Libri > Percy Jackson
Segui la storia  |       
Autore: platinum_rail    13/04/2020    4 recensioni
Sono passati quattro mesi dalla fine della Guerra dei Titani.
Percy ed Annabeth salvano Piper, Leo e Jason al Grand Canyon, senza sapere che avrebbe significato l'inizio di una nuova guerra.
Percy scompare la notte successiva, ma quando mesi dopo arriva al Campo Giove non ha perso la memoria. Ha un passato diverso da quello che conosciamo, e dei poteri incredibilmente pericolosi.
(IN FASE DI RISCRITTURA)
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Annabeth Chase, Percy Jackson, Percy/Annabeth, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 

L'eroe perduto


-Ragazzi, solo a me quelli sembrano dei cavalli con le ali? -
All’inizio Piper pensò che Leo avesse davvero battuto la testa.
Poi la ragazza puntò lo sguardo in alto, e vide una sagoma candida che si avvicinava in volo da est.
Rimase a bocca aperta, quando riuscì a riconoscere due bianchissimi cavalli alati, che trainavano una biga a mezz’aria.
-I rinforzi! - esclamò Jason quasi meravigliato. -Hedge mi aveva detto che una squadra di prelevamento sarebbe venuta a prenderci. -
Il ragazzo, che sembrava essersi improvvisamente rianimato, si avviò a grandi falcate verso la fine del ponte.
Piper sussultò allarmata: -Jason?! –
-Venite! – urlò l’altro di rimando, ma senza voltarsi.
-Una squadra di prelevamento? - disse Leo, rimettendosi in piedi a fatica. - Non suona rassicurante. –
-Non sappiamo nemmeno dove vogliono portarci - aggiunse Piper a bassa voce, prima di voltarsi nuovamente verso il suo ragazzo, che ormai era a diversi metri da loro. -Jason, non è sicuro! -
Ma vedendo che l’altro non si sarebbe voltato, Piper si scambiò un’occhiata disarmata con Leo.
-Andiamo. – sospirò il ragazzo. -Cerchiamo quantomeno di restare insieme. –
Piper si morse nervosamente il labbro, prima di correre al seguito di Jason. Mentre si affrettava verso l’estremità del ponte, la ragazza si ritrovò suo malgrado ad osservare con timida ammirazione la biga che si avvicinava sempre di più a loro.
I cavalli spalancarono le lunghe ali per rallentare, e i muscoli forti ed eleganti si tesero sotto al manto candido prima che atterrassero pestando regalmente gli zoccoli sul vetro. La biga al loro seguito batté rumorosamente a terra con uno stridio.
Piper realizzò solo allora che c’erano due giovani a bordo del mezzo: una ragazza bionda, che scese dalla biga non appena questa toccò terra, e un ragazzo alto e dai capelli neri che invece rimase e tenere le redini dei pegasi.
Piper si bloccò al fianco di Jason, il quale non osò fare un'altro passo, ed entrambi mantennero lo sguardo puntato nervosamente sulla giovane che si era fermata a debita distanza di fronte a loro.
Piper pensò che fosse bellissima, con quel viso femminile e solenne. Aveva degli stupendi e riccissimi capelli biondi, e la pelle abbronzata dal sole. I suoi occhi grigi come l’argento esprimevano un’intelligenza e regalità invidiabili. Piper occhieggiò con ansia al pugnale che la ragazza portava sfacciatamente legato alla cintura.
-State bene? – chiese la sconosciuta con decisione, ma non sembrava ostile.
-Chi siete? – ribattè Leo, teso sulla difensiva.
La bionda fece per rispondere, ma in quel momento il ragazzo che era arrivato con lei li raggiunse.
Piper concentrò lo sguardo su di lui.
Era alto e muscoloso, con i capelli neri e la pelle bronzea, aveva gli occhi cerulei e cangianti come le acque del mare. Aveva un viso particolarmente ammaliante, dai lineamenti virili seppur affilati, e Piper si trovò quasi ipnotizzata dal suo sguardo.
Era probabilmente il ragazzo più bello che avesse mai visto dopo Jason.
Aveva però una cicatrice sull’occhio sinistro, che gli segnava la pelle dal sopracciglio fino alla guancia, e che senza intaccare l’iride risaltava però in rilievo, bianca come avorio.
Era un particolare che non aveva mai osservato su un ragazzo tanto giovane.
Il ragazzo sfoderò un ghigno spaventosamente simile al sorriso malizioso e furbesco che Piper aveva sempre visto dipinto sul viso di Leo.
-Io sono Percy. – si presentò lui. -E lei è Annabeth. Siamo venuti a prendervi, ci ha chiamato Hedge. –
-Il Coach è stato rapito. – disse Leo. -Da quelle nuvole diaboliche. -
-I venti. 
Piper si voltò a guardare Jason nell’istante in cui lui parlò, e non poté impedirsi di guardarlo con tristezza, frustrazione persino. Chi sei?
Annabeth puntò a sua volta gli occhi su di lui, e sembrava stupita nonostante il suo sguardo fosse rimasto inflessibile come acciaio.
-Quello è il loro nome latino. – precisò, ma senza cattiveria. -Che è successo? –
Jason si prese l’onere di raccontare, per la gioia di Piper, e lei rimase ad osservare i due ragazzi con attenzione.
Pensò che dovessero avere forse uno o due anni in più di loro, ed entrambi indossavano delle magliette arancioni sopra ai jeans slavati. Il ragazzo, Percy, aveva un fodero di pelle nera legato diagonalmente alla schiena, e l’elsa bronzea della spada che ci giaceva all’interno era visibile oltre la sua spalla.
Annabeth fu la prima a parlare una volta che Jason finì il racconto.
-Non vorrei suonare scortese, ma tu sei strano. –
Jason la guardò confuso, ma non ebbe tempo di protestare.
-Sì vedi, il Coach ci aveva detto di aver trovato solo due mezzosangue, e dalla descrizione tu non sei uno di quelli. E ti assicuro che uno che riesce a sconfiggere degli anemoi con tanta facilità non può essere un semidio che passa inosservato. Poi con questa storia della memoria e del latino… -
Piper non capì granché del discorso della ragazza, ma quel poco che comprese le fece ribollire il sangue nelle vene dall’indignazione.
-Ci hai appena dato dei mezzosangue?! –
Ma nessuno sembrò badare al suo commento.
Percy si avvicinò invece all’orecchio della bionda accanto a lui, gli occhi che studiavano attenti il cielo.
-Annabeth, dobbiamo portarli via. - disse il ragazzo, a voce abbastanza alta perché anche gli altri lo sentissero. -Stanno per tornare. -
Annabeth si voltò a guardarlo per un’istante, prima di annuire e voltarsi verso la biga.
Leo sembrava più confuso che mai: -Di che state parlando? Dove andate? –
Percy lo guardò, e Piper fece fatica e leggere la sua espressione.
-Ascoltatemi. – disse lui velocemente. -Dobbiamo portarvi al Campo Mezzosangue, dove saremo tutti al sicuro e dove potremo discutere di quanto successo. Non vi faremo del male, vi spiegheremo tutto e bla bla bla. –
Nessuno dei tre si mosse.
-Beh? Guardate che sta per crollarci il ponte sotto ai piedi. –
-Come possiamo sapere che quello che dici è la verità? – si fece avanti Jason.
-Non potete. – rispose il corvino sorridendo. -Ma con tutto il dovuto rispetto, non credo abbiate alternative migliori, o sbaglio? –

