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Autore: SaraFantasy98    12/04/2020    1 recensioni
Cos'ha provato davvero Martìn (Palermo) durante il suo primo e ultimo bacio con Andrès (Berlino)? Quali sono stati i suoi pensieri mentre veniva illuso così profondamente e poi abbandonato dall'unica persona che avesse mai amato davvero? In questa one shot ho provato a rispondere a queste domande. Buona lettura!
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Berlino, Palermo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 «Come ti sembro?»
La voce di Andrés ruppe all’istante la concentrazione che Martìn aveva raggiunto con immensa fatica solo da pochi minuti. Prima che l’amico piombasse nella sua stanza stava scarabocchiando calcoli e grafici sul suo quaderno per tentare di scacciare i soliti pensieri, quei maledetti tarli dell’anima che da mesi ormai, da quando aveva saputo di quella bastarda malattia, lo stavano distruggendo dall’interno.
Se si fosse abbandonato ad essi, Martìn lo sapeva, sarebbe annegato nel suo stesso dolore e nella sua stessa frustrazione. E questo non doveva accadere. No, doveva essere forte. Per Andrés.
Lavorava ancora al piano, il piano che quel figlio di puttana di Sergio continuava a bocciare, quel piano che per lui significava l’ultima occasione di sentirsi vivo e completo al fianco di Andrés prima di perderlo per sempre. Doveva riuscirci. Doveva renderlo perfetto. Doveva convincerlo.
Martìn, nell’udire quella voce, abbandonò la penna e sollevò lo sguardo puntandolo dritto negli occhi di Andrés, cercando di dissimulare meglio che poteva il sospiro appena uscitogli dalle labbra.
«Magnifico» disse dopo alcuni istanti di esitazione trascorsi con troppe parole incastrate in gola, istanti decisamente troppi lunghi da poter ignorare, senza neanche aver fatto caso all’elegante completo indossato dall’amico. Non aveva bisogno di guardare ciò che Andrès aveva scelto di mettersi: per lui sarebbe stato magnifico sempre e comunque.
Andrés sorrise. Martìn non riuscì a staccagli gli occhi di dosso.
Gli risultava sempre più difficile farlo, ormai.  Ma doveva contenersi, doveva, altrimenti lui avrebbe capito.
Così, anche se avrebbe voluto rimanere a guardare Andrés per tutta la serata, anche solo per scolpirsi nella memoria l’immagine di colui che ben presto avrebbe perso per sempre, si costrinse a ritornare ai suoi appunti.
«Martìn, ormai sono anni che ci giri intorno, che hai un tarlo dentro. È giunto il momento che lo tiri fuori» cominciò lentamente Andrés avvicinandosi di qualche passo al piccolo scrittoio a cui era seduto il suo amico che, a tali parole, si sentì investire da un brivido freddo quanto una secchiata di acqua gelida sulla testa.
Dunque Andrés sapeva. Alla fine, nonostante il suo costante silenzio a riguardo, se ne era accorto.
Potrebbe in effetti sembrare strano, ma Martìn Berrote, nonostante anni di vicinanza costante all’uomo che amava, non gli aveva mai aperto il suo cuore. D’altra parte non era mai stato bravo in certe cose: non sapeva neanche gestire i propri sentimenti, figurarsi parlarne.
Andrés tanto non lo avrebbe mai ricambiato, dunque perché dichiararsi? Erano migliori amici loro due, erano compagni di vita, erano legati da un qualcosa che andava oltre la razionalità e oltre le convenzioni... Ma questo qualcosa non sarebbe mai diventato un legame d’amore. Martìn era consapevole di questo e di conseguenza si era rassegnato.
Ormai non provava neanche più gelosia quando Andrés si intratteneva con una donna: era diventato talmente bravo in questo che al matrimonio dell’amico con Tatiana aveva perfino ballato, riso e cantato. Certo, quella stessa notte aveva anche pianto nella solitudine del suo letto – un matrimonio non era di certo una semplice scopata – ma ormai l’aveva superata.
Aveva imparato ad andare oltre qualunque cosa, si era reso capace di amare senza pretendere nulla in cambio, era riuscito ad accontentarsi della semplice e sola presenza dell’amore della sua vita accanto a sé... Parlare con Andrés dei suoi sentimenti ora sarebbe servito solo a spezzare quel fragile equilibrio interiore che Martìn era riuscito a costruirsi piano piano nel coso degli anni. No, non avrebbe permesso che la sua fragile casa di carta crollasse, quella casa tanto effimera costruita con pazienza dentro di sé, quella casa in cui aveva cercato di intrappolare e soffocare il dolore bruciante che tanto l’aveva fatto dannare: il dolore di non essere corrisposto.
