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Autore: f_dreamer96    15/04/2020    0 recensioni
La casa di Jonathan e quella di Francesca si trovavano una di fianco all'altra e, per i loro primi dieci anni, i due ebbero un'ordinaria vita in una piccola provincia californiana, perennemente insieme, tra gelati rubati e gite in bicicletta. L'improvviso trasferimento della famiglia di lei a Milano li tenne divisi per anni, finché Francesca, ormai studentessa di Giurisprudenza con un posto fisso nel cast del Rocky Horror Show del venerdì sera, non ricevette una lettera spedita da una prigione di Los Angeles.
Una storia di amicizia, amore e famiglia capace di sfidare il tempo e lo spazio.
Genere: Drammatico, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Prima che McKenna mi accompagnò in aeroporto, volli fare un ultimo giro a Wildomar. Quella volta da sola.

Ero tornata al cimitero, a Larkspur Drive. Ero passata di fronte alla Elsinore High School, dove avevo immaginato Jon giocare a football e tenere il discorso principale durante la cerimonia del diploma. Avevo visitato il parco giochi dove Jon ed io andavamo sempre da piccoli, non lontano da casa nostra. Era un piccolo parco di provincia, con un paio di altalene, uno scivolo ed un dondolo a due posti, ma era il nostro mondo una volta. Sotto uno di quegli alberi, ci eravamo scambiati il nostro primo bacio. Avevo sempre immaginato che sarebbe stato lui il fortunato e non potevo partire per l'Italia senza realizzare il mio sogno. Due ore dopo, i miei genitori, Lorenzo ed io scomparivamo dietro il vetro all'aeroporto.

Prima di lasciare Wildomar, ero andata a far visita alla famiglia di Joe. I suoi genitori vivevano nella stessa villetta in cui lui era cresciuto. Mi avevano chiesto di restare a cena, avevano chiamato Joe perché ci raggiungesse da Los Angeles e ci eravamo rimpilzati di tacos ed enchilladas.

Seduta sul sedile posteriore dell'auto di Joe, in viaggio verso Los Angeles, guardai il cielo buio: le stelle splendevano come quando le guardavo da bambina.

 

-Mi mancherai tantissimo-farfugliò McKenna in un lamento-Ricordati che puoi venirmi a trovare quando vuoi.

Ci stringemmo in un ultimo lungo abbraccio – lì almeno non avevamo limiti come in prigione – e la ringraziai mille volte di tutto.

-Anche voi, venite a Milano quando volete-invitai-Sarete miei ospiti.

Abbracciai anche Ryan, mi ancorai alla maniglia del mio trolley arancione e mi avviai verso i controlli di sicurezza.

 

Quando il segnale luminoso che indicava le cinture di sicurezza sull'aereo si spense, presi il mio zaino da sotto il sedile ed estrassi la busta che mi aveva dato Jon. La rigirai tra le mani e mi chiesi cosa stesse facendo lui in quel momento. Me lo immaginavo tra le quattro mura della sua cella, nella sua uniforme blu a discutere con gli altri detenuti. Il tono di voce alto ed il viso serio per nascondere la sua vulnerabilità. Quell'ultimo giorno in prigione, mi aveva chiesto a che ora fosse il mio volo. Aveva promesso che mi avrebbe pensato così intensamente che, se avessi chiuso gli occhi e mi fossi concentrata, avrei potuto sentirlo. Leggendo Silly sulla busta, scritto con la sua aggraziata ed elegante calligrafia, mi sembrò quasi che fosse lì con me.

Aprì la busta e caddero due fogli. Il primo era un disegno. Un mio ritratto a matita, realizzato con la tecnica del chiaro scuro. Non aveva mie fotografie recenti, se non le fototessere piccole e mosse, ed ovviamente non avevo mai posato per lui perciò quel ritratto era frutto della sua fantasia. Ma era perfetto, si era persino ricordato di inserire il piccolo neo sotto il mio occhio sinistro. Nel disegno sorridevo ed avevo la testa leggermente rivolta di lato. Sembravo serena. Ero felice che mi pensasse così. In basso a destra, la sua firma: Jonathan Forrester scritto minuscolo ed in corsivo.

Il secondo era una lettera.

 

Cara silly,

è strano tornare a scriverti una lettera dopo aver avuto la possibilità di vederti di persona, di poter stringere le tue mani nelle mie e guardarti negli occhi.

Rivederti è stata l'esperienza più bella che mi potesse accadere. Sei esattamente come ricordavo e come speravo che fossi: bellissima, intelligente, forte e sensibile. Sono certo che se mia madre fosse ancora in vita, sarebbe stata orgogliosa di te. Perché io lo sono davvero.

Mentre io cercavo disperatamente di tenere insieme la mia famiglia, dall'altra parte del mondo tu stavi cercando di rimettere insieme i pezzi per adattarti alla tua nuova vita e superare quanto ti fosse successo. Se fossimo stati insieme, ci sarebbe bastato trovarci davanti ad un gelato per dimenticare i nostri dolori. Avremmo superato ogni ostacolo insieme e sarebbe stato tutto più semplice. Questa possibilità ci è stata tolta in passato, ma non vuol dire che non possiamo recuperare adesso. Ti prometto, silly, che finché vivrò potrai sempre contare su di me. È vero, siamo lontani, ma tu sei sempre nel mio cuore e nei miei pensieri. Da sempre e per sempre.