-Ragazzi, che sballo! –
Erano a bordo della biga in volo da forse ore, oppure solamente pochi minuti, Piper non avrebbe saputo deciderlo.
Leo sembrava l’unico a godersi il viaggio, sporto meravigliato a guardare le nuvole che sfrecciavano sotto di loro, mentre Piper, insieme a Jason, si era rannicchiata in un angolo con le ginocchia strette al petto.
Era spaventata, e così scossa dai recenti eventi da non riuscire a tranquillizzarsi nonostante la gentilezza di Annabeth e Percy.
-Potete ricordarci dove ci state portando? – chiese lei.
Percy era in piedi, appoggiato al bordo ricurvo della biga con Annabeth al fianco, e quando si voltò verso di lei sorrise.
-Al Campo Mezzosangue, un luogo sicuro per quelli come noi. – spiegò brevemente.
Aveva un accento particolare e piuttosto marcato, uno di quelli del nord. New York, forse.
-Vuoi dire semidei? – chiese improvvisamente Jason. -Per metà dei e per metà mortali? –
Piper lo guardò confusa, ma Jason non le rivolse che una veloce occhiata.
-Tu sai un sacco di cose eh? – gli rispose Percy. -Comunque, sì, per noi semidei. –
-Quindi mi state dicendo che mio padre è un dio? – chiese Leo. -Questa mi mancava oggi. –
Piper non seppe se l'amico fosse sarcastico oppure sinceramente poco impressionato dalla notizia. Lei stessa avrebbe trovato l'informazione assurda in qualunque altro momento, ma dopo tutto quello che aveva visto quel giorno le sembrava la cosa meno disturbante tra tutte.
Fece per parlare.
Ma si fermò, quando sentì un tuono rimbombare nel cielo con forza preoccupante, tanto che lo sentì riverberarle tra le ossa.
E subito dopo, un fulmine si schiantò sulla biga, mancandola di pochissimi centimetri. L'intero mezzo venne scosso e si inclinò pericolosamente verso sinistra. Piper scattò in piedi dallo spavento, ma rimase ad osservare quasi incantata il fuoco che ghermiva il legno.
-La ruota sinistra va a fuoco! – urlò Jason, prendendole il braccio e tirandola via dal lato sinistro della biga. Piper sentì il vento fischiarle dolorosamente nelle orecchie.
Si guardò alle spalle, e vide delle ombre scure nell’aria, gli stessi spiriti che li avevano attaccati prima. Eppure stavolta sembravano dei cavalli impalpabili che correvano col corpo percorso dall’elettricità di un fulmine.
-Ma prima erano… -
-Gli anemoi possono cambiare forma. – la informò Annabeth alle sue spalle. -Tenetevi stretti, sarà un atterraggio difficile. –
Piper si strinse al legno liscio del bordo della biga, accovacciandosi e nascondendo la testa quanto più riusciva.
Sentì Percy urlare qualcosa ai pegasi, e i cavalli alati scattarono verso il basso.
Piper non vide nulla per alcuni secondi.
Quando tornò la luce, alzò appena la testa, e vide sotto di loro una distesa di prati e colline, un grande lago che scintillava sotto al sole estivo e delle strade di pietra chiara che si snodavano dolcemente sulla terra.
Piper osservò a bocca aperta la valle che si estendeva sotto di loro, beandosi per un’istante dell’aria calda che le sferzava il viso.
Ma purtroppo dovette presto ricordarsi della biga che cigolava pericolosamente sotto ai suoi piedi, e in quell’istante si rese conto che i pegasi stavano faticando a tenerla in volo. Avrebbe voluto vomitare.
-Un ultimo sforzo ragazzi! Puntate al lago! – urlò Percy, e Piper pensò stranita che stesse di nuovo parlando ai pegasi. Ma sembrarono dargli ascolto, perché puntarono dritto verso l’acqua, ma senza riuscire a planare.
Poi Percy fece qualcosa che le fece mancare il fiato nei polmoni.
Il ragazzo sfilò con incredibile velocità la spada dal fodero che aveva sulla schiena, come se non avesse fatto altro nella sua vita, e con un movimento tanto fluido e rapido da essere difficile da seguire con lo sguardo tagliò i finimenti che legavano i pegasi alla biga.
Senza i due animali a sostenerli precipitarono verso il lago, veloci abbastanza per non uscirne vivi.
Piper urlò con tutto il fiato che aveva in gola.
Poi Percy tese un braccio davanti a sé e lei sentì un contraccolpo sotto di loro, qualcosa che bloccò la loro caduta.
Ci fu un secondo di silenzio, e lei aprì piano gli occhi. Quando osò sporgersi, vide un’enorme colonna d’acqua candida che li sosteneva avvolgendosi intorno ai lati della biga come un serpente, accompagnandoli verso il basso e sempre più vicini alla riva.
Piper si voltò a guardare Percy incredula: gli occhi del ragazzo brillavano.
Pochi minuti dopo la biga attraccò sulla sponda del lago, e Piper scese immediatamente, rassicurata dalla solidità del terreno sotto di lei.
Ma quando alzò gli occhi da terra, sussultò.
In pochi istanti, sulla riva si erano radunati una quarantina di ragazzi.
I più piccoli dovevano avere forse nove anni, i più grandi diciotto, e tutti portavano delle magliette arancioni addosso. Lei li osservò incredula.
-Percy, Annabeth! - un ragazzo con larco e faretra sulle spalle si fece largo in mezzo agli altri. -Vi avevo detto che potevate prendere in prestito la biga, non che potevate distruggermela!–
Piper sentì i suoi compagni avvicinarlesi alle spalle, ma non distolse gli occhi agitati dalla folla di fronte a sé.
-Scusa Will. – disse Percy avvicinandosi a lui con Annabeth al fianco. -Prometto che te la farò riparare. –
Il ragazzo in risposta sospirò con rassegnazione, occhieggiando a quello che rimaneva della biga.
Poi si voltò verso di lei, Jason e Leo, e sembrò sorpreso.
-Non pensavo fossero così grandi. Non siete mai stati riconosciuti? – chiese rivolgendosi direttamente a loro.
-Scusami? – chiese Leo.
-Vi ha chiesto se avete idea di chi sia il vostro genitore divino. – chiarì Percy. -Ma suppongo di no. – continuò, facendo scivolare la spada nel fodero che aveva sulla schiena.
Poi all’improvviso, tutti spalancarono gli occhi.
Piper seguì i loro sguardi, e si voltò verso di Leo. Lui li guardava incerto.
-Non ho fatto nulla stavolta. – disse, e Piper emise un gemito di sorpresa quando vide il simbolo di un martello che ardeva di fuoco vivo sopra la testa dell’amico.
-Cos’è, mi va a fuoco la testa? – chiese lui, e quando scosse il capo l’ologramma lo seguì ondeggiando.
Piper lo guardava con orrore, ma quando si voltò allarmata verso gli altri ragazzi vide che nessuno sembrava particolarmente preoccupato. Anzi, in molti sorridevano.
-Mi sbagliavo. – disse finalmente Percy. -Leo, sei stato riconosciuto da… -
-Vulcano. – concluse Jason, che guardava Leo come incantato. Il suo intervento catturò lo sguardo degli altri ragazzi, che si voltarono sorpresi verso di lui.
-Come lo sai? – chiese Annabeth.
La ragazza lo stava osservando con una nota di allarme nel suo sguardo, come se Jason la inquietasse.
Il ragazzo abbassò lo sguardo incerto.
-Io… non lo so. –
-Vulcano? – chiese Leo. -Non sono un fan di Star Trek. Qualcuno vorrebbe spiegarmi? –
Annabeth si voltò a guardarlo: -Vulcano è il suo nome romano. Ma noi lo chiamiamo Efesto, il dio dei fabbri e del fuoco. Ti ha appena riconosciuto come suo figlio. – spiegò lei.
Piper era ancora senza parole, ma presto la luce vermiglia sopra la testa di Leo si fece più fioca.
Il simbolo sparì, e il ragazzo sembrò rilassarsi: -Il dio di cosa scusate? –
Ci furono pochi secondi di silenzio, e Piper faticò a liberarsi della sua espressione sbalordita.
Dalla folla di ragazzi si levarono pochi mormorii, alcune lievi risate. Ma fu Percy il primo a muoversi, girandosi verso il ragazzo con l’arco:
-Will, porteresti Leo a fare un giro e poi alla Casa Nove? –
-Vorrei precisare di non essere un Vulcaniano. – si intromise Leo.
Will alzò gli occhi al cielo con un sorriso.
-Vieni Spock, ti faccio fare il tour. – disse mettendogli un braccio intorno alle spalle e guidandolo verso le capanne oltre la spiaggia. Prima di andarsene rivolse uno sguardo divertito a Percy.
Piper invece ebbe l’impulso di correre dietro a Leo, perchè era spaventata e stavano accadendo troppe cose assurde in troppo poco tempo. Non sapeva dove lo stavano portando, chi fossero quelle persone e che cosa stesse succedendo, ma non ebbe l’occasione di farsi avanti.
Perché Jason la precedette.
-Basta con i giochi. – esclamò lui, e tutti intorno a lui si tesero. La sua voce era stata così autoritaria e rabbiosa da farle rizzare i peli sulla nuca. -Voglio delle risposte. Che posto è questo? Perché siamo qui? Perché… -
-Risponderemo alle tue domande Jason. – si intromise Percy, avvicinandoglisi. Non sembrava minimamente turbato dal tono di Jason.
Sembrava così tranquillo e rilassato, eppure incredibilmente vigile allo stesso tempo.
Nessun parlò, in attesa di quello che il ragazzo dai capelli neri avrebbe detto. Piper realizzò che chiaramente, il capo là era Percy.
-Mi faresti vedere il braccio? – chiese lui a Jason, guardandolo dritto negli occhi.
Jason sostenne il suo sguardo per un attimo, stranito, prima di abbassare il suo e togliersi la felpa.
La maglietta a maniche corte che portava al di sotto gli lasciava scoperte le braccia muscolose, e Piper vide con stupore il tatuaggio che spiccava sulla pelle candida dell’avambraccio sinistro.
Non lo aveva mai visto prima, e questo le fece salire un groppo in gola. Credeva di conoscere Jason, eppure più quella giornata andava avanti più si rendeva conto di avere di fronte uno sconosciuto.
Il tatuaggio era composto da una dozzina di linee perfettamente dritte una sotto l’altra, con sopra il disegno stilizzato di un’aquila e quattro lettere: SPQR.
-Dove te lo sei fatto? – chiese Annabeth.
-Non me lo ricordo. – disse Jason di nuovo, guardandosi il braccio con lo stesso stupore degli altri. Nessuno parlò.
Percy si scambiò uno sguardo con Annabeth, e per un attimo non disse nulla. Poi tornò a concentrarsi su Jason.
-Va bene bel fusto, andiamo da Chirone. Magari lui può aiutarci. – disse Percy dandogli una pacca amichevole sulla spalla.
Poi il ragazzo si voltò verso Annabeth, e il suo sorriso sembrò in grado di illuminare l’intera valle.
Chinò appena la testa e le diede un bacio sulle labbra, facendola inevitabilmente sorridere.
-A dopo Sapientona. – mormorò, prima di fare cenno a Jason di seguirlo.
Quando Annabeth si voltò verso di lei, Piper vide che le brillavano gli occhi.
La ragazza le rivolse un sorriso astuto.
-Vieni Piper, ti faccio fare un giro. –
 
