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Autore: LB Shadow    16/04/2020    0 recensioni
Questa storia partecipa al "Fables Challenge" indetta dal Giardino di EFP
Prompt 20: Pinocchio
*
"Nessun sole splende per me
Nessun seno ha pianto latte
Nella mia gola è infilato un tubo
Non ho l’ombelico sulla pancia
Madre
Non ho potuto leccare nessun capezzolo
e nessuna piega per nascondersi
Nessuno mi ha dato un nome
Generato in fretta e senza sperma
Alla madre che non mi ha mai partorito
ho giurato stanotte
Le regalerò una malattia
e poi la farò sparire nel fiume"
(trad. da "Mutter", Rammstein)
Se la vita in sé è guidata dall'individualismo, allora darne inizio ad una nuova è il gesto più enormemente egoista che una persona possa compiere. Con il passare delle epoche, la maschera si ripete nella sua forma di dedizione gratuita guidata da un fantomatico istinto naturale.
E talvolta si sgretola, precipitando ciò che sta sotto nell'oscurità.
Genere: Dark, Malinconico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Reborn

 

Nello schermo baluginavano veloci le immagini della pubblicità, con un’allegra musichetta ad accompagnarle. Tutto intorno era buio. Solo la televisione accesa dava un minimo di luce alla stanza, colorando innaturalmente il volto della donna che la stava osservando, immobile, ipnotizzata. La spettatrice ideale di quello spot.

C’era un’altra donna, al di là della telecamera, in un altro mondo dove tutti i desideri si realizzano e non esiste l’attesa. Una volta, tanto tempo fa, correva voce che tale luogo esistesse realmente: “Il paese dei balocchi”, lo chiamavano.

Il primo Pinocchio c’era stato.

Ora chissà se esisteva ancora o se si era estinto nel tempo, complice il boom economico e la trasformazione dei bisogni e dei consumi e delle scelte quotidiane. Chissà se qualche bambino avrebbe voluto ancora andarci marinando la scuola. Chissà quali giochi avrebbe contenuto. Chissà se avrebbe accolto solo giovanissime anime al suo interno, o se il suo incanto avrebbe catturato anche gli adulti.

Al termine della pubblicità balzò al centro della scena il nome del prodotto e il numero da comporre per poterlo ricevere comodamente a casa. La donna davanti al televisore conosceva entrambi a memoria. La sua controparte satellitare non smetteva di sorridere, tenendo in braccio quello che sembrava un bambino, sorridente anch’esso.


PINOCCHIO PREMIUM VERSION ULTRA REAL

Sconto del 20% per le prime 100 telefonate! Affrettatevi!


La donna al buio sorrise timidamente anche lei; aveva telefonato e ordinato già una settimana prima, questione di giorni e sarebbe arrivato il pacco.

Grosse lacrime le apparvero agli angoli degli occhi, ma fu rapida a scacciarle.

 

La Pinocchio S.p.A. era un’innovativa fabbrica di bambole, ma ridurla a questa nomea sarebbe riduttivo: ciò che usciva da lì erano in tutto e per tutto simili a bimbi veri. Piccoli corpi super realistici, dalla pelle di seta e gli occhi come stelle. Il fondatore, tale Mastro Geppetto, ci aveva fatto la sua fortuna un secolo prima. Dapprima le bambole erano state create dal nudo legno, ma con l’evoluzione dell’industria chimica si era passati a materiali più efficienti e simili al corpo umano. Stoffa, lana, cotone, plastica, lycra… la produzione era passata al figlio unico del maestro, Pinocchio, da cui il tutto aveva preso il nome. Pinocchio era stato il primo. Non era neppure una bambola, ma un burattino di legno come ne esistevano tanti al tempo, un ciocco di legno intagliato a dovere con al suo interno l’anima di un bambino.

Dopo di lui ce n’erano stati mille e mille altri.

Cent’anni dopo, i discendenti di Geppetto venivano distribuiti in larga scala a chi ne facesse richiesta. Pupazzi di ogni dimensione, età, razza, sesso, per chiunque non possedesse abbastanza soldi da spendere per un figlio concepito nella maniera più naturale. Questa era la cosa migliore dei prodotti della Pinocchio S.p.A.: la legge non li considerava persone, non prima dello scatto, e perciò erano di gran lunga più semplici da mantenere che dei bambini umani. Non c’erano i costi e le lunghe traversie burocratiche per l’adozione. Non c’erano malattie che potessero colpirli. Non avevano realmente bisogno di cibo. Non avevano diritti formali.

