Capitolo 9
Vali
“Consegnami
la principessa. Questo
vostro figlio sarà la tua condanna, dio degli inganni. Ecco quello che
volevi. Nel suo
grembo c’è il lupo che divorerà tutti
voi.”
“E io
scatenerò il Ragnarok: così dice la Voluspa.
È solo una profezia,” ribatté Loki.
Si liberò con un gesto secco e infastidito di Theoric, che
ancora osava trattenerlo
per la manica e sfidò il vaticinio del mostro morente con la
protervia
ereditata suo malgrado da Odino, ma aveva visto. La
visione gli era
penetrata nella mente incuneandosi come una freccia e lasciandogli
addosso la
gelida sensazione di un destino ineluttabile, di una sofferenza che
prometteva
di essere lunga e atroce. Per un momento aveva sentito davvero
il veleno
scorrergli sulla pelle già martoriata, aprendo ferite
vecchie e nuove. Raddrizzò
ulteriormente le spalle già altere e promise morte e
distruzione all’essere di
fronte a lui – pronunciò nuove rune a costo di
sfidare la sorte, per punire
quell’essere orbo che osava predire una fine oscura non solo
a lui, che ne era
senz’altro degno, ma al figlio che la sua giovane moglie
portava ancora nel
grembo. Sarebbe morto meno in fretta, decise, ma con più
dolore.
“Ha
usato un altro incantesimo, mostro! Ti vuole distrarre!”
proruppe Theoric
troppo tardi perché la creatura potesse fare qualcosa, con
la voce lamentosa e
infinitamente bassa di chi sa di aver perso.
L’incubo
emise un urlo inarticolato, perché la carne putrescente
aveva preso a bruciare
e quelle grida terribili, atroci, si accompagnarono a una scossa
violenta, a
una luce abbacinante che ferì l’occhio ancora sano
della bestia sorprendendo
sia Theoric che la principessa dei Vanir. Loki si spostò di
lato per proteggere
col proprio corpo la moglie e mosse il braccio sano per sfiorarla
– la profezia
riguardava anche lei, loro, e Sigyn ignorava che
conoscere il futuro non
regalava alcuna certezza. I profeti parlavano per enigmi, metafore e le
loro
parole avevano senso solamente quando ormai appartenevano al passato.
Prima
erano un’incomprensibile maledizione, nient’altro.
Gli
antichi tunnel scavati nella terra tremarono per l’onda
d’urto provocata dal
seiðr e dai colpi ciechi che la bestia, resa pazza dal dolore,
dava senza
cognizione alcuna nel disperato tentativo di ucciderli. Desiderava
portarli con
sé nell’oltretomba, ma se non ci fosse riuscita
lei, ci avrebbero pensato senz’altro
i corridoi sotterranei del Tempio, tragicamente sul punto di
collassare. Uno degli
artigli scarnificati colpì il soffitto dello stretto
passaggio e poi graffiò la
parete più vicina a dov’erano loro, nel solo e
unico tentativo che gli restava
per ghermirli.
“Dobbiamo
allontanarci,” sibilò Loki. La tracotanza che gli
era propria venne seppellita
dalla puntuale consapevolezza che stavano correndo il serio rischio di
morire
lì sotto, intrappolati come topi, tra le fiamme.
L’estremità
ossea e sanguinolenta grattò ancora il muro e, ritraendosi,
scheggiò e ruppe la
trappola di ghiaccio in cui era imprigionato Theoric. Il Vanir,
terrorizzato,
afferrò il mantello nero di Loki e prese a gridare
nuovamente con tutto il
fiato che aveva in gola, tra le schegge trasparenti. “Non
puoi lasciarmi
morire! Andrò dai Nani, dagli Elfi, lascerò
Vanheim! Mio padre…” boccheggiò, ma
l’ingannatore lo afferrò per la gola e strinse,
sentendo la carotide pulsare
sotto le sue dita. Sulla pelle l’uomo aveva ancora il segno
rosato lasciato dal
pugnale dell’ingannatore nella sala del consiglio[1].
