Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: shirupandasarunekotenshi    11/04/2020    0 recensioni
Fanfic ambientata in seguito agli eventi raccontati nell'oav "Message". Ryo e i nakama si sono ritrovati e capiscono che non possono più separarsi e che il senso della loro esistenza lo troveranno solo nello stare insieme. Ma Realizzare tale sogno potrebbe non rivelarsi così semplice.
Dinamiche polyamorose. Non si trova tra la opzioni così lo diciamo nell'introduzione: possiamo definirla una fivesome più che threesome :P
Questa fanfic andrebbe letta dopo la nostra "Owari no mae ni owari".
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Kento Rei Faun, Rowen Hashiba, Ryo Sanada, Sage Date
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Threesome
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CAPITOLO 15
 
Shin non era riuscito a concentrarsi troppo bene, suo malgrado le orecchie si tendevano verso la stanza accanto: non avrebbe voluto origliare, ma era più forte di lui, l’ansia lo divorava.
Non riuscì a carpire nulla in realtà e, dopo pochi istanti, la porta si aprì, mentre lui rovistava tra le stoviglie alla ricerca di una padella adatta a cuocere un okonomiyaki.
“Shin-chan?”. La madre di Touma. Esplosiva, inaspettata donna. Gli sorrise, avvicinandosi con insolita lentezza. “Li ho lasciati da soli”.
Colto alla sprovvista, il ragazzo si sollevò di colpo e sbatté con la nuca contro l’anta di un armadio rimasta aperta, lanciando un urletto acuto.
“Sa… salve…” pigolò poi, massaggiandosi la testa, al colmo dell’imbarazzo.
L'improvviso volgersi degli eventi rimise in moto l'instancabile donna che, senza scomporsi, spinse il ragazzo verso il lavello e gli bagnò il capo, sorda agli sproloqui senza capo né coda di Shin.
“Non opporti a me, sai che ho ragione, pesciolino!”.
Gli occhi di Shin si chiusero, un po’ per l'imbarazzo, un po' per le goccioline che scivolavano sulle palpebre, anche se il contatto con l'acqua contribuiva a ridargli vigore, tanto che non poté trattenere un mugolo di piacere.
La donna non poté esimersi dal ridacchiare, troppo buffo e tenero allo stesso tempo per resistere:
“Ti piace proprio l'acqua, vero fochetta?”.
Shin avvampò e fece un balzo, rischiando di andarsi di nuovo a schiantare contro il medesimo mobile.
“È... ho... io... gra... grazie!”.
Sempre più buffo.
“Di nulla. Allora...”, la mano di lei andò su una manopola sopra il capo di Shin, aprì lo sportello e ne estrasse la pentola che il ragazzo era in procinto di prendere prima dell’incidente. “È da te?”.
“Co-co-cosa?”.
Del tutto colto alla sprovvista, si era smarrito per le strade contorte dei propri pensieri e della propria memoria. Che facevano lì? Di cosa parlava la mamma di Touma?
Ah... già...
Ma da lui cosa?
“È da te che starete?”.
Diede la pentola in mano a Shin e lo guardò con sguardo da 'attesa di cibo' che lui aveva visto, così, solo su Touma.
Shin si impegnò per reggere la pentola, nella condizione in cui si trovava non era certo della propria capacità di non commettere danni; non capiva, davvero, perché si sentisse così a disagio.
Il fuoco sulle sue gote si fece più intenso e bruciante.
“Oh... s-sì... spero di... che... non...”.
“Touma ha sempre parlato bene di te e della casa che curi, era davvero un impertinente a venire da te ogni settimana” la donna mosse il viso, socchiudendo gli occhi, con aria risoluta. “Accampare strane scuse per le cose belle è una caratteristica che ha preso da me, purtroppo...”.
Di quel passo, Shin sarebbe andato letteralmente in fiamme: cosa intendeva dire, adesso? Era davvero uguale a Touma, sotto tanti, troppi aspetti.
Mantenne lo sguardo cocciutamente fisso sulla pentola tra le proprie mani e borbottò:
“È stato... un piacere... è un piacere... anche ora... io... spero non sia un problema per...”.
Sotto gli occhi un po’ sorpresi di Shin, la donna si sedette tranquillamente sul tavolo della cucina, accavallando le gambe come una ragazzina qualsiasi.
“Sarebbe un problema se restasse sempre qui da solo... o quasi”.
“Oh, lo so! Ho sempre pensato che non stesse bene da solo!”.
Il viso di Shin si sollevò con foga, ma si riabbassò quasi subito, ancor più rosso di prima.
“Cioè... volevo dire che... non intendevo dire... che lui... che voi...”.
“Volevi dire quello” lo fermò lei. I capelli, neri e lucidi come quelli del figlio, seguirono l'inclinazione del viso, un movimento malinconico e pensieroso. “È vero...”.