Prima dello scatto non li si considerava neppure come esseri viventi, ma le persone che li prendevano con sé solitamente non ci badavano. Come Mastro Geppetto, avevano tanto amore da dare alla bambola di turno e davano loro da mangiare alimenti specifici per la fascia d’età, redigevano diete e leggevano libri sull’educazione parentale, li portavano dal pediatra, compravano loro vestiti di marca. Facevano tutto per renderli simili ai bambini che non potevano avere. Molto spesso la gente scambiava i Pinocchi per reali, specialmente se in forma di neonati. Quando scoprivano cosa fossero in realtà, la reazione generale era di stizza per non essersene accorti prima. Come mai un pupazzo dovrebbe occupare un posto in fila per il pronto soccorso?, chiedevano o si meravigliavano che venissero portati al parco giochi. Chi possedeva il Pinocchio alzava le spalle e sorrideva compiaciuto, quello era suo figlio, avrebbe voluto rispondere, e il fatto che l’avesse scambiato per umano era un punto a favore per la tesi più importante.

Ovvero che non ci fosse differenza tra i Pinocchi e i bambini veri.

La donna davanti alla televisione lo sapeva bene che gli altri l’avrebbero guardata male, ancora di più di quanto non facessero adesso. Facevano sempre così con le donne sole che decidevano di prendersi un Pinocchio, le consideravano egoiste, isteriche, madri mancate. Era già accaduto con suo marito, il quale aveva preferito andarsene. Perché, poi? Per non essere stata capace di dargli un figlio? Ma ci aveva provato, Dio solo sa se ci aveva provato, mesi e anni pregando di ricevere il miracolo, elisir di fertilità, peregrinaggi in altre nazioni in cui centinaia di persone chiedevano grazie, decine di voci lamentose e tra le altre la sua, in cui implorava l’arrivo di una nuova vita. Tutto inutile. Alla fine aveva persino provato ad accennare all’adozione, ma lui era già stufo di aspettare e aveva rifiutato. Un mese dopo aveva chiesto la separazione.

Non navigavano certo nell’oro, ma un bimbo li avrebbe certamente arricchiti in un modo che il denaro non può fare. Avrebbe recuperato l’amore che provavano l’uno per l’altro, ristabilito l’equilibrio e restituito a lei il suo ruolo di moglie e madre. Ora non era né uno né l’altro. Era sola, con il grembo vuoto e la casa immersa nell’oscurità, con solo lo spot del Pinocchio che si ripeteva nella registrazione a farle compagnia.

Ma non per molto.

 

Cinque giorni dopo, arrivò finalmente il pacco. La donna stava aspettando il corriere sin dalle prime luci dell’alba e, quando il ragazzetto annunciò di avere qualcosa per lei, glielo strappò letteralmente di mano. Una firma velocissima sulla raccomandata, poi via, si torna a casa, dove non è più così buio e vuoto, non più. La donna posò con delicatezza infinita il pacco per terra. Prese un taglierino, aprì il lembo di cartone con uno squarcio secco, si liberò del polistirolo e della confezione di plastica semi opaca che avvolgeva l’oggetto della sua brama. Eccolo lì. Finalmente.

Un bambolotto alto poco più di un metro, nudo, dai lineamenti finissimi. Aveva i capelli scuri, lisci, le lunghe ciglia nere sugli occhi chiusi, una boccuccia di rosa che aspettava solo di chiamarla “Mamma”. Al suo fianco c’erano, ben piegati, una magliettina e dei pantaloncini di jeans, calzetti e un paio di sneakers, il tutto prodotto in serie. Poteva sembrare come una di quelle con cui giocava da bambina lei, da vestire e nutrire e cullare e che ruttavano se davi loro una pacca sulla schiena. A differenza loro, però, questo era decisamente più definito. Poteva sembrare un meraviglioso cadaverino, di quelli passati sotto alla mano del truccatore delle pompe funebri, in modo da dargli una parvenza di vita nel corpo esanime.

