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Autore: Soul Mancini    17/04/2020    3 recensioni
[Sequel di "It shouldn't bother me".]
“E così sei omofobo.”
Jim, che si era attardato sul tour bus per recuperare una giacca da mettersi addosso, quasi sobbalzò nell’udire quelle parole inaspettate; smise di rovistare nella sua disordinata valigia e si voltò, ritrovandosi faccia a faccia con Bill. […]
“Veramente non l’ho mai detto, cosa te lo fa pensare?” replicò il chitarrista senza fare una piega, gettandosi la giacca sulle spalle. Era già sul punto di uscire, quella conversazione non gli interessava minimamente, ma Bill non accennava a muoversi e gli bloccava il passaggio.
“Roddy mi ha raccontato tutto. Non sei stato molto carino con lui.” Bill affilò lo sguardo per un istante, anche se tentava in tutti i modi di restare distaccato.
Jim inarcò un sopracciglio. “E cosa ti avrebbe detto?”
“Di quel giorno che avete condiviso la camera e tu non eri per niente contento perché lui è gay e avevi paura che ci provasse con te. Cazzo, ma ti rendi conto di quanto sei stato stronzo?” spiegò Bill gesticolando.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash | Personaggi: Bill Gould, Jim Martin, Mike Bordin, Mike Patton, Roddy Bottum
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Now everything’s ruined
 
 
 
 
 
“E così sei omofobo.”
Jim, che si era attardato sul tour bus per recuperare una giacca da mettersi addosso, quasi sobbalzò nell’udire quelle parole inaspettate; smise di rovistare nella sua disordinata valigia e si voltò, ritrovandosi faccia a faccia con Bill.
Il bassista stava fermo all’ingresso, con le braccia incrociate sul petto e lo sguardo fisso su di lui, serio e imperscrutabile.
Erano soli, gli altri avevano approfittato della pausa per prendere aria e andare a ristorarsi al bar della stazione di servizio.
“Veramente non l’ho mai detto, cosa te lo fa pensare?” replicò il chitarrista senza fare una piega, gettandosi la giacca sulle spalle. Era già sul punto di uscire, quella conversazione non gli interessava minimamente, ma Bill non accennava a muoversi e gli bloccava il passaggio.
“Roddy mi ha raccontato tutto. Non sei stato molto carino con lui.” Bill affilò lo sguardo per un istante, anche se tentava in tutti i modi di restare distaccato.
Jim inarcò un sopracciglio. “E cosa ti avrebbe detto?”
“Di quel giorno che avete condiviso la camera e tu non eri per niente contento perché lui è gay e avevi paura che ci provasse con te. Cazzo, ma ti rendi conto di quanto sei stato stronzo?” spiegò Bill gesticolando.
A quelle parole, Jim dovette prendere un paio di respiri profondi per mantenere la calma. Okay, qualche giorno prima aveva dovuto dormire insieme a Roddy e la cosa l’aveva messo piuttosto a disagio, anche a causa dell’omosessualità del tastierista, ma loro due avevano parlato e pensava che le cose si fossero risolte. Invece ecco che saltava fuori questa storia dell’omofobia, completamente inventata e per giunta portata avanti da Bill, che con l’intera faccenda non aveva nulla a che vedere.
Il chitarrista dovette pensarci qualche istante prima di rispondere, voleva provare a essere razionale e uscire da quella situazione senza incazzarsi e dar vita a inutili liti. “Mmh… Roddy ci è rimasto male?”
“Penso di no, però…”
“E a te la cosa interessa?”
Bill aggrottò le sopracciglia. “Non in prima persona.”
“Bene,” lo interruppe nuovamente Jim, facendo qualche passo avanti, “fine della conversazione. Adesso posso uscire?”
L’altro sospirò e si passò una mano tra i lunghi capelli. “Se vuoi. Comunque sappi che mi disgusta abbastanza avere un omofobo del cazzo nella band.”
Il chitarrista sbuffò; stava cominciando a perdere le staffe. “Non ho mai detto che sono omofobo, e poi tu che cazzo c’entri?”
