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Autore: LB Shadow    14/04/2020    1 recensioni
Questa storia partecipa al "Fables Challenge" indetta dal Giardino di EFP
Prompt 34: Riccioli d'oro e i tre orsi
Tutti conoscono la storia di quella bambina super maleducata che s'intrufola in case altrui e fa come le pare: mangia, beve, dorme a suo piacimento. Poi, quando viene sgamata, se la dà a gambe levate.
Questa è la storia di un suo moderno discendente, un giovanotto dai famosissimi boccoli biondi, che dalla sua ha una motivazione più che valida per ciò che fa (non è vero, ma facciamo finta che lo sia), di tre orsi umani che se lo ritrovano davanti e altra gentaglia che non può fare a meno che interferire con le vite altrui.
Ci sarà una escalation di stupidità, luoghi comuni veri e falsi, bastardaggine, e perdono, perché "si fa così con i belli belli in modo assurdo". Come potrebbero esistere altrimenti le fiabe?
Genere: Commedia, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’importanza di controllare il nome sul citofono

 

C’era una volta, non tanto tempo fa, giusto prima che il mondo cadesse nel panico generale, un giovane ragazzo dai bellissimi boccoli biondi. Erano davvero meravigliosi, sembrava un cherubino senza che avesse mai bisogno della messa in piega, aveva pure il fisico adatto e più di una volta l’avevano ingaggiato come modello. Su Instagram si presentava come Riccioli_d_oro93 e così lo conosceva tutta la gente che contava.

Riccioli d’oro aveva un’altra particolarità, oltre la sua chioma, che lo contraddistinguesse dalla maggior parte delle persone: era un completo idiota. Totalmente, irrecuperabilmente, da sbattere la testa contro il muro, idiota. Lo si perdonava, perché si fa così con i belli belli in modo assurdo.

Il ragazzo era omosessuale, ma non l’aveva mai accennato alla sua famiglia, a cui importava solo che una parte del guadagno dovuto ai servizi fotografici finisse nelle casse comuni, così da sopperire la mancanza di risultati scolastici con qualcosa con cui effettivamente pagare le vacanze. A quanto pare al Grand Hotel non fregava nulla se eri fuoricorso o se ti eri laureato a ventidue anni.

Un bel giorno decise di fare coming out con i suoi genitori e fu allora che si scoprì che non era l’unico idiota in famiglia. Non tanto (o meglio, non solo) perché ebbero una brutta reazione, ma perché in venti e più anni non si erano accorti di nulla. Pensavano che il suo litigare con le femminucce alle elementari fosse un atteggiamento da bimbo ribelle, quando invece loro si arrabbiavano con lui perché si fidanzava con il più fighetto della classe. Pensavano che l’improvviso interesse per gli sport di contatto avvenuto alle medie fosse per incrementare un’altrimenti limitata massa muscolare, quando invece lui passava tutto il tempo in panchina e negli spogliatoi. Soprattutto negli spogliatoi. Pensavano che gli amichetti del liceo che venissero a trovarlo per studiare e giocare ai videogiochi, quando lui possedeva solo una polverosa console della playstation di seconda mano e un gioco ideato dalla Dingo Pictures. Quanto allo studio, Riccioli d’oro era un idiota di natura e la mancanza di esso non incideva sui voti.

La brutta reazione la ebbero comunque e, alla candida dichiarazione del giovinetto sul fatto di essere gay, si dimostrarono se possibile ancor più imbecilli, bastardi, moralisti eccetera. Perché un ignorante nel cervello si può recuperare, uno ignorante nell’anima non si perdona. Il ragazzo da bravo tonto sperava in una reazione come quelle quando riceveva le sponsorizzazioni per la sua vita di modello, solo che qui non veniva pagato, si trattava solo di una caratteristica, del suo orientamento sessuale, che per anni si era semplicemente dimenticato di far presente ai suoi. Brutto, brutto errore.

Buttarono fuori casa Riccioli d’oro in un batter d’occhio, giusto il tempo che potesse farsi la valigia e commentare stupidamente “Ma dai, mami e papi, siamo nel 2020, l’omofobia è roba da secolo scorso! Aggiornatevi!”