− Benvenuto a casa, amore mio. – mormorò la donna, lasciando che stavolta le lacrime scorressero libere.

Lo mise in piedi ed esso ci rimase, in equilibrio da sonnambulo. Lo vestì con cura, ignorando i vestitini scialbi che avevano inserito nella confezione e facendogli indossare alcuni presi appositamente per lui giorni prima. La commessa era rimasta sorpresa quando aveva saputo dirle le misure precise ma non l’età del bambino.

− Sa – le aveva detto – non mi è ancora arrivato.

Ora che ce l’aveva davanti poteva dire che aveva all’incirca cinque, massimo sei anni. Bello come i bimbi delle pubblicità, anzi di più, perché senza difetto alcuno. C’erano Pinocchi con difettucci fisici appositamente scelti per amore del verismo, come orecchie a sventola, nei sul volto, lentiggini, denti sporgenti, gambe leggermente storte, e via dicendo, ma non questo. Lo voleva perfetto come un angelo e così l’aveva ricevuto.

Quando fu pronto, vestito con camicetta azzurra a maniche corte, braghette di velluto al ginocchio, calzini lunghi e scarpette di vernice, fu ora di svegliarlo.

Non era difficile: bastava scrollarlo gentilmente, come da un lungo sonno. La bambola aprì gli occhi piano, dapprima disorientato, e spalancò la boccuccia in un enorme sbadiglio che commosse la nuova madre.

− Come sei dolce! – esclamò lei, in procinto di mettersi nuovamente a piangere per la gioia. – Ciao. Io sono la mamma.

La bambola la guardò con i suoi occhi super realistici. Stava evidentemente analizzando le informazioni di quel nuovo ambiente.

− Ciao mamma – rispose con tono meccanico. La donna lo abbracciò stretto e lui ricambiò goffamente. – Come mi chiamo, mamma?

− Oh, giusto, il nome. – la donna si staccò dal figlio. – Hai bisogno di un nome anche adesso, giusto? Non solo dopo lo scatto. Ho deciso che ti chiamerò Noah. Ti piace? Significa “colui che porta la pace e consola”, perché è quello che farai qui.

La bambola annuì. Al momento la sua coscienza era pari a quella di un robot: intelligenza artificiale, evolutissima ma pur sempre artificiale. C’erano stati alcuni casi in cui il Pinocchio aveva cominciato a credersi umano pur senza lo scatto; in tali occasioni la scelta spettava sempre ai genitori o a chi lo aveva acquistato. Certe cose non si facevano (e non si potevano fare legalmente) senza pensarci sopra seriamente.

Noah cominciò quindi la sua vita da Pinocchio nella sua nuova casa, conquistando sempre più naturalezza nei gesti e nei movimenti come nel linguaggio, accondiscendendo alle richieste della mamma. Mangiava e dormiva al suo comando, senza mai chiedere nulla, e la cosa la infastidiva: si è mai visto un bambino di quell’età non fare mai i capricci? La differenza con i bimbi veri si faceva sempre più insopportabile man mano che Noah diveniva simile a loro, sotto l’educazione attenta della madre. Le altre mamme a scuola e al parco notavano subito che lui non era che un fantoccio. La donna lo sapeva, le sentiva le loro occhiate, le battute sarcastiche, la distanza che intercorreva tra di loro.

Decise quindi che fosse ora per una certa chiamata.

Attese che arrivasse la sera, mandò a dormire il bambino e si mise al telefono. Conosceva il numero a memoria, avendolo letto decine di volte sullo spot nel buio della sua casa. Uno squillo, due, tre, quattro e al quinto una dolce voce femminile registrata disse di digitare il numero dedicato al servizio che si desiderava. La donna premette il pulsante sul telefono e attese nuovamente, ora con una musichetta allegra in sottofondo, la stessa della pubblicità.

− Buonasera, qui parla la Fata Turchina, ventiquattro ore su ventiquattro al servizio vostro e del vostro Pinocchio. Cosa desidera

La donna sospirò di sollievo. Finalmente.

− Salve. Vorrei attivare lo scatto per il mio bamb… Pinocchio.

− Nessun problema, signora. Mi dà i dati del piccolo?