Avrebbe dovuto solamente premere con più forza le dita.
“Tuo
padre saprà che sei crepato accidentalmente qui
sotto,” ghignò l’Ase, “e che
io
ho tentato con tutte le mie forze di salvarti. Che sfortuna!”
sorrise, e lo
spinse via, verso l’imboccatura, in direzione
dell’artiglio cieco e rabbioso
che, ancora, cercava le loro carni. Lo aveva condannato a qualcosa di
peggiore
che morire per mano sua; uno spettacolo cui avrebbe voluto assistere,
che
attendeva da tempo – dal giorno in cui, nella sala del trono,
aveva osato
intervenire per vendicarsi della libera scelta di Sigyn o forse da
prima, dal
momento in cui aveva preteso che lei si fidanzasse con lui, ma avrebbe
dovuto
rinunciare a un simile piacere e scappare, percorrere i tunnel prima e
uscire
di lì, mettersi in salvo[2].
Theoric incespicò, cadde; il mostro, avvolto dalle fiamme e
animato da una
qualche forza millenaria e oscura, gli si avventò contro.
Tentò di rialzarsi e
fuggire tra le urla, ma subì la stessa infelice sorte di
Loki: la sua carne
venne perforata dallo scheletrico artiglio[3].
“Andiamo,
presto!” L’ingannatore spinse Sigyn verso
l’uscita; non c’era niente da vedere,
ma lei fece resistenza e gli si appese al braccio.
“Così suo padre penserà che
è morto da eroe.”
“Lo
so, ma non abbiamo tempo, è
spacciato,” replicò stizzito. In un altro
momento, avrebbe senz’altro apprezzato l’arguta e
analitica valutazione di sua
moglie; le avrebbe detto con una punta di soddisfazione che era
così che
parlava una regina, ignaro del fatto che, nel giro di pochissimi mesi,
Sigyn
avrebbe davvero sfoggiato la corona dei Vanir sul proprio capo[4].
Sì,
senz’altro si sarebbe messo a
lodarla per le sue considerazioni razionali e brillanti, ma non
l’avrebbe
ascoltata perché Theoric doveva pagare per ogni volta che
aveva posato le
labbra sulla sua pelle, per ogni occasione in cui si era illuso che gli
appartenesse.
La tirò via ripetendole che era troppo tardi e dovevano
mettersi in salvo; non
poteva più usare incantesimi perché era sfinito e
i cunicoli stavano diventando
insicuri. Non riuscirono a fare nemmeno un paio di passi: una scossa
improvvisa
fece crollare il soffitto e Loki dovette fare un balzo indietro per
impedire di
venire colpito dai sassi e dai detriti. Dietro di loro, Theoric urlava.
Erano
rimasti intrappolati.