Il Campo Mezzosangue era uno dei posti più belli che Piper avesse mai visto.
Erano arrivate in cima ad una collina, e davanti a loro si stendeva una magnifica vallata, tracciata da candidi fiumi da strade serpeggianti fatte di pietre chiare e squadrate. C’era un’ampia distesa di boschi a nordovest, la spiaggia che dava sul mare ad est, e sotto di loro si stagliavano dei rigogliosi campi coltivati. Al centro della valle c’era una distesa di capanne disposte come l’omega dell’alfabeto greco, tutti edifici simili a dei templi greci che però differivano l’une delle altre nei colori e dettagli. Eretti intorno alle capanne riconobbe un’arena, diversi edifici molto trafficati e un anfiteatro, e nell’insieme le sembrava di osservare una piccola cittadina.
-Questo posto è bellissimo. – mormorò Piper.
-Ed è sicuro. – aggiunse Annabeth. -È celato agli occhi dei mortali, e i confini impediscono ai mostri come gli anemoi di entrare. –
La voce di Annabeth distrasse Piper dal paesaggio, e in quel momento si ricordò delle migliaia di domande che le giravano per la testa.
Aprì la bocca per parlare, ma non sapeva nemmeno da dove cominciare.
Annabeth rise, come se sapesse esattamente cosa stesse pensando:
-Puoi chiedermi quello che vuoi. Abbiamo tempo, tranquilla. –
E Piper non si contenne più.
-Perché ci avete portati qui? Come avete fatto a trovarci? –
-Il Coach Hedge non era lì con voi per caso. Lui è un satiro, un essere metà uomo e metà capra, e come tutti i satiri ci aiuta a trovare i semidei e a condurli qui. –
-Condurci qui… Perché per i semidei è obbligatorio restare qui? –
Annabeth sorrise come se la trovasse molto buffa. Le fece un cenno, e incominciarono la discesa verso le capanne.
-Beh, no. Questo posto per molti è un campo estivo protetto, dove possono allenarsi e stare insieme ai propri amici durante le vacanze. Per altri invece questa è la loro unica casa, il che capita spesso dato che molti di noi non hanno famiglia al di fuori di qui. –
-Perché? –
-Perché la vita di un semidio è incredibilmente difficile, e questo sono sicura tu lo sappia bene. Siamo diversi da tutti gli altri, soffriamo di dislessia e iperattività, e alcuni di noi sono così potenti da attirare i mostri ovunque vadano, e per questo spesso i nostri genitori mortali si sbarazzano di noi mandandoci in posti come la scuola dove tu, Leo e Jason eravate prima. –
Piper ammutolì. Si sentì improvvisamente compresa, come non le era mai successo prima. Era una sensazione inebriante.
Annabeth continuò: -Comunque, no, non sei costretta a restare qui. Questa non è una prigione. Però rimane un posto sicuro, dove nessun mostro può avvicinartisi e dove puoi vivere una vita fatta esattamente come una di noi. –
Piper annuì, quasi incantata dalle sue parole.
-Perché non era mai successo che un mostro mi attaccasse prima di oggi? –
-Perché i mostri percepiscono il nostro potere e il nostro odore. Più cresci, più e facile che ti notino e cerchino di ucciderti. –
Piper si rese improvvisamente conto di aver raggiunto il gruppo di capanne al centro del Campo. Annabeth l’aveva quasi stregata con le sue parole, tanto da farle dimenticare del mondo intorno a loro. Piper alzò lo sguardo sulle cabine che ormai aveva davanti. Stavano percorrendo la strada centrale, che si diramava e si snodava tra le case, ma loro continuarono a camminare in mezzo ad esse.
Erano così diverse l’una dall’altra, in una maniera così caotica eppure così piacevole alla vista.
-Ogni casa che vedi rappresenta un dio greco, ed è lì che suoi figli possono vivere. – spiegò Annabeth.
-Quindi mia madre dovrebbe essere una dea? –
Annabeth annuì con un sorriso: -Ho conosciuto pochi altri prendere la notizia con tanta tranquillità.
Piper non se lo spiegava, eppure suonava così giusto da non sembrarle nemmeno strano. Come se per la prima volta avesse trovato la risposta a tutte le stranezze che avevano disseminato la sua vita.
-E come farò a sapere chi è mia madre? –
-Ricordi la scenetta di Leo e del martello infuocato che gli è comparso sulla testa? Quello è il modo degli dei di riconoscere i loro figli, e sono sicura che entro stasera scopriremo l’identità di tua madre allo stesso modo. –
Piper non sapeva se esserne terrorizzata o eccitata.
-Tu sai di chi quale dio sei figlia? –
Non intendeva impicciarsi, ma fare domande ad Annabeth aveva un che di rassicurante, forse perché la ragazza sembrava darle sempre la risposta giusta con paziente chiarezza.
-Mia madre è Atena, dea della saggezza e della strategia in battaglia. – le rispose lei.
-E Percy? –
-Percy è un figlio di Poseidone. –
-Il dio del mare. – concluse Piper. Questo spiegava come era riuscito a controllare l’acqua del lago per non farli morire.
-Poseidone è uno degli dei maggiori, e perciò uno dei tre più potenti. – continuò Annabeth guidandola attraverso le capanne. -Insieme a lui lo sono Zeus e Ade. Secoli fa giurarono che non avrebbero più avuto figli con i mortali, perché nascevano dei semidei incredibilmente forti, con poteri incredibili e spesso pericolosi. –
Piper aggrottò la fronte: -Ma quindi...? –
-Percy e l’unico figlio di Poseidone della sua generazione. Ma non è stato solo suo padre a infrangere il giuramento. Thalia, una mia amica, è figlia di Zeus, e Nico è un figlio di Ade. Entrambi però non rimangono mai a lungo al campo quando vengono a farci visita. –
Piper annuì, prima di perdersi ad osservare con curiosità i semidei intorno a loro.
Vennero superate da una ragazza che camminava verso le stalle al fianco di un magnifico pegaso bianco, che la seguiva avanzando regalmente con le ali ripiegate sui fianchi. Incrociarono due ragazzi poco più piccoli di lei che stavano ridendo sguaiatamente, armati di spada e con gli elmi corinzi sottobraccio. Piper osservò molti altri ragazzi come loro che passeggiavano tra le capanne, alcuni portando addosso armature malamente allacciate e altri con le magliette arancioni del Campo. La ragazza inspirò a fondo l’odore inebriane di fragole, e si beò dell’aria impregnata dal rumore delle risate e delle chiacchierate a voce troppo alta.
Piper non aveva mai conosciuto un luogo così accogliente, e così familiare.
-Quindi… tu e Percy state insieme? – 
Ad Annabeth si illuminò il volto. I suoi capelli biondi brillavano come oro colato sotto alla luce del sole d’estate.
-Sì, da più di due anni ormai. – rispose allegramente la figlia di Atena.
-E vi conoscete da molto? – chiese Piper ancora.
-L’ho incontrato per le strade di New York quando avevamo sette anni. Io ero scappata di casa, e lui… - la figlia di Atena si fermò per un istante, e non continuò. -Ad ogni modo, siamo arrivati qui al Campo insieme. –
-Tutti quanti dovrebbero arrivare qui così giovani? –
-No, e per quanto voi siate comunque più grandi rispetto ai ragazzi che normalmente vengono per la prima volta, tendenzialmente i semidei arrivano qui intorno ai tredici anni. – rispose Annabeth. -Come ti ho detto, è l’età in cui iniziamo ad attirare i mostri. Ovviamente ci sono delle eccezioni a questa regola, come te o me. –.
-E da dove vengono questi mostri di cui parlate? –
Annabeth si voltò a guardarla, e sembrava indecisa sul risponderle. Ma l’incertezza nei suoi occhi svanì in un attimo.
-Vengono dal Tartaro, l’abisso da cui nascono tutti i mostri. Le nostre armi possono uccidere il loro corpo, ma la loro essenza è immortale. Possono passare giorni o anni prima che si riformino, ma tornano sempre. –
Piper rabbrividì. Quella mattina, dei mostri avevano attaccato lei e i suoi amici col solo obbiettivo di ucciderli. Scoprire che quella sarebbe stata solo la prima di tante altre la terrorizzava. Sembrava una vita dannata quella di un semidio.
Poi Annabeth la prese a braccetto con un gran sorriso: -Vieni dai, dobbiamo trovarti un’arma!-
 
