Storie originali > Soprannaturale
Ricorda la storia  |      
Autore: Telkar0296    11/04/2020    1 recensioni
In una notte fatata un viaggiatore, assieme al suo fedele mulo, cerca un riparo tra le montagne. Certo sa che viaggiare di notte di non è sicuro, ma ancora non sa cosa cela questa ambientazioni da favola.
Genere: Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Certo, viaggiare di notte non è mai raccomandabile, però quell’idiota di suo cugino lo aveva trattenuto troppo a lungo, e lui doveva arrivare a Terna prima che iniziasse la fiera o non sarebbe mai riuscito a venere la sua mercanzia. Il freddo si faceva pungente: quello era l’ultimo mercato dell’anno, poi sarebbe caduta la neve e i passi sarebbero stati bloccati fino a fine inverno. A trasportare la merce il suo fedele Azio, un mulo forte e resistente, oramai abituato ai sentieri di montagna.

La luna piena gli permetteva di procedere tranquillamente, le pietre chiare della mulattiera rilucevano sbucando tra le foglie cadute. Cominciava a scorgersi anche la valle tagliata dal nastro luccicante del fiume, le case adagiate in quella culla chiusa tra alti e boscosi pendii, culminanti in picchi di pietra frastagliata che con quella luce pareva avere il colore del ferro. Tutto sembrava placidamente addormentato, Aloisio poteva facilmente immaginare i paesani nei loro letti e i lattanti nelle culle di vimini, vegliati da madonne dal volto gentile che avevano il compito di proteggerli da malattie e spiriti maligni.

La stanchezza si faceva più pesante man mano che scendeva per il sentiero, però dormire all’addiaccio con quel freddo non era una buona idea e il bosco di abeti in cui si snodava la mulattiera non offriva nessun riparo. Dopo una brusca curva sulla sinistra gli apparve una radura con al centro una piccola costruzione. Si trattava di una casa a un piano, con una piccola stalla, probabilmente per delle capre, sulla sinistra. Di certo aveva visto giorni migliori: il tetto era sfondato in almeno due punti, gli infissi che ancora c’erano erano sghembi e si reggevano a malapena e la porta era spalancata. Poteva comunque offrirgli un riparo per riposare fino all’alba, se fosse stato fortunato avrebbe anche trovato nei dintorni dei rami per accendere un piccolo fuoco.

Come lasciò il sentiero per entrare nella radura, nell’aria cominciò a diffondersi un canto leggero. Prima qualche nota appena accennata, poi sempre più chiaro man mano che si avvicinava alla costruzione. Era una voce dolcissima da contralto che cantava una ninna nanna malinconica nel dialetto stretto e duro di quelle parti. Certo era inusuale, e sarebbe stato anche inquietante se quella musica non gli avesse trasmesso un tale senso di calma: si sentiva come quando da bambino sua madre lo cullava e cantava per farlo addormentare.

Come ipnotizzato dalla melodia, Aloisio legò il mulo ad un albero e si diresse subito sul retro della costruzione, da dove proveniva il canto. Gli dava le spalle una figura di donna dalla lunga treccia bionda, ornata di riflessi argentei, e vestita modestamente. Era accovacciata accanto a una piccola fonte e cullava dolcemente un fagotto che stringeva al petto.

“Dov’è il mio cibo donna?”

Una profonda voce maschile giunse dalla casa interrompendo il canto soave e rompendo quell’atmosfera quieta e dolce.

Aloisio si riscosse. Al posto del rudere ora vide la casupola intatta, da cui uscì un uomo alto e grosso, con barba e capelli rossicci e ispidi. In mano un otre che doveva contenere vino o grappa, a giudicare dalla voce impastata, e che in uno scatto lanciò contro il muro della casa.

“Perdonami marito mio, il bambino non smetteva di piangere e ho dovuto cullarlo, ora corro a preparare!”
Aloisio si sentì improvvisamente spaventato e angosciato come non si era mai sentito prima. Le stesse emozioni le scorse sul volto della donna mentre questa si alzava e si volgeva verso l’uomo, cercando nel contempo di calmare il bambino che si era svegliato e aveva iniziato ad agitarsi.