♥
Thor
non raggiunse mai la grotta sotterranea col suo lago, non vide il
mostro morto
dopo aver infilzato con un artiglio l’ultima delle sue
vittime. Osservò con
orrore il tunnel crollato, però, chiedendosi se Loki e sua
moglie fossero
ancora vivi o meno. Il re degli Æsir aveva già
pianto la morte di suo fratello
in almeno due occasioni: con un brivido rammentò la fitta di
dolore provata
quando l’altro s’era lasciato cadere
nell’abisso oltre il Bifrost, la
disperazione assoluta che gli aveva stretto il cuore nel vederlo esalare
l’ultimo
respiro nella terra degli Elfi Neri. Morire sotto una frana non gli si
addiceva,
non era possibile: Loki era troppo scaltro e pieno di sé per
accontentarsi di
una fine del genere – eppure c’era una qualche
grandezza nel rimanere sepolti
vivi sotto un Tempio vecchio quanto l’Yggdrasill dopo averlo
distrutto. Pensò a
Sonje e all’occhiata supplichevole che gli aveva rivolto
vedendolo andare via,
al suo broncio così simile a quello dell’unica
persona capace di capirlo con
uno sguardo, in grado di ricordare il tempo in cui Odino e Frigga erano
i
sovrani di Asgard e i Nove Regni erano diversi. Se suo fratello fosse
morto,
una parte di Thor – la giovinezza – sarebbe svanita
con lui per sempre. Alzò
Mjollnir, limitandone l’intensità in maniera tale
da evitare nuovi crolli e
pregando intimamente le Norne che il muro di detriti di fronte a lui
non fosse
la tomba di Loki e di Sigyn, che il suo intervento non peggiorasse le
cose. La
potenza dell’antica reliquia scaturì in tutta la
sua violenza, incanalata da
una forza che non dimorava unicamente nel braccio poderoso del dio del
tuono,
ma risiedeva nella sua anima volitiva di re guerriero. I detriti si
fecero
polvere e Thor davanti a sé non vide né
udì nulla. Poi, lo raggiunse un fascio
di luce che anticipava qualcosa di potente, vibrante, vivo e
conosciuto,
un’onda di potere che si scontrò con quella del
proprio martello: il seiðr di
quell’impiastro di Loki.
A
causa della fitta nube generata dai detriti, Thor iniziò a
tossire. Lo
raggiunse un rantolo sofferente e pensò che suo fratello
fosse ferito. Lo
chiamò, muovendosi alla cieca.
“Ah,
finalmente. Muoviti, aiutami a togliere questi massi; non ci
passiamo.” La voce
di Loki era carica di un velo di dolore che il tonante riconobbe subito.
“Sei
ferito!?”
“Un
graffio,” fu la risposta laconica e vagamente scocciata
dell’Ase, che ancora
non era altro se non una voce seminascosta dalle pietre
“Ha
una spalla ferita!” Lo corresse Sigyn e, nella nota ansiosa
che colse nella
voce di lei, Thor capì che le condizioni di suo fratello
erano peggiori di
quanto lui non volesse ammettere.
“La
stessa che gli ho rotto?” s’informò con
sospiro avanzando nel cunicolo liberato
e spostando i vari massi[5].
Si riferiva all’ultimo scontro avuto col fratello, quando
Loki aveva chiesto la
mano di Sigyn. “Sì,” sospirò
la donna.
“Allora
gli farà male. Arrivo.”
Spostò
un enorme macigno che ostruiva il passaggio e, finalmente, se li
ritrovò
davanti, scarmigliati e impolverati. Lo colpì immediatamente
l’aspetto sofferente
di suo fratello. Parte dell’armatura era stata spazzata via
ed entrambi gli
spallacci erano andati distrutti. L’ingannatore era pallido,
segno evidente di
come avesse usato troppa magia e perso un’eccessiva
quantità di sangue. Si
teneva in piedi più per la propria determinata insolenza che
per altro, decise.
“Ti
sei perso il meglio,” l’informò Lingua
d’Argento con uno scintillio divertito
negli occhi, ma faceva fatica a parlare. “C’era un
mostro. All’inizio pareva
una noiosa ninfa, ma poi… oh, avresti dovuto vederla: aveva
degli artigli
spaventosi,” raccontò stirando le labbra in un
sorriso sofferente. La
difficoltà nell’articolare le frasi non nascondeva
l’entusiasmo per aver ucciso
da solo un mostro tanto orribile, ed era lo stesso di
quand’erano ragazzi e
ogni creatura affrontata e abbattuta era una meraviglia da condividere.
Il re
di Asgard si sporse per cercare di vedere i resti
dell’essere, ma un altro
crollo aveva chiuso definitivamente la sua tomba. Sospirò
scocciato. “Lo vedo
dall’armatura che è stato un incontro
interessante. Vi siete abbracciati? Hai
un aspetto orribile Spero ti sia preso almeno una reliquia.”