La donna glieli fornì all’istante. Com’era gentile la Fata Turchina! Esattamente come la pubblicizzavano alla televisione, comprendeva come per le madri come lei quelli non fossero semplici pupazzi ma veri e propri figli…

− Mi dispiace, signora. – la voce dall’altro capo la raggelò. – Dai nostri registri risulta che il suo Pinocchio è nella fascia d’età Kid One. Ciò significa che prima di poter richiedere lo scatto devono passare almeno tre anni dall’acquisto e nel suo caso sono trascorsi solo sei mesi.

− Non posso aspettare tanto! – strillò la donna, tappandosi subito la bocca. C’era la possibilità di svegliare Noah.

− È una scelta della direzione, non so che dirle. Stia tranquilla, però, il Pinocchio non cresce prima dello scatto quindi non c’è il rischio che perda i più begli anni della sua vita…

− Ma perché? Ho conosciuto mamme a cui gliel’hanno fatto praticamente subito!

− È rischioso farlo se il Pinocchio è immaturo. Probabilmente nel caso delle sue conoscenti si trattava di Pinocchi neonati o al massimo di un anno. Già dai due anni i tempi di attesa si allungano sensibilmente.

− Voi non volete far diventare mio figlio un bambino vero!

La voce della Fata Turchina si fece gelida.

− Signora, mi ascolti bene. Se le dico che è rischioso può fidarsi della mia parola. L’ho sperimentato sulla mia pelle. Su questi nuovi Pinocchi è se possibile ancora più pericoloso, rischia di sconvolgere la psiche del…

Ma la donna già non ascoltava più. Mise giù il telefono, con la gola in fiamme e i denti digrignati in una smorfia bestiale. Maledetta. Maledetta! Non voleva che lei avesse un bambino come tutte le altre madri di questo mondo! Era come il destino, come quel Dio sordo che per tanti anni le aveva negato la gioia di divenire portatrice di vita! Lei però aveva un altro asso nella manica.

Se per ottenere quello che voleva avrebbe dovuto andare contro le regole, l’avrebbe fatto.

 

Internet è un luogo splendido quanto insidioso: con le competenze giuste si possono trovare sia i punti più alti che gli abissi della conoscenza umana. Una donna in preda alla disperazione sa come raggiungere entrambi.

Come sospettava, dopo ore e ore di navigazione era riuscita a trovare ciò che andava cercando: un sito che promettesse di fare ciò che solo la Pinocchio S.p.A. era disponibile a fare. Dentro di esso si piratavano bambole a prezzi vergognosamente bassi, sicuramente prodotte all’estero, di qualità infima, ma non erano quelle a cui lei era interessata. Ciò a cui puntava era la fase successiva.

Attese nuovamente la sera per fare ciò che doveva: Noah stava per andare a letto, quando lo chiamò a sé. Non fu difficile metterlo fuori gioco, condizione necessaria per la trasformazione. Poco tempo, molta precisione. Con il primo Pinocchio si era gridato al miracolo, con questi esserini tutto si era semplificato tanto che si poteva paragonare lo scatto al download di un software, più che alla concessione di un’anima ad un pupazzo. Gioie dell’evoluzione tecnologica.

Come sempre, in sottofondo c’era la registrazione dello spot con la sua consueta musichetta a farli compagnia mentre avveniva l’impossibile.

Terminato il processo, la donna mise il figlio a dormire e gli rimboccò le coperte, dopo avergli posato un bacio sulla fronte di velluto, quindi se ne andò in camera sua e si addormentò anch’essa, felice.

Il giorno dopo Noah era divenuto “un bambino vero”.

− Come stai, tesoro? – gli domandò la mamma appena sveglio, troneggiando su di lui. Noah non le rispose, osservandola come se fosse la prima volta che la vedeva.

− Bene. – mormorò alla fine. Si ritrovava improvvisamente in una vita ignota, senza che nessuno gli avesse chiesto nulla.

− Vuoi fare colazione?

Noah sentì per la prima volta l’istinto della fame e annuì, mentre un terrore ancestrale saliva dal suo cuore nuovo di zecca.

 

La donna scoppiava di gioia e lo si vedeva ogni giorno. Anche le altre mamme lo notavano e si complimentavano con lei, stupendosi che il ragazzino avesse compiuto lo scatto così in breve tempo. Qualcuna osava addirittura sollevare dei dubbi riguardo.

