato.

Eddie alzò di poco lo sguardo, il pugno ancora chiuso sulla stoffa della sua camicia: lo scrutò con fermezza. Leggergli negli occhi quel deliziato appagamento e tutta la tenerezza del mondo in quel sorriso un po' sghembo, lo spinse a una decisione impulsiva ma decisiva.

«Potrebbe ancora migliorare...» gli disse, senza distogliere lo sguardo, deciso a tenerlo inchiodato lì nei suoi occhi, fino alla fine del tempo, fosse stato necessario.

Richie inarcò un sopracciglio, invitandolo a continuare verso qualsiasi direzione avesse intenzione di intraprendere.

«Potrei chiederti di sposarmi», disse.

Gli occhi di Richie si sgranarono per la sorpresa sotto le lenti spesse dei suoi occhiali.

«Eddie... ?»

La risata e il singhiozzo liquido che ne seguì, il volto arrossato, le lacrime emotive di consuetudine, furono il modo più esplicito per Richie di pronunciare il Sì, più rumoroso ed entusiasta della storia.

 

Fine.

 

 

Nota: Finalmente sono riuscita a concludere la storia. Ci ho messo un po' stavolta, perché, sebbene sapessi dove volevo andare a parare non riuscivo a trovare il modo giusto per farlo. La creatività è andata un po' a farsi benedire in questo periodo oscuro e dato che in questo momento, un po' come Richie, sono anche particolarmente emotiva, credo mi sia scappata una colata di melassa non preventivata. Comunque sono anche convinta che, dopo tutta l'oscurità che libri e film gli hanno riservato, i nostri due se lo meritassero un lieto fine. Perciò ve lo regalo così. Grazie a chiunque abbia speso un po' del suo tempo per leggere tutto, grazie anche a chi ci ha tenuto a farmi sapere cosa ne pensasse: il supporto è stato super gradito e prezioso!

Ma dato che sono stata risucchiata in un turbine di palloncini rossi da troppi anni ormai, credo che sentirete ancora parlare di me, in questi lidi. Con una storia che mi ronza nella testa da un po'. Perciò, alla prossima!

  
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