Che dire ancora? I pensieri che vorticavano nella sua mente erano troppo affollati, troppo complessi per un momento così breve.
Shin era confuso, teso: la sua famiglia non gli aveva insegnato la maleducazione, lui non era mai maleducato, ma vi erano alcuni casi nei quali il bisogno di sincerità diventava più forte... troppo forte per poterlo trattenere. Ma non avrebbe mai voluto che la sincerità lo rendesse indelicato, non era nella sua natura.
“Mi... dispiace...” riuscì solo a sussurrare sul momento, lo sguardo sempre fisso a terra.
“Quando dici la verità, anche se dura, non è mai un errore”. Mani in grembo, sguardo perso nel nulla, quella donna era sempre più simile al ragazzo nell'altra stanza. “Touma è sempre stato un bravo bambino... un bravo ragazzo... fin troppo. Più bravo di me, di sicuro”. Un sorriso, il guizzo di un ricordo passò nei suoi occhi scuri. “Sai che alla sua età ero già incinta di lui?”.
Il corpo di Shin fu percorso da un brivido, si sentiva inquieto.
Non gli dispiaceva che la donna stesse iniziando una confidenza... o qualunque cosa fosse quello che stava iniziando...
Ma non sapeva bene come reagire.
Per educazione si sforzò di sollevare il capo e mostrare il proprio interesse, ma distolse gli occhi quasi subito: fissare negli occhi era maleducazione, era mancanza di rispetto.
Eppure gli occhi di lei erano su di lui, anche se sembravano guardare altrove, attraverso di lui.
“Sono felice che abbia trovato voi” confessò la donna, prima di scendere dal tavolo, avvicinarglisi ed alzargli il viso, in modo che i loro occhi non potessero non incontrarsi. “Puoi guardarmi, per me non è maleducazione, non lo è mai stato. So cos'è... davvero”.
E successe...
Come troppo spesso gli accadeva negli ultimi tempi, quegli scoppi emotivi improvvisi, inattesi, tanto lontani dal controllo che un tempo aveva saputo imporsi.
Si portò una mano alle labbra, mentre cercava di posare lo sguardo sulla donna e invece, con quel gesto, finì per soffocare un singhiozzo...
E si odiò, perché era l'ultima cosa che avrebbe voluto.
“Mi... dispiace...”.
Lo ripeté ancora, senza rendersene conto, ma era l'unica cosa di cui era certo in quell'istante. Tutto il resto era confuso ed opaco, non aveva pensieri chiari, idee lucide, ma di quel sentimento era certo, gli dispiaceva, anche se non riusciva a spiegare, neanche a se stesso, per cosa esattamente.
Le cose per cui gli dispiaceva erano semplicemente troppe, erano cominciate dalla telefonata di Seiji.
No... erano cominciate prima... molto tempo prima... forse anni...
Erano dentro di lui, nella sua stessa essenza.
E tutto si stava radunando lì, in quel momento, in quel suo pianto che lo rendeva odioso a se stesso e in quel maledetto cuore che batteva troppo veloce e troppo dolorosamente.
 
 
Non era abituata.
No.
La signora Hashiba non era abituata al pianto.
Una donna così solare, con un lavoro così gratificante, non vi era abituata.
Ma non era l'abitudine a far comprendere a una persona cosa fosse importante fare. C'era sempre l'istinto. Quello che ti faceva abbracciare l'amico di tuo figlio che avevi visto più che altro parlare, arrossire, ridere.
Non certo... piangere.
“Pesciolino? H-ho fatto qualcosa?!”.
Lui scosse il capo, certo che non aveva fatto nulla: era lui, solo lui che ormai non poteva neanche prevedere se stesso.
Se un tempo aveva imposto tanto autocontrollo alle proprie emozioni, era proprio perché temeva che accadesse una cosa del genere che, se un giorno avesse cominciato a lasciare troppa via libera ad esse, non le avrebbe più fermate, né comprese e avrebbero finito per distruggere lui e, soprattutto, causare sofferenze agli altri.
E allora negava, doveva negare, doveva rassicurare...
Eppure non riusciva a smettere di piangere, di singhiozzare in quell'abbraccio, mentre la vocina dentro la sua testa, che tentava di riportarlo alla ragione, gli ripeteva convulsamente:
Smettila sciocco, smettila, basta, finiscila adesso!
“N-non sono brava in queste cose... Touma è diventato così bravo invece, e...”. Era un modo come un altro, per lei, per allentare la tensione. Temeva di non fare la cosa giusta. E di ricevere un rimprovero da parte di suo figlio. E del suo ex marito.
No, forse Genichirou l'avrebbe guardata in quel modo molto strano, quello che non aveva mai del tutto compreso.