Il povero idiota non sapeva che al mondo c’è sempre qualcuno più scemo di te e quel qualcuno può abitare sotto al tuo stesso tetto.

Improvvisamente Riccioli d’oro si ritrovò per strada, senza un posto dove dormire, solo un valigione con i vestiti migliori, il cellulare che dopo tre anni minacciava già di tirare le cuoia, e un portafoglio con dei contanti e la carta di credito. Aveva soldi in abbondanza derivanti dalla sua professione, altrettanti contatti da poter chiamare per avere almeno un po’ di sostegno, ma era un idiota e non gli passò per la testa. Anzi, c’era il rischio che sperperasse tutto comprando un cellulare nuovo il primo giorno, in preda a una crisi di nervi.

Stanco e affranto, si fermò al tavolino di un bar e ordinò uno spritz. Poi un altro. E un altro ancora. E intanto pensava, rimuginava a come potersela cavare in questa situazione assurda, torturando la cannuccia del drink con un duro lavoro di lingua e denti, e torturando anche i poveri altri commensali che lo guardavano sottecchi.

Doveva utilizzare quei pochi neuroni non atrofizzati. Chiunque altro un filo più intelligente sarebbe caduto in depressione, rendendosi conto di essere stato abbandonato da chi dovrebbe amarti a prescindere da tutto, ma Riccioli d’oro non lo sapeva. Era convinto che la sua vita sarebbe stata una valle di rose per sempre, mai si sarebbe aspettato che il dichiarare con chi preferisse andare a letto potesse frantumare questo sogno. Infatti non se lo aspettava neanche adesso che era accaduto.

Alla fine, dopo un gran macinare di meningi, l’idea giunse.

Dall’altra parte della cittadina, un po’ in periferia, viveva sua nonna. Non la vedeva da quando andava in giro sulla bici con le rotelline, ma era più che certo che l’avrebbe accolto con sé, perché è questo che le nonne fanno. Non come certi genitori che buttano fuori di casa i figli gay. Riccioli d’oro ricordava bene l’indirizzo dell’appartamento doveva abitava, perché accanto al suo condominio aveva mangiato il miglior kebab mai assaggiato e di tanto in tanto sognava di tornarci.

Si avviò, quindi, verso la metro per raggiungere il posto. Era finalmente tornato felice da quando era stato scacciato. Tutto sarebbe andato bene, si ripeteva.

Quel che non sapeva era che la nonna non abitava più nel condominio accanto al kebabbaro, ma si era trasferita alle Mauritius come regalo per il suo settantesimo compleanno. Riccioli d’oro, però non ci pensò, perché troppo stordito dall’alcol degli spritz. Sei euro a bicchiere per una robetta con più ghiaccio che aperitivo.

Per ogni idiota al mondo, ce n’è almeno uno che è ladro.

Finalmente, dopo tanto peregrinare, Riccioli d’oro giunse al condominio. Premette tra la serie di citofoni il bottone che ricordava rimandasse a casa di nonna, senza curarsi di leggere i nomi sulla targhetta. Non rispose nessuno. Premette di nuovo. Nessuno. Premette una terza volta, indispettito, lasciando che suonasse ininterrottamente per una decina di secondi, ma ancora nessuna risposta.

Allora decise di chiamare qualcun altro, con lo stesso metodo. Effettivamente, stavolta qualcuno rispose; da una delle finestre uscì il vigoroso mezzo busto di una casalinga incazzata nera: “Ma che cazzo suoni a quest’ora, che la gente fa la siesta!” gli urlò malamente.

“Scusi, signora!” le urlò di rimando il ragazzo “Non è che potrebbe aprirmi lei? È da mezz’ora che suono, ma non risponde anima viva!”

“E ci credo, ‘mbecille! Saranno tutti a lavoro, o a letto, o a lavare i piatti! Io non ti apro, non ti conosco, vai via!”. La donna minacciò di lanciargli contro una secchiata d’acqua insaponata. Riccioli d’oro, spaventato, si spostò in una posizione tale da rientrare interamente nella sua visuale e il buon cuore di lei decise improvvisamente di ritrattare il proprio giudizio.

“Anvedi che bel figliolo” disse stupita “Scusami tanto, ragazzo, ero convinta fossi un vucumprà che volesse vendere calzini, o qualche roba simile. Adesso ti apro.”

