Anime & Manga > Boku no Hero Academia
Ricorda la storia  |      
Autore: Mikirise    07/04/2020    1 recensioni
Katsuki è anche divertente, a quanto pare, perché ogni volta che parla tutti i suoi compagni di classe scoppiano a ridere. Quindi? Ah. Scacco matto. Prima era difficile che i suoi amici ridessero. C’era proprio un altro rapporto.
“Ma non è che tu instauravi rapporti di terrore coi tuoi compagni di classe di prima?” gli chiede un giorno Scintilla, ridandogli il suo quaderno degli appunti. “Se nessuno rideva con te. Se nessuno ti prendeva nemmeno un po’ in giro... non è che tu facevi paura alla gente e poi dicevi che eri loro amico?” Scintilla si gira a guardare Deku, per poi tornare a guardare Katsuki. “Spiegherebbe un po’ di cose.”
[kiribaku pre-slash]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Best Jeanist, Katsuki Bakugou, Kirishima Eijirou
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 

Horikoshi: guarda, i Bakugou! They're funny!
me: sensei... sensei that's domestic abuse...




Le quattro operazioni fondamentali:

(Addizione, sottrazione, divisione e crescita)

 
Estamos condenados a amar a nuestra familia aunque nos decepcionen, aunque no nos entiendan, aunque nos hagan sufrir. Puedes intentar separarte de tu familia, dejarlos atrás, pero no es para siempre... La familia siempre está ahí. (Las chicas del cable)


Il primo ricordo che Katsuki ha di suo padre è lui che si era inginocchiato accanto e gli aveva accarezzato la testa e gli aveva detto che gli dispiaceva. E Katsuki sentiva che gli faceva male qualcosa. Forse la testa. Forse la guancia. Non ci sono foto, di quando era piccolo. C’è un motivo.

La verità è che quando, anni dopo, Katsuki ha alzato quella mano, pronto a colpire, non ci ha visto niente di male. Non ci ha visto un errore. Perché è così che lo hanno educato. È così che gli hanno detto che le cose dovevano essere fatte ed è così che hai il diritto di parola, di opinione. Quando ha alzato la mano, in realtà, lo ha fatto per reclamare un suo diritto. Quando la mano si è mossa per colpire la persona davanti a lui, non ha pensato ci fosse qualcosa di sbagliato e, quando una mano si è frapposta tra il viso di sua mamma e la sua mano, ha sentito un’irritazione primordiale, venirgli da un dolore al petto che lui ha provato a zittire per così tanto tempo da averlo dimenticato.

Non era suo padre. Lui ha chiesto scusa tante volte. Non riesce mai ad agire, quando dovrebbe. Non era stato suo padre a fermarlo.

I ruoli si erano finalmente invertiti e qualcuno aveva fermato la sua vendetta, la sua presa di parola, il suo diritto a essere lì. Nessuno aveva mai fatto una cosa simile per lui. E che sua madre sia stata protetta è soltanto un modo per aumentare la sua indignazione. Che la persona che ha fermato il suo schiaffo poi sia stato Deku, gli ha fatto salire il fumo al cervello e c’è stato un momento in cui Katsuki ha visto soltanto rosso e il suo istinto è stato di alzare l’altra mano e provare a colpirlo, con ancora più forza.

Perché fermarlo?

Deku lo sa. Allora perché fermarlo? “Ti devi calmare” gli ha detto con la voce calma, prima di girarsi verso la mamma e fare un cenno con la testa. Come se stesse chiedendo scusa. Chiedere scusa, che è anche una delle cose che in questa famiglia non si fanno mai. Che è un segno di debolezza. Che è un modo per dire che sono deboli, loro due, e che sarà giusto qualsiasi altro atto di violenza nei loro confronti. Deku si era girato di nuovo verso di lui e gli aveva ripetuto, quasi sibilando: “Ti devi calmare.”

E questa cosa lo ha fatto incazzare ancora di più,

Il suo primo ricordo con sua madre è lei che gli dà uno schiaffo. Katsuki non ricorda molto, ma ricorda che il colpo era stato così forte da fargli girare la testa e ricorda i suoi giocattoli per terra, lasciati lì dopo che i suoi amici erano venuti a trovarlo. Erano appena andati via. E Katsuki era stato felice per tutto il giorno. Poi era arrivato lo schiaffo di sua mamma. C’era un motivo se a Katsuki è sempre piaciuto stare fuori casa. C’erano meno possibilità di di essere colpiti.

Katsuki si era liberato di Deku con un gesto della mano, per poi tornare a guardare sua madre.

È arrabbiata perché i ruoli si sono invertiti. Si è arrabbiata perché Katsuki ora è più forte e si può difendere e può anche vincere. Si è arrabbiata perché adesso Katsuki è molto più grande, perché ora non c’è modo in cui lei possa vincere. E Katsuki deve farglielo capire. Deve vincere fisicamente. Deve dare la prova di questa cosa. Lo doveva fare. Ma Deku lo ha fermato.

“Devi perdonarla” gli ha detto, guardandolo negli occhi. E Deku non dice mai quello che gli altri devono fare. Non è mai nemmeno sicuro di quello che lui stesso vuole fare, figuriamoci. Ma sembrava essere sicuro di questa cosa. “Devi perdonarla, perché altrimenti non potrai andare avanti.” Gli ha lasciato il polso.

E Katsuki ha dovuto decidere che cosa fare. Da solo. In quel momento.

Solo.

 



Esistono diversi modi per diventare un eroe, gli ha detto una volta Best Jeanist. Di solito queste conversazioni ce le hanno mentre Katsuki guarda il vuoto e Best Jeanist gli sistema i capelli. Gli passa sulla testa questo pettine caldissimo che gli fa quasi paura per quanto brucia. Ricorda che una volta lo aveva preso in mano, dopo essersi fatto la doccia e avvicinandolo alla punta dei suoi capelli gli sembrava di aver visto dell’acqua evaporare. Così tanto da fargli fumare la testa. Ma quando Best Jeanist lo pettina, per un motivo o per un altro, Katsuki non sente mai dolore. Come un cane scemo a cui hanno tirato un osso e se ne sta buono. Così tanto coglione è Katsuki quando Best Jeanist sta con lui.

Quando si siede accanto a lui e poi gli sistema i ciuffi che potrebbero finirgli davanti agli occhi, per qualche motivo, Katsuki sente che un po’ capisce quello che Best Jeanist gli vuole dire. Che capisce che cosa vuole. Che in un certo senso, Best Jeanist lo capisce.

Quando gli sistema il colletto dei vestiti e gli mostra il quartiere intorno al quale fa la pattuglia, quando lo costringe a salutare dei passanti e quando gli mostra come dovrebbe essere un sorriso appena accennato, o felice, o cordiale, Katsuki sente che le cose che Best Jeanist le cose che gli dice gliele dice per il semplice motivo che lui a Katsuki ci tiene, che lo sgrida perché crede che qualcosa di buono può combinare. E non ha mai alzato la voce, nemmeno una volta. Come se sapesse. A volte Katsuki sbaglia quello che dovrebbe fare di proposito, per vedere la sua reazione. E Best Jeanist non ha mai cambiato il modo in cui lo guarda. Anzi. Quando fa un errore, i suoi occhi (l’unica parte del viso che Katsuki riesce a vedere dietro tutto quel denim) diventano un pochino più dolci ed è sicuro (quasi sicuro) di averlo visto trattenere una risata quando Katsuki gli ha portato un caffè un po’ troppo zuccherato.

In quello studio, Katsuki non è sicuro del perché, ma sa di essere al sicuro. Come un ragazzino. Come se avesse bisogno di sentirsi al sicuro. (Non ne ha mai avuto bisogno.)(Non ha mai pensato di dover essere al sicuro.)

Il problema è che quando se ne va via, con le mani nelle tasche, sente che tutte quelle parole che Best Jeanist ha detto, per qualche motivo, non hanno più senso. Che le cose che ha provato a insegnargli non vogliano dire niente. Il suo cervello smette di ragionare con quella calma che Best Jeanist ha provato a dargli, e torna con quella sua forma mentis di tanto tempo fa, che gli fa quasi paura, quando invece si trova accanto a Best Jeanist o alle sue spalle.