Era una casa leggera e delicata che con un niente sarebbe andata in pezzi, Martìn lo sapeva, per questo doveva difenderla ad ogni costo: per evitare che il dolore evadesse e tornasse a tormentarlo.
«Tiro fuori un vino se vuoi. Beviamo un po’» tentò di evitare la questione afferrando una bottiglia e posandola sullo scrittoio, sforzandosi di sorridere.
«No, non berrò quel vino con te. Sto andando a cena. Con Tatiana.»
Martìn abbassò lo sguardo.
«Tu penserai a me, però io non penserò a te», continuò duramente Andrès, scavandogli con quelle semplici parole una nuova voragine nel petto.
«Non devi spiegarmi l’abc. È chiaro» disse Martìn fingendo di tornare a concentrarsi sulla penna tenuta in mano fino a pochi attimi prima, sentendosi per la prima volta nudo e indifeso di fronte al suo compagno, quella verità sepolta con tanta cura ora irreparabilmente emersa in superfice.
«Oh, per favore...» sbottò Andrés chiudendo gli occhi e sollevando il viso verso il soffitto, un’espressione a metà tra il divertito e il frustrato a modellargli i tratti del volto.
«Tu credi che io non ti ami? Anche io sento che quello che c’è tra noi è straordinario, unico, meraviglioso. E conosco l’amore: ho avuto cinque mogli. Quello che non ti ho detto mai è che con nessuna di queste donne ho sentito qualcosa di simile a quello che sento con te, neanche lontanamente. Noi due siamo anime gemelle, però al novantanove per cento. Lo sai: a me piacciono moltissimo le donne, e te piaccio troppo io.»
Durante il discorso di Andrés, Martìn si era alzato in piedi sbarrando gli occhi, il cuore a mille.
Andrés... Andrés aveva appena ammesso di amarlo. Quanto a lungo aveva atteso che simili parole uscissero dalla sua bocca? Quanti giorni e quante notti si era crogiolato in quella vana speranza? E ora che non si aspettava più nulla del genere ecco che gli veniva fatto il regalo più bello. Proprio quando aveva smesso di aspettarlo.
In quell’attimo credette di capire: Andrés aveva paura. Aveva appena confessato di amarlo, aveva appena ammesso di credere che Martìn fosse la sua anima gemella... Eppure si tirava indietro schermandosi dietro alla scusa della sua attrazione nei confronti delle donne. No, Martìn non avrebbe sprecato un’occasione come quella per convincere l’amico a lasciarsi andare. Se ci fosse riuscito avrebbero passato insieme i mesi più belli delle loro esistenze, tutti quelli che mancavano da vivere ad Andrés. 
«Che cos’è un uno per cento contro un novantanove?» chiese dunque avvicinandosi a lui con rinnovata sicurezza, le mani salde sui fianchi per evitare il tremore.
L’altro sorrise.
«O forse non hai il coraggio di provarlo?» continuò.
«Questo uno per cento è un piccolo mitocondrio, ma definisce il desiderio» gli spiegò Andrés senza smettere di ridacchiare al tentativo dell’amico.
«Mitocondrio...» continuò Martìn senza smettere di avvicinarsi al suo viso, ormai sicuro di sé e delle proprie possibilità di successo. L’altro non arretrò di un passo.
«Dov’è il desiderio, eh?» sussurrò ormai a pochi centimetri dalle sue labbra, accarezzando con lo sguardo ogni particella del suo volto.
Andrés rimase in silenzio.
«È qui?» insistette Martìn toccando la testa dell’amato.
«Dove?» continuò facendo scorrere le proprie dita dalle tempie fino alle mandibole dell’uomo di fronte a sé, il quale non reagiva in alcun modo se non attraverso un sospiro ed uno strano ghigno, simile all’ennesimo sorriso.
«Non temere, tranquillo, non avere paura» disse passando a guardargli prima gli occhi e poi la bocca, ancora e ancora, per poi afferrargli la nuca e gettarsi a capofitto sulle sue labbra, così come desiderava di poter fare ormai da troppo, troppo tempo. 
Ce l’aveva fatta, stava baciando Andrés... E Andrés stava baciando lui. Possibile che stesse accadendo davvero?