“Tranquilla signora, tutti possono sbagliare” fu l’educata risposta di lui. Apertosi il cancello, poté finalmente salire al secondo piano dove ricordava abitasse la nonna. Dalla finestra del pianerottolo si dovevano vedere le fondamenta di un ecomostro mai completato dall’altra parte della strada, o almeno così rammentava. Anche un orologio rotto segna l’ora giusta due volte al giorno, e il ragionamento funzionò, anche perché l’ecomostro non era avanzato di un solo mattone da quando aveva cinque anni. Stava camminando avanti e indietro sul pianerottolo per individuare l’appartamento corretto, quando la casalinga di prima lo raggiunse.

“C’è qualche problema?” gli chiese melliflua. Lo stava discretamente divorando con gli occhi.

“Credo di sì. Non posso entrare in casa, non ho le chiavi”

La signora gettò un’occhiata all’appartamento indicatole e fece una smorfia di delusione. “Mamma mia bella, che spreco” sibilò scuotendo la testa, e gli disse di aspettarla lì, mentre scendeva al piano inferiore. Risalì dieci minuti dopo, con una chiave argentata in mano a cui era legato un portachiavi arcobaleno.

“La portinaia l’ha trovata per terra, dev’essergli caduta da una tasca prima di uscire. Non dire che te l’ho data io o ci faccio la figura della ficcanaso.”

“Oh, grazie!” Riccioli d’oro accettò riconoscente la chiave, già convinto che bussare o risuonare il campanello sarebbe stato inutile. La nonna, a quanto pareva, era sorda.

L’appartamento all’interno era vuoto e silenzioso, ma lui non ci fece troppo caso. Lanciò un’occhiata di sufficienza al televisore a 32 pollici e al divano uscito dal negozio dell’usato, pensando che si vedesse proprio come fosse un posto abitato da una vecchia sola. Gli stereotipi che si regolavano bene con i propri limitati percorsi mentali lo consolavano. C’era un buon profumo di cibo che giungeva dalla cucina e andò lì, improvvisamente affamato: tutto quel casino di deduzioni e piani ed emozioni gli avevano messo appetito.

In mezzo alla stanza era sistemato un grosso tavolo ben apparecchiato con sedie, tovaglia, bibite, bicchieri, posate e tre piatti apparentemente abbandonati lì. Riccioli d’oro non si fece domande o scrupoli, come mai se ne era fatti nella sua giovane vita, ed esaminò il contenuto di ciascuno manco fosse ad una puntata di Cortesie per gli ospiti. Zero punti per l’accoglienza, dieci punti per la varietà di pietanze disponibili, giudicò.

Il primo piatto era una porzione gigantesca (probabilmente prima era addirittura mastodontica) di alette di pollo piccanti. Davanti c’era una bottiglia di Lambrusco appena stappata. Riccioli d’oro addentò un’aletta, ma il peperoncino di cui era intrisa era così forte che il solo odore bastò per mandargli a fuoco i peli del naso. “No, no,” disse tra sé e sé, dopo essere accorso al rubinetto per sedare l’incendio sulla lingua. “troppo caliente ‘sta roba. E poi il vino mi dà alla testa”.

Passò quindi al secondo piatto. Era un’insalata di riso con mais, tonno, e un sacco di frammenti di sottaceti, mentre da bere c’era una bottiglia di the al limone. Sembrava allettante. Ne prese una cucchiaiata per assaggiarla, ma fu costretto a metterla giù subito. “Cielo” disse schifato, “questo è stato appena tolto dal frigorifero, altroché, è insipido e gelido. E poi il the industriale è più zucchero che altro, fa ingiallire i denti ed eccita troppo. No, no.”

Il terzo piatto era appena stato toccato. Era una porzione generosa di pasticcio col ragù e besciamella, magari fatto in casa il giorno prima, ed emanava un profumo meraviglioso da riempirci i polmoni. Davanti c’era una bottiglia d’acqua Ferrarelle. Riccioli d’oro prese una forchetta e lo assaggiò. Era caldo, ma non bollente, abbastanza da far sentire tutto il sapore dell’insieme ma non da scottare la lingua, cosa che con tutta probabilità doveva essere successa a chi aveva tentato di mangiarlo prima di abbandonare la scialuppa. “Ecco!” esclamò Riccioli d’oro con la bocca piena. “Questo sì che mi piace! Al diavolo la dieta, grazie nonna per il pranzo! E poi l’acqua Ferrarelle mi piace, non è liscia ma neanche gassata, è una via di mezzo come preferisco io!”