− Sciocchezze – sibilava la donna – È tutto regolare. Mio figlio è totalmente normale!

E nessuno azzardava più a dire nulla.

 

I giorni passavano e se la mamma non faceva che dimostrare la sua eterna contentezza con continui sorrisi al limite dell’isterismo, Noah diveniva sempre più chiuso. Da Pinocchio esemplare che assorbiva tutti gli stimoli possibili, era diventato un bimbo apatico e silenzioso. Nessun problema, secondo la madre, tra pochi mesi al massimo sarebbe tornato come nuovo.

Erano andati assieme in centro per qualche compere, quasi tutte incentrate sul bambino, con vestiti per lui, cibo che piaceva a lui, materiale scolastico per lui. La madre non aveva occhi che per quella creaturina che poteva chiamare suo figlio.

Stavano camminando verso casa, quando la donna scorse un uomo alla fine del marciapiede. Era l’ex marito.

Impazzì totalmente.

Si mise a urlare e a sbracciarsi, con Noah ancora mano nella mano con lei, sballottato assieme alle borse della spesa, e l’ex raggelato sul marciapiede. Era uno spettacolo orribile, ma non poteva accorgersene.

− Tesoro! Hai visto?! – gridò all’uomo – Hai visto?! Abbiamo un figlio adesso! Noah, dì ciao a tuo padre!

E il piccolo Noah lanciò un’occhiata affranta allo sconosciuto. La mamma aveva parlato decine di volte di lui, descrivendolo nei minimi particolari e promettendo che un giorno sarebbe tornato a casa, ora che c’era un bambino nella loro vita, ora che lei era diventata una donna completa, ora che lo avrebbe reso un marito felice e sarebbero stati una famiglia perfetta.

− Mio caro! Amore mio! – ululava lei. Noah nello sballottamento riuscì a sfuggire alla sua presa e si mise a correre, via, verso quell’uomo che ancora non si capacitava della situazione e condivideva lo stesso terrore intimo. Il “padre”, vedendolo scappare nella sua direzione, si scosse dal torpore e fece velocemente dietrofront. Giusto in tempo, perché la donna aveva frainteso le intenzioni del bambino e lo aveva riacciuffato, continuando per lui la corsa, appesantita dalle borse e dal peso del piccolo. L’uomo riuscì a dileguarsi, lasciando indietro l’ex moglie e l’ex Pinocchio.

− Ci dev’essere lei – sbraitò la donna – La sua nuova puttana! Ci ha abbandonati per lei, lo sai?

Noah non capiva, non sapeva neppure cosa c’entrasse quel poveraccio o cosa significasse “puttana”. Disse solo: − Ti voglio bene, mamma.

Sapeva di poterla calmare, così.

La donna rispose: − Ma è ovvio che mi vuoi bene, Noah. Sono tua madre e tu sei il mio bambino.

Ma Noah non era così sicuro.

 

La donna davanti al televisore, riguardando sempre lo stesso spot con l’ultimo Pinocchio messo in produzione, era certa di alcune cose.

Primo: molti la odiavano perché non era riuscita a concepire naturalmente un figlio.

Secondo: ora lei era una vera Donna e vera Madre, così come il suo era un vero Bambino e non più un bambolotto.

Terzo: in qualità di Madre aveva sempre ragione.

Ma se aveva sempre ragione, perché era successo? Perché, quando era entrata in camera di Noah, aveva visto il coltello più grande della cucina sul letto e il bimbo con il polso squarciato, tornato alla sua essenza di bambolotto, gli occhi vitrei e semichiusi, la boccuccia a cuore, ora imperfetto rispetto a come era uscito dalla confezione perché inondato di sangue e non rispondeva neanche più se lo si scuoteva, gentilmente o con più forza.

Un biglietto sul comodino: “Non voglio più essere un bambino”.

Aveva scoperto il vantaggio supremo del possedere una vita: avere il potere di togliersela. La donna era delusa, davanti al televisore, illuminata innaturalmente dai soli suoi colori e luci, spettatrice perfetta dello spot.

Noah le aveva disobbedito. Noah le aveva mancato di rispetto togliendosi la vita così, senza chiederle il permesso. Così poco tempo da bimbo vero e già si era stufato, quel viziatello.

Sospirò.

Essere madre era così difficile.

   
 
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