Fuori dal tour bus cominciavano a farsi più vicine le voci degli altri ragazzi, segno che presto sarebbero risaliti a bordo e la pausa stava scivolando via in fretta.
“Cosa c’entro? Beh, Roddy è un mio amico e anche tu lo sei, quindi sono rimasto davvero scioccato quando mi ha raccontato cosa gli hai detto” ammise il bassista.
“Ma vi siete bevuti il cervello tutti e due! Questa deve avervela suggerita Patton, altrimenti non me lo spiego… posso uscire, porca puttana? Sto perdendo tempo prezioso che potrei usare in altri modi.”
“Scusa se te lo dico, ma Patton sarebbe stato meno stronzo in quell’occasione.” Bill fece un passo indietro, finalmente disposto a farlo passare, ma la reazione di Jim lo lasciò senza fiato: il chitarrista infatti, gli occhi fiammeggianti di rabbia, gli si era piazzato di fronte e gli aveva afferrato un braccio.
Bill non l’aveva mai visto così irato, era abituato al fatto che Jim incassasse le provocazioni senza battere ciglio, ma forse quella volta aveva tirato un po’ troppo la corda.
“Chiariamo le cose” sibilò il più grande con fare minaccioso. “Innanzitutto stai fuori dalle questioni che non ti riguardano, Roddy non ha bisogno di un avvocato. Seconda cosa: non mettermi in bocca parole che non ho detto, come sei abituato a fare tu, perché non ho voglia di dover porre rimedio alle stronzate che combini alle mie spalle.”
Dopo un momento di sorpresa, Bill si divincolò dalla presa di Jim e si strinse nelle spalle. “Va bene, non mi interessa, era giusto per dire. Fai come preferisci” chiosò con indifferenza.
“Ah, era giusto per dire… bene, la prossima volta allora stai zitto!”
“Non vuoi che ti si dica in faccia la verità, eh?” lo sfidò nuovamente Bill. Dopotutto si stava divertendo, lo doveva ammettere.
Ma Jim non era dello stesso avviso e in un istante gli fu nuovamente addosso, sovrastandolo di diversi centimetri; ormai era fuori controllo, il bassista gli stava dando sui nervi e non reggeva più le sue insinuazioni.
Stava per spingere Bill all’indietro e scaraventarlo fuori dal tour bus, quando un trafelato Puffy si intromise nel tentativo di separarli. “Basta, ma che cazzo vi salta in mente?!” esclamò, trascinando Jim qualche passo più indietro.
Bill tirò un sospiro: tempismo perfetto. Per un attimo aveva temuto che Jim l’avrebbe ucciso.
“Attento a quello che dici, Gould” intimò il chitarrista, lanciando un’ultima occhiata di fuoco all’altro mentre anche Mike e Roddy facevano il loro ingresso sul tour bus.
Bill si limitò a fare spallucce e poi si voltò verso cantante e tastierista, riprendendo a chiacchierare come se niente fosse.
Puffy mollò la presa su Jim e gli lanciò un’occhiata perplessa. “Che cazzo fai?”
Ma l’altro non rispose, si limitò a correre verso l’uscita del tour bus e accendersi una sigaretta con movimenti nervosi; a nulla valsero i tentativi degli altri di fermarlo e avvertirlo che era ora di ripartire.
Aveva bisogno di qualche minuto da solo per sbollire la rabbia.
 
 
A irritarlo non era stato il fatto che Bill avesse messo in fila una serie di cazzate sul suo conto – ormai era abituato a certe cose, conosceva il bassista da anni –, quanto il fatto che Roddy fosse andato a raccontare ciò che era successo in quella camera. Sapeva che il tastierista non l’avrebbe mai fatto per male e che lui, insieme a Bill e Puffy, formavano un trio molto compatto e affiatato, ma non voleva che certe cose si diffondessero. Era già morto dall’imbarazzo quella volta, ma pensava che la cosa fosse andata a finire così.