«Sei un vigliacco, eh?» bisbigliò staccandosi da lui quel tanto che bastava per parlare, per poi schioccargli un altro bacio.
«Dove sta?»
Un altro rapido bacio.
«Eh?»
Martìn si avvicinò ancora, ma questa volta si bloccò non appena si accorse dello sguardo sul viso del compagno.
Indietreggiò di un passo, ancora profondamente scosso da ciò che era appena successo, ancora con il battito del proprio cuore che gli rimbombava nelle orecchie. Poi Andrés si mosse.
Andò in contro a Martìn facendolo indietreggiare fino alla parete, schiacciandolo contro di essa e gettandosi sulle sue labbra per baciarlo di nuovo.
Mentre i due uomini si divoravano a vicenda, famelicamente, come se entrambi lo desiderassero da secoli, uno solo fu lo sbaglio di Martìn Berrote: si illuse di avere la vittoria in tasca. Si illuse che Andrés potesse finalmente essere solo suo, libero da ogni paura. Fu questo a distruggerlo più di ogni altra cosa pochi istanti più tardi.
«Aspetta, aspetta...» disse infatti Andrés staccandosi improvvisamente mentre ancora Martìn gli teneva il collo e la nuca tra le mani, il pollice ad accarezzargli le guance, lo sguardo colmo di amore e desiderio che non voleva, che non poteva credere che Andrés si stesse tirando indietro dopo averlo illuso così profondamente.
«Darei qualunque cosa per sentire questo, però...» disse.
E Martìn capì. Capì che quel bacio per l’amico era stato solo un esperimento fallito. Andrés non lo aveva mai desiderato. Non aveva mai avuto paura.
Ormai senza più maschere di alcun tipo Martìn lasciò che gli occhi gli si riempissero di lacrime, poi permise ad esse perfino di sgorgare fuori mentre come un automa provava a baciare di nuovo Andrés per convincerlo, convincerlo, convincerlo... Gli ultimi disperati tentativi di un uomo che non voleva accettare la dura realtà che gli si era appena parata di fronte, gli ultimi tentativi prima che ogni emozione positiva dentro di lui si sgretolasse per sempre.
«... è impossibile. Impossibile» concluse Andrés arretrando lentamente e lasciandolo scosso e piangente addosso alla parete.
«Ti amo Martìn, ma mio fratello ha ragione: dobbiamo separarci. E dobbiamo abbandonare il piano» disse infine voltandosi, senza sorridere più.
«Dunque è quel figlio di puttana di tuo fratello che ti parla male del mio amore per separarci!» sbottò Martìn mentre Andrés si infilava il cappotto.
«Andrai a fare fotocopie alla zecca di stato... Io ti ho proposto di fondere oro insieme!» continuò infuriato, accecato dal dolore e della consapevolezza dell’enorme disgrazia che era la sua vita.
«Ti aggrappi ad una cosa che non esiste e non esisterà mai!» gli gridò allora l’altro senza voltarsi, sbattendogli in faccia quella realtà di cui Martìn era sempre stato consapevole, ma che quel bacio era stato capace di cancellare in pochi istanti.
«Devo lasciarti. Per l’amore e per la fratellanza, per il legame che sento per te.»
Martìn non rispose. Non riusciva a reagire in nessun modo allo spettacolo di tutto il suo mondo che gli crollava addosso.
«Adesso vattene, curati la ferita. A volte la distanza è l’unico modo per trovare pace. Addio amico mio, sono sicuro che in un modo o nell’altro il tempo ci riunirà» concluse Andrès sistemandosi meccanicamente l’elegante cappello sulla testa.
Un ultimo sorriso, poi Andrés de Fonollosa si voltò ed uscì dalla stanza e dalla vita di Martìn Berrote per sempre, distruggendo la sua fragile casa di carta e liberando la sofferenza pazientemente confinata al suo interno, portandosi inconsapevolmente dietro la parte migliore del suo più grande amico, quella che sapeva amare.
 
Note:
Ebbene sì, questa è la mia prima fanfiction. Non so esattamente cosa mi sia scattato dentro quando ho guardato l'ultima puntata della quarta stagione della Casa di Carta, ma deve essere stato qualcosa di particolarmente forte per avermi fatto aprire il computer di scatto per riscrivere dal mio punto di vista la scena che più di tutte ho amato.  O meglio, dal punto di vista di Palermo. In ogni caso spero ne sia uscito qualcosa di decente! Grazie per aver letto fin qui, un saluto!
   
 
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