Katsuki sospira, fissando la porta della sua camera, con una punta di irritazione. È solo stanco e di cattivo umore. Si passa una mano sul viso e poi ruota gli occhi. Allunga il braccio quel tanto che basta perché la sua mano raggiunga quello stupido post-it attaccato su quella stupida porta (di merda) e poi entra in camera sua. Non che gli importi. Non che capisca che cosa sta succedendo. Non che voglia capirlo.

E ora comunque ha sonno. Quindi. Fanculo. ‘Notte stronzo.



 




Le amicizie che Katsuki è riuscito a creare al liceo -non riesce a togliersi dalla testa che siano una concessione da parte di (quello stronzo, cazzone, inutile, coglione) Deku. Si sente un po’ coglione a pensarla così. Katsuki non deve certo niente a nessuno e non pensa che abbia mai dovuto qualcosa a nessuno. Katsuki si è sempre messo in campo da solo e ci ha sempre messo la faccia in quello che fa. Riconosce che la sua personalità può non essere delle migliori (cioè, anche lui ha i suoi momenti Testa di Cazzo, lo riconosce), ma se le persone decidono di stargli accanto -beh, allora quelli sono un po’ cazzi loro ed è un po’ la loro scelta. Quindi ‘fanculo Deku e le sue concessioni di merda.

Però un po’ ci pensa a questa cosa e un po’ pensa che è vera. Ma non vuole certo ammetterlo.

Gira la pagina del suo libro, con le gambe incrociate sul divano della sala comune, mentre, un po’ più in là, Kirishima, con la sua stupida fascia bianca in mezzo ai capelli e uno sguardo mezzo addormentato, guarda la televisione con il viso posato sul pugno chiuso. Non si sono detti molto e Katsuki non ha certo intenzione di iniziare nessuna conversazione. Sta pensando. E anche leggendo un libro e, lancia uno sguardo all’orologio solo per poi decidere che tra poco dovrà anche andare a letto.

Non succede molto in queste giornate. Forse per questo si ritrova a pensare più spesso a certe cose che prima invece passavano inosservate. Gli piace stare seduto qui con Kirishima. Questa è una di quelle cose a cui non ha mai pensato. Poi, gli piace anche leggere questi stupidi libri, sui trattati di come la società è cambiata in questi anni, grazie alle Unicità e la Società degli Eroi. Gli piace avere delle conoscenze che sono casuali, che non hanno nessun collegamento tra loro. E gli piace che ci sia qualcuno che si sieda in silenzio accanto a lui. (A casa gridavano sempre, accanto a lui.)

Se Katsuki adesso si può sedere e non essere disturbato da delle persone che chiama amici, mentre fanno delle cose che non c’entrano nulla l’una con l’altra è perché Deku si è fatto, per una volta nella sua vita i cazzi suoi e nessuno sa che tipo di rapporto hanno avuto prima di entrare al liceo. Di questo, lui ne è più che consapevole. Prima non lo era. Adesso lo è un po’ di più. Non è sicuro di quanto dovrebbe esserne consapevole per fare ammenda. E quanto è concesso sentirsi in colpa, per quanto tempo, se deve dire certe cose ad alta voce.

Se deve chiedere scusa. O ringraziare. Detesta essere in debito con qualcuno.

Katsuki gira la pagina del suo libro. Sta leggendo senza assorbire niente. Le persone cambiano è una frase che funziona per davvero quando si deve andare avanti? E quanto è cambiato Katsuki da quando andava alle medie? Cosa c’è di così diverso adesso, che è passato nemmeno un anno e qualche mese? Giocherella con le pagine del libro. Le sfoglia velocemente, per poi sospirare e tornare a leggere.

La luce della lampadina dietro di lui riflette sul libro e gli si chiudono gli occhi. Katsuki riesce a percepire, in un qualche modo, mentre si stropiccia gli occhi, il movimento di Kirishima, che si gira verso di lui e poi inclina un po’ la testa, sorridendo. “Hai un po’ sonno, eh” gli dice. Deve starlo prendendo per il culo. Non che importi.

Katsuki lo spinge, allungando la gamba e dandogli un calcio, e fa ridere a pieni polmoni Kirishima, che si tappa la bocca, per non fare troppo rumore. Ha l’istinto di mandare a ‘fanculo anche lui. Ma sì. Prendi il giro lo stronzo di turno. Non è divertente. Ma non ne ha molto le forze, motivo per cui, Katsuki sospira e torna al suo libro. Ha detto che sarebbe rimasto qua fino a che non sarebbe finito questo film (di merda) e ci rimarrà qui fino a che questo film (di merdissima) non finisce. Sono tre cazzo di ore che quel coso va avanti, ma okay. Katsuki non è un debole e non abbandonerà anche lui la sala comune solo perché uno stronzo occidentale con troppe rughe ci mette tre (cazzo di) ore per raccontare una storia (merdosa).

Katsuki fa un cenno con la mano e Kirishima torna a guardare il film, con un sorriso sulle labbra, come se fosse felice di guardare squartamenti (senza senso) e sangue che cade sul cemento di vecchie città che probabilmente nemmeno esistono più.

Vabbè. I gusti sono gusti e Katsuki ha altre cose da fare. Il libro che sta guardando (e non leggendo), ad esempio.

“Guarda che mica ti devi sforzare per me” cerca di dire di nuovo Kirishima, sistemando la testa su uno dei cuscini del divano. “Posso anche finirlo da solo.”

“Sto guardando il film io, secondo te?” ribatte Katsuki, con un tono anche troppo secco.

“No?”

“Eh. No. Quindi chi ti fa credere che io stia qui per te?”

Kirishima si gira a guardarlo, senza dire niente. Sistema il suo cuscino, poi scivola sul divano e sbuffa qualcosa che sembra essere una risata. “Okay” gli dice in risposta. Torna a guardare il suo film. Si crede un pochino troppo speciale e importante questo qui.

Katsuki ruota gli occhi. Non ha certo bisogno delle fottute concessioni di Deku. Glielo deve dire uno di questi giorni che non gliene frega niente delle sue concessioni e che può anche andare a dire in giro qualsiasi stronzata su di lui, che non gliene frega niente di come parla di lui, di cosa pensa di lui, di quello che gli altri in questa classe pensano di lui.

(Comunque non lo fa.)



 




Katsuki ha vari talenti. Nessuno li vuole ammettere, ma lui li ha, e non può certo far finta di non averli. Uno dei suoi talenti nascosti, dice Faccia Tonda (Uraraka)(sta provando a ricordare i nomi)(Uraraka, giusto?), è che sa cucinare e quindi ogni volta che un membro della 1-A decide di voler cucinare, allora chiamano o Labbra Grosse (Sato?) oppure Katsuki. Katsuki per le cose salate. Sugarmama là per le cose dolci. Lo prendono anche in giro, perché dicono che è una buona metafora per le loro personalità. ‘Sto gran cazzo. Katsuki non è salato. Katsuki è una persona normale. E qui tutti scoppiano a ridere, ma lui mica ha capito il perché. Beh.

Un altro dei suoi talenti nascosti è lo studio. E magari non è allo stesso livello, di Riccona di Merda, o Quattrocchi (Yaoyoruzu?)(Iida?), ma sa come studiare e sa come insegnare agli altri. E a quel punto Rosetta e Scintilla si mettono a ridere sempre, perché dicono che Katsuki non sa insegnare se non attraverso pugni e parole cattive. Invece Riccona di Merda offre sempre dolci e tè per addolcire i suoi rimproveri e anche Deku (cazzone) è più paziente di quanto lo sia lui (anche se lo devono dire che Deku aiuta a studiare neanche a pagarlo eh)(ché ogni volta che può corre via come se dovesse fare qualcosa di molto più importante)(egocentrico figlio di puttana).

Katsuki è anche divertente, a quanto pare, perché ogni volta che parla tutti i suoi compagni di classe scoppiano a ridere. Quindi? Ah. Scacco matto. Prima era difficile che i suoi amici ridessero. C’era proprio un altro rapporto.