Più tempo Jason passava al Campo, più si sentiva in punto di morte.
Percy lo aveva guidato in un breve giro del campo, ma Jason non riusciva a pensare ad altro se non al senso di orrore che provava. Perché c’era una voce nella sua testa che gli urlava di andarsene e di fuggire dalla terra del nemico. E non ricordare assolutamente nulla della sua vita non faceva altro che invogliarlo a seguire quel suo unico, disperato istinto.
Devo andarmene. Non dovrei essere qui.
E poi c’era Percy, che dal canto suo sembrava il ragazzo più tranquillo del mondo.
-Quindi non ricordi proprio nulla? – gli chiese il più grande ad un certo punto.
Jason quasi sobbalzò, distolto improvvisamente dai suoi pensieri. Si voltò di scatto verso Percy, e si tese ancora di più: gli occhi verdi del ragazzo sembrarono inchiodarlo sul posto.
-No, davvero io… -
-Ehi, non preoccuparti. -lo fermò Percy, rivolgendogli l’ennesimo sorriso storto. -Non ti sto dando del bugiardo, sono solo incuriosito. –
Jason annuì, la gola serrata, e tentò di darsi un contegno.
-Ho come… come delle sensazioni. Dei vaghi frammenti che però non sembrano avere alcun significato. – cercò di spiegare.
L’altro ragazzo lo guardò attentamente, ma non c’era diffidenza nei suoi occhi.
-Deve essere spaventoso. – gli disse solamente.
Precisamente, pensò Jason.
Cercò di sorridere al corvino al suo fianco, perché gli era riconoscente per la sua gentilezza, ma riuscì solo a fingere una lieve smorfia. Avrebbe voluto mostrarsi più forte, più sicuro di sé, ma si ritrovava incapace di domare l’ansia che gli attanagliava le membra.
E quando arrivarono di fronte alla casa, capì di aver oltrepassato il limite.
-Siamo arrivati. – annunciò Percy. -Questa è la Casa Grande. –
L’edificio non sembrava minaccioso.
Era solo una villa di quattro piani dipinta di bianco e con gli infissi scuri. Sul portico che la circondava c’erano tre sedie a sdraio, un tavolino da gioco e una sedia a rotelle vuota.
Ma Jason percepiva molto di più della piacevole facciata della casa.
Le finestre sembravano fissarlo come occhi malevoli. L’ingresso spalancato pareva pronto a inghiottirlo. In cima all’abbaino più alto del tetto, un’aquila di bronzo roteò nel vento e puntò dritta nella sua direzione, come per ordinargli di farsi indietro.
Jason indietreggiò d’istinto, così in fretta che rischiò di inciampare.
E Percy lo notò.
Il ragazzo infatti lo guardò preoccupato: -Ti senti bene? –
-Io non dovrei essere qui.- mormorò Jason in risposta.
Il corvino gli posò delicatamente una mano sulla spalla, guardandolo negli occhi.
-Jason, respira a fondo, ok? Il tuo cuore sembra sul punto di esplodere. –
Il biondino provò a seguire il suo consiglio, ma non riuscì a frenare l’occhiata stranita che rivolse all’altro.
-Come fai a dirlo? –
Percy gli rispose senza esitazione, ma il suo sguardo si fece improvvisamente illeggibile. Jason quasi temette di aver fatto la domanda sbagliata.
-Da come respiri. Che succede? –
Quando Jason lo guardò negli occhi, non poté evitare di guardare la cicatrice candida che gli solcava il lato sinistro del viso.
Chissà come se l’è fatta.
-Non lo so, ma sento di dovermene andare da qui. Non posso… non devo restare. -
-Jason. – lo fermò Percy. -Sei uno di noi, e nessuno qui ti farà del male. Hai perso la memoria, immagino sia normale sentirsi disorientato. Cerca di rilassarti, ok? Dopodiché noi entreremo, aspetteremo che Chirone torni dalla lezione di scherma e troveremo una soluzione al problema. –
Jason era combattuto. Percy sembrava così sincero, e fino ad ora lui ed Annabeth li avevano aiutati, ma allo stesso tempo non riusciva ad ignorare quella sensazione di pericolo che continuava ad attanagliarli le membra.
Eppure, la parte più razionale di lui gli ricordava che senza ricordi, senza nemmeno sapere chi fosse, lui non aveva idea di dove andare. Se fosse restato, forse avrebbe avuto una risposta alle sue domande. E in quel momento, decise di volere quelle risposte più di ogni altra cosa.
Fece quindi un cenno affermativo col capo, e Percy gli sorrise, scostandosi di poco da lui.
Gli occhi di Jason caddero su un particolare che non aveva ancora notato.
Percy aveva una collana legata al collo. Era una luminosa catena di bronzo dalla quale pendeva un medaglione dello stesso metallo e grande quanto una moneta, che portava il disegno di un pegaso impennato con le ali spalancate con in sovraimpressione tre lettere: CHB. Ai lati della moneta, infilate nella catenella, Jason contò nove perline di marmo bianco levigato, ognuna decorata da un simbolo diverso.
-Che cos’è? – chiese Jason.
Percy abbassò lo sguardo sul suo collo, e sorrise.
-Tutti quelli che arrivano qui ricevono il medaglione, come simbolo di appartenenza al campo. Anche voi ne avrete uno, probabilmente entro domani. – spiegò Percy. -E poi, per ogni estate passata qui, riceviamo una perlina. –
Nove perline, pensò Jason, nove anni.
Percy sfoderò un sorriso a trentadue denti: -Dai vieni, entriamo. –
Jason seguì cautamente Percy verso la Casa Grande, salendo i pochi gradini che portavano al portico e poi attraverso la porta già aperta.
Quando entrarono, si ritrovò in un accogliente salotto. Oltre l’entrata c’erano alcune sedie disposte intorno ad un tavolo di legno ingombro di fogli e armi di vario genere. Dall’altra parte della stanza vide un divano e una poltrona color crema posti di fronte ad un camino spento. Jason aggrottò le sopracciglia alla vista del vecchio videogioco di Pac-Man messo all’angolo della stanza. Alla sua sinistra c’erano invece delle scale che portavano ai piani superiori e alla cantina, ed una porta aperta che conduceva alle altre stanze del piano terra.
La stanza era così calda, profumava di vaniglia e noce moscata.
-Non mi aspettavo che fosse così… accogliente. –
Percy al suo fianco lo guardò ghignando.
Quando Jason si voltò a sua volta verso di lui, il suo sguardo venne catturato dal muro alle spalle del corvino. Ci si avvicinò. La parete era completamente ricoperta di fotografie e foglietti, alcune più grandi di altre o sovrapposte agli angoli. C’erano persino alcuni disegni, degli scarabocchi colorati che non potevano che essere frutto della mano di un bambino.
Una foto più grande delle altre catturò la sua attenzione, e ritraeva una ventina di ragazzi disposti in una fila disordinata. Avevano tutti circa la sua età, e ognuno sfoggiava degli enormi sorrisi o delle espressioni buffe. Riconobbe Percy ed Annabeth, in mezzo al gruppo, che sorridevano tanto da strizzare gli occhi. Il ragazzo sfoggiava una macchia di panna azzurra sulla guancia e un cono di carta dello stesso colore sulla testa.
-Quando è stata scattata? – chiese Jason d’istinto.
Percy gli si avvicinò: -L’estate scorsa. Stavamo festeggiando la fine della guerra. –
-La guerra dei Titani. – mormorò Jason, e ancora una volta non seppe da dove venisse quell’informazione.
Ma stavolta, Percy non chiese nulla: -Sì, quella. –
Lo sguardo di Jason venne catturato da un’altra foto.
In primo piano c’era un ragazzo di forse quattordici anni, un bel biondino con gli occhi azzurrissimi, che aveva le braccia piegate verso l’alto a stringere le gambe dei due bambini che gli sedevano sulle spalle. Il ragazzo sembrava barcollare appena sotto al loro peso, e il suo sguardo e il suo sorriso erano rivolti su di loro. I suoi occhi esprimevano un affetto tale da essere percepibile attraverso la fotografia.
A sedergli sulla spalla destra c'era una bambina dai corti capelli biondi e ricci, che sfoggiava una buffa espressione con gli occhi incrociati e la lingua di fuori.
L’altro era un bambino dai capelli neri che teneva appoggiato sulla spalla un lungo bastone di legno, e che osservava ridendo la bambina al suo fianco.
Avevano tutti i tre le maglie arancioni del campo, e sembravano sinceramente felici.
-Siete tu ed Annabeth? – disse Jason.
Percy annuì al suo fianco.
-E il ragazzo chi è? – chiese con onesta curiosità.
Sentì il figlio di Poseidone al suo fianco irrigidirsi: -Si chiamava Luke. – rispose solo, e Jason sospettò che non avesse parlato al passato casualmente.
L’ultima foto che riuscì a guardare era una sequenza di fototessere a striscia. C’erano Percy ed Annabeth, ancora bambini, lei seduta in braccio allo stesso quattordicenne della foto precedente. Percy invece era seduto in braccio ad una ragazza più grande, dai capelli neri e mal tagliati e gli occhi azzurri, che sorrideva guardando nell’obbiettivo. Il suo viso fece sgranare gli occhi a Jason, mentre un lampo gli attraversò la memoria.
-Lei...-
-Percy? – sentì chiamare da una voce maschile all’ingresso.
Jason si voltò di scatto, e vide un uomo entrare nel salotto su una sedia a rotelle. Aveva il viso gentile, i capelli ricci e castani che gli sfioravano le spalle e la barba curata.
L’uomo sorrise ad entrambi.
Ma quando il suo sguardo si focalizzò su Jason, spalancò gli occhi quasi con paura.
-Tu… -
Jason si voltò con ansia verso Percy, ma il ragazzo sembrava confuso quanto lui.
-Chirone… - incominciò il corvino. -Lui è Jason. Ha qualche problema di memoria, e speravo che potesse aiutarlo. –
Chirone cercò di ricomporsi, ma sembrava ancora irrequieto.
-Grazie Percy. – lo ringraziò lui. -Rachel è tornata, ti dispiacerebbe raggiungerla? –
Jason vide Percy guardare l’uomo incredulo, come se non credesse che gli avesse davvero chiesto di andarsene. Un secondo dopo però aveva completamente cambiato espressione, il suo sguardo tornò placido e ridente.
-Va bene. – disse solo, prima di sorridere a Jason e dargli una pacca amichevole sulla spalla.
Chirone sorrise dolcemente al ragazzo, guardandolo uscire: -E ti ricordo che oggi della tua classe di scherma mi sono preso carico io, ma non succederà una seconda volta. –
Percy sporse leggermente il labbro inferiore con finta tristezza, un’espressione buffa alla quale Chirone sorrise paterno.
Quando Percy fu uscito, l’uomo si voltò verso Jason, e ogni traccia di divertimento scomparve dai suoi occhi.
-Seguimi ragazzo. – gli ordinò. -Prendiamoci una limonata. –
 
Percy si avviò senza fretta verso le cabine.
Si godette pigramente l’aria tiepida e la calda luce del tardo pomeriggio che gli scaldavano la pelle. Le urla e le risate degli altri ragazzi erano suoni piacevolmente chiassosi, ma Percy se ne beava con malinconia. Perché lui vedeva oltre la tranquillità di quella calda giornata di fine estate.
Lui riusciva a vedere la pace che negli anni aveva con così tanta fatica costruito iniziare a sgretolarsi. Aveva vissuto troppo a lungo sotto il peso della Grande Profezia per non sapere quando una catastrofe ha inizio. E Jason, Piper e Leo erano solo l’inizio.
Venne distolto dai suoi pensieri quando Rose lo raggiunse correndo. Percy rise nel vedere la sua minuta figura che arrancava nello sforzo di trascinare una grossa spada rossa.
-Percy! –
-Rose! – la salutò di rimando il ragazzo fermandosi e arruffandole affettuosamente i corti capelli castani. -Vedo che hai rubato la spada a Clarisse… di nuovo. –
La ragazzina ridacchiò, portandosi l’indice alle labbra tese in un sorriso furbesco:
-Non dirglielo! È stato troppo forte, gliela ho presa da sotto al naso. Adesso la nascondo, scommetto che non la troverà mai. –
-Rose, sei una degna figlia di Ermes, ma non dovresti fare questi scherzi a Clarisse. La farai solo arrabbiare. E quando Clarisse si arrabbia dobbiamo patire tutti quanti. –
-Ma è così divertente! E poi lei è sempre così cattiva con me. –
-Forse perché continui a rubarle qualunque cosa sia in suo possesso. –
La bambina si morse il labbro, guardandolo con i suoi grandi occhi azzurri.
Percy si accovacciò davanti a lei.
-Facciamo così. – le disse portandosi vicino al suo orecchio e ghignando. -Riportala nell’arena, ma senza farti vedere. Clarisse si sentirà una tale sciocca quando crederà di averla dimenticata lì. –
Rose in risposta ridacchiò contenta, e diede un bacio sulla guancia al ragazzo prima di correre via.
Ma non andò lontano.
La ragazzina quasi andò a sbattere addosso Annabeth, che le si parò davanti con sguardo scherzoso. Piper al fianco della ragazza guardò Rose con un sorriso curioso.
-Rose! Se continui a baciare Percy in quel modo potrei incominciare a ingelosirmi. – le disse ridendo la figlia di Atena. -Quella è per sbaglio la spada di Clarisse? –
Rose rise: -La sto riportando all’arena! –
Annabeth le diede un buffetto sulla guancia, e lasciò che la bambina corresse via. Poi la ragazza si alzò il viso su Percy, e il ragazzo sentì il cuore scioglierglisi nel petto.
-Ehi Testa d’Alghe, Jason ti è scappato? –
Percy si avvicinò alle due ragazze, sorridendo gentilmente a Piper.
-No, ma Chirone voleva parlagli. –
Annabeth lo guardò confusa.
Lui ricambiò il suo sguardo, ma non disse niente. Lesse negli occhi della ragazza la stessa confusione che aveva provato lui quando il centauro gli aveva chiesto di andarsene, ma decisero di comune accordo che ne avrebbero discusso dopo.
Percy si voltò verso Piper, e la vide mordersi nervosamente il labbro.
-Chi è Chirone? Jason rappresenta un problema per voi? – chiese la ragazza.
Fu Annabeth a rispondere: -Chirone è il nostro direttore e insegnante. E per ora credo che Jason e la sua amnesia rappresentino un problema solo per Jason stesso. Tranquilla, troveremo una soluzione. –
Piper annuì, ma non sembrava convinta. La ragazza fece vagare lo sguardo intorno a sé per pochi istanti, assorta, prima che il suo sguardo si focalizzasse su qualcosa alla sua destra.
-Di chi sono quelle capanne? – chiese.
Percy si voltò, e sospirò. Erano le case più grandi, ed erano di marmo bianco, con grandi colonne e le porte in bronzo.
-Di Zeus ed Era. Il re e la regina degli dei. – rispose lui.
Piper si avvicinò ad esse, e immediatamente Percy di voltò verso Annabeth, indeciso se fermare la ragazza. Ma Annabeth alzò le spalle, come a dire che non importava, ed entrambi seguirono la ragazza. Percy non si trattenne dal dare un bacio sulla tempia alla figlia di Atena nel mentre.
-Sono vuote? – chiese Piper quando li vide raggiungerla.
Annabeth annuì: - Come ti ho detto, Zeus ha una sola figlia, Thalia, ma lei è diventata una delle Cacciatrici di Artemide. Era invece è la dea del matrimonio e ha figli solo con Zeus. – disse l’ultima frase con fastidio malcelato.
-Non ti sta simpatica deduco. –
Percy ghignò: -Oh, ad Annabeth assolutamente no. –
-Quindi nessuno entra mai qui? – chiese ancora Piper, e Annabeth la guardò dubbiosa.
-No, ma… -
-Allora penso che sarò la prima. – ribatté Piper, e spalancò le porte. Percy ed Annabeth non fecero in tempo a fermarla, perché era già entrata.
 