“Troppo
seiðr.” Loki s’inumidì le labbra
accostandosi a suo fratello. “Lei… lei
è
incinta,” spiegò, “devo portarla subito
via di qui. Tu…” Raccolse le
parole, aggrottò la fronte. Era stremato.
“Tu
occupati di Theoric, Thor. Non vogliamo che muoia come un eroe, qui
sotto,”
concluse per lui Sigyn.
“Ma meriterebbe di crepare,” sibilò l’ingannatore
gettando un’occhiata al corpo che giaceva poco
distante da loro.
Il
giovane re seguì lo sguardo di suo fratello e vide Theoric
riverso a terra. Un
pezzo d’osso – l’immenso artiglio del
mostro – era conficcato nella sua carne,
vicino alla schiena. Sigyn fissava il ferito a labbra strette; aveva
gli occhi
accesi da un furore inaspettato e il re di Asgard pensò che
il tono secco usato
da sua cognata tradiva una storia che non gli era stata ancora
raccontata, ma
di cui erano intuibili diversi dettagli.
“Ecco
dov’è la tua reliquia,”
commentò con un filo d’ironia rivolgendosi
all’ingannatore.
“Incantevole,
non trovi?”
La
risposta di suo fratello era stata ironica e caustica e Thor lo
fissò negli
occhi. “Non guarirà mai del tutto. Farlo
sopravvivere potrebbe essere una
crudeltà.”
Loki
stirò le labbra mostrandogli i denti bianchi e regolari,
sfoggiando un sorriso
feroce, senza gioia. “Tutti devono qualcosa al dio degli
inganni. Riportagli
suo figlio,” concluse.
Il
tonante spostò lo sguardo su Sigyn e, vedendola appoggiare
silenziosamente il
marito, annuì.
♥
Sonje
sollevò il grosso gatto di pezza e fissò i suoi
occhi fatti con due bottoni.
“Mamma e papà torneranno presto, Tooh. E anche
zio. Tu non devi piangere,”
spiegò con aria grave. Era quasi ora di cena e Freya le
carezzò la testolina
bruna sperando che la smettesse di fare capricci e mangiasse qualcosa.
Consolava
l’animale per tranquillizzare se stessa, ma c’era
una scintilla di fierezza, in
lei, che le fece pensare a Loki.
La
piccola si girò verso la prozia scuotendo la testa,
trattando. “Cinque minuti, ancora
cinque minuti!” supplicò preparando delle lacrime
strazianti.
Sigyn,
ricordò la donna, era stata una bambina più
tranquilla, mite, silenziosa.
Bastava darle un libro e si metteva a leggere per delle ore,
addormentandosi
col volume tra le dita. Freya all’epoca aveva lodato il
carattere obbediente
della nipotina, ma si era chiesta che destino l’attendesse e
quale uomo avrebbe
potuto farle da marito. Aveva creduto che un nobiluomo cortese e
gentile riuscisse
a farla felice e non si era opposta affatto quando Theoric aveva
chiesto di
fidanzarsi con lei. Chi altri avrebbe potuto invaghirsi di una
ragazzina troppo
seria com’era lei?
Il
più improbabile e meno indicato di tutti: Loki. Il feroce
Ase che si era trasformato
nel padre di una bimbetta a cui persino la figlia di Njord trovava
difficile
dire di no, specie se entrambe non desideravano altro se non vedere le
ombre di
Sigyn e dei due Æsir spuntare dalle macerie del Tempio.
“Sonje,
non puoi restare qui, andiamo,” mormorò con un
filo di voce prendendole la
mano. La bambina obbedì trascinandosi dietro
l’inseparabile animale di pezza e
mettendo svogliatamente un piede davanti all’altro, ma prima
di arrivare alla
tenda della donna si voltò un’ultima volta e
proruppe in un grido estasiato.
Erano
tornati.