“Ma non è che tu instauravi rapporti di terrore coi tuoi compagni di classe di prima?” gli chiede un giorno Scintilla, ridandogli il suo quaderno degli appunti. “Se nessuno rideva con te. Se nessuno ti prendeva nemmeno un po’ in giro... non è che tu facevi paura alla gente e poi dicevi che eri loro amico?” Scintilla si gira a guardare Deku, per poi tornare a guardare Katsuki. “Spiegherebbe un po’ di cose.”

“Muori” gli risponde semplicemente Katsuki, prendendogli il quaderno degli appunti dalle mani e infilandoselo nella borsa di scuola. “Che cazzo ne sai di quando andavo alle medie?”




 





Che cazzo ne sai di quando andavo alle medie.

Eh. Infatti. Cazzo ne sa lui? Niente. Nessuno in questa classe sa un cazzo, perché Katsuki certo non dirà niente e Deku non sembra volerne parlare, per chissà quale motivo. Per la prima volta nella sua vita ha il coltello dalla parte del manico. Un’arma a suo favore. Perché sprecarla?

C’è di nuovo un post-it sulla porta della sua camera. Andrà tutto bene, dice. Andrà tutto bene questo grandissimo cazzo, ma a questo punto a Katsuki non è che importi qualcosa. Prende il post-it in una mano e lo arrotola, per entrare in camera sua e addormentarsi, perché è stanco e non vuole passare nemmeno un altro secondo fuori dal suo letto. Andrà tutto bene. Ma che cazzata. Chi gli lascia questi post-it qui? Ma scherziamo? Andrà tutto bene?

Katsuki sbatte la porta dietro di lui e nemmeno accende la luce. Andrà tutto bene.

Andraà tutto bene?

Che cosa deve andare bene? Lui non è preoccupato per nulla.


 




Best Jeanist non assomiglia per niente a suo padre. Suo padre ha i capelli spettinati e gli occhiali, Best Jeanist ha già detto che prima di farsi vedere spettinato o senza le sue lenti a contatto morirebbe di atroci agonie. Ma quando Katsuki lo ha visto indossare gli occhiali nel suo ufficio, ricorda, gli è quasi venuto da piangere, anche se non sa esattamente il perché. Quando poi Best Jeanist ha controllato che le spalle e anche Katsuki fossero in ordine e che non avessero nemmeno un capello fuori posto e ha sistemato con le mani i ricci ribelli di Katsuki, può essere che Katsuki sia scoppiato a piangere.

Ma non sa perché.

È stato così imbarazzante e così umiliante, che ha abbassato lo sguardo e poi è andato in bagno e non ha detto una parola per il resto della giornata. Best Jeanist nemmeno ha detto niente sull’accaduto. È stata la scelta migliore, perché se avesse provato a consolarlo (per cosa poi?) non sarebbe riuscito a perdonarlo. I Bakugou non si consolano. I Bakugou rimangono in silenzio, finché la cosa che fa male non va via.

Le persone possono davvero cambiare? E, una volta cambiate, a chi vanno le colpe di quelle persone? È giusto far pagare adesso a Katsuki i suoi errori? È giusto non farglieli pagare? Deve sentirsi così in colpa? Deve sentirsi così pesante? Deve avere così tanta paura di perdere delle cose che ha ottenuto? Sa che probabilmente è giusto pagare per quello che ha fatto, non sta dicendo che non sia così, ma se lui è cambiato, se al lui di adesso dispiace -davvero non è abbastanza?

Il suo primo ricordo di suo papà (non lo vede da mesi suo padre, chissà come sta) è lui che gli chiede scusa, ma Katsuki non ricorda perché gli chiede scusa. Ha dovuto ricostruire il ricordo ancora e ancora e ancora. Deve avere a che fare con sua madre. Probabilmente è questo il punto. Il suo essere fissato con la forza viene da sua madre, alla fine. Quando diventerà abbastanza forte, lei non potrà fargli niente, giusto? Questo era il pensiero. E quel giorno Best Jeanist gli ha ricordato suo padre e... suo padre non è mai cambiato. Gli ha chiesto scusa ma non è mai cambiato.

Quindi? Cos’è giusto fare? Perché è così arrabbiato? Cosa ci deve fare con tutta questa rabbia? Dove deve andare?

Best Jeanist alza lo sguardo verso di lui. Oggi non ha gli occhiali. Grazie al cielo. E Katsuki gli ha portato un caffè amarissimo, così s’impara questa testa di cazzo a fargli ricordare suo padre e farlo piangere. “Siediti qui” gli dice, indicando una sedia che ha messo vicino alla sua, dietro alla scrivania. E Katsuki sbatte la tazza di caffè sul tavolo e poi si siede accanto a lui. Best Jeanist ignora il suo comportamento e gli mostra le mani.

Sono delle mani particolari quelle di Best Jeanist. Sono callose, come se avesse lavorato tutta la sua vita. Ci sono dei graffi che sulla sua pelle sono più chiari. Una strana forma sui polpastrelli, come se dal tanto sfregarli sui tessuti la pelle di sia abituata a quella forma.

Orca dice che Best Jeanist adora i ragazzini problematici e quando ha visto Katsuki è solo scoppiato a ridere e ha chiesto se se ne fosse aggiunto un altro al gruppo. Poi ha detto, un po’ più a bassa voce che anche Best Jeanist è stato un ragazzo problematico. Katsuki vorrebbe sapere un po’ di più su questa cosa, ma non fa domande, perché non sa che risposta vorrebbe. E poi, beh, Katsuki non è un ragazzo problematico.

Best Jeanist gli prende una delle mani (sudate)(le mani di Katsuki sono perennemente sudate) tra le sue (callose) e poi gliela stringe in un pugno. “Con questa rabbia, proteggi gli altri dalla rabbia” gli dice.

Katsuki non capisce. Lo odia. Non capisce. Tira indietro la mano. Si alza in piedi. Questo vecchio spara solo cazzate. Non che gli importi. Non che credesse che lo potesse guidare o aiutare a capire che cosa avrebbe dovuto fare della sua vita.

Katsuki queste cose lo sa che le deve fare da solo.

È sempre stato così.


 





Deku e Kirishima sono grandi amici. Katsuki vorrebbe che non fosse così. Perché è un po’ coglione e detesta non avere il controllo sulle cose. E quando li guarda insieme che parlano tra loro e si dicono cose, non riesce a non pensare che Deku possa spifferare qualcosa e che Kirishima possa guardarlo in qualche altro modo. E perdere un amico.

Che cosa patetica. Perdere un amico.

Le persone cambiano, no? Allora perché lui dovrebbe pagare per qualcosa che non sapeva essere sbagliato nemmeno qualche mese fa? Deku non parla. Come avrebbe potuto lui capire di star facendo qualcosa di sbagliato? Perché dovrebbe perdere tutto quanto proprio adesso? E perché si sente così tanto in colpa?

Deku posa una mano accanto alle labbra, per coprire i movimenti della sua bocca e si avvicina a Kirishima, che tende l’orecchio. Adesso di cosa parlano? (Lo ha detto ai suoi amici Faccia Tonda e Quattrocchi?)(Sta spargendo la voce lentamente e poi piano piano tutti smetteranno di parlare con Katsuki e la scuola sarà un incubo e tutto sarà di nuovo...)(Perché è così paranoico?) Katsuki sfrega le mani sulle braccia e cerca di distogliere lo sguardo. Non vuole che le cose cambino, perché qui è tutto così bello, così tranquillo, così sicuro. E Deku ha questo potere che -con una parola. Basta una parola da parte sua e tutto sarà distrutto. E i ruoli potrebbero invertirsi. Kirishima ride, dall’altra parte della classe e Deku grida: te lo giuro! Cosa giura? Cosa gli ha raccontato?

Le persone cambiano. Le persone cambiano... può cambiare anche Katsuki? Cosa lo ha portato a essere quel ragazzino che faceva inciampare Deku e poi gli faceva esplodere la terra accanto al suo orecchio? Cosa è cambiato esattamente in lui? Come può dire di essere cambiato?

E quante persone gli girerebbero le spalle, al sapere la verità? E Katsuki potrebbe davvero non dare loro ragione?

Katsuki affonda il viso tra le mani. Perché deve pagare lui gli errori che ha fatto? Perché non può continuare a vivere senza sensi di colpa, senza dover stare sempre dietro alle persone?