E sì, forse un po’ si era offeso. D’accordo, se l’era presa parecchio; le parole di Bill gli avevano fatto male ed era per quello che era scattato in quel modo, al posto di lasciarsi scivolare addosso le provocazioni.
Non poteva negarlo, gli importava di Roddy e non voleva che si mettesse in testa strane idee: lui non era omofobo, non odiava il tastierista perché era gay, solo che…
L’idea che Roddy potesse provarci con lui gli metteva i brividi.
Ma non riusciva a capire se di disgusto o di piacere.
Jim scosse la testa, come a scacciare quei pensieri scomodi, mentre entrava nella hall dell’ennesimo albergo insieme al resto della band. Quel tour si stava trasformando in un estenuante caleidoscopio di hotel tutti uguali, concerti tutti uguali e giornate tutte uguali passate a perdere tempo, interrotte solo dalle discussioni e gli scherzi di poco gusto.
“Ehi Jim, a che pensi?”
Il chitarrista cadde dalle nuvole quando si ritrovò Roddy accanto che gli sorrideva appena.
“Eh? No, niente, stavo solo pensando a quando gli alieni riusciranno ad arrivare sulla Terra e ci uccideranno tutti, oppure faranno su di noi esperimenti genetici. Tu quale opzione preferiresti?”
Roddy storse il naso. “E se invece ci stuprassero?”
“Ragazzi!” attirò la loro attenzione il tour manager; stringeva tra le mani diverse chiavi e consultava un foglio con alcune annotazioni. “Anche stavolta vi ho sistemato in una camera doppia e una tripla, vi va bene?”
Roddy fu il primo ad annuire. “Allora, come ci dividiamo?”
“Veramente io vorrei una singola.”
Nella hall calò il silenzio e tutti gli sguardi si concentrarono su Jim.
“Vabbè, anche io vorrei tornare a casa mia e mandare a fanculo il tour, ma non si può avere tutto nella vita” commentò Mike dopo qualche secondo.
“Non ho intenzione di dormire con nessun altro, voglio una singola” ribadì il chitarrista in tono irremovibile.
“Senti,” prese nuovamente la parola il tour manager, “siete un gruppo emergente e non siete certo nella posizione di decidere la sistemazione, magari se ne riparlerà quando avrete venduto un numero di dischi…”
Ma Jim aveva smesso di ascoltare nel momento in cui si era accorto dell’insistente occhiata di Bill, che ricambiò senza esitazioni.
Forse in quel modo stava solo dando adito alle parole del bassista, ma non gli importava. Non voleva condividere la stanza con nessuno, tanto meno con Roddy, dato che questo avrebbe implicato doverlo affrontare.
“Cazzo, riusciamo a risolvere la questione in tempi decenti? O rimaniamo direttamente a dormire sui divanetti della hall?” sbottò Mike, rompendo nuovamente il silenzio che si era andato a creare, pesante e carico di tensione.
“Va bene, facciamo così: dormo io con Jim” intervenne Puffy con un sospiro stanco. Mosse qualche passo verso il tour manager e afferrò le chiavi della stanza doppia che gli porgeva, poi si voltò verso Jim e lo invitò a seguirlo con un cenno.
L’altro decise di non protestare oltre e gli fu subito dietro, mentre si dirigeva verso il vano dell’ascensore.
“Che coglione” sibilò Bill tra i denti, stando ben attento che il chitarrista non lo sentisse.
“Vabbè, io nel dubbio prendo le scale.” Mike recuperò le chiavi della stanza che avrebbe condiviso con Bill e Roddy e lesse il numero inciso sulla targhetta. “306. Terzo piano, okay” rifletté tra sé, mentre camminava verso l’imboccatura delle scale.
Roddy e Bill si scambiarono un’occhiata e lo seguirono, pronti ad affrontare insieme a lui tre piani di gradini a piedi.
“Ma si può sapere cos’è successo a Jim?” domandò il tastierista, la sua voce rimbombò tra le pareti spoglie insieme ai loro passi.
“È quello che mi chiedo da quando l’ho conosciuto” ribatté prontamente Mike in tono ironico.