-Piper cosa fai? – le chiese Percy, seguendola preoccupato.
Lei non sapeva spiegarselo. Aveva una sensazione, come se entrare in quella casa fosse importante. E il terribile sogno che aveva avuto, sembrava collegato a quel posto.
Ma non appena ci mise piede, qualcosa dentro di lei le disse di aver avuto una pessima idea.
L’unica cosa che la rassicurava, era sapere che Annabeth e Percy erano dietro di lei.
Si ritrovò in un’ampia sala, dove un cerchio di colonne bianche circondavano la statua di marmo della dea, alta forse tre metri, che ritraeva una donna regale e magnifica vestita di una lunga tunica. La donna aveva un falco sulla spalla, e nella mano destra stringeva uno scettro che culminava in un fiore di loto. Nonostante il suo sguardo fosse scolpito nella nuda pietra bianca, Piper si sentiva osservata con tutta la sua freddezza.
Non c’erano letti, né finestre, né mobili, solo un fuoco che ardeva ai piedi della statua.
Prima che potesse fare un altro passo, Percy si bloccò bruscamente dietro di lei, e Piper sobbalzò, voltandosi.
Lo vide sporgersi a destra col corpo, ad osservare qualcosa dietro alle colonne, lo sguardo vigile e i muscoli tesi.
Poi vide il suo sguardo rilassarsi nella sorpresa: -Rachel?! –
Piper gli si avvicinò, e vide una ragazza accovacciata a terra voltarsi verso di loro. Aveva uno scialle nero avvolto sulla testa, che però fu veloce a sfilarsi.
Era una ragazza carina, con dei capelli ricci rossi come fuoco, gli occhi verdi illuminati di felicità e il viso ricoperto di lentiggini.
Piper pensò che dovesse avere diciassette anni, e nonostante il luogo era vestita con una semplice camicetta bianca e dei jeans macchiati di colore per dipingere.
-Ehi ragazzi! – disse correndo incontro a Percy e abbracciandolo così forte da farlo ridere, per poi girarsi verso Annabeth e fare lo stesso con un gran sorriso sulle labbra.
Piper era troppo scombussolata per dire qualcosa.
I tre parlarono per poco, scambiandosi battutine e prese in giro, finché Annabeth non si voltò verso Piper.
-Oh, che maleducata, scusa Piper. Rachel, lei è Piper, una mezzosangue che abbiamo salvato oggi. Piper, lei è Rachel Elizabeth Dare, il nostro oracolo. –
-Un oracolo? Predici il futuro? – chiese Piper.
Rachel sorrise, sfoggiando una fila di denti bianchi e perfettamente dritti:
-Diciamo che il futuro mi assale ogni tanto. Lo spirito dell’oracolo vive dentro di me, e quando ha voglia salta fuori e proclama le sue profezie. –
Piper sorrise insicura: -Ah, carino. –
Rachel ridacchiò: -Non ti preoccupare, sono la più innocua qua dentro. –
-Sei una semidea? –
-No, temo proprio di no. – rispose alzando gli occhi scherzosa.
Piper voleva chiederle cosa ci facesse lì, ma Annabeth, per fortuna, la precedette.
-Scusa Rachel ma che ci facevi qui? –
La ragazza perse il sorriso: -Una sensazione. E da quando gli dei sembrano scomparsi do sempre importanza ai miei istinti. –
-Scomparsi? – Piper li guardò sorpresa.
Percy la guardò a sua volta, e lei si sentì in soggezione sotto al suo sguardo.
Il ragazzo le rispose: -Gli dei non sono mai particolarmente presenti. E se lo sono, non porta mai nulla di buono. Ma è da quasi un mese che non si fanno vivi, ed è strano. Il Signor D, il nostro direttore, è il dio del vino ed è scomparso, e non riusciamo nemmeno a salire sull’Olimpo. –
-L’Olimpo? –
-Si, sull’Empire State Building. È li che si trova l’ingresso al Monte Olimpo. – continuò Annabeth.
Piper sorrise: -Certo, come ho potuto non pensarci. –
Rachel annuì con entusiasmo: -Annabeth aveva l’incarico di riprogettare e ricostruire l’Olimpo dopo l’ultima guerra.  E stavano andando alla grande, anche perché Annabeth ha un vero talento, soprattutto per i buffet… - 
-Ma poi l’Olimpo è caduto nel silenzio. – la interruppe Annabeth. -Nessuno entra e nessuno esce da lì. Nessun dio risponde alle nostre preghiere. –
-E questo è un problema, giusto? –
Annabeth annuì: -È anormale. Non sappiamo cosa è successo, ma quando stranezze simili accadono non significa mai nulla di buono.–
Piper guardò quei ragazzi, che l’avevano accolta e le stavano dando la possibilità di vivere come era nata per fare. Ebbe il desiderio di raccontargli dei suoi sogni, di quello che il mostro che popolava i suoi incubi le aveva chiesto di fare.
Ma non ne ebbe mai la possibilità.
Rachel si irrigidì, un bagliore verde si accese nei suoi occhi inghiottendone le pupille e iridi. Fu tutto così veloce che nessuno riuscì a fermarla.
La ragazza si gettò su di lei, stringendole le spalle, ma Piper era troppo terrorizzata per muoversi.
-Liberami. – disse l’Oracolo, ma non era la voce di Rachel. Sembrava quella di un’anziana donna, che parlava da un luogo molto lontano. -Liberami Piper McLean, o la terra ci inghiottirà, devi farlo prima del solstizio. –
Piper cercò di liberarsi dell’Oracolo, ma non ci riuscì. Vide Annabeth e Percy che cercavano di dividerle senza successo.
I nostri nemici si stanno risvegliando. Quello infuocato è soltanto il primo. Piegati al suo volere, e il loro re sorgerà, condannandoci tutti. Liberami! – urlò ancora la donna.
Piper alzò gli occhi, e le sembrò che la statua gigante della dea Era nella stanza la stesse guardando con quello sguardo freddo e crudele.
Cadde in ginocchio, e non vide più nulla.
 
