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Autore: C_philomat    13/04/2020    1 recensioni
Non era mai stata tra il vivere e il morire la scelta cruciale. Probabilmente, nel profondo, lo avevo sempre saputo. Ora che, dopo tutto quel tempo, iniziavo a dimenticare cosa si provasse a non essere gli unici spettatori della propria esistenza, tutto iniziava quasi a perdere di significato. Avrei ricordato per cosa stavo sopravvivendo? Ma soprattutto: per chi?
Genere: Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO

 
Mi strinsi più forte nel mio cappotto, accovacciandomi maggiormente, nella speranza di sparire venendo inghiottita dalla stessa terra. Il mio comportamento aveva senso solo in parte: non potevano vedermi, ma potevano ancora sentirmi. Benché facesse ormai molto caldo per indossare un soprabito non mi muovevo mai senza: aveva la stessa funzione che una volta avevano le lenzuola del mio letto in piena estate. Proteggermi, aiutarmi ad addormentarmi quando avevo troppi pensieri, coprirmi le spalle da tutto ciò che ancora non era accaduto.
Tra le foglie riuscivo a scorgere la testa dell’uomo: aveva un cappello grigio, un po’ informe e probabilmente infeltrito, lunghi capelli biondicci, per nulla folti, che, schiacciati dal cappello, gli arrivavano alle spalle e la pelle candida. Stava fumando qualcosa e se in un’altra epoca avrei potuto ipotizzare tranquillamente fosse soltanto una sigaretta, ora sapevo perfettamente cosa si stesse portando alla bocca, al punto che ne sentivo l’odore acre e rivoltante come se mi stesse alitando in faccia. Quasi sicuramente era la mia immaginazione a farmi sentire l’olezzo, non ero così vicina, ma sentii comunque lo stomaco contrarsi leggermente. Il biondo non era delle mie parti, se così si poteva dire, e sembrava piuttosto rilassato. Era solo ma sapevo che qualcun altro, un compagno, una compagna o più d’uno non erano lontani. Non si muovevano mai da soli, come se avessero davvero bisogno di essere in branco per avere la meglio. Non ero mai stata granchè coraggiosa e perciò non avevo intenzioni di muovermi finchè non si fosse allontanato: ma in base a cosa avrei deciso che, se avessi messo un piede in fallo, sarebbe stato abbastanza lontano da non sentirmi? Nessuno mi aveva mai tacciata di codardia, semmai di pignoleria ed elevata, troppo elevata, prudenza, eppure non riuscivo a fare altro che tremare leggermente e sudare freddo: se fossi morta in quell’istante non sarebbe stata una tragedia, l’idea di morire l’avevo metabolizzata da un pezzo; piuttosto ciò che non potevo tollerare era il pensiero che il biondo o un suo simile si accorgessero della mia presenza e si mettessero sulle mie tracce. Non lo tolleravo perché sapevo che non ero mai stata brava a fuggire, ad essere braccata e men che meno riuscivo a sopportare l’idea di essere raggiunta con tutte le conseguenze che ne sarebbero derivate.
Chiusi gli occhi, nella speranza che il buio mi aiutasse a tranquillizzarmi e sperai di addormentarmi per un tempo necessario a rimanere sola. Ovviamente, come la vita mi aveva insegnato da un pezzo, la speranza è una cattiva consigliera.
"Dovremmo muoverci verso l’alto". Le mie palpebre scattarono immediatamente e il mio battito cardiaco accelerò: si muovevano in branco, appunto. Sorprendentemente la voce che aveva parlato era infantile, avrebbe potuto essere quella di un bambino o di una bambina di quei vecchi programmi televisivi di intrattenimento, ma aveva un tono decisamente autoritario. Vidi il biondo sputare in terra ma non riuscivo a intravedere l’altra figura. Si spostò verso destra e sparì dalla mia visuale. L’informazione che l’interlocutore del biondo mi aveva dato non mi era utile, purtroppo, a capire se potessi muovermi o meno. Decisi di aspettare qualche minuto prima di fare qualsiasi cosa: iniziavo ad avere male alle ginocchia stando in quella posizione e avrei voluto alzarmi in piedi a prescindere, ma qual era stata l’ultima volta che avevo fatto anche la benché minima azione per pura volontà?
Dopo circa una decina di minuti, o almeno così mi sembrava- di certo non indossavo un orologio- e dopo aver attentamente teso le orecchie per cogliere il minimo suono, qualora ci fosse stato, flessi lentamente le ginocchia. Pensai stupidamente, per un attimo, di muovermi come i gamberi: era come se una parte della mia coscienza volesse rimanere accovacciata per sempre, come risucchiata in una fotografia a colori scattata a tradimento. Se solo fossi stata sicura al cento per cento che farlo mi avesse portata, semplicemente, a morire di fame dopo qualche giorno, lo avrei fatto. Ma la verità era che non c’era nessun posto lì fuori che potessi considerare sicuro, neanche per morire.
   
 
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