Bill ridacchiò appena, ma si astenne dal commentare.
La cosa non sfuggì a Roddy, che gli lanciò un’occhiata interrogativa.
“Va bene, è colpa mia” ammise infine il bassista, mettendo su un sorriso divertito.
“Mmh, sentiamo” si incuriosì Roddy, assumendo un fare complice e avvicinandosi di più al suo amico. Ormai giocare scherzi idioti a Jim era la prassi e anche lui non si tirava indietro, per quanto tenesse al chitarrista.
“Niente, ho solo ingigantito la cosa che mi hai raccontato l’altro giorno e l’ho accusato di essere omofobo.”
Roddy si fermò di botto, mentre un nodo gli si stringeva in gola; si portò le mani sui fianchi e rivolse un’occhiata incredula al suo amico.
Anche Bill allora si arrestò, in bilico tra un gradino e un altro. Erano a metà della rampa di scale tra il primo e il secondo piano.
Una volta assicuratosi che Mike si era allontanato – il cantante probabilmente non li stava ascoltando e non si era accorto di nulla –, Roddy prese un profondo respiro. “Perché gliel’hai detto?”
“Andiamo, Roddy, è così importante?”
“Sì. Cioè, io te l’ho raccontato nella speranza che rimanesse una cosa tra noi.”
Bill sospirò. “Ma che cazzo ti prende? Non mi sembrava un grosso problema, tra noi le cose funzionano così, abbiamo sempre preso Jim per il culo e non capisco perché ora ti stai incazzando!”
Roddy si morse il labbro; non sapeva neanche lui da cosa dipendesse questo desiderio di proteggere Jim, forse perché quel giorno in camera l’aveva visto così insicuro e imbarazzato e gli aveva fatto tanta tenerezza.
“Jim non è omofobo” riuscì solamente a soffiare.
“Se uno si sente a disagio nel condividere la stanza con un ragazzo gay, è omofobo. È capitato che anche io e te dormissimo insieme e non ho messo su tutta questa scenata, o sbaglio? D’accordo, forse ho un po’ ingigantito la cosa, ma l’ho fatto per divertirmi come al solito!” si difese ancora Bill.
“A me il suo atteggiamento non ha dato fastidio. A te sì? Fino a prova contraria, l’omosessuale tra i due sono io.”
“A me ha dato sui nervi, sì.”
Roddy sbuffò e salì qualche gradino, superandolo. “Ti accanisci contro di lui solo perché è Jim” concluse, riprendendo ad arrampicarsi stancamente su per le scale.
Bill rimase perplesso per qualche istante, le sopracciglia aggrottate e un milione di domande in testa, poi finalmente si riscosse e si decise a seguire il suo amico. “Dai, Roddy, che palle! Non ho fatto niente di diverso dal solito, come potevo sapere che avresti reagito così? E perché, poi? Gli passerà, sai com’è fatto Jim!”
Ma Roddy non si fermò, arrivò al pianerottolo e svoltò senza guardarsi alle spalle.
Bill gli correva dietro, continuando a scusarsi e giustificarsi, finché non riuscì ad afferrarlo per la giacca e allora il tastierista fu costretto a fermarsi.
“Se non la smetti di ignorarmi e scappare, ti butto giù dalle scale” lo minacciò Bill.
Roddy si voltò lentamente, guardandolo dritto negli occhi. “Se mi spezzo l’osso del collo, dove lo trovate un altro tastierista così?”
“Uno come te? Anche nei bidoni della spazzatura” scherzò l’altro, cercando di stemperare l’atmosfera.
Ma Roddy non rise, non abbandonò la sua espressione accigliata e incrociò le braccia al petto. “Divertente, sì…”
“Okay, parliamone.” Bill si era fatto di colpo serio ed era salito di un paio di gradini per essere allo stesso livello di Roddy.
Quest’ultimo, capendo la portata della conversazione che stavano per avere, si appiattì istintivamente contro la parete alle sue spalle, mettendosi sulla difensiva. “Ne abbiamo già parlato.”