Leo adorava il Campo.
-Avrò anche io un’arma? – chiese non appena vide l’Arena.
Will lo guardò come se trovasse l’idea inquietante: -Considerando che sei un figlio di Efesto probabilmente potrai costruirtela tu stesso. –
-Ah, capito. Quindi, mi racconti un po’ di questo Efesto? –
-Beh, non c’è molto da dire. È il dio dei fabbri e del fuoco. –
Leo rabbrividì. Pensando a quello che era successo a sua madre, sembrava una battuta infelice.
-Uno dei ragazzi ha nominato una maledizione… - incominciò, guardando Will di sottecchi.
Il biondino sospirò in risposta:
-È una diceria, una crudele battuta dei figli di Ares. Da quando l’ultimo capogruppo della vostra casa è morto… la Casa di Efesto sta avendo degli incidenti. Nulla di grave, non preoccupartene troppo. -
-Morto? –
-Si, ma lascerò che siano i tuoi compagni a raccontarti la storia. –
-Chiaro. – sospirò Leo. -Maledizioni e morti… -
Quando arrivarono davanti alla casa di Efesto, Leo non poté non sorridere.
Come le altre case era costruita come un tempio greco, chiara nonostante le macchie di bruciatura scure e i pezzi di bronzo celeste sparpagliati davanti alla scalinata. La porta era circolare e di bronzo, tanto da assomigliare alla cassaforte di una banca.
L’interno era esattamente come Leo se lo sarebbe immaginato.
I letti erano ripiegati contro le pareti, e al centro della stanza c’era un braciere acceso. Una stanza adiacente era occupata da tavoli stracolmi di armi e strumenti da lavoro, con i muri tappezzati di quanti attrezzi Leo potesse immaginarsi.
C’erano delle scale che collegavano le stanze al secondo piano e al seminterrato, entrambe circolari e fatte di bronzo.
Gli ricordava l’officina di sua madre, ma scacciò il pensiero.
-Questo posto è fantastico. – disse con entusiasmo.
Gli rispose una voce alle sue spalle: -Ovviamente. –
Leo si voltò, e notò una tenda scostarsi da davanti uno dei letti in fondo alla stanza. C’era un ragazzo steso, che aveva il corpo completamente ingessato e la testa fasciata in modo che solo il viso graffiato e pieno di lividi fosse scoperto.
-Sono Jake Mason. Ti stringerei la mano, ma… - se presentò lui.
-Non ti disturbare. Io mi chiamo Leo. – gli rispose avvicinandoglisi.
Il ragazzo gli rispose con una smorfia simile ad un sorriso: -Beh, benvenuto nella Casa Nove.-
Will prese parola: -Avete un letto in più per Leo? –
Jake puntò lo sguardo sul diretto interessato. -Dipende se crede ai fantasmi. –
-Suppongo che dopo la giornata di oggi nulla possa sembrarmi più strano. –
Jake annuì soddisfatto: -Perfetto! Allora il letto di Beckendorf è tuo, ed è il migliore che abbiamo. –
Leo sentì Will irrigidirsi al suo fianco: -Jake sei sicuro? –
Jake sembrò non farci caso.
-Will, porta Leo alle fucine per favore. Gli altri sono là. – disse, poi rivolse un altro sorriso dolorante a Leo. -Ci vediamo dopo bello. – lo salutò, prima di richiudere la tendina.
Will sospirò: -Ciao Jake. Andiamo Leo, ti porto di tuoi compagni. –
Uscirono dalla casa a passo svelto, e Leo non poté frenare la sua curiosità.
-Beckendorf era il capogruppo che è morto vero? Per questo Jake mi ha chiesto se avevo paura dei fantasmi quando mi ha offerto il suo letto. –
L’altro annuì mesto.
-E come è successo? – continuò Leo. Forse era un tasto dolente per tutti, ma pensò che sapere di quel ragazzo gli fosse dovuto, dato che avrebbe dormito nel suo letto.
Will puntò lo sguardo davanti a sé. -Un’esplosione. Lui e Percy hanno distrutto una nave che trasportava un esercito di mostri, ma Beckendorf non è riuscito a scappare in tempo. –
Leo aveva notato che il nome di Percy sembrava comparire in molti dei discorsi che si facevano là.
-Quindi Beckendorf era, come Percy, uno molto popolare? –
-Era fantastico. – rispose Will. -È stato difficile per tutti quando è morto, soprattutto per Percy. Era uno dei suoi migliori amici. E Jake si è ritrovato capo di un’intera casa nel mezzo di una guerra, come me ed altri del resto. Poi, da dopo la guerra, la sfortuna sembra perseguitare i figli di Efesto, con macchine e automi che esplodono o impazziscono. I figli di Ares come sempre hanno colto la palla al balzo, e hanno iniziato a chiamarla la maledizione della casa Nove. E come vedi Jake è stato vittima di uno di questi incidenti… -
Leo annuì, ma non ebbe tempo di riflettere.
-Siamo arrivati Spock. – disse Will.
L’edificio sorgeva ai margini di un ruscello, con colonne di marmo bianco che costeggiavano le pareti annerite dal fumo, che usciva dai comignoli che sbucavano da un elaborato timpano greco, adornato di statue di dei e mostri.
Leo poteva sentire il rumore del fuoco che crepitava nei forni, dei martelli che picchiavano contro le incudini e il delle macchine accese.
Quando entrarono, tutti si fermarono a guardarli, molti asciugandosi il sudore dalla fronte.
-Ciao ragazzi. Avete un nuovo fratello. – iniziò Will. – Questo è Leo… -
Leo sorrise: -Valdez. –
In molti si avvicinarono a lui con dei caldi sorrisi e facendo un gran baccano, e tutti gli strinsero la mano nonostante fossero sporchi di fuliggine e olio. Ovviamente, a Leo non dispiacque. Notò però che quei ragazzi sembrassero stanchi e provati, tanto che molti di loro avevano delle ferite fasciate o dei gessi sulle braccia.
Will gli sorrise incoraggiante: -Ti lascio in mano a loro. Andrà tutto bene. – lo rassicurò prima di uscire.
Leo si voltò verso i suoi compagni, e solo una ragazza, Nyssa, era rimasta lì davanti a lui.
Era alta quanto lui, e portava dei pantaloncini neri e una canotta che lasciava scoperte le braccia muscolose. Aveva una bandana rossa che le teneva i capelli neri e corti lontano dal viso sporco ma sorridente.
-Wow. – esclamò Leo. -Spero sinceramente di non farti mai arrabbiare. –
Nyssa sorrise, prima di voltarsi e fargli cenno di seguirla. -Andiamo, ti faccio fare un giro. –
Lo guidò in un labirinto di stanze, forni e corridoi, dove molti ragazzi stavano costruendo armi e macchine di ogni tipo.
-Noi lavoriamo e costruiamo tutte le nostre armi qui. Le regole sono poche, cerca solo di non ammazzare nessuno di noi con quello che costruisci. – incominciò lei. -Devi sapere che i mostri si uccidono solo col bronzo celeste, una rarità che viene dall’Olimpo, ma qui ne abbiamo in quantità. –
-Bronzo celeste… - ripeté Leo, osservando un ragazzo che stava affilando un’ascia fatta di un bellissimo metallo che sembrava brillare nella penombra.
-Jake e Will mi hanno parlato della vostra maledizione… - iniziò Leo. Nyssa lo guardò con tristezza.
-Già. La realtà è che da dopo la guerra tutto quello che costruiamo diventa un problema. –
Arrivarono vicino a due ragazze, che stavano scrivendo appunti su una mappa del campo.
-Come questo. – spiegò, indicando il progetto di un drago meccanico di bronzo vicino alla mappa. Leo lo osservò con curiosità.
Dai disegni sembrava progettato per essere un drago sputafuoco a grandezza naturale, completamente costruito bronzo.
-Ci aiuta a proteggere il Campo, e Beckendorf era l’unico che poteva avvicinarglisi e controllarlo. Ma da quando è morto, il drago è scappato, e se ricompare è per fare a pezzi qualcosa. Tutti aspettano solo che lo distruggiamo e liberiamo il campo da questo pericolo.–
-Distruggerlo?! – Leo non si capacitava come si potesse voler distruggere un drago di bronzo.
-È diventato un problema, e senza Beckendorf nessuno può avvicinarglisi, dato che sputa fuoco verso chiunque si muova a meno di venti metri da lui. – spiegò con amarezza Nyssa, e Leo capì che nemmeno lei avrebbe ucciso una creazione tanto prodigiosa.
-Ma i figli di Efesto non sono resistenti al fuoco? Non sarebbe facile avvicinarglisi? – chiese, e Nyssa lo guardò con un barlume di divertimento.
-No, temo che nessun figlio di Efesto sia resistente al fuoco. – disse ridacchiando.
Poi si fece seria: -Insomma, sono esistiti molti anni fa dei nostri fratelli che lo fossero. Ma sono estremamente rari, e spesso hanno distrutto intere città e sono stati visti come sinonimo di disgrazia. –
E il cuore del ragazzo sembrò morirgli nel petto.
Ricordò l’incendio che uccise sua madre.
Ricordò sé stesso, un bambino di appena cinque anni, che guardava ammirato delle piccole fiamme danzare sul palmo della sua mano.
 
Prima ancora che la donna nascosta nel camino lo minacciasse di morte, Jason stava avendo una giornata a dir poco singolare.
Dopo cinque minuti dall’accaduto, Jason era ancora bloccato a fissare incredulo il fuoco che crepitava placido nel caminetto.
La donna incappucciata era apparsa pochi minuti prima dalle fiamme portando un mantello di capra sulle spalle e parlando con una voce debole ma irosa.
“La mia prigione si rafforza ogni ora che passa. Sono riuscita a portarti qui, ma ora mi resta poco tempo, e ancora meno potere. Questa potrebbe essere l’ultima volta che riesco a parlarti.”
“Trova la mia prigione. Liberami, o il loro re sorgerà dalla terra, e io sarò distrutta. E tu non recupererai mai la tua memoria.”
“Hai tempo fino al tramonto del solstizio, Jason. Quattro, brevi giorni. Non deludermi.”
E poi era scomparsa, lasciandolo sbigottito e confuso.
Chirone gli aveva detto che lui non avrebbe dovuto essere lì al Campo. Che lui apparteneva ad un altro luogo.
Ma non gli aveva rivelato nulla di più, nonostante avesse detto di conoscere il significato del tatuaggio che aveva sull’avambraccio.
-Jason. – lo richiamò Chirone, che era rimasto in silenzio fino a quel momento. -Tu sai chi era quella donna? –
Jason annuì: -Giunone. –
-Esatto. – confermò l’uomo. -Non conosco il motivo, ma da quello che ha detto lei ti ha mandato qui perché tu partissi per salvarla, e… -
In quell’istante, la porta si spalancò.
Percy entrò con Piper tra le braccia, la testa della ragazza che pendeva di lato. Dietro di lui c’era Annabeth a sostenere una ragazza dai capelli rossi che piangeva violentemente.
-Percy! – lo chiamò Chirone. -Che è successo?! -
Jason si alzò immediatamente, lo sguardo illuminato dall’orrore, e lasciò che Percy si avvicinasse e adagiasse Piper sul divano. Annabeth aiutò Rachel ad accasciarsi vicino al mobile, prima di correre nell’altra stanza.
Percy sembrava nervoso, e Jason ebbe quasi l’istinto di allontanarsi da lui, ma la vista di Piper così inerme lo fece rimanere lì accanto a lei.
-Qualcosa si è impossessato di Rachel, e qualunque cosa fosse si è messa a gridare contro Piper. Credo che sia sotto shock. – spiegò brevemente Percy, lasciando che Chirone poggiasse una mano sulla fronte della ragazza.
Il centauro annuì: -È in uno stato mentale molto fragile. Ma con un po’ di riposo starà bene.-
Jason guardò il viso pallido di Piper, e nemmeno le rassicurazioni dell’uomo lo fecero sentire meglio. L’aveva lasciata sola per poche ore, e già sembrava sul punto di morire.
Annabeth arrivò con una scatola piena di fasce e ampolle, porgendola a Chirone.
-Chirone, è stata una donna a impossessarsi di Piper. – disse con ansia, stringendosi al fianco di Percy. -Ha detto che doveva essere liberata da una prigione e che… -
-Doveva accadere entro il solstizio di inverno. – mormorò Jason.
Percy ed Annabeth lo guardarono sorpresi: -E tu come lo sai? – chiesero all’unisono.
Jason guardò il fuoco nel camino.
-Una donna è comparsa dalle fiamme, e ha detto la stessa frase a me. – si voltò verso di loro. -Credo fosse Giunone. –
-Chi?! – chiese Percy, ricevendo uno sguardo severo dalla sua ragazza.
-Sta parlando di Era. – chiarì Annabeth. -E potrebbe avere ragione. Era la sua voce quella con cui ha parlato Rachel, ed è successo nel suo tempio. –
Chirone non disse una parola.
-Se quello che dite è vero. – intervenne Percy. -Vuol dire che Era è imprigionata da qualche parte. E sapendo che è la regina degli dei… -
-Significa che qualcuno sta cercando di attaccare gli Olimpi. – concluse Annabeth.
Jason li guardò, stupito dalla loro intesa.
Annabeth alzò lo sguardo su di lui: - E dato che Era si è mostrata direttamente a te, significa anche che tu non sei un semidio qualunque. Sei arrivato qui per una ragione, ed essere senza memoria non è un caso. -
-Però perché usare le poche energie che le rimanevano per mandarmi qui, e per cancellarmi la memoria? – chiese nervosamente Jason.
-Avrà deciso che sei importante per la sua salvezza. Tu, insieme a Piper e Leo, probabilmente. – rispose Annabeth.
-Ma perché non ha chiamato gli altri dei per farsi aiutare? – chiese ancora il biondo.
Rachel parlò per la prima volta da quando era entrata. Sembrava ancora scossa, i suoi occhi erano gonfi e spalancati, rendendo la sua espressione quasi folle.  
-Gli dei hanno bisogno dei semidei per attuare il proprio volere sulla Terra. Il loro destino è sempre intrecciato al vostro. –
-Sì. – concordò Percy. -Ma non penso che si sarebbe disturbata a cancellare la memoria di un semidio e farlo arrivare fino a Piper e Leo perché noi lo trovassimo, solo per farsi salvare. C’è qualcosa di più… –
Il figlio di Poseidone si voltò verso Chirone, che stava facendo gocciolare il liquido di un’ampolla tra le labbra di Piper.
-E credo che lei Chirone ne sappia qualcosa. – concluse il ragazzo.
Chirone guardò Percy con quella che Jason pensò fosse tristezza, rammarico, come se mentire al ragazzo lo ferisse.
-Percy, perdonami figliolo, ma ho fatto un giuramento sullo Stige. –
Annabeth lo guardò stupita: -Non ci aveva mai… non ci aveva mai nascosto nulla, nemmeno sull’ultima Grande Profezia… -
-Vi lascio soli. – la interruppe Chirone. -Devo riflettere, prima di cena. Rachel, veglia su Piper finché non si sveglia, non dovrebbe succedere tra molto. –
L’uomo si voltò verso Annabeth e Percy: -Voi dovreste parlare con Jason. Mi dispiace ragazzi, ma è tutto quello che posso dirvi. – disse, prima di voltarsi e uscire dalla casa.
Percy sospirò, prima di voltarsi verso Jason.
-Facciamo un giro. Rachel, ti dispiace… - disse il figlio di Poseidone.
-No Percy, tranquillo. A dopo ragazzi. –
Jason seguì Percy ed Annabeth, uscendo dalla Casa Grande con la testa che gli lanciava fitte lancinanti.
Fuori il sole ormai stava calando, e il vento si era fatto più fresco.
Camminarono verso il padiglione a cielo aperto della mensa.
-Te la senti di dirci cosa ti ha detto Chirone quando eravate soli? – gli chiese Annabeth gentilmente.
Jason sospirò. Interpretare le parole del centauro sembrava impossibile persino a lui.
-Che io non appartengo a questo posto, e che la mia presenza qui è qualcosa che dovrebbe essere proibita, ma non ha aggiunto molto altro.–
Annabeth lo guardò incerta.
-Tu sai di cosa parla? –
Jason non poté ignorare l’insinuazione della ragazza.
-Non mento quando dico di aver perso la memoria. – sibilò, e si stupì del lieve ringhio che gli nacque nel retro della gola.
Annabeth lo guardò negli occhi, con uno sguardo impenetrabile come ferro, per poi annuire. -Perdonami Jason. Posso solo immaginare quanto sia difficile per te. –
Camminarono per poco in silenzio, finché Annabeth non prese parola.
-Che tu sia un semidio non è in discussione. – incominciò la ragazza. -Ma tu non sei come tutti gli altri ragazzi che arrivano qui. –
Annabeth rimase in silenzio per un secondo, lo sguardo concentrato, prima di voltarsi a guardare il ragazzo dai capelli biondi.
-Era ha detto di essere stata lei a mandarti qui, e di aver usato le ultime energie che possedeva per cancellarti la memoria. Significa che temeva che il tuo passato interferisse col tuo arrivo qui. –
Jason temette di essere ad un passo dall'avere un esaurimento nervoso.
-Quindi perché scegliere me? Perché mandare un ragazzo che non dovrebbe trovarsi qui? –
Percy ridacchiò al suo fianco, parlando per la prima volta da quando erano usciti dalla Casa Grande:
-Perché spesso quello che gli dei fanno sono stronzate. - rispose, e Jason vide Annabeth scoccargli un’occhiataccia nonostante stesse soffocando un sorriso.
Jason sorrise a sua volta. Percy iniziava a piacergli davvero.
-In ogni caso Jason, posso solo consigliarti di prepararti al peggio. – disse Annabeth sorridendogli.
-Non vedo l’ora. – disse lui con una risatina, e calò un piacevole silenzio tra loro.
Jason non riusciva però a trattenere il senso di smarrimento. Si era svegliato in un luogo che non conosceva, senza alcun ricordo di sé stesso, guidato solo dall’istinto e dagli eventi.
Eppure, ora che sapeva che la regina degli dei aveva bisogno del suo aiuto, sentiva di avere uno scopo. Forse non poteva contare sul suo passato per andare avanti, ma ora aveva un obbiettivo che gli avrebbe dato delle risposte, e avrebbe fatto qualunque cosa per averle.
-Verrò riconosciuto dal mio genitore divino stasera? – chiese.
Ormai erano arrivati al padiglione, dove già molti ragazzi erano riuniti intorno ai tavoli nella rumorosa e gioiosa atmosfera della mensa.
Annabeth diede un bacio sulle labbra a Percy, e dopo aver rivolto un sorriso incoraggiante a Jason andò a sedersi con i suoi fratelli.
-Speriamo di sì. –rispose finalmente Percy, gli occhi illuminati da un'astuta malizia. -Anche se non dovrebbe essere necessario. –
Jason lo guardò incredulo: -A cosa… -
Il ghigno sul viso di Percy si allargò:
-So riconoscere un figlio di Zeus quando ne vedo uno. –
 