E si avventò con furia sul terzo piatto, riempiendosi lo stomaco a volontà dopo aver recuperato la teglia con altro pasticcio al punto che rischiò di sentirsi male.

Gonfio come un’oca all’ingrasso e improvvisamente preso dall’abbiocco, decise che fosse ora di schiacciare un pisolino e di seguire il suggerimento della signora urlante. Uscì dalla cucina alla ricerca di una camera da letto.

Anche qui, trovò tre opzioni diverse.

Opzione camera da letto UNO: una sorta di palestra adibita a stanza per dormire, piena di pesi, attrezzi ginnici, riviste come Men’s Health e For Men sparse sul pavimento, tutto molto virile, compreso un miscuglio di odori quali sudore e testosterone. Il letto aveva un materasso ortopedico, rigido come una panca di legno. Riccioli d’oro ripensò con un sorriso agli spogliatoi delle partite di rugby e passò oltre senza crucciarsi troppo, complice il sonno e l’essere poco acuto di natura.

Opzione camera da letto DUE: sembrava uscita da un catalogo di arredamento, ordinatissima e sofisticatissima, con un sacco di legno scuro e un’elegante libreria colma di libri che (c’era da scommetterci) nessuno aveva mai letto. Il letto aveva un materasso alto alto, ma, quando Riccioli d’oro ci salì sopra, questo sprofondò sotto il suo peso come un soufflè fatto male. Era impossibile rigirarsi in questa maniera, e il ragazzo era uno che da addormentato aveva l’abitudine di agitarsi parecchio.

Opzione camera dal letto TRE: ormai Riccioli d’oro aveva perso la speranza. Entrò nell’ultima camera praticamente sfinito, con la digestione che gli dava narcolessia. La stanza era grande, bianca, qualche poster di vecchi gruppi rock attaccati alle pareti, legno chiaro in quantità misurate, profumo di pulito. Il letto gli apparve come una benedizione e il materasso col Memory Foam lo accolse come se gli appartenesse da sempre. Aveva trovato un angolino di paradiso. Si addormentò all’istante, il sorriso sulle labbra.

Mentre dormiva il sonno dei giusti, i veri padroni dell’appartamento tornarono a casa.

Erano tre uomini. Il primo era alto quasi due metri, largo come un armadio, ricoperto di peluria e con una barbona da montanaro, aveva un vocione basso che si diceva facesse confondere e spiaggiare le balene. Era il più vecchio e il più robusto del gruppo, oltre che l’unico ad avere raggiunto la realizzazione che in genere ambiscono gli adulti, sia in campo amoroso che lavorativo, e perciò motivo di ammirazione. Lo chiamavano tutti Daddy, per motivi diversi.

Il secondo era alto un metro e novanta giusto, era largo ma non quanto l’altro, un po’ meno peloso e con la voce decisamente meno tonante. Nel complesso risultava addolcito se messo a paragone con Daddy. Era l’amministratore del gruppo, sempre un po’ in apprensione per gli altri e con l’attitudine a fare sia da chioccia che pollastrella. Lo chiamavano tutti Mommy, per motivi diversi.

Il terzo raggiungeva a stento il metro e ottanta, non era possente come gli altri due, aveva relativamente poco pelo (sempre a confronto con loro) ed era il cucciolo del trio. Non aveva qualità particolari, era anzi piuttosto blando e perciò spesso sdegnato a favore dei più vistosi coinquilini. Lo attiravano i piaceri semplici, come un buon pranzo fatto in casa e il vanilla sui siti per adulti. Lo chiamavano tutti Junior, per motivi diversi.

I tre uomini erano conosciuti in giro come “la famiglia dei tre orsi” perché tutti e tre orgogliosi “bears” e conviventi come una vera famigliola; li chiamavano tutti così, per motivi diversi, specialmente le casalinghe impiccione che vivevano nello stesso condominio.