Credo che le parole non siani sufficienti a ringraziarti per aver fatto questo viaggio. Hai accettato di venire qui durante le Feste, nonostante la tua famiglia fosse oltreoceano, e sei venuta ad incontrami in una prigione. Non hai idea di cosa abbia significato per me. Sentivo di non valere più niente, di non meritarmi niente. D'altronde uno che finisce dietro le sbarre cosa può pretendere? Quando ti ho scritto per la prima volta, nemmeno pensavo che mi avresti risposto. Ed invece mi hai raggiunto, mi hai trovato nell'oscurità e mi hai preso per mano. Perciò grazie, silly, grazie di cuore.

Vorrei che le circostanze ci permettessero di tenerci in contatto più facilmente. Non hai idea di quanto mi si stringa il cuore al pensiero di non poter essere libero di chiamarti per sentire la tua voce, di mandarti il messaggio della buonanotte o del buongiorno o di scriverti un messaggio di incoraggiamento prima di un tuo esame universitario. E mi dispiace che, durante queste due settimane, non ho potuto essere lì con te giorno dopo giorno per esplorare insieme la nostra California. Ma ti prometto che recupereremo. Non appena potrò, verrò a trovarti in Italia e ti lascerò trascinarmi ovunque vorrai. E se nel frattempo tornerai qui a trovarmi, sarò la tua guida.

E ti abbraccerò, tanto. Non avevo mai dato troppa importanza agli abbracci finché non li ho persi. Ti ricordi, quando ero bambino adoravo stare in braccio a chiunque. Era il mio porto sicuro ma lo davo per scontato. Anche quando persi mia madre, c'era la tua pronta ad accogliermi. Ma, dopo la vostra partenza, rimasi circondato da uomini troppo chiusi nei loro problemi (e nella loro mascolonità) per lasciarsi andare a certe frivolezze. Persino la ragazza con cui stavo durante gli anni delle scuole superiori era troppo sostenuta per gli abbracci. Finché non sei tornata tu, silly, e, anche se i nostri abbracci non potevano essere lunghi, mi hai trasmesso tutto il calore della nostra infanzia. Dentro le tue braccia ho ritrovato il porto sicuro che avevo smarrito da tempo, non mi sono sentito più solo, mi sono sentito di nuovo a casa. Spero che per te sia stato lo stesso.

Se hai rispettato le mie istruzioni, sarai in aereo in questo momento. L'altro giorno mi hai confessato che in realtà hai paura di volare, ma ti costringi ad affrontarla perché non puoi smettere di viaggiare. Bene, silly, se in questo momento avrai paura, chiudi gli occhi e pensami forte. Sarò lì con te, come sempre, a darti forza. In cielo sarai anche più vicina a mia madre e so che lei ti protegge. Perciò non preoccuparti, prendi un respiro profondo. Andrà tutto bene.

Ci rivediamo presto,

Jon.

 

Chiusi gli occhi e pensai a lui instensamente. Era lì accanto a me, da sempre e per sempre.

 

Quella sera, dopo che avemmo finito di cenare, chiesi alla mia famiglia di rimanere seduta al tavolo della cucina.

-Devo parlarvi di una cosa-annunciai.

-Di cosa?-domandò mia madre, intenta a raccogliersi i suoi boccoli d'oro in una coda alta.

-Devi dirci quanti ragazzi ti sei fatta in California?-azzardò Lorenzo ma si beccò un'occhiataccia da parte di nostro padre ed un mio calcio da sotto il tavolo.

-Volevo parlarvi di Jon-conclusi.

-Di Jon?-ripeterono i miei in coro.

-Sì-annuì-Ci siamo ritrovati.

Posai sul piano di legno chiaro la mia striscia di fototessere ed iniziai dal principio. Quando ebbi finito il racconto, i miei genitori si guardarono seri da un capo all'altro del tavolo. Lo sguardo di Lorenzo, i suoi occhi erano verdi come i miei, balzava da un lato all'altro come se stesse guardando un incontro di ping pong.

-Quel ragazzo è rimasto praticamente da solo-sospirò mia madre infine.

-Già-concordai-Ma, ora che l'ho ritrovato, non lo lascerò più solo.

I miei si guardarono di nuovo negli occhi.

Quella sera, prima di andare a dormire, i miei genitori mi richiamarono nel loro ufficio posizionato tra la cucina ed il bagno. Le pareti erano bianche ma il soffitto era affrescato, come quello della loro camera da letto. In molti palazzi storici era lo stesso, anche in quello della famiglia di Rachele e Gianluca.

-Cosa c'è?-chiesi, avvicinandomi alla loro scrivania.

-Hai modo di sentire Jon?-mi domandò mia madre.

-Devo aspettare la prossima volta che mi chiama dalla prigione-risposi-Perché?

-Se lo senti entro questa settimana-annunciò mio padre-Digli che settimana prossima tua madre ed io saremo lì a Los Angeles.

 

 

 

  
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