Piper stava camminando con Rachel verso il falò.
Aveva dormito per tutta la durata della cena, e quando si era svegliata Rachel l’aveva fatta alzare per andare dagli altri.
Quando arrivò a quel tanto famoso falò, si trovò sotto ai gradoni in pietra chiara di un anfiteatro scolpito nel fianco di una collina. Davanti a lei, un grande braciere di pietra accudiva un grande fuoco.
Seduti sugli spalti c’erano invece un centinaio di ragazzi, e Piper riconobbe subito Annabeth e Jason seduti in prima fila, mentre Leo era seduto poco lontano insieme a quelli che dovevano essere gli altri figli di Efesto. Percy invece era seduto sui gradini appena dietro ad Annabeth e Jason, e rideva sguaiatamente insieme al satiro seduto vicino a lui.
C’erano dei ragazzi che ballavano malamente intorno al fuoco insieme ad altri satiri e semidei che saltellavano con loro suonando i flauti. Quasi tutti i presenti cantavano con loro, tra risate maltenute e passi di danza bizzarri. Era un’atmosfera leggera, di festa, e Piper non poté impedirsi di sorridere.
Rachel la invitò a sedersi con lei in alcuni dei posti liberi in prima fila.
Poco dopo, Piper vide con stupore un centauro correre verso di loro.
La parte inferiore equina era bianca e dalle forti zampe, mentre la parte superiore umana era quella di un uomo dalla barba curata e con dei ricci capelli castani, lunghi abbastanza da sfiorargli le spalle.
Il centauro trottò verso il braciere, mentre tutti i ragazzi tornavano a sedersi.
-Buonasera ragazzi. – tuonò, sollevando una lancia carica di marshmallow dal fuoco.
-Vorrei dare uno speciale benvenuto ai nostri nuovi arrivati. Io sono Chirone, direttore del campo, e mi solleva che siate arrivati a noi con tutte le membra al loro posto. Prima di goderci la serata vorrei… -
-Annunciare una partita a Caccia alla Bandiera? – gridò qualcuno.
-Pazienza ragazzi. Finché non avremo il drago sotto controllo, non ci saranno partite di Caccia alla Bandiera. – rispose il centauro. -Casa Nove, qualche novità? –
Piper si voltò verso il gruppo di Leo, che le sorrise facendo il gesto di mandarle un bacio.
Una ragazza da vicino a lui si alzò: -No ragazzi, mi dispiace, ci stiamo ancora lavorando. –
Dei mormorii infelici provennero dal resto dei semidei.
Chirone pestò lo zoccolo a terra, riportando l’attenzione dei ragazzi su di lui.
-Purtroppo, abbiamo questioni più urgenti di cui discutere. – incominciò Chirone.
Osservò brevemente i ragazzi seduti sugli spalti, e il suo sguardo indugiò su Rachel.
-Come sapete, nelle ultime settimane gli dei sono rimasti in silenzio. Oggi, Era ci ha comunicato che è stata rapita. –
La valle cadde nel silenzio più assoluto, pochi bisbigli risuonarono nell’aria. Il fuoco si tinse di blu, per qualche ragione.
Piper incrociò lo sguardo con Jason, che cercò di sorriderle.
Chirone si voltò verso Rachel, la quale non esitò ad alzarsi da di fianco a Piper e a raggiungere il centauro al centro. Tutti i semidei intorno a Piper sembrarono tendersi come corde di violino.
-Ho motivo di credere, che la Grande Profezia si stia avverando – disse solamente Rachel.
Scoppiò la baraonda.
Molti semidei si alzarono in piedi sconvolti, urlando improperi in greco antico e parlando con rabbia gli uni agli altri.
Gli unici che rimasero in silenzio furono Percy ed Annabeth. Piper li vide scambiarsi uno sguardo indecifrabile, prima che Percy si alzasse in piedi e si portasse accanto a Rachel e Chirone.
-Ragazzi! – disse, e non servì nemmeno che urlasse. Tutti si voltarono a guardarlo, abbassando la voce. -Ascoltiamo quello Rachel ha da dirci. –
Piper rimase sorpresa dalla facilità con cui il ragazzo aveva ristabilito la calma nell’anfiteatro.
Rachel infatti gli sorrise con gratitudine, prima di riprendere parola.
-Questa Grande Profezia è stata la mia prima predizione, lo scorso agosto, e recita così:
 
Sette mezzosangue alla chiamata risponderanno.
Fuoco o tempesta il mondo cader faranno…
 
Piper si voltò di scatto alla sua destra, quando vide Jason alzarsi improvvisamente in piedi con gli occhi spalancati.
— Ut cum spiritu postrema sacramentum dejuremus — recitò lui. — Et hostes ornamenta addent ad ianuam necem. –
Rachel lo osservò incredula. Tutti i ragazzi erano rimasti in silenzio, straniti.
-Hai appena concluso la profezia. – mormorò la ragazza dai capelli rossi. -Con l’ultimo fiato un giuramento si dovrà mantenere, e alle Porte della Morte, i nemici armati si dovran temere. Come conosci…? –
-Conosco questi versi… - il ragazzo si portò le mani alle tempie. -Io… non ricordo. -
-In latino! – cinguettò Drew, una figlia di Afrodite. -Bello e intelligente. –
Piper alzò gli occhi al cielo, mentre Jason tornò lentamente a sedersi con imbarazzo.
-Drew. – la riprese Annabeth, lo sguardo severo che bastò a far zittire la figlia di Afrodite.
Rachel sembrò riprendersi dalla sorpresa.
-Non sappiamo ancora nulla su cosa significhino i versi, ma sappiamo che Era va liberata. Abbiamo intenzione di condurre un’impresa per salvare la regina degli Dei. E questo necessita una profezia a parte. – disse ancora l’oracolo, prima di svenire.
Piper sobbalzò, ma nessuno sembrò sorpreso quanto lei.
Due ragazzi corsero a sorreggerla un attimo prima che cadesse, quasi se lo fossero aspettato, e la misero a sedere appoggiata al muretto di pietra che circondava il braciere.
Poi la ragazza spalancò gli occhi, che si illuminarono di un’abbagliante luce verde, le pupille scomparse. La sua bocca si aprì, e un vapore dello stesso colore dei suoi occhi le uscì dalla gola, prima che incominciasse a parlare con una voce che fece inorridire Piper.
 
Attento alla terra, figlio della saetta.
I sette verranno alla luce con i giganti e la loro vendetta.
Fucina e colomba la gabbia spezzeranno,
e con la furia di Era la morte scateneranno.
 