 
Ancora il capo di Shin si scosse e il ragazzo si sottrasse e di nuovo si chiedeva come fare, in quel frangente così complicato, per non apparire privo di tatto, lui che odiava la maleducazione, lui che odiava ferire gli altri o creare problemi e quindi odiava non sapersi imporre... che cosa? Disciplina? Controllo?
“Scu... si... io...”.
Non ce la faceva, non poteva parlare in quelle condizioni.
“Io...”.
Il viso abbassato contro una mano, cercò di camminare verso la porta, trovò la maniglia a tentoni e la aprì.
Non voleva che Touma e suo padre lo vedessero; li trovò ancora l'uno vicino all'altro, non guardavano nella sua direzione. In silenzio scivolò contro il muro. Doveva isolarsi al piano di sopra, finché non gli fosse passata la crisi.
E la donna rimase di stucco a guardarlo scivolare fuori dalla cucina e non sapeva se l'avrebbe scosso ancora di più andandogli dietro o se avrebbe fatto...
Accidenti a lei!
Le avevano sempre detto che era esagerata, un po’ priva di tatto, imprevedibile, ma...
Ma non riuscì a frenarsi e sgattaiolò anch'essa fuori dalla cucina, guardando solamente la schiena di Shin e, quando riuscì ad afferrarne la mano, lo trascinò in quella che, una volta, era la camera sua e di Genichirou.
Shin, che ancora lottava contro i propri singhiozzi, sgranò su di lei gli occhi più immensi e sperduti che la donna avesse mai visto; il ragazzo si mordeva le labbra e le sue membra erano scosse da tremori.
“Non è che scappi ancora, vero?” sussurrò lei, allentando appena la presa sulla mano. “Perché non saprei come riprenderti... non sono brava in queste cose. Se lo fossi...” un sospiro, una mano passata fra i capelli. “... le due persone che sono in sala sarebbero più felici ora... non credi?”.
Shin si sentì mancare: doveva calmarsi, perché così non andava bene affatto.
“Io non... non volevo questo... io... mi dispiace... mi... dispiace...”.
Ancora venne fuori l'unica cosa che sembrava in grado di esprimere.
“Ma io non voglio che mi chiedi scusa” replicò lei accarezzandogli una guancia bagnata. “Voglio solo che tu non sia triste... non così... non ora che starete assieme”.
Lui si portò alle labbra la mano libera dalla stretta della donna e cominciò a rosicchiarsi il pollice.
“È che... ci sono tante cose in ballo... e io non capisco perché reagisco così. Nessuno deve essere triste, eppure... non volevo far preoccupare... mi dispiace”.
Non riusciva a porre fine ad una frase sensata, troppe cose gli turbinavano nell'anima, troppe cose per cui voleva scusarsi o per cui avrebbe desiderato dare conforto e finiva per non arrivare a niente.
Rimediò lei. Era fin troppo semplice capire quel cuore tanto complicato.
“Non siamo stati dei bravi genitori... ce ne siamo accorti quando era troppo tardi”. Un sussurro e la donna lo trascinò a sedersi accanto a lei, sul grande letto matrimoniale. “Abbiamo dato cose per scontate e Touma era solo, anche se lui non voleva nemmeno accorgersene”.
Non era certo quello che Shin desiderava... farla sentire in colpa.
Dentro di sé se lo era detto tante volte, che avrebbe voluto che i genitori di Touma si rendessero conto, che provassero sensi di colpa, ma trovarsi lì, adesso, davanti a quei rimpianti così lucidamente espressi... era troppo da sopportare.
Si rosicchiò il dito con più forza e balbettò:
“Ho... combinato un bel guaio...”.
Shin era proprio un pesciolino rosso. Gentile, quieto, fin troppo timido. Ma con una verve improvvisa e spiazzante da poter sollevare tanta acqua quanto il suo peso, solo con una codata.
“Non vedo guai io, ora. vedo solo una cosa bella che si realizza. E io ti sto solo raccontando... la verità”. Un sorriso, una carezza.
Qualcosa in quelle parole, in quel tono, scese nell'anima di Shin, qualcosa nella dolcezza di quel tocco lo fece sciogliere.
Le lacrime continuarono a scendere, ma si fecero silenziose, il cuore tornò a rilassarsi, come per miracolo e, dal cuore, gli uscì con foga un'esclamazione spontanea:
“Sei una brava Okaasan, davvero! Touma ti vuole bene e anche io, tutto si è messo a posto, quindi... tutto è risolto, non avere più rimpianti!”.
La donna lo guardò, inclinando il capo da un lato, poi dall'altro, come ad osservare quella piccola creatura strana e imprevedibile che era Shin.
“Grazie, Shin-kun”.
Di nuovo una carezza, di nuovo una strana calma in quella scoppiettante giovane donna. Ma la calma durò poco, quell'attimo che bastò a ridarle l'energia per un abbraccio soffocante e sincero.
  
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