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Autore: CaskettCoffee    10/04/2020    3 recensioni
L’idea è quella di raccontare Lily, Jake e Reece. Li abbiamo solo intravisti, bambini, in uno scorcio del futuro di Castle e Beckett. Il mio vuole essere un tentativo di tratteggiare uno scorcio del loro di futuro, da adulti, cominciando dalla storia di un'estate. E lasciando intravedere (ovviamente) anche la loro mamma e il loro papà.
Genere: Dark, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alexis Castle, Altro personaggio, Kate Beckett, Quasi tutti, Richard Castle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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PROLOGO 
21 Settembre 2015
La nascita di Jameson Andrew Fleming, fu un momento di grande gioia per un folto numero di persone. Bollicine galleggiavano nei calici di quasi 150 dipendenti sparsi fra varie sedi in tutto il Regno Unito, perché tutti i dipendenti dell’azienda Fleming abbandonarono il lavoro per prendere parte ai festeggiamenti ordinati dal loro presidente, nonché neo papà, il quale aveva accordato, per l'occasione, un giorno di riposo per tutti. Perché tutti avevano aspettato quel momento, per tanti anni. 
Mentre stava nella saletta fuori della sala parto, James Henry Fleming cullava quel bambino stringendolo come fosse la sua più grande ricchezza (ed era pur sempre uno fra i dieci uomini più ricchi del Regno Unito).
Ma quel figlio era un vero miracolo, arrivato dopo dieci anni di tentativi. Dopo i primi anni di tentativi, cure, delusioni, sua moglie aveva mostrato segni di cedimento. Ma lui desiderava un figlio, che gli succedesse come presidente dell’azienda come lui era succeduto a suo padre, e come suo padre era succeduto a suo nonno. Che senso aveva avuto tutto quello, che senso avrebbero avuto le ricchezze accumulate, se non aveva un figlio a cui lasciare tutto?
Nove mesi prima, come un fulmine a ciel sereno, Mary lo aveva informato che era in attesa. Era apparsa pallida, stanca, impaurita nel riferirgli la notizia. L'esultanza immediata di James fu smorzata dalla sua cupa decisione che nulla - assolutamente nulla -avrebbe fatto sì che questa gravidanza andasse storta. Sua moglie fu relegata a letto. Il migliore primario ginecologo di Londra veniva portato a visitarla ogni settimana. E così per nove mesi.
E poi, finalmente, arrivò il momento della verità. Tutto il personale della casa, le infermiere che avevano seguito la signora in quei mesi, il fratello di lei, Harry, i dipendenti dell’azienda, tutti pregavano che quel bimbo ce la facesse, perché tutti sapevano che quella era l'ultima possibilità, per James e Mary, di diventare genitori. In pochi si ricordarono di pregare per la sua mamma, che era diventata emaciata e esile anche se il suo ventre era diventato rotondo.
E le preghiere di tutti furono esaudite, il figlio di James, Jame-son, era nato, ed era sano e perfetto, e il neo papà ringraziò la moglie di quel meraviglioso regalo con un bacio di gioia sui capelli scuri della moglie, appiccicati dal sudore. Infine, mentre i dottori vestivano il piccolo e lo portavano a riposare nella culla, decise di correre in azienda, la sua seconda casa, la sua prima figlia, il lavoro di una vita, a raccontare dal vivo la notizia, a festeggiare, perché tutti sapessero che lui e Mary e l’avevano finalmente fatta. Giusto una mezz'ora, il tempo che - gli aveva assicurato il dottore- avrebbero impiegato per gli esami di routine a madre e figlio prima di ricongiungerli in camera.
Ma mentre James sfrecciava fra le strade di Londra colmo di gioia, nella camera della clinica sua moglie, debole e pallida, stringeva il figlio fra le braccia. La donna fece in tempo a sorridergli, e lui quasi capendo, le sorrise. Fu il tempo di un sorriso e poi Mary scivolò in un sonno profondo, nonostante tutti intorno a lei urlassero, compreso il suo bimbo. Emorragia interna, aveva continuato a perdere sangue dal parto cesario, ma nessuno se ne era accorto. Qualche ora dopo, con al fianco suo marito disperato, Mary scivolò via per sempre.
 