Erano appena rientrati da lavoro, nervosi perché non avevano manco finito il pranzo che erano stati richiamati per un’urgenza, poi le chiavi di casa erano state perse e quindi avevano dovuto domandare in portineria, ma la vecchia portinaia aveva detto loro che aveva consegnato la chiave alla signora del piano di sopra, una ficcanaso orribile, alla fine perciò avevano dovuto andare a domandare a lei e quella aveva risposto loro che l’aveva ridata al “ragazzo” e dopo non si era più curata di nulla. Era convinta fosse loro ospite, non aveva fatto troppe domande, mica erano affari suoi la gente che quei tre fin… fini gentiluomini invitava a casa.

Fortunatamente uno dei tre aveva una chiave di riserva nascosta e riuscirono a rientrare finalmente a casa.

“Ma quanto bisogna essere imbecilli per pensare una cosa simile?!” ringhiò Daddy, aprendo la porta. “Un ospite? Farlo entrare mentre noi siamo via?”

“Credi sia un ladro? E se è armato? Dovremmo chiamare i carabinieri?” chiese Mommy, guardando allarmato in giro per vedere se qualcosa di valore fosse stato trafugato.

“Lo sapete che la signora Lucia ha qualche pregiudizio nei nostri confronti…” mormorò Junior, ma non poteva che essere d’accordo con i compagni.

Entrarono in cucina nell’ordine consueto e ognuno di loro notò il proprio misfatto.

“Qualcuno ha assaggiato le mie alette piccanti! Però il Lambrusco è salvo.”

“Qualcuno ha assaggiato la mia insalatissima! Ma il mio Estathè al limone non l’ha toccato.”

“Qualcuno ha mangiato tutto il pasticcio, maremma boia! L’ho fatto col ragù speciale che m’ha mandato zia! E si è anche bevuto la mia acqua, era l’ultima bottiglia e ora devo andare al super a comprarne altra! Scusate, ma di che vi lamentate voialtri?”

La rabbia del terzo infiammò anche gli altri due. C’era un intruso e probabilmente c’era ancora. Un intruso che entrava in casa altrui e mangiava la loro roba e trincava l’ultima bottiglia della loro acqua non liscia e neppure gassata.

“Troviamolo!”

Si fiondarono nella prima camera da letto e, trovandolo sfatto, dissero “Qualcuno ha dormito qui!”. E Daddy aveva il fidanzato dai genitori, quindi potevano essere sicuri si trattasse dell’intruso.

Si fiondarono quindi nella seconda camera da letto e, trovandolo sfatto, dissero “Qualcuno ha dormito qui!”. E Mommy non portava mai ragazzi in casa, quindi potevano essere sicuri si trattasse dell’intruso.

Si fiondarono per ultima nella terza camera da letto e trovarono Riccioli d’oro bell’e addormentato tra le lenzuola. E Junior non inzuppava da mesi, quindi potevano essere sicuri si trattasse dell’intruso.

“Trovato!” esclamarono assieme, ma si zittirono subito quando il ragazzo si svegliò per il casino, esibendosi in uno sbadiglio da primo premio che fece bollire il sangue nelle vene di Junior. Ci mise un po’ per capire cosa diamine stesse succedendo.

“E voi chi siete?” chiese Riccioli d’oro, senza battere ciglio. Gioie dell’essere stupidi.

“Ma chi sei tu, vorrai dire. Sei a casa nostra, nel mio letto, hai ancora la bocca sporca del ragù del mio pasticcio e… e… cavolo quanto sei carino…” Junior non riusciva ad essere arrabbiato con quel cherubino dallo sguardo perso. Come dicono da secoli, la stupidità è una malattia contagiosa, esattamente come l’amore, e lui era stato preso in pieno. Fu Mommy a prendere la parola, con un tentativo perso in partenza di suonare severo. Anche lui era rimasto incantato dal bel visetto, anche se non altrettanto.

“Bimbo, chi sei? E che ci fai qui? La signora Lucia ti ha scambiato per un nostro conoscente e ti ha dato la chiave per entrare, ma si è sbagliata, come ogni volta che decide di non farsi i cazzi suoi. Siamo abbastanza stufi di nostro e non vogliamo interpellare la pula, quindi… Dobbiamo buttarti fuori con la forza o te ne vai da solo?”