Gli eroi vincono sempre e stanno sempre dalla parte del bene.

Sembra che però lui vincesse senza essere del tutto dalla parte del bene. Come potrà mai rimediare a questo torto che ha fatto, quindi?



 




Un altro post-it. Dice: ultimamente hai il broncio perché non dormi almeno otto ore? E poi una stupidissima faccina triste.

Katsuki sospira, ruotando gli occhi e togliendo quello stupido post-it da davanti i suoi occhi. Non si sta nemmeno chiedendo chi gli stia scrivendo. Non ha la più lontana curiosità di scoprirlo. Vorrebbe solo essere lasciato in pace. Cercare di chiarire questo groviglio che ha in testa al posto dei pensieri. Dovrebbe andare da qualche adulto? Best Jeanist ha capito più o meno che cosa aveva, ma Katsuki non gli ha mai veramente parlato di qualsiasi cosa gli stia passando per la testa.

Eraserhead è -troppo imbarazzante. Non gli va di andare dal suo professore che lo vede tutti i giorni e che sa le dinamiche della classe che poi lo guarderà male per il restante anno e mezzo del suo liceo. In più, ha paura di deludere qualunque professore della UA.

Katsuki entra nella sua stanza, accende la luce, si dice che vorrebbe una pausa dai suoi stessi pensieri. Non è uno di quei coglioni della sua classe. Sa come comportarsi quando ha una specie di crisi di identità o di coscienza. Non deve per forza correre a piangere dal primo adulto che sembra essere un pochino troppo gentile. (Anche perché gli adulti non sono quasi mai gentili.)(Solo persone come Deku o Kirishima possono avere delle persone gentili nella loro vita.)(Katsuki è così stanco di avere questi pensieri). Certe cose le devi risolvere da solo.

Katsuki si getta sul letto e guarda il post-it che ha staccato dalla porta della camera. Lui non tiene il broncio. Si posa una mano sulle guance e sospira. Non tiene il broncio più del solito, comunque. Lascia cadere il braccio con cui teneva il post-it e si sdraia di lato.

Non è bravo a chiedere aiuto. È imbarazzante sentirsi in questo modo, con questo senso di colpa e questa vergogna che gli tappano la bocca.

Lui non è più quel ragazzino. Le persone cambiano.

Non vuole piangere perché Best Jeanist gli ricorda suo padre. Non vuole più tornare a casa. E non vuol essere quel bambino che faceva esplodere le cose pur di vincere.

Sa quello che non vuole e non quello che vuole. Si rigira sul letto. Sospira di nuovo. Cosa vuole, quindi? Che cosa dovrebbe poter volere?

Beh, finché non risolverà queste faccende, niente. Non può volere niente.

Katsuki chiude la mano in un pugno e stropiccia il post-it. Ha appena deciso che non può volere niente. Quindi addio.



 





Una volta sua madre gli ha dato un colpo in testa così forte che Katsuki ha visto tutto nero e per un momento nella sua vita c’è stato soltanto quel dolore e la mano della mamma. Perché è così che funzionano i Bakugou. Il più forte parla e fa legge. Gli altri devono soltanto ascoltare. (Gli eroi comunque vincono.)(Quindi un giorno un eroe avrebbe potuto vincere sulla mamma e avrebbe potuto parlare e fare legge.)(Ovviamente Katsuki sperava di poter diventare lui quell’eroe)(beh.)(Sono cose che pensano i bambini.)(Adesso come cosa gli sembra veramente stupida.) Ci tiene a ricordarlo in questo momento, quel ceffone, aumentato dall’Unicità, perché la mamma gli sorride sempre quando Katsuki deve tornare per i fine settimana. E non sembra quella stessa donna.

Ci devono essere motivi più nobili per diventare eroe. Cioè. Pensa. Pensa che ci siano motivi molto più nobili di voglio distruggere l’orgoglio e la forza di mia madre, facendole vedere che sono più forte di lei.

Alla fine, trai ragazzi della sua età, Katsuki lo sa, è sempre stato il più forte. Se si misura forza bruta e strategia, lui è sicuramente il più forte. Lo è sempre stato ed è andato solo che migliorando. Al fuori della sua famiglia (lo ha constatato)(ha sfidato qualsiasi suo coetaneo nell’arco di cinque chilometri da casa sua quando era piccolo) nessuno è più forte di lui. Nessuno. Nessuno è mai riuscito a sconfiggerlo. Nemmeno un’anima. Quindi sapeva che quel giorno sarebbe arrivato presto. Il giorno in cui non avrebbe dovuto abbassare la testa quando la mamma gliela tirava giù. Il momento in cui sarebbe riuscito a tenerle testa.

E lui nemmeno la odia la sua mamma, eh. Per essere chiari. Ci sono momenti in cui non può che pensare che è divertente stare con lei. È una donna intelligente. È una donna buona. È una donna forte. È una donna a cui lui vuole bene.

“Bentornato a casa” gli dice lei, allargando le braccia.

Katsuki, davanti alla porta d’ingresso abbassa un pochino lo sguardo. Passa il peso da un piede all’altro e poi borbotta: “Sono tornato.” Per poi venire abbracciato da sua mamma.

È anche sicuro che, a modo suo, sua mamma gli voglia anche bene. Questo è solo il suo modo per mostrarlo, certo, deve essere così. Solo che... Lei gli stringe la testa tra le braccia e Katsuki continua a guardare per terra. È solo che lui è intimamente spaventato da lei. Quando sente i suoi passi per il corridoio, deve calmare la respirazione e ha come la sensazione di star facendo qualcosa di sbagliato quando la sente vicino. Come se dovesse contare i respiri. Come se dovesse stare attento a ogni muscolo mosso. A ogni occhiata.

Quando sarà più forte -si era detto che se fosse diventato più forte, forse, non sarebbe più stato così spaventato. Se fosse stato lui a fare le regole, forse sarebbero stati meglio. Non lo sa.

Lei grida e lui quindi la imita e grida e poi sente un colpo alla testa. Che però non gli fa più vedere nero, quindi va bene, no? Cioè. Forse. Nel senso. Basta diventare più forti.

Non gli piace tornare a casa.



 




Stare a casa è molto diverso da rimanere nei dormitori. E Katsuki è ancora minorenne e non può decidere dove andare quando non ci sono adulti a scuola che si possono prendere cura di lui. Poi, beh, detesta essere guardato con quella faccia da cazzo, quando chiede (a voce bassa)(con la testa ben china)(la paura di sentire quello che sa che sentirà) se può rimanere nel campus. Negli ultimi tempi, poi, pensa di aver visto Kirishima fissarlo con un pochino più di frequenza e, davvero, è l’ultima persona da cui vuole della compassione.

Katsuki non ha bisogno che nessuno gli dica cose come ti capisco, o vedrai che passerà o altre frasi fatte. Come ha già detto non ha problemi in famiglia e non odia sua madre. Suo padre gli fa venire da piangere dal nervoso, è vero, ma non detesta neanche lui, nonostante sia un po’ coglione e un po’ troppo servile per il suo stesso bene. Non è che a casa si senta a disagio o in un qualche modo in cui non si vorrebbe sentire. Per più di quindici anni, questa è stata la sua normalità. Chiudere gli occhi alle otto di sera per non dover sentire le grida di sua mamma e stringere la mano intorno alla coperta cercando di concentrarsi sul respiro per addormentarsi era la normalità.

E non solo.

Ci sono cose che ha dimenticato come si fanno. Ad esempio, quando sta coi suoi compagni di classe (mezzi bastardi, mezzi stronzi) è abituato a gridare, ma solo perché quello è il suo tono di voce, ma è anche abituato a essere preso in giro per questo. È anche abituato a qualcuno che passa vicino a lui e gli spettina i capelli con qualcosa che sembra affetto e poi si è abituato in quest’anno di convivenza a rimanere nella sala comune a guardare stupidi film, o a parlare e discutere di eroi e delle loro strategie, o anche delle cose più stupide come, beh, la pettinatura di Aizawa-sensei quando deve parlare coi media e a come a volte nemmeno lo riconoscevano quando si lavava o si puliva. E ridevano la notte e poi Aizawa-sensei usciva dalla sua camera e diceva loro che dovevano stare zitti perché lui doveva dormire e il giorno dopo si sarebbero dovuti svegliare presto. E quando il professore se ne andava, tutti loro cercavano di non ridere, cercando chi tra loro aveva alzato un pochino troppo la voce.

