Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: _aivy_demi_    15/04/2020    35 recensioni
Gli individui sudcoreani di sesso maschile sono tenuti a prestare un totale di due anni di servizio militare, che può essere effettuato tra i 18 e i 28 anni di età.
Jin, 2020, anni 28.
_
Sarà doloroso separarsi dalla sua seconda famiglia, tanto quanto decidere se aprire o meno il proprio cuore al collega più giovane, prima di partire.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Seokjin/ Jin, Kim Taehyung/ V, Min Yoongi/ Suga, Park Jimin
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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When the time will come
Don’t know what to say





Respiro affannato, capelli scuri appiccicati alla fronte ed alle tempie.
Conteggio numerico sbuffato gettando l’aria fuori dai polmoni con sempre maggior fatica.
Resisti, si diceva: resisti, manca poco, manca poco, manca poco. Lo ripeteva nonostante sentisse le forze venir meno, il sangue pompare violentemente nelle tempie e le fibre muscolari spaccarsi. S’era steso a terra completamente senza fiato.
Nulla, Jungkook non sarebbe riuscito a fare una sola flessione di più, non quel giorno. Il ritorno alla normalità lo avrebbe solitamente portato a nuove sessioni di videogaming online, oppure ad oziare e mangiare, mangiare ed oziare. Sarebbe stato meraviglioso.
Semplicemente non ci riusciva.
Si aggrappava al ricordo del tour, accedendo alla playlist di YT ogni qualvolta desiderasse staccare la spina; aveva salvato in una raccolta le fancam, le riprese ufficiali, i video editati di mesi interi di lavoro. Non lo faceva per gonfiare il proprio ego, anzi: ripensava con affetto ai momenti condivisi con i colleghi e con le persone che li sostenevano e supportavano da tutto il mondo.
Solitamente funzionava, ma non quel giorno.
Arrivato al momento in cui lui e Jin cantavano assieme, bloccava il video ed impostava lo schermo intero sospirando; si immergeva nuovamente nella sensazione delle dita lunghe tra i capelli di lui scompigliati dalle coreografie e dall’aria della sera, sfregando piano i polpastrelli tra loro nel tentativo di ricordarne la consistenza. Chiuse gli occhi inspirando ed espirando profondamente, il cuore tumultuoso nella gabbia toracica non solo a causa dell’allenamento. Mimava sottovoce le liriche che avevano accompagnato i loro duetti iniziando a muovere la testa a tempo.
Non si accorse neppure della porta socchiusa e della figura che era appena entrata in palestra.
Continuava stavolta a voce alta ripetendo le rime della propria canzone da solista senza rendersi conto di chi gli si era steso accanto sorridendo.
Quando alzò piano le palpebre scattò all’indietro colto completamente alla sprovvista; un gridolino di sorpresa sfuggì alle sue labbra. «Non farlo mai più. Mi hai spaventato a morte.»
Il collega sbuffò ironico massaggiandosi la testa mugugnando: Yoongi era solito muoversi silenzioso e non chiedere il permesso di entrare. La porta era aperta? Bene, poteva accedervi senza problemi.
«Hanno inventato le serrature, usale se non vuoi essere disturbato.» Cinico come sempre. Stese le gambe magre sul pavimento constatando come le suole delle All Star non arrivassero neppure all’altezza della caviglia di Jungkook: detestava essere così basso, ma s’era rassegnato anni prima.
«Che sei venuto a fare qui?»
Domanda più che lecita la sua.
«I cazzi degli altri.»
«Dì la verità, Yoongi, non mi freghi.»
Come poteva essere così empatico da cogliere subito le sfumature negative della gente? Ancora non se ne capacitava.
«Non ci riesco, avevo bisogno di cambiare aria.»
Jungkook sapeva esattamente cosa intendesse dire l’altro: “non riesco a scrivere, devo uscire dallo studio prima di distruggere il computer contro il muro.” Comprensibile visto il tempo dedicato, gli anni a riversare sangue, sudore e lacrime su fogli e sui quaderni con grafite e penne masticate per il nervosismo.
In tal caso, lasciarlo fare era la cosa migliore per tutti.
«E la tua idea era quella di infilarti in una palestra? Ma se la detesti.» Amava stuzzicarlo e vedere fino a che punto avrebbe resistito senza imprecargli contro. Un modo come un altro per stendere il nervosismo suo e dell’altro. C’era un motivo preciso, lo sapeva, e doveva scoprirlo a tutti i costi anche se non sarebbe stato facile estrarglielo dalla bocca. Yoongi era introverso ed enigmatico, spesso non parlava volentieri.
«Allora, sai qualcosa?»
Una domanda scomoda la sua, una domanda che gli altri membri del gruppo non avevano ancora avuto il coraggio di porgli. Lui invece sì.
Jungkook poggiò stancamente le braccia sulle ginocchia scuotendo la testa; certo che no, lui non sapeva ancora nulla e la faccenda lo stava esasperando. Non voleva darlo certo a vedere, ma spesso si ritrovava a fissare il vuoto chiedendosi quando sarebbe successo.