La
bambina corse incontro ai genitori e puntò senza esitazione
alcuna l’adorato
padre. La penosa risalita aveva messo a dura prova Loki; il pallore che
rendeva
ancora più affilati i suoi tratti era evidente e non
riusciva più a nascondere gli
effetti del colpo inferto dal mostro, ma questo non impedì a
Sonje di avvicinarglisi
e buttargli le braccia al collo scoccandogli un sonoro bacio sulla
guancia,
felice che fosse tornato. Fu Thor a venire in soccorso del dio degli
inganni; prese
in braccio la bambina, mentre, con l’altro, sostenne appena
il fratello e
imboccò la direzione che conduceva alla tenda dei guaritori,
seguito dappresso
da Sigyn. Vedendo la madre con i capelli corti Sonje scoppiò
in un pianto
rapido e breve – amava toccare le lunghe ciocche bionde e
s’incantava nel
vedere come fossero simili all’oro delle collane, identica,
anche in questo, a
suo padre.
“Ricresceranno,”
la consolò Thor, gettando un’occhiata divertita
alla smorfia dipinta sul volto
affilato suo fratello, anche lui profondamente indispettito per la
drammatica
perdita dell’incantevole capigliatura d’oro della
principessa dei Vanir.
♥
Era
scesa la notte, ormai. Sigyn trasse un lungo, lento respiro:
l’incubo era
finito. Stava bene. Era stata visitata e le sue condizioni, salvo un
paio di graffi
e di lividi che le erano stati prontamente medicati, erano
più che buone.
Nonostante il terrore provato e la caduta, anche il bambino stava bene.
Era
opportuno che trascorresse per precauzione qualche giorno a letto,
tutto qui. E
Loki era già in piedi, ovviamente. Aveva preso a girare per
l’accampamento con
un braccio appeso al collo, come se niente fosse. Di fronte alle sue
perplessità
circa la mancanza di riposo cui si costringeva il marito, Thor si era
stretto
nelle spalle. “È un Ase e un guerriero
valoroso,” aveva commentato laconico.
A
Sigyn si era stretto lo stomaco. Non aveva mai visto suo marito nelle
oscure
vesti di mago. Le era capitato diverse volte di vedere il dio degli
inganni
tornare da una battaglia e, in un paio di occasioni, il principe era
stato
ferito in maniera anche abbastanza seria, ma non lo aveva mai osservato
mentre
usava il seiðr per offendere né uccidere i propri
nemici. Si era sentita male
quando, tronfio e pieno di sé come al solito, aveva offerto
in dono a Njord
nientemeno che un serpente marino e lui l’aveva canzonata
bonariamente, ma
questo accadeva molti anni prima, quando ancora lei e quello che
sarebbe
diventato suo marito neanche litigavano ai banchetti.
“Piccola
principessa, adesso non ti può fare niente. Dovevi vederlo
prima,” le aveva
detto sfoggiando il suo sorriso di lupo.
Un lupo.
Al ricordo, il suo cuore perse un battito: presa com’era dal
desiderio di
mettersi in salvo assieme alla propria famiglia, Sigyn aveva relegato
in un
angolo della mente la profezia fatta dal mostro prima di morire. Si
toccò la
pancia dove cresceva suo figlio: davvero avrebbe dato alla luce colui
che sarebbe
stato in grado di distruggere Loki? Sentì il palato farsi
secco, la bocca amara.
Per un momento la creatura dentro di lei le apparve estranea
– il figlio
maschio del dio dell’inganno, un uomo che, a sua volta, si
era macchiato della
colpa di aver ucciso il proprio padre naturale e combattuto contro
quello
adottivo. La scia di sangue che legava tra loro Odino, Laufey e Loki si
sarebbe
allungata coinvolgendo anche lei, loro, Sonje, il piccolo senza nome?
Erano
maledetti, costretti a ripetere i loro errori?