Si è abituato a stare con altre persone. Come un debole.

Stare a casa è diverso. Katsuki si rende conto di non essere più bravo a sopportare sua madre, il modo in cui gli grida addosso per zittirlo, quell’istinto di chiudere il pugno e alzarlo per... per fare che cosa?

(Metà e Metà una volta gli ha detto che la violenza non è l’unico modo per comunicare o vincere.)(Che forse avrebbe dovuto trovare un altro modo per stare con gli altri.)

Stai dormendo?

Il cellulare, posato sul comodino accanto al letto, in carica, si illumina e Katsuki chiude gli occhi con un pochino più di forza. Riesce a riconoscere il passo di sua mamma per il corridoio, perché le sue caviglie scrocchiano un pochino e ha un passo deciso sul parquet. E lui non pensa di riuscire a sopportare più di cinque minuti in sua compagnia. Sta cercando di uscire di casa e si è reso conto di non avere amici al di fuori degli stronzetti con cui frequenta le lezioni. Qui intorno, per parlare, per non sentirsi così solo o fuori fase, non ha nessuno.

Quando era piccolo non aveva degli amici. Aveva dei sottoposti. (Delle persone che erano spaventate dal suo potere.)(Un po’ come lui era dalla mamma.) È una cosa abbastanza triste, a dire la verità. Non sa che cosa dovrebbe fare. Si è chiesto più volte che cosa dovrebbe fare per andare a finire nello studio di Best Jeanist, fargli domande, cercare di trovare delle risposte. Poi si dice che non è un debole, lui, e che non vuole chiedere aiuto a nessuno.

I passi di sua mamma sono pesanti.

C’è stato un periodo della sua vita in cui la sera sentiva quei passi e poi le porte che sbattevano e le risate troppo alte e lui non poteva parlare perché la voce di lei era più acuta e più forte della sua. E quella era la normalità.

Alla UA dovevano farlo diventare più forte. Invece hanno creato un altro posto, qualcosa di strano che lo fa sentire a disagio nella sua stessa casa. (La violenza non è l’unica via di comunicazione.)(Esistono anche gli altri.)(Se non guardi gli altri parlare, se non dai spazio alle loro emozioni, un giorno ti ritroverai da solo.) (Il mondo non si salva da solo.)(Il mondo è fatto di eroi che devono creare una rete per chi non può farlo da solo.)(Ci sono delle leggi.)(Devi tutelare gli altri.)(E per sapere come farlo, devi ascoltare gli altri.)(La legge deve essere giusta.)(Per me.)(Per te.) Lo hanno reso un pappamolle.

Il cellulare si illumina di nuovo. Stavo pensando di venirti a trovare, così mi prepari il tuo famoso curry.

Le vacanze estive sono appena iniziate.

Katsuki non pensa di poter sopravvivere più di due giorni in questa casa. Deve trovare una scusa per uscire. E ora deve chiudere gli occhi e cercare di dormire. Prima però risponde a Kirishima: col cazzo che entri a casa mia. E Kirishima risponde, senza nemmeno farlo aspettare: va bene, quindi andiamo a mangiare schifezze fuori e mi cucini un’altra volta?

Non ho intenzione di cucinarti.

Beh, lo spero. Io voglio mangiare, non essere mangiato.

Katsuki ruota gli occhi, posandosi il braccio sulla fronte. Coglione. Si lascia sfuggire un sorriso. Mamma mia, che coglione.

 




Best Jeanist deve star passando un brutto periodo, perché le sue pattuglie sono sempre più brevi e, quando arriva nel suo edificio, deve prendere un respiro profondo, posando la mano sullo stomaco, come se provasse dolore. Katsuki gli cammina a fianco e gli ha offerto, senza nemmeno rendersene conto, il braccio, perché si possa appoggiare su di lui. Best Jeanist sembra davvero molto stanco. Posa una mano sul braccio di Katsuki, entrando nel suo ufficio e facendogli cenno di seguirlo, per accompagnarlo fino alla sedia dietro alla sua scrivania.

Katsuki, con l’inizio del secondo anno di liceo, ha iniziato a venire in questo ufficio sempre più spesso, con il benestare di Aizawa-sensei e un permesso della scuola. Secondo quello che dicono, queste ore che lui passa qui dovrebbero contare come volontariato e qualcosa di simile a un lavoro part-time, anche se Katsuki non ha mai visto nemmeno uno yen per il suo lavoro. È proprio uno stagista sfruttato.

La sua presenza in questo ufficio durante le vacanze estive, quindi, non è previsto da nessun accordo. È solo che Katsuki non sa che cosa inventarsi per stare lontano da casa (non ha amici)(non ha posti in cui andare) e quindi torna qui, come uno stupido gatto randagio che cerca cibo sempre dalle stesse persone.

Lo aiuta a sedersi. Katsuki a Best Jeanist. E ha come l’impressione che il polso di quest’uomo sia un pochino più esile. E non se n’è reso conto prima perché Best Jeanist tiene sempre il viso coperto, ma anche le sue guance sembrano essere meno tonde. E la pelle sembra essere un pochino pallida.

Katsuki non sa che farci con queste informazioni. Lui è venuto qui per passare il tempo. Se non può allenarsi nel corpo, allora si allenerà nella mente (e nel cuore), era questo il motivo per cui tornare. Best Jeanist non sembra sentirsi molto bene. Quando si è messo gli occhiali perché non riusciva a non addormentarsi durante il lavoro -forse quello non era un indizio che qualcosa non andava bene? Quanti anni ha questo stronzo? Una trentina? Okay, sei vecchio, ma non così tanto da ridurti in questo stato. Quindi ci deve essere qualcosa che non dice. Qualcosa che...

All Might ha nascosto la sua ferita di guerra per cinque anni, prima di essere stato scoperto. Un anno fa Best Jeanist è stato in terapia intensiva dopo aver partecipato a -alla missione per salvare Katsuki. Da lì sono successe molte cose. Come Hawks. Ma niente di così traumatico per il corpo di un eroe. Motivo per cui... forse...

Katsuki lancia uno sguardo a Best Jeanist, portandosi una mano sulle labbra, pizzicandole un po’, per il nervosismo.

“Ti ho detto di non fare così” lo rimprovera con una punta di stanchezza Best Jeanist, passandosi una mano trai capelli. “Non devi fare male al tuo corpo, quando sei nervoso. Prenderti cura del tuo aspetto vuol dire prenderti cura di te e anche di chi ti sta intorno.”

Katsuki tira giù la mano. (È una brutta abitudine, quella di pizzicarsi via la pelle morta dalle labbra, che ha preso dal tanto stare accanto a Deku.)(Kirishima lo prende in giro per questo.)(Dice che quando lo fanno nello stesso momento sembrano due fratelli.) Non risponde, ma si siede davanti alla scrivania e si guarda intorno.

Le spalle lavorano alle cartacce e la roba burocratica, ogni tanto si passano dei fogli, ogni tanto alzano la testa per controllare che Best Jeanist stia bene. Sono un ammasso di ex cani randagi che Best Jeanist ha ripulito e a cui ha dato un motivo per continuare a rigare dritto. Tutti loro gli vogliono bene. Forse più di quanto gliene possa volere Katsuki. Quindi forse non dovrebbe fare domande, lui, non dovrebbe nemmeno pretendere di avere delle risposte. Ma si sente triste al pensiero che potrebbe succedere qualcosa di brutto a quest’eroe. Perché lo ha ripulito come se fosse un cane randagio pieno di pulci e gli ha fatto iniziare a pensare a che cosa dovrebbe fare della sua vita. Che tipo di eroe vuole essere. Che tipo di persona vuole essere.