Quando Jin avrebbe lasciato il gruppo per intraprendere il servizio di leva obbligatoria.
Una fastidiosa sensazione di nausea si impossessò del suo stomaco, violenta, pungente, fisica. Deglutì un paio di volte inspirando ed espirando profondamente.
«Ehi, tutto bene?» La lieve apprensione nel tono della voce dell’amico lo riportò al presente, alle iridi scure che fissavano i brividi sugli avambracci; no, non andava bene per niente ma non voleva far preoccupare nessuno. Stupida conclusione la sua, vista la vicinanza di tutti gli altri, la convivenza, gli anni di lavoro alle spalle; cercare di nascondere quel miscuglio di sensazioni non gli stava facendo affatto bene.
«Ascolta il mio consiglio, dovresti parlarne con lui. È per il vostro bene.»
Se Jungkook non fosse stato impegnato ad evitare di rimettere succhi gastrici sul parquet probabilmente avrebbe dato la giusta attenzione alle parole utilizzate dall’altro: non “suo” bene, bensì “vostro”. Denotava quanto Yoongi fosse preoccupato non solo per lui ma anche per Jin stesso.
Perché lui sapeva, leggeva tra le righe; li aveva osservati con calma mentre si scambiavano sguardi rapidi tentando di non farsi scoprire nel cercarsi tra tutti, nascondendosi alla minima reazione degli altri. Era in grado di cogliere l’imbarazzo, il disagio, e non capiva perché non si fossero ancora fatti avanti. Erano tanto palesi da sembrare ridicoli ed era convinto di non essere l’unico ad essersene accorto; soltanto i due coinvolti sembravano non capirlo.
«Idioti.»
«Cosa?»
Credeva d’averlo soltanto pensato, invece a quanto pare le parole erano uscite di bocca in maniera quasi naturale. Chissà, forse parlandogliene gli avrebbe dato una spinta nella giusta direzione; un calcio nel posteriore più che una spinta.
«Cosa faresti?» Forse fargli fare un esamino di coscienza sarebbe stata la cosa migliore. Unire il suo bisogno di staccarsi da tutto per quel pomeriggio e riuscire a scuotere un po’ la mente di quel ragazzo potevano incastrarsi alla perfezione. «Dico, cosa faresti se Jin te lo dicesse adesso?»
Il collo dell’altro scattò nervoso in direzione di Yoongi: non si aspettava certo una domanda a bruciapelo, in palestra, seduti sul pavimento di legno levigato. Non era pronto a rispondere a una cosa simile senza avere un minimo di preparazione. Preparazione per cosa poi? Era dall’inizio dell’anno che ci pensava spesso, fin troppo. I suoi neuroni avevano lavorato così tante volte ad una risposta verosimile, ad una versione da poter raccontare ai colleghi. Non era mai riuscito a formularne una che non prevedesse un “ne morirei…”. E con quella consapevolezza strinse il labbro tra i denti mantenendo le palpebre il più spalancate possibile, perché sapeva che se mai avesse serrato le iridi in quel momento, sarebbero scese le lacrime.
Yoongi tentò di sfiorarlo per rincuorarlo in qualche modo; sapeva del bisogno di fisicità di Jungkook nel tentare di superare i momenti più difficili. Non era certo come lui, che odiava essere anche solo sfiorato. L’istinto lo portò a chiudere una mano sulla sua spalla massaggiandola in modo malfermo, palesemente a disagio. Poco importava, ci stava provando almeno.
E visti i singhiozzi silenziosi dell’altro, seppe d’esserci riuscito.


Yoongi digitò rapido poche parole sullo smartphone, spedì il messaggio ed attese. Dopo aver fatto compagnia a Jungkook per un tempo che gli era parso interminabile sussurrò qualcosa come “sono qui se hai bisogno, anche se non so esattamente cosa dire.” Lo aveva esternato con tutto il garbo che il proprio carattere permetteva, ma la risposta non arrivò: il ragazzo aveva affondato la testa tra le braccia, la fronte sulle ginocchia, e non aveva più detto nulla.
Uscì e contattò l’unica persona che riusciva a distrarlo dal proprio malumore; era evaso dallo studio per non pensare al lavoro, aveva raggiunto un amico che s’era incupito anche solo a guardarlo e stava tornando in quelle quattro mura in cui poteva chiudersi a chiave per poi avere a che fare con Hoseok. Collega fidato, impiccione cronico, amico fedele. Inspirò sedendosi alla sedia della scrivania scaraventando sul tavolo a fianco i block notes con decine di frasi scribacchiate: tagli netti di inchiostro avevano tentato di cancellare quei testi mancati, davvero la concentrazione non era dalla sua quel giorno.
La faccenda “Jin” stava diventando pesante perché i mesi continuavano a scorrere e la tensione cominciava a farsi fisica tra loro; aveva visto Jimin e Taehyung fermarsi spesso a parlare con lui, ma aveva preferito non dargli peso. Quei due erano tali impiccioni, sicuramente avevano scovato un qualsiasi motivo per stressarlo, ma poco importava. Hoseok invece era diverso: non che fosse più discreto, anzi, ma aveva la capacità di comprendere quando fermarsi e fare un passo indietro.
Capacità davvero rara nel loro mondo.
Comunque di una cosa era certo: Jungkook non sapeva ancora nulla, Jin stava mantenendo il silenzio stampa sulla faccenda e lui era consapevole di un fatto più che ovvio: se l’equilibrio fosse venuto a mancare ne avrebbero risentito tutti prima o poi e questo avrebbe significato soltanto guai.

 

 

   
 
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