Si
sedette lentamente sul morbido giaciglio della tenda, chiedendosi
quanto dolore
le avrebbe riservato il futuro, se l’amore potesse frenare
una catena
inevitabile di eventi, cosa Loki pensasse davvero
del vaticinio cui
aveva risposto con tanta leggerezza e perché il mostro
voleva lei. Cosa
avevano interrotto distruggendo il Tempio retto dalla Sacerdotessa
Sublime, la
cui morte era ancora impressa nella sua mente?
Il
flusso di pensieri e ricordi venne bloccato dall’entrata
nella tenda del dio
degli inganni in persona, seguito a ruota da Sonje, che gli saltellava
attorno
entusiasta e lo tirava per la lunga giacca.
“Ho
parlato con i guaritori,” annunciò diretto.
Lei
annuì, pronta ad accogliere tra le sue braccia la bambina,
in cerca di un bacio
e un abbraccio. La strinse a sé respirando il suo profumo
dolce, di biscotti e
infanzia. La profezia era sempre lì, in un angolo del suo
cuore, spaventosa.
“Mamma,
tu e papà avete fatto pace, dovete baciarvi,”
ordinò la bimba, “l’ha detto zio
Thor.”
Sigyn
lanciò un’occhiata interrogativa al marito e
l’Ase, sospirando, si avvicinò
alla branda dove lei era seduta.
“Da
quando obbedisci alle richieste di tuo fratello?”
domandò lei inarcando un
sopracciglio.
“Tua
figlia non mi lascia in pace,” spiegò il dio degli
inganni tra i denti, “ed è
una proposta che non trovo poi così
sgradevole,” ammise. Le mise una
mano sulla nuca scoperta e l’attirò a
sé, baciandola, finalmente, sulle labbra,
ghermendole un sospiro. Si guardarono negli occhi e l’Ase
vide un’ombra scura
negli occhi di sua moglie. Sigyn abbassò il capo e Loki si
rivolse alla figlia
col tono grave che usava quando voleva spiegarle qualcosa
d’importante o
desiderava che le obbedisse.
“Adesso
vai da tuo zio, ho bisogno di parlare da solo con la mamma.”
Sonje
sarebbe voluta rimanere con i genitori, ma annuì con una
certa riluttanza e,
dopo aver riempito Sigyn di baci, si decise a imboccare
l’uscita della tenda.
L’ingannatore
seguì con lo sguardo la bambina finché non vide
che Thor l’intercettava. “Si
chiamerà Vali,” esordì guardando sua
moglie negli occhi. “Avrà i tuoi colori.”
Lei
si accarezzò il ventre piatto. Voleva chiedergli cosa
avrebbe preso da lui,
invece. “Ti farà del male?”
Loki
non rispose immediatamente. Socchiuse gli occhi e si concesse un lungo
sospiro.
“Le profezie sono oscure e vanno interpretate. Ce ne sono di
orribili su di me.
In effetti, alcune si sono rivelate esatte,”
proseguì osservandola, in attesa
di una reazione.
Sigyn
si guardò le mani piccole e bianche, prive della bella fede
fatta dai Nani. Poi
volse il capo verso di lui. “Cos’hai
visto?”
“Scene
senza importanza e altre che sembravano fondamentali. Ma sono frammenti
di
futuro. Allontanate dal loro insieme sono incomprensibili,
ingannevoli.” Nei
suoi occhi verdi scintillò una luce feroce e Sigyn si chiese
con un brivido se
Vali avrebbe ereditato quello sguardo. “Dimmi quello di cui
hai paura,”
l’incalzò lui.
“Tu
hai ucciso Laufey. Tu hai combattuto Odino. Lui combatterà
te? Che voleva dire?”
Loki
s’inumidì le labbra, in cerca di un modo semplice
per spiegarle un concetto
ostico su cui lui aveva riflettuto per anni senza giungere a una reale
soluzione. Infine, trovò l’esempio calzante.