Best Jeanist è un adulto. Però, al contrario di sua madre, non ha mai alzato la voce per zittirlo. Quando Katsuki alzava troppo la voce gli dava del maleducato e gli diceva che prima di rispondere a una persona deve ascoltare quello che gli altri hanno da dire. E forse adesso Katsuki interrompe ancora le persone e parla a voce troppo alta, ma, per lo più, riesce a mantenere una conversazione nei limiti dell’educazione. Best Jeanist è un adulto. Non come i suoi genitori. Perché anche se assomiglia a suo padre, quando indossa gli occhiali (forse, assomigliava a suo padre, non ne è nemmeno sicuro), ha più forza di suo padre. Sa mettere dei limiti. Lo fa senza mancare di rispetto a nessuno.

“C’è qualcosa che non va, Katsuki-kun?” gli chiede Best Jeanist, sospirando e unendo le mani sulla scrivania. “Qualcosa che ti turba?”

Katsuki non sa come rispondere a questa domanda. Ci sono diverse cose che lo turbano in questo momento. Questa mancanza di abilità di adattamento, come se una volta in un posto come, beh, la UA, oppure questo ufficio, non riesce più ad adattarsi a casa sua. (Perché?)(Cosa non gli permette di adattarsi?)(casa sua non è male... vero?). L’aspetto di Best Jeanist anche gli fa paura. Dovrebbe smettere di fare le pattuglie, almeno per un po’. Lo sa che lo fa per tranquillizzare le persone. Lo sa che lo fa per non dare l’impressione che ci sia qualcosa di sbagliato, ma se incontrasse davvero un criminale nelle sue pattuglie? Non sarebbe peggio? Potrebbe davvero combattere contro di loro? Potrebbe davvero vincere contro di loro? E poi ha questa paura di... perdere le cose e le persone e i posti.

Deku potrebbe parlare e Kirishima potrebbe guardare a Katsuki in modo diverso. Best Jeanist potrebbe scomparire. Non lo sta già facendo? Non sta già...?

Ma è difficile parlare di queste sue preoccupazioni. Katsuki abbassa lo sguardo e sospira, mettendo su il sorriso più stronzo che ha in repertorio.

Best Jeanist scuote la testa, nascondendo il suo di sorriso. Chissà perché e quando ha preso in simpatia Katsuki. “Portami dell’acqua zuccherata” allora gli dice, con il cenno di una mano.

“Dovresti pagarmi di più” ribatte Katsuki alzandosi in piedi e spostando la sedia al suo posto con il piede. “Ti denuncio.”

Best Jeanist sospira. “Quando sarai la mia spalla, verrai pagato quanto vuoi.”

Katsuki si sente stupidamente felice per questa frase. Non si fa vedere mentre sorride, certo, abbassa un po’ il mento e si porta le mani nelle tasche dei pantaloni. “Che cazzaro” mormora, andando a prendere dell’acqua.



 





Quando Kirishima parla, mangia e sputa delle briciole su tutto il tavolo. E questo è il motivo per cui Katsuki ha deciso di sederglici vicino, invece che davanti. Perché detesta quando mangia bava e e altra roba di Kirishima. Gli vuole bene (non lo ammetterà mai) ma ci sono dei limiti a quello che può sopportare. Poi, il fatto che a Kirishima piaccia parlare così tanto non gli dà fastidio e mangia il suo riso al tè in silenzio, mentre lo ascolta confabulare.

Sta facendo la classifica dei migliori film d’azione degli ultimi dieci anni. I film sugli eroi, dice, sono nelle parti più alte, perché, al contrario di quanto succedeva nel ventunesimo secolo, non si parla di gente fittizia, ma di persone reali, che combattono per il bene della società eccetera eccetera eccetera. La cosa buona di Kirishima è che ci mette tantissimo ad arrivare al punto, di solito perde il controllo sul suo tono di voce quando si emoziona e poi fa delle espressioni che sono un po’ strane, un po’ divertente, un po’... belle, o come cazzo si dice, vaffanculo, non lo ha pensato.

Katsuki mangia , giocherellando con le bacchette. Kirishima continua a blaterare roba. I film. I personaggi. Le scene dei film. Il suo piatto è quasi pieno, visto che non fa che parlare e non mangia. Beh. A Katsuki, lo ha già detto, questa cosa non dà fastidio. Allunga la mano con le bacchette per prendere dei pezzi di carne dal piatto di Kirishima e poi se lo porta in bocca, per continuare a mangiare.

Kirishima lo guarda fare con la coda dell’occhio. Non commenta. Continua a parlare di Robo-Dog o qualcosa così e perché è, lo vedono tutti quanti, dai, la brutta copia di Astro Boy (un vecchissimo anime che Kirishima gli ha detto che devono vedere perché ha tutto)(l’amicizia)(il lutto)(l’amore paterno)(la ricerca della propria identità)(A Katsuki sembra un anime stupido, ma non lo ha detto ad alta voce.)

“Mi mancava mangiare con te” si ferma a un certo punto, fermandosi dal parlare. Poi arriccia un po’ il naso e giocherella con le bacchette.

Katsuki alza un sopracciglio. Stava rubando altra carne dal suo piatto e quindi tanto vale finire di fare quello che stava facendo. “Sei un po’ masochista allora” gli risponde, ingoiando a forza il suo boccone.

“Chissà” ride Kirishima, tirando un po’ indietro la testa.

Anche a Katsuki piace mangiare con Kirishima. Ma non è una cosa che può dire ad alta voce.


 




Katsuki non è molto sicuro di come siano finiti in questa situazione, ma ha in mano il pettine di Best Jeanist e dovrebbe starlo pettinando. Si guarda intorno e una delle spalle (come cazzo si chiama?) gli alza un pollice, come per dirgli che andrà tutto bene. E Best Jeanist è fermo in modo innaturale, seduto sulla sedia, con le mani sulle gambe. “Devi solo restituire quello che ti è stato dato” gli dice a bassa voce. Forse ha gli occhi chiusi. Il pettine è pesante e caldo. E lui nemmeno dovrebbe stare qui, quindi davvero non capisce che cosa dovrebbe fare adesso.

Come si fa di solito a pettinare le persone? Katsuki fa una smorfia, mentre inclina un pochino la testa. Se ha capito bene, questo sembra essere un rito di passaggio delle spalle di Best Jeanist. I capelli ribelli sono ribelli, mentre quelli di Best Jeanist sono lisci, lucenti e curati. In confronto, quelli di Katsuki sono simili a qualcuno che non li lava da mesi e mesi.

Appiattisce i capelli con la mano, per poi passarci in mezzo il pettine. I capelli seguono i movimenti del suo polso senza protestare. Perché pettinarli se sono già perfetti così?

Best Jeanist sta perdendo le sue forze. Anche oggi sembra tanto pallido, ma i suoi capelli sono perfetti. Spazzolargli i capelli non è uno dei peggiori compiti che lui abbia avuto. Ha dovuto pulire le scarpe di chi lavora qui, una volta, perché ha fatto esplodere una bomba di fango sul pavimento. La volta in cui ha fatto scappare (di proposito) un cane, ha dovuto ripulire le strade di tutte le cacche di cane che i padroni hanno lasciato marcire sui marciapiedi. E poi ha anche dovuto seguire un corso di Best Jeanist sul sorridere e sorridere con grazia ed eleganza. Una vera rottura di coglioni. Pettinare i capelli del capo non sembra essere una delle cose peggiori che ha fatto o farà.

“Che tipo di eroe vuoi diventare, Katsuki-kun?” gli chiede Best Jeanist, con la schiena dritta e gli occhi chiusi.

Katsuki gli passa il pettine trai capelli, tirandoli verso l’alto. Nonostante questo movimento, i capelli salgono e poi scendono di nuovo dolcemente. Fa strano guardare una cosa del genere. “Ci sono delle cose che penso di dover sistemare” gli risponde, con le sopracciglia aggrottate. “Ma ci ho pensato tanto. Che voglio essere una persona giusta.”

La testa di Best Jeanist si muove un po’. Forse perché Katsuki lo ha scottato, o forse perché le parole che gli ha appena detto lo hanno sorpreso. “Una persona giusta” ripete a bassa voce. “E che cosa ti ferma dall’esserlo?”

Katsuki arriccia un po’ le labbra. È questo il vero problema. Troppe cose lo fermano dall’essere una persona giusta. Le persone cambiano, ha detto e si ripete, per cambiare per davvero però dovrebbe affrontare i suoi errori, chiedere scusa, rimediare attivamente. Come può farlo? Come può farlo senza alzare un polverone, senza rischiare di perdere tutto quello che ha ottenuto adesso?