L’uomo era ormai vicinissimo e tese le mani verso il fagottino che lei aveva tra le braccia. La figura minuta dalla lunga treccia cercò di fare resistenza. “Ti prego, calmati, hai bevuto, ora torna dentro, preparerò in un attimo”, la voce spezzata dalla paura.

Aloisio avrebbe voluto avvicinarsi, intervenire. Che bisogno c’era di prendersela così con la giovane mamma? Il corpo però gli parve congelato. Perfino la voce rifiutava di uscire dalla sua gola.

L’uomo le strappò il bimbo, che ormai piangeva disperato, dalle braccia.

“Sei inutile, tu e il tuo lattante che non fa altro che piangere e tenermi sveglio tutta la notte” urlò l’uomo.

Con rabbia buttò il fagotto nella fonte.

“No!” il grido fu straziante.

Aloisio si sentiva trascinare in una spirale di angoscia e disperazione. Ora gli mancava anche il respiro, oltre alla voce, come se il suo torace non fosse più in grado di dilatarsi per respirare. Fu costretto ad accasciarsi.

La donna provò a precipitarsi a riprendere il suo bambino ma lui la trattenne e poi la spinse via, scagliando a terra la figura minuta, che cadde rovinosamente all’indietro.

Aloisio aveva la vista offuscata e cadde di lato, tanto vicino alla donna, immobile a terra, da poterla guardare negli occhi ormai vitrei. Non riusciva più a resistere, si sentì vincere dalla mancanza d’aria e dalla disperazione, impossibile scindere quelle due sensazioni, e chiuse gli occhi.



Un raggio di sole si posò su Aloisio, rannicchiato e intorpidito per il freddo. Cosa ci faceva steso sull’erba senza nemmeno essersi avvolto nella coperta?

Improvvisamente tutto quello che aveva visto la sera precedente gli tornò in mente. Si alzò di scatto ma intorno non vide nessuno, la casa era di nuovo un rudere e quando corse verso la fonte la trovò completamente secca.

Si fece il segno della croce, riprese le sue cose, slegò il mulo che pascolava tranquillo e si rimise in marcia verso Terna con tutta la velocità che gli permettevano le gambe ancora indolenzite.

Per quanta strada mettesse tra sé e la radura un senso di angoscia continuava a pervadere Aloisio. Cos’era successo? Aveva sognato o aveva veramente visto tutto? Quali diavoli potevano aver inscenato tutto quello, perché proprio a sue spese? Per maledirlo in qualche modo?

Neanche varcate le mura della cittadina riuscì a liberarsi del tutto dall’angoscia e decise di recarsi dal parroco: se dei diavoli gli avevano fatto un brutto tiro lui era l’unico che poteva aiutarlo.

“Non sei il primo a cui capita” gli disse il parroco, dopo aver ascoltato il racconto “e sei stato fortunato ad essere un giovane forte: qualcuno è morto per la paura. Mi ricordo bene, purtroppo, di questi avvenimenti: ero giovane e appena arrivato in questo paese, come aiuto al parroco precedente, quando accade.
“Stavo facendo il giro delle case della città e delle fattorie per raccogliere la questua. Quando arrivai nella radura subito mi sentii come se un macigno mi gravasse il petto, un presagio di sventura. Ciò che trovai mi tormenta ancora negli incubi. Lucia, così si chiamava la moglie, era stesa a terra, la testa spaccata contro una pietra, e il bambino ancora sul fondo della fonte. Dovevano essere rimasti così poco più di un giorno. Vicino alla fonte un cerchio di terra bruciata.
“Di lui non c’era nessuna traccia. Le guardie cittadine provarono a cercarlo, ma senza successo: era come sparito nel nulla, senza prendere niente con sé.”
Il parroco rivolse gli occhi stanchi, resi opachi dall’età avanzata, alla finestra.

“Fai bene a temere per la tua anima e hai fatto bene a venire da me. Vieni adesso con me alla messa del mattino, ti darò una benedizione speciale e ti libererò da ogni traccia del maligno. La tua fede nel Signore sarà la tua salvezza”.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Telkar0296