Pronunciata l’ultima parola, la ragazza si accasciò a terra, ma i due ragazzi furono di nuovo pronti a sostenerla. La portano in cima agli spalti, lasciando che riposasse.
Piper era incredula, pietrificata.
Ma prima che potesse parlare, Chirone si fece avanti pestando pesantemente gli zoccoli a terra.
-La profezia parla chiaro. – disse, e si voltò verso Jason. – Jason Grace, figlio di Zeus, tu condurrai l’impresa per salvare la regina degli dei. –
Jason spalancò gli occhi, e tra i mormorii di sorpresa il biondino lanciò uno sguardo a Percy. Piper non comprese il perché, ma il ragazzo, che era rimasto al fianco di Chirone, rivolse a Jason un piccolo sorriso di intesa.
-Jason, mostra la tua arma, proverà che sei il figlio del re degli dei. – ordinò il centauro.
Jason tirò fuori la moneta dalla tasca, alzandosi.
La lanciò in alto facendola roteare in aria, e quando atterrò nel suo palmo questa si allungò fino a diventare una lancia d’orata percorsa da fasci d’energia che si arrampicavano lungo l’asta.
Tutti trattennero il fiato, e Piper si alzò in piedi involontariamente.
Jason, il ragazzo che tanto le piaceva, ovviamente era un figlio di Zeus.
Dopo qualche secondo il ragazzo ritrasse l’arma, che tornò ad essere una moneta d’oro.
Le voci dei semidei intorno a lui si fecero più alte, mille domande si sollevavano nell’aria.
Annabeth si alzò, avvicinandosi a Percy al centro dell’anfiteatro.
-Calma ragazzi! – urlò la ragazza. -È deciso. Jason, il figlio della saetta, guiderà la spedizione. E secondo la profezia, un figlio di Efesto e un figlio di Afrodite andranno con lui. –
Leo si alzò in piedi così velocemente che Piper pensò che potesse cadere.
-Andrò io! – urlò Leo. -Sono un figlio di Efesto! – il suo sguardo speranzoso andò a Jason, che in risposta gli sorrise.
-Certo. Leo verrà con me in quanto mio amico e figlio di Efesto. –
Percy annuì, scambiandosi un breve cenno con Chirone.
-Perfetto. Ora, dei figli di Afrodite, chi… - disse il ragazzo, ma un bagliore proveniente dalla sua destra lo fermò.
Piper non si rese conto di essere lei a brillare finché il ragazzo non si voltò di scatto verso di lei. La ragazza si sentì come bruciare, e scattò in piedi d’istinto. Vide una luce rossa come il fuoco provenire dal suo corpo, e le prese il panico.
Ma quando pochi attimi dopo scomparve, le mancò il fiato.
I suoi vestiti larghi e mal ridotti si erano trasformati in uno stupendo abito bianco e lungo. Al suo fianco, pendeva il pugnale che quel giorno Annabeth le aveva lasciato scegliere, lucido e scintillante alla luce del fuoco. Se lo sfilò dal fodero, e quando vide il suo riflesso sulla lama non poté impedirsi di pensare di essere bellissima.
-Cos’è successo? – mormorò Piper, guardandosi nervosamente l’abito.
-Non può essere… - sentì Drew mormorare.
Annabeth sorrise, e le si avvicinò, prima di rivolgerle un breve inchino. Insieme a lei, tutti gli altri si inchinarono.
-Ave, Piper McLean. – disse Annabeth. -Figlia di Afrodite. –
 
Quella notte, Percy ebbe un incubo.
Era qualcosa che capitava più spesso di quanto gli piacesse ammettere, ma stavolta fu diverso.
Sognò di camminare tra delle strade in fiamme. Il cielo sopra di lui era oscurato dal fumo,  l’aria diventata irrespirabile tanto era carica di cenere e polvere.
Aveva la spada legata alla schiena, ma non portava né lo scudo né l’armatura.
E quando puntò lo sguardo di fronte a sé, il suo cuore perse un battito.
Si trovava nella valle del Campo Mezzosangue, in mezzo alle fiamme e a centinaia di cadaveri mutilati e sfigurati dal fuoco. C’era un’enorme faglia che spaccava la terra di fronte a lui, ma la cosa ancora peggiore fu sentire le grida perforanti che provenivano dalle sue spalle. Quando Percy si voltò, vide il fuoco che bruciava e devastava le capanne del Campo, e vide le sagome scure dei bambini che cadevano tra le lingue di fuoco urlando.
Il rumore della morte gli fischiava nelle orecchie, l’odore di sangue e carne bruciata gli fece venire il voltastomaco.
Percy Jackson, la guerra è iniziata.
Gli mormorò improvvisamente una voce lontana, stremata e indebolita come quella di una vecchia donna. Percy mantenne gli occhi fissi sulla distruzione che lo circondava, incatenati alla vista della sua casa annientata, della sua famiglia sterminata.
Una singola lacrima gli rigò la guancia.
Anche la tua missione incomincia stanotte. Devi andartene. Vai ad Ovest. Lupa ti troverà, e ti condurrà dai romani.
Il campo in fiamme scomparve.
Vide la baia di San Francisco, il mare brillava sotto alla calda luce del sole.
Vide un grande lupo grigio dagli occhi gialli, che ringhiava possente mostrando le zanne d’oro.
Devono credere che tu sia scomparso. Non dire a nessuno del tuo viaggio, vattene senza lasciare traccia. Te lo ordino io, Era, regina dell’Olimpo.
Vide una città bianca, con edifici maestosi e ragazzi che camminavano tra le strade reggendo armi dorate.
Vide un grande stendardo viola, con sopra le lettere SPQR ricamate in oro sotto ad un’aquila.
 
Si svegliò madido di sudore, gli occhi spalancati nel buio.
Per un secondo, non riuscì a respirare. Sentiva solo il mare infrangersi rabbioso sulla riva fuori dalla capanna.
Si tirò improvvisamente a sedere, colto dal panico.
In quel momento la luce a fianco del letto si accese, e Percy sobbalzò.
Annabeth accanto a lui lo guardava preoccupata, mentre si alzava tenendo la coperta contro il petto a coprirle la pelle nuda.
-Percy, stai bene? – mormorò lei, accarezzandogli il braccio.
Il figlio di Poseidone tentò di parlare, ma tutto ciò che riuscì a fare fu rimanere a guardarla in silenzio.
Era gli aveva appena ordinato di partire per un’impresa. Da solo.
Devono credere che tu sia scomparso. Non dire a nessuno del tuo viaggio, vattene senza lasciare traccia.
Avrebbe dovuto dire ad Annabeth di non preoccuparsi, di tornare a dormire. Avrebbe dovuto darle un bacio per poi andarsene senza che lei o nessun’altro lo sapesse.
Si immaginò la ragazza che si svegliava il giorno dopo, senza che lui fosse al suo fianco. La immaginò cercarlo ovunque per il campo, invano. La vide inginocchiata a terra, che piangeva.
Non poteva.
Le aveva fatto una promessa.
-Ho fatto un sogno. – mormorò alla fine.
-È tutto finito Percy… - cercò di confortarlo la ragazza.
Percy scosse la testa: -No, no. Era mi ha affidato una missione. –
Annabeth ammutolì, e si tese. Percy le prese delicatamente la mano.
-Ha detto che devo partire. Stanotte. Devo andare ad Ovest, e trovare una lupa con le zanne d’oro. - 
-Perché? Percy che… -
-Ha detto che mi avrebbe condotto ai Romani. – disse. -Ho visto una città Annabeth, c’erano ragazzi armati di spade e lance dorate, e reggevano uno stendardo viola con le lettere SPQR ricamate sopra. –
Annabeth abbassò lo sguardo, le sopracciglia corrugate dalla concentrazione.
-Come il tatuaggio di Jason. Quelle sono le lettere di Roma - concluse lei.  Gli occhi della ragazza si illuminarono: -Jason deve venire da lì. Ma perché… -
-Non lo so. So solo che Era vuole che io parta, e che vada là. –
Annabeth annuì. -Vengo con te. –
Percy sorrise amaramente.
-No Annabeth. Questa volta devo andare da solo. –
La ragazza lo guardò, e Percy vide qualcosa nel suo sguardo spezzarsi.
-Era mi ha detto di andarmene senza lasciare traccia. Dovevate pensare che fossi scomparso. – spiegò. -Annabeth, nessuno deve sapere del mio viaggio finché lei non sarà libera. –
La ragazza lo guardò con le lacrime agli occhi.
-Non potevo andarmene senza che tu sapessi che non ti avevo abbandonato. Ti prego amore, devi comportarti come se ti fossi svegliata senza trovarmi, devi fargli credere che io sia scomparso. –
La ragazza lo abbracciò di slancio, la testa nascosta nella sua spalla. Percy la strinse a sé con tutta la sua disperazione, con tutto il suo amore.
-Pensavo fosse finita… - mormorò la ragazza, e Percy chiuse gli occhi.
-Lo so. Andrà tutto bene Annie. –
Un’ora dopo, Percy era sulla spiaggia. Aveva uno zaino in spalla, e la spada nascosta nella tasca. Si sentiva così stanco, le sue palpebre gli sembravano pesanti come piombo.
Annabeth era davanti a lui, con solo una delle sue magliette addosso.
Percy pensò che fosse bellissima, nonostante avesse gli occhi pieni da lacrime. Ma più la guardava, più trovava la forza di partire
-Quando tornerai? – chiese la ragazza.
Percy abbassò lo sguardo, e le prese le mani tra le sue.
-Non posso saperlo. – la guardò negli occhi. -Io tornerò da te Annabeth, non importa quanto costerà. Manterrò la nostra promessa. -
Annabeth gli gettò le braccia al collo, e Percy pregò di poter rimanere lì, stretto a lei per il resto dei suoi giorni.
-Ti amo Sapientona. –
-Anche io Percy. So che tornerai. –


La mattina dopo, nessuno vide Annabeth o Percy a colazione.
Grover disse che sarebbe andato a tirarli fuori dalla Cabina di Poseidone. Trotterellò allegramente per le strade del Campo con un sorriso malizioso dipinto sul viso.
Ma quando arrivò davanti alla Casa Tre e aprì la porta, il suo sorriso morì mentre i suoi occhi si spalancavano.
Sull’unico letto nella stanza c’era Annabeth, seduta tra le lenzuola sfatte, che piangeva disperatamente fissando il vuoto. Le lacrime le scorrevano impietose e inarrestabili sulle guance, i suoi occhi erano rossi e gonfi come se piangesse da ore e cerchiati da profonde occhiaie violacee. Aveva le ginocchia sporche di terra, le scarpe ai piedi.
La ragazza voltò si voltò debolmente verso di lui, guardandolo con straziante disperazione.
-Percy...non c’è...- mormorò lei singhiozzando. Il satiro sentì la terra mancargli sotto agli zoccoli.
-Grover, non so dov'è... –
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: platinum_rail