Perché deve pagare le conseguenze adesso che si è reso conto del suo errore? Non poteva succedere tutto prima? Non poteva perdere tutto prima? (Il problema è che prima non aveva niente, quindi non poteva perdere niente.) “Ci sono cose che le persone giuste farebbero e che io non voglio fare” mormora, continuando a pettinarlo. Non vuole riesumare cose che sono morte e sepolte. Non stanno bene così come stanno? Non dovrebbe lasciare che sia Deku, piuttosto a dire qualcosa, a pretendere qualcosa da lui? (Un po’ codardo da parte sua)(Lasciare che Deku abbia tutto quel potere...)

“Allora non pensi che da qualche parte dovresti iniziare?” gli chiede ancora Best Jeanist, incrociando le braccia. “Se è quello che vuoi essere, è inutile rimandare. Nella vita non ci sono fasi. I momenti si accavallano e così le lezioni che devi imparare non sono corsi separati, ma di solito un groviglio appiccicoso di nozioni senza senso. Se c’è qualcosa che vuoi iniziare a fare o essere, quando pensi di essere pronto, dovresti iniziare a cambiare e semplicemente essere.”

Katsuki sospira. I capelli di Best Jeanist sono perfetti. Non sa nemmeno che cosa dovrebbe rispondere. Beh. Niente di nuovo, quindi.

“Ho conosciuto molti ragazzi arrabbiati” continua a dirgli, senza muovere la testa. Sì. Beh. Allora Katsuki deve stargli davvero bruciando la cute. Gli eroi come Best Jeanist sono forti in maniere che Katsuki nemmeno immaginava da piccolo. Fingere che vada tutto bene. Stare in piedi con la schiena dritta anche quando ti senti male. “Che non sapevano di essere arrabbiati e che non sapevano che cosa farci, con questa rabbia.”

“Tu provavi rabbia?”

“Ti sembro quel tipo di persona?”

Katsuki inclina un po’ la testa. “A volte” gli risponde con un fil di voce. Fa una smorfia e sospira. “Non che a me importi.”

Best Jeanist sospira una risata. “Certo.” Stira un po’ la schiena. “Non è una cosa negativa, provare rabbia. La rabbia è importante. Quando ti arrabbi vuol dire che qualcosa non va, che c’è qualcosa di ingiusto che sta succedendo, a te o agli altri.” Best Jeanist non ripete che Katsuki quando è arrivato in questa agenzia era arrabbiato. Tanto arrabbiato. Non gli ha chiesto che gli stesse facendo delle ingiustizie. Ma Katsuki ha capito che lui ha capito. E prima lo avrebbe detestato per questo. Adesso invece continua a pettinargli i capelli. Ancora e ancora e ancora, mentre lo ascolta parlare. “Per rabbia possono succedere tante cose, puoi decidere di fare le cose che in quel momento non ti rendi conto che sono sbagliate. Puoi decidere di scaricare questa rabbia e quest’ingiustizia su qualcun altro. E questo è -quello che succede molto spesso. Che le persone arrabbiate creino altre persone arrabbiate. E questo non ti rende una persona cattiva. Ti rende una persona che ha fatto un errore. Tu hai un buon istinto quando si tratta di giustizie e ingiustizie. Hai fatto qualcosa di ingiusto?”

Katsuki non risponde. Continua a pettinargli i capelli. Best Jeanist non si gira a guardarlo. Forse ha capito perché Best Jeanist gli ha chiesto di farlo. Pettinarlo. Perché gli sta dando la schiena, gli sta facendo capire che non si sente in pericolo. Gli sta dicendo che si fida di lui. E la sua posizione è bassa, indifesa, mentre Katsuki potrebbe colpirlo, bruciarlo, fare qualsiasi cattiveria che gli viene in mente. È per fargli sentire che sono sullo stesso livello. Che nessuno dei due è più forte. Nessuno di loro due è più debole.

“Un errore non ti rende una cattiva persona. Un errore non deve fermare la tua vita. Rendi questa cosa ingiusta che hai fatto giusta. E diventa chi vuoi diventare.”

Katsuki si passa una mano sul naso. “La terza età ti ha fatto diventare saggio?” gli chiede con una punta di ironia.

“Rispondi troppo male, non pensi?”

“Non più del solito.”

“Dovresti chiedere scusa.”

“Non chiederò scusa per aver fatto una battuta” ribatte Katsuki con la guancia un po’ gonfia per il fastidio. “Sono molto divertente.”

Best Jeanist sbuffa dal naso. “Qualcuno ti ha detto una bugia molto grossa.”

Sì. Però sta ridendo, quindi chi è il bugiardo? Ah. Scacco matto.



 





Deku non è molto cambiato da quando erano piccoli. Può essere diventato più forte, fisicamente parlando, può anche essere che sia diventato un pochino più alto, o che le sue mani siano diventato più grandi, può anche essere che abbia finalmente ottenuto un’unicità, ma, la verità è che Deku è sempre Deku e quindi non poteva stare da nessun’altra parte in una giornata durante le vacanze estive. Al parco, dietro gli alberi a fare i suoi stupidi esercizi di rafforzamento. E Katsuki blocca il cellulare, dopo aver letto un messaggio di Kirishima in cui gli lagnava sul loro non essersi incontrati a pranzo, e se lo infila in tasca, per poi guardare quel deficiente continuare a fare una routine da deficiente dietro a degli alberi, come il coglione che è. Sembra pure un pervertito.

“I mocciosi dicono che in questo parco c’è un cazzo di fantasma che spaventa i ragazzini e che li rapisce.”

Deku mette giù i pesi e alza lo sguardo verso di lui. “Non ho mai rapito ragazzini” risponde con un tono secco, prima di sedersi con le gambe incrociate per terra. “E mi hanno cacciato dal tetto di casa mia.”

“Sì, lo so.” Poi non sa che cos’altro dire, quindi si appoggia al tronco dell’albero e guarda per terra. (Il parco è un po’ il teatro di tutte le cattiverie che Katsuki ha fatto a Deku.)(Ripensandoci adesso, che palle, era un moccioso che non sapeva che cosa fare e che voleva portare fuori dalla sua casa le cazzate che ha imparato da sua madre.)(Il più forte vince.)(Il più forte può continuare a esistere.)(Il più forte non deve avere paura.)(I deboli devono averne.)(Che Deku fosse debole... non gli era chiaro del tutto.)(Chiunque poteva sfidarlo.)(Chiunque sarebbe potuto essere più forte di lui.)(Questo suo essere cieco alle differenze di forza degli altri, lo ha reso irresponsabile.)(Non se n’era reso conto.)(Gli dispiace per questo.)

“Però se lo chiedi a me, è un po’ una cazzata perché quello della 34B ci va per pomiciare con la sua ragazza, ma io non posso andare a fare cose semplici come, beh, dare due o tre pugni in aria” borbotta, posando la mano sinistra a terra e stirando quella sinistra. “Come la chiami tu?”

“Una cazzata.”

“Infatti.” Deku continua a stirare i muscoli. “Che vuoi?”

Katsuki incrocia le braccia. Che vuole? È divertente come Deku sembri essere gentile con tutti tranne che con lui. Sembra un po’ farlo di proposito. Con lui dice parolacce e gli fa i segnacci con le mani, e poi quando sta con le altre persone sembra un cazzo di angioletto, che non fa mai nulla di male nella sua vita. Lo fa un po’ incazzare. Cioè. Quando fa così gli girano un po’ le palle e ha come la sensazione che sia proprio quello che Deku voglia. Fargli girare le palle.

“Siamo apposto noi due?” gli chiede, indicando prima se stesso e poi Deku, che si ferma dallo stirare le gambe per guardarlo con la testa inclinata. “È una cosa che dovevo chiederti.”

Deku si alza in piedi e stira la schiena. “Che vuol dire apposto?” chiede, prendendosi il braccio destro con la mano sinistra. “Cioè se ti devo soldi? Sei venuto a chiedermi soldi?”

Perché fa il coglione?

“Ti sto chiedendo se siamo apposto noi due” ripete, guardando da un’altra parte. “Se le cose che ti ho fatto... cioè vabbè, hai capito.”

