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Autore: eternalflame_    09/04/2020    0 recensioni
[La Cattedrale del Mare.]
[La Cattedrale del Mare.]«  Né tu, né io lo rivedremo ancora.  »
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Otherverse | Avvertimenti: Incompiuta
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         𝕭𝖆𝖗𝖈𝖊𝖑𝖑𝖔𝖓𝖆, 𝖋𝖎𝖓𝖊 𝐗𝐈𝐕 𝖘𝖊𝖈. 𝖉.𝕮.
 
    
 
                  †   
 
  
 
       «  Né tu, né io lo rivedremo ancora.  »
 
  
 
       
 
 Vetri sani ed altri in cocci vengono ora penetrati dall’esuberanza del bel giorno. Fa caldo, ed è come inspirare dentro ogni lobo una greve afa estiva. Qualunque suono venga emesso all’interno dell’antico edificio è poco percettibile, soffocato, al di sotto della sommossa esterna del generale animo solenne. Il popolo pronuncia una sola voce, tratta la vita salva al Console del Mare. Fa festa. Numerosi arti creano una forza inversa alla gravità, che onorevolmente ne sollevano il corpo. Cuti ruvide e sozze sotto tessuti umili, sottili, meschini. Braccia ossute, figlie della fame, di schiavi, appena resi cittadini liberi. Qualcuno arde diversamente, espiando i propri peccati fra le fiamme, perde la libertà con cui è nato, – qualcuno fugge, ignobile, verso una vana protezione temporanea.
 
 S’incornicia la vista dall’uscio. Una pulsione strappa un sorriso flebile nel buio, il più fragile che sia mai stato generato da labbra infedeli ed il suo animo nato inflessibile. Animo di donna, dotato di scudo, che come qualunque metallo, s’è plasmato e corroso nel tempo di chi ha commesso innumerevoli errori per istinto, talora egoismo, talora altruismo e non celata bontà d’animo.
 
 Si muove lenta con le spalle chine in avanti, protetta dalla fedele oscurità. Poi oscilla, come la terra mancasse ai suoi piedi, incamminandosi soltanto quando la prudenza le dice di farlo. Come chi, dopo aver perduto tutto, ha ulteriore illusione d’avere un’ultima sembianza gracile e preziosa da stringere a sé. E drizza la colonna quando la donna più grande – che ha proferito parola, poco più in là – può vederla. Deglutisce qualunque male, dimostra forza, mentre s’avvicina. Il mantello grigio inizia a pitturarsi di sfumature differenti, colori di cui, nella sua semplicità intellettuale, lei non conosce nome. Gradazioni mai contemplate, in anni consumati per la sopravvivenza, ottenuta dal guadagno sporco, che ne ha spogliato la cute, talvolta la carne, – graffiata, dolente, livida – dono infelice all’affamata avidità dell’ora tarda.
 
    
 
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       «  Sposerai chi dico io!  »       
 
       «  Sgualdrina!  »
 
       « Che c’è? Hai timore di mostrarti in compagnia delle prostitute?  »
 
       «  E' la peste!  »
 
       «  Non guardarlo!  »
 
      
 
      
 
 Dita esili di mani infelici. Mani di fanciulla nel giorno preciso in cui, in abito bianco, è costretta a diventare donna. Nel disprezzo, serva di un padre ed un marito. Serva di un uomini 𝒗𝒆𝒄𝒄𝒉𝒊 e rudi.
 
 E donna sleale, e donna traditrice! Fatale. Dopo essere stata costretta a sposare il 𝒗𝒆𝒄𝒄𝒉𝒊𝒐, per vederlo vivere quel poco e seppellirlo alla breve distanza dai famigliari. Senza sentimento di lutto, senza negazione. Lui, entrato nella sua esistenza per il solo gusto di infrangere fino a polvere l’animo giovane ed ostinato, perché vedesse il suo corpo cambiare nel tempo. Ecco perché è sopravvissuta, sopravvissuta per comprendere l’usura inesorabile del vivere. Perché il sale della schiuma del mare bruci di più sulle ferite, quando s'infrange contro la pietra. E’ nata candida, s’è mantenuta casta per il giusto tempo, s’è sporcata con gli anni, ha avuto fame, fame da 𝒎𝒐𝒓𝒊𝒓𝒆 e sete, sete da 𝒎𝒐𝒓𝒊𝒓𝒆. S’è imbrattata così tanto da non poter tornare nuova.
 
    
 
      
 
       «  Né tu, né io lo rivedremo ancora.  »
 
    
 
    
 
 𝑨𝒏𝒄𝒐𝒓𝒂. Può solo convincersi, imbrogliando, di essere più pulita, pur stigmatizzata dai profondi segni che le punizioni e la peste le hanno lasciato in memoria. Non lo rivedrà mai più, il Console del Mare. Ed ecco che quella sembianza gracile e preziosa tramuta in polvere invisibile, fugge, come la terra sotto i piedi.
   
 
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