Riccioli d’oro ricordò allora l’orribile giornata appena passata e si mise a singhiozzare, in quel modo fotogenico cui era abituato a fare. Raccontò di come i genitori l’avessero disconosciuto, di come aveva cercato rifugio a casa della nonnina, si profuse in mille scuse e stava per alzarsi dal letto per prendere le sue cose e scappar via in preda alla vergogna, quando Daddy lo bloccò. Fisicamente. L’impatto fu abbastanza potente da rispedirlo con la testa sul cuscino e Riccioli d’oro non osò muovere un muscolo per contrastarlo. In un altro contesto la cosa sarebbe potuta essere eccitante, ma quel tizio era una vera e propria montagna e il rischio era maggiore della ricompensa.

“Incredibile che esistano ancora dei genitori capaci di fare una cosa del genere!” tuonò furioso Daddy. “Se ce li avessi davanti…” strinse i denti in un ringhio feroce e batté il pugno contro la mano aperta “…spiegherei loro il danno emotivo che può causare al proprio figlio una simile scelta! Così ci penseranno due volte! Prima di abbandonare la propria creatura così!”

E gli altri non poterono che annuire concordi, forse giusto un po’ più propensi al pestare gli omofobi di turno e meno al fargli la ramanzina. Con gli idioti più stupidi degli idioti stessi le parole sono talvolta inutili, si sa.

Mommy intanto, commosso dalla testimonianza di Riccioli d’oro, aveva cambiato idea. “Senti, se non ti dà fastidio vivere con altre tre persone… potremmo ospitarti. Siamo gente onesta, lavoriamo, torniamo a casa, a volte usciamo il sabato sera, e con noi puoi stare tranquillo che non subirai discriminazioni di sorta. Forse i vicini ti guarderanno un po’ storto i primi tempi, ma sei abbastanza fico da scamparla a prescindere se ti piacciano le principessine rosa o i cavalieri con i fuseaux blu” disse, già pregustando l’avere un ventenne che girava per casa senza troppi pudori.

“Davvero? Lo fareste?” chiese Riccioli d’oro, asciugandosi le lacrime.

“Se vuoi potresti dormire nella mia camera. Cioè, qui intendo. È questa la mia camera. Quello sarebbe il mio letto. C’è abbastanza spazio per due. Ehm.” disse Junior, cercando di mostrarsi altrettanto sfacciato (missione fallita). Riccioli d’oro incontrò il suo sguardo e, come nelle fiabe più sdolcinate, scoccò qualcosa o forse era già scoccato prima, fatto sta che Mommy capì che una volta tanto doveva farsi da parte.

Fu così che il disastroso idiota trovò un nuovo nido dove sentirsi e venire amato, in tutti i sensi. Il suo lavoro di modello e i proventi che ne derivavano aumentarono in maniera esponenziale. Tutto grazie alla collaborazione dei coinquilini, i quali, a differenza della stragrande maggioranza della gente in questa storia, avevano del sale in zucca e sapevano come vivere la loro esistenza come degli adulti competenti.

Junior e Riccioli d’oro, come si poteva ben prevedere, si misero insieme. Il loro futuro appare incerto, perché Mommy e Daddy talvolta sono felici per loro e talvolta vorrebbero che si trovassero un appartamento tutto loro, dove preparare i loro manicaretti e distruggere i fornelli a piacimento. Mai, mai lasciare una cucina a un idiota e a un cuoco sperimentale. Facevano più casino lì che in camera da letto.

E questo, signore e signori, è il lieto fine che vi propongo, dove i bellissimi e stupidi trovano l’amore, e i bigotti che non l’accettano rimangono indietro a tormentarsi nelle loro paure.

 

THE END

 

Salve gente, qui parla L.B. Shadow. Vogliate perdonarmi per questo racconto gay friendly pieno di allusioni e battutacce e una non troppo velata vena polemica, ma è stato bellissimo scriverlo e spero lo abbiate gradito anche voi. In caso contrario siete autorizzati a dirmene quattro.

Vi voglio bene e a presto~

L.B. Shadow

P.s.: grazie speciale al gruppo del Giardino di EFP, perché senza il contest non avrei partorito sta roba qua, a prescindere dal risultato.

   
 
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