“Per
Sonje sei quasi morta. Se ti avessero fatto una profezia su di lei,
sarebbe
venuto fuori che tua figlia ti avrebbe quasi uccisa due volte. Sono
solo
parole,” concluse sfiorandole le dita e intrecciandole con le
sue.
Al
ricordo del parto e dello scampato processo, gli occhi di Sigyn si
fecero
lucidi. “E sarei morta, per lei. La amo più di me
stessa,” gli confessò. Fece
una pausa e poggiò la testa sulla spalla sana del marito.
Lui la lasciò fare.
“Perché
mi aspettava? La principessa incinta di un re straniero,”
ripeté.
“Le
era stato promesso che, se ti avesse incontrata, sarebbe stata libera. In
effetti è
così, non è più prigioniera.”
Sigyn
sospirò accigliandosi. “Non è la
verità. Non tutta, almeno.”
“Non
eri tu. È Vali. È lui che temevano. Non volevano
che nascesse.” Loki sciolse
l’intreccio delle loro dita e le sfiorò il ventre
snello. Sentì la nuova vita
che cresceva in lei e aveva già visto.
“Perché?”
l’incalzò la dea della fedeltà.
“Perché
per difenderlo avremmo distrutto il loro ordine. Perché lui
è legato a Vanheim
in un modo che noi non comprendiamo ancora e che a
loro non piaceva.”
“Prima
dicevi che le profezie sono solo parole,” mormorò
Sigyn alzando appena la testa
dorata per guardarlo negli occhi.
“Dicono
che nostro figlio sia il lupo della profezia,” ammise Loki,
“quello che distruggerà
il mondo così come lo conosciamo. La Sacerdotessa e quelle
prima di lei desideravano
mantenere l’ordine e difenderlo dal caos. È il
prezzo da pagare per avermi
sposato, temo. Un destino avvelenato. In fondo, io scatenerò
il Ragnarok,
Sigyn. Ma che significa, davvero? Nostro figlio non
può essere da meno. Non
fidarti delle profezie: se ci crederai, si risolveranno nel peggiore
dei modi.”
“Tu
menti e vuoi solo consolarmi.”
“Tu
hai sposato il dio degli inganni e hai scelto di essere la madre dei
suoi
figli. Sei coraggiosa, piccola Vanir.”
♥
“Un’altra
volta! Raccontamela un’altra volta!”
Nonostante
l’ora tarda, Sonje era ancora sveglissima. Gli occhi verdi e
vispi
scintillavano d’ammirazione per la storia magnifica che Thor
le aveva
raccontato già tre volte, facendo ben attenzione a usare
sempre le medesime
parole. La bambina stringeva tra le braccia il grosso gatto di pezza e
non
riusciva a stare ferma con i piedi. Colpa della comparsa scenica dei
suoi
genitori e della notizia magnifica che l’aveva riempita
d’orgoglio.
“Com’è
avere un fratello, zio Thor?”
Una
gran seccatura, una che non t’immagini neanche, avrebbe
voluto rispondere il re
di Asgard. Invece, l’Ase si limitò a scompigliare
i ricci neri della nipote.
“Vi
divertirete un sacco, insieme,” predisse fiducioso, lanciando
un’occhiata alla
tenda semiaperta dove si intravedeva la testa bruna del dio degli
inganni e
parte della sua spalla fasciata. Rannicchiata accanto a lui, con la
testa
posata sul braccio sano, dormiva Sigyn. Thor sapeva benissimo che suo
fratello
stava astutamente fingendo di dormire. Gli tornò alla mente
una conversazione
antica, avuta in una fredda alba, ad Asgard.
“Come
tu e papà?”
“Ma
certo, piccolina,” la rassicurò e, con stoica
pazienza, prese a raccontare per
la quarta volta e forse non ultima volta di come l’astuto dio
degli inganni
fosse riuscito, da solo, a
espugnare
il Tempio e a salvare la sua sposa prigioniera e tutte le altre donne
lì
rinchiuse, arrivando persino a uccidere un orrendo mostro.