21 Settembre 2025, dieci anni dopo...

"Tutti quegli anni passati a pregare per avere un figlio, ed è questo che mi sono meritato. Una eternità di solitudine” L’amarezza che trasudava dalle parole di James Fleming colpì Harry come un pugno allo stomaco. “ Non puoi parlare di solitudine James, hai un figlio” Harry non sopportava di vedere suo cognato ridotto così, ancora, dopo dieci anni. Anche lui aveva sofferto della morte di sua sorella, profondamente. Ma aveva un nipote, ed esserci per lui era stato il motivo che lo aveva spinto a riprendere spirito e andare avanti. Sua sorella avrebbe voluto che lui fosse, per Jameson, il migliore zio possibile. E credeva di esserlo, si era impegnato per questo. Ma a Jameson serviva anche e soprattutto un padre, e per quanto Harry gli fosse sempre vicino, non era suo padre.Ma James ignorava il figlio, e anche oggi, per il suo decimo compleanno, aveva trascorso la giornata a lavoro, poi al cimitero, e poi chiuso nel suo studio in casa. Senza neppure un cenno, un saluto, al ragazzino.
"Potresti almeno salutarlo. Oggi è una giornata difficile per tutti, per me come per lui. Noi abbiamo perso una meravigliosa sorella e meravigliosa moglie, ma almeno l'abbiamo avuta per anni. Lui ha perso sua madre, senza averla neppure mai conosciuta. Si merita almeno un padre"
"Non riesco nemmeno a guardarlo, non posso nemmeno sopportarne la vista”
Jameson sussultò da dietro la porta, è con tutto l’istinto dei suoi dieci spalancò la porta. “Come puoi dire questo? Io sono tuo figlio”. Era solito origliare, non era certamente qualcosa di cui vantarsi, ma di rado trascorreva tempo con suo padre, e sentirlo discutere di affari da dietro la porta era quasi l'unico modo che avesse di sentire la sua voce.
Dieci anni trascorsi cercando in ogni modo di farsi benvolere dal padre, tentando in ogni modo di superarsi ed eccellere in ogni aspetto della sua vita, per rendersi degno di lui, degno del suo affetto, degno della sua stima. Degno del sacrificio della vita di sua madre. E adesso scopriva la verità, che nonostante tutto suo padre non sopportava nemmeno la sua vista.
Per tutti quegli anni non aveva mai detto nulla, aveva accettato la distanza fra lui e il padre come un dato di fatto. Aveva accettato il collegio, aveva accettato di pranzare seduto a tavola con lui due volte l’anno. Aveva accettato di non festeggiare il suo compleanno, mai, perché il suo compleanno in casa Fleming era soltanto e solamente il giorno della morte della signora Mary, di sua madre. Era stato difficile tenere sotto controllo le proprie emozioni. L’aveva sempre fatto. Ma sentire il padre pronunciare quelle parole gli aveva fatto ribollire il sangue.  
Harry iniziò a sospirare irrequieto, cercò di pensare a qualcosa da dire, a qualsiasi cosa che potesse appianare quella spaventosa situazione. Amava suo nipote, sinceramente. Era intollerabile vederlo soffrire. 
Ma fu il giovane Jameson a cavarlo d’impiccio.
"Io sono tuo figlio," disse ancora, "e mi dispiace che la mia nascita sia stata la causa della morte di mia madre…" Improvvisamente la gola gli si chiuse. Suo padre neppure lo guardava, assorto come era a girare il bicchiere di whiskey fra le dita.
"Vattene in camera" gli ordinò a bassa voce. "E domani te ne torni in collegio, a studiare. Non c'è posto per te qui."
Jameson sentì il rifiuto del padre fin dentro alle ossa, sentì un dolore insinuarsi nel cuore. E poi fu l'odio, e sotto l’effetto di quel connubio di emozioni fece un giuramento solenne. Se non poteva essere il figlio che suo padre voleva - ed era impossibile per lui esserlo, qualunque sforzo facesse- si sarebbe impegnato a meritarsi di essere, in tutto e per tutto, il figlio da odiare.


 
   
 
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