“No, direi di no” risponde Deku, prendendosi il braccio sinistro con la mano destra, per stirarlo. “Ma va bene, perché tanto non capisco la metà delle cose che dici.” Sa di cosa sta parlando Katsuki. Deku è un coglione e sa fare il coglione molto bene, quando vuole, ma sa di che cosa lui sta parlando. Ha solo deciso di non parlare di quello che entrambi sanno. “È un problema mio, però. Siamo apposto.”

Katsuki non risponde. Non può certo decidere lui quando parlare o quando no. E questa è una faccenda che ha a che fare con Deku e con lui. Non può chiedere scusa quando lui non vuole ricordare. Non può parlarne quando lui non vuole parlare. Deku non è una persona cattiva e non userà quello che è successo tra loro per ricattarlo o isolarlo. Non per nulla, ha sempre voluto essere un eroe. Non per niente, tra loro due, Katsuki lo sa che Deku è il migliore (ed è per questo che deciso che lo schiaccerà con tutta la sua forza e distruzione che ha in corpo), che gli sta davanti, sotto questo punto di vista. Lo deve davvero schiacciare.

Deku torna a fare i suoi esercizi. “Ora sembri tu il fantasma pervertito del parco ché stai lì a fissarmi.”

“Tu mi vuoi far incazzare, giusto?”

Deku stira le braccia sopra la testa. “Oi. Guarda le mani.” Gli sta facendo il terzo dito.

“Vacci tu.” Questo stronzo.



 




Succede pochi giorni prima della fine delle vacanze estive. Che forse è stato lasciato da solo a casa sua per troppo tempo. E sua mamma ha detto qualcosa che non doveva dire, o ha gridato, forse, mentre lui stava parlando e lui si è sentito come quel bambino che era stato colpito alla testa e ci aveva visto nero e aveva pensato... no, non di nuovo. E ha alzato la mano.

Inko-baasan e sua mamma non sono amiche. Sono due mamme che si sono ritrovate nello stesso quartiere. Tutto qui. Ed è successo che Katsuki e Deku hanno passato insieme gran parte della loro infanzia, forzandole in una conoscenza che non piace a nessuna delle due. Perché la mamma pensa che Inko-baasan sia una di quelle mamme perfettine che stanno sempre dietro ai loro figlio, e Inko-baasan... non lo sa che cosa potrebbe pensare una donna così docile di una famiglia come quella dei Bakugou. Ed è venuta a trovarla. Forse più per Deku, che perché volesse qualcosa lei stessa. Che è un po’ quello che ha insegnato a suo figlio. Essere un po’ coglione e non farsi mai gli affari suoi. Non che voglia essere irrispettoso con Inko-baasan. Però Deku si merita tutte le parolacce di questo mondo.

Ed è per questo che Deku è qui ed è pronto a fermargli la mano quando vuole colpire sua madre. È per questo che è lì pronto a ripetergli che si deve dare una calmata. Che deve perdonarla. Che è un po’ una cazzata, perché Katsuki non deve perdonare niente a sua mamma. Le cose qui stanno così e lui sta solo seguendo le regole, sta solo...

Gli vengono in mente Best Jeanist e Kirishima. E abbassa la mano di sua spontanea volontà.

Best Jeanist dice che è normale provare rabbia. Non deve zittirla e non deve ignorarla. Deve solo capire che cosa farci, con questa rabbia. Deve solo decidere di non distruggere quello che ha costruito, con questa rabbia.

Deku gli dà un paio di pacche sulla spalla. “Ah, sei cresciuto, Kacchan. Bravo bravo!” esclama con un enorme sorriso.

La mamma sembra essere molto arrabbiata. Sarà un incubo quando saranno da soli. Ha fatto una cazzata, si prenderà delle botte in testa ancora e ancora. Deve andare via. Deve trovare un posto in cui stare fino a che non si sarà calmata, perché non vuole davvero trovarsi in un campo di battaglia. Oppure può rinchiudersi in camera sua finché non saranno finite le vacanze estive.

Ottimo piano.

 



Pessimo piano.

Però è abbastanza veloce da schivare la maggior parte dei colpi di sua mamma. Chi vince quindi? Ah.

 



Tornare a scuola è un grandissimo sollievo. Non dover inventare modi per passare il tempo fuori casa, scuse per andare all’agenzia di Best Jeanist, luoghi in cui sedersi per studiare e finire i compiti, o trovare tutti quei soldi per poter uscire a mangiare con Kirishima. Una rottura di palle, l’ultima cosa, in effetti, anche perché Katsuki non riesce proprio a fargli capire quanto è tirchio e quanto poco abbia voglia di spendere tutti quei soldi in cibo (quando è perfettamente capace di cucinare a casa sua, da solo).

Katsuki sistema lo borsa sulla spalla e guarda il post-it che è stato attaccato sulla porta della sua camera. Un post-it rosso. Rosso. Quale cazzone può decidere di usare il rosso per un post-it? Lo sanno tutti che non si legge niente. Katsuki aggrotta le sopracciglia e avvicina la faccia al post-it per leggere che cosa c’è scritto.

Bentornato a casa!!

Doppio punto esclamativo. Che cosa triste. Chi cazzo gli scrive questi post-it? È proprio una persona che gli fa venire la pelle d’oca e non sa nemmeno il motivo per cui glieli fa venire. A casa dice. Cioè. Bentornato. A casa. È strano perché tutti quanti nella zona comune continuano a ripetere quanto si sono divertiti a stare con la loro famiglia e quanto è stato bello essere a casa. I dormitori non sono la loro casa. Non c’è una famiglia lì. Non c’è una mamma o un papà o dei fratelli. Però è così stranamente felice di incontrare quegli stupidi post-it.

Katsuki si passa due dita sulla fronte, accarezzandosela e spostando la frangia. Prende un respiro profondo. “Sono a casa” sussurra, prima di spingere giù la maniglia.

Prima che lui riesca a entrare nella sua camera, però, Kirishima, che dorme nella camera proprio accanto alla sua, apre la porta e grida: “Bentornato a casa!” con le braccia ben aperte e un enorme sorriso. “Hai letto il post-it? Ho sentito che hai risposto al post-it, quindi mi sono detto, oh, sicuramente vorrà ripetermelo. Vuoi andare a mangiare giù?”

Katsuki sospira. Ovviamente era lui. Chi altro poteva essere? Un deficiente. Eccolo. Gli lasciava i post-it come un decerebrato qualunque quando poteva aprire la porta e parlargli come una persona normale. Che si aspettava? Chi altro poteva essere? “Fammi sistemare la borsa” gli risponde, aprendo la porta.

Il sorriso di Kirishima diventa un pochino più grande. E anche Katsuki si sente un pochino più tranquillo. Più sereno. Con il petto un po’ più leggero.

Non ha sistemato la cosa con Deku (che palle), non ha sistemato nemmeno la cosa con sua madre (vabbè), e Best Jeanist sembra essere a un passo dalla tomba (preferisce non pensarci), ma ha trovato la soluzione a qualcosa di cui nemmeno sapeva di volere la soluzione.

“Ti sono mancato, eh?” chiede Kirishima, arricciando il naso.

Katsuki si gratta dietro l’orecchio e guarda da un’altra parte.

“Oddio, ti sono mancato per davvero” esclama con un tono felice e contento Kirishima, quasi saltando sul posto.

Katsuki fa una smorfia ed entra in camera sua. Ecco un altro stronzo nella sua vita. Che palle.

 


NdA: Tanto tempo fa avevo detto che mi sarei occupata di una kiribaku, solo per poi rendermi conto che non sono capace di pensare a Bakugou in una relazione, senza aver sistemato prima un po' di cose. Ad esempio, non ci credo che una volta che ha capito che cosa è andato storto tra lui e Izuku, non ci credo che non si sia sentito in colpa. E non ci credo che questa non sia una delle cose principali che gli passano per la testa, insieme a tutto il suo senso di colpa (per Izuku)(per All Might)(per Best Jeanist, anche se non dovrebbe sentirsi in questo modo per lui). Poi scrivere dal suo punto di vista è un po' un parto per me. E vabbè.
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Boku no Hero Academia / Vai alla pagina dell'autore: Mikirise