Loki,
poco distante, socchiuse appena un occhio e valutò che suo
fratello era un
pessimo narratore e che il motivo del suo fascino era racchiuso nel suo
ristretto pubblico: una bambina che non aveva ancora sviluppato il buon
gusto e
mostrava per il tonante una dubbia predilezione e un gatto di pezza
che, per
sua fortuna, di stoffa aveva anche le orecchie. Quasi senza
accorgersene,
lasciò scivolare una mano sulla pancia piatta e tesa di
Sigyn e così
s’addormentò.
Continua?
L’angolo
di Shilyss
Care Lettrici e
cari
Lettori,
Anzitutto, grazie
e scusate.
Scusate per aver aggiornato dopo un anno esatto dall’ultimo
capitolo, grazie
per aver avuto fiducia nel fatto che finissi questa storia.
Significa tanto
♥, soprattutto in
questi giorni. Scrivendola ho scoperto di amare immensamente
quest’universo che
ho creato e Sonje e Vali, tanto che ho deciso di proseguire
“Giochi pericolosi,”
che è il diretto seguito di questa storia. Avendo tante long
in ballo non sarà
semplicissimo, ma… ho fiducia. E spero di sentire il vostro
sostegno ♥♥ è
importante, davvero.
Per questo
capitolo il merito va al
pungolamento di Ciop ♥: con insistenza,
pazienza e intelligenza mi ha
convinta a mettere la parola fine alla storia del tempio.
Come avrete
notato, non ho chiuso la
raccolta. Questo perché sono previste altre due shot (nel
progetto originario erano
plottate) quindi… può darsi che le troverete,
ecco.
Sul finale: Loki doveva
salvare Sigyn e l’ha
salvata, ma Theoric non è morto. So che lo volevate vedere
stecchito, ma Loki gli
ha riservato una fine peggiore. Gli ha salvato la vita e lui non
guarirà mai
del tutto dalle sue ferite. In questo modo non sarà mai un
eroe. Sul tempio:
Sigyn e suo figlio dovevano essere divorati dal mostro
perché su Vali pesa una
maledizione, un presagio. È un qualcosa che viene accennato
appena e troverà
spiegazione in Giochi
pericolosi. Vi ho dato un bello spoiler, sappiatelo.
Per ulteriori
info, tante foto di
Loki, di Sigyn e di Tom e un po’ di divertimento…
c’è la mia pagina facebook
♥ https://www.facebook.com/Shilyss/
. Sbirciate pure nel mio profilo per leggere altre storie: vi consiglio
la
madre di questa saga, “Tutte
le tue
bugie” l’ultima Scintille
nel
buio , ormai ufficialmente una long! ♥
^^. Tra l’altro anche questa
storia parla di Sigyn e di un ordine religioso, ma in verità
questo è un mio
kink e le due storie non hanno niente in comune. ^^
Ricordo che
Vanheim, il Tempio, così
come sono intesi e descritti, con questo ordinamento sociale, politico
e
culturale sono una mia idea: vi pregherei di non utilizzarla
♥. Anche il
personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce
“Sigyn” su Wikipedia,
è una mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Questo è un
enorme “What if.”
Il personaggio
di Sonje è un
mio OC, il personaggio di Vali no, ma
ciò che vale per Sigyn vale anche
per lui.
A presto e
grazie per tutto
l’affetto/sostegno/cose – e continuate a
sostenermi, non m’abbandonate in una
valle di lacrime XD,
Shilyss
[1]
Come succede nei capitoli 3 o 4 della storia ^^.
[2]
Come viene raccontato in Tutte le tue bugie e nei primi capitoli di
questa
storia.
[3]
Negli scorsi capitoli Loki è rimasto ferito a una spalla e
ha gli spallaci
rotti.
[4]
Come verrà raccontato in “Giochi
pericolosi.”
[5]
Ricordate Tutte le tue bugie?