“Dai, seriamente. Può essere che io abbia detto una stronzata, però il tuo comportamento mi è sembrato davvero eccessivo. Insomma, come mai ti importa tanto della reazione di Jim?” chiese Bill, addolcendo il tono della voce.
Roddy si strinse nelle spalle. “Niente, non mi va che si litighi per colpa mia e soprattutto per questi motivi. Il fatto che io abbia accettato e imparato a convivere col mio orientamento sessuale non significa che lo si possa usare come arma contro qualcun altro. D’accordo, lui è fatto a modo suo, ma credo che si sia sentito ferito quando è stato accusato di qualcosa che non è.”
Bill lasciò trascorrere qualche istante di silenzio, posò il gomito sul corrimano e perse lo sguardo giù per la tromba delle scale, mentre cercava le parole adatte. “Ma… ci sei rimasto male quando ha detto che voleva una singola.”
Il biondo tacque, mentre il suo cuore perdeva un battito. Non sapeva cosa rispondere perché neanche lui aveva ancora capito cosa provasse a riguardo.
Sì, era vero, ci era rimasto male. Sperava che le cose restassero come sempre, che lui e Jim dividessero la camera
“Senza troppi giri di parole, come stanno le cose tra te e Jim?” domandò allora Bill.
“Andrai a sputtanare anche questo ai quattro venti?” sibilò subito Roddy, indeciso se fidarsi o meno.
“Non sono un pezzo di merda. A volte sì, ma quando le cose si fanno serie sai quanto posso essere affidabile.”
Il tastierista prese un profondo respiro, l’ansia gli scorreva nelle vene. Non aveva nessuna voglia di parlarne, ma sapeva che Bill non l’avrebbe lasciato andare finché non avesse sputato il rospo.
“Non lo so” si ritrovò ad ammettere, passandosi una mano tra i capelli.
Bill restò in silenzio, ma lo invitò a proseguire con un’occhiata.
Roddy si morse il labbro, era così dannatamente difficile! Era vero, tra lui e Jim stava andando a formarsi qualcosa, ma era più semplice viverlo che spiegarlo. Rifletté per diversi secondi, chiedendosi come descriverlo e soprattutto cercando il coraggio per farlo.
“Io e Jim… le cose tra noi non sono definite, tu sai che andiamo d’accordo, ma… a volte io e lui siamo molto vicini e, ecco, lui è molto affettuoso a volte… cioè, io lo sono e lui non mi respinge, diciamo… non c’è niente di più, te lo assicuro, ma stiamo bene insieme, a volte” bofonchiò, arrossendo sempre più a ogni parola e torcendosi le dita delle mani.
Bill piegò leggermente la testa di lato, continuando a scrutarlo. “È un bel casino.”
“Invece ti posso dire che non è così disastroso, è solo che Jim con me riesce ad aprirsi in un certo senso, e io non voglio che tra di noi le cose precipitino per questa cosa.”
“Mi stai dicendo che ti piace Jim Martin?” sussurrò Bill sgranando gli occhi.
Roddy abbassò il capo, in imbarazzo. “A me… le cose vanno bene così come sono, anche perché non so se lui sia in qualche modo… attratto da me. Però non lo so, non me lo chiedo e basta.”
“Roddy, ehi.” Il bassista si avvicinò, gli sfiorò un braccio e, quando ebbe nuovamente la sua attenzione, lo strinse in un abbraccio fraterno, costringendolo finalmente a staccarsi dalla parete.
“Ora ti dico una cosa che non dico mai a nessuno: scusa.”
A quelle parole, il tastierista ridacchiò e poi sciolse l’abbraccio per guardare il suo amico negli occhi.
“Davvero, se avessi saputo che le cose stanno così avrei evitato di scatenare questo casino. Non ho ancora capito cosa ci trovi in Jim Martin, ma se voi siete felici…”
Roddy scoppiò a ridere e gli mollò un piccolo pugno sul braccio. “Mi stavi ascoltando quando ti ho detto che tra noi non c’è niente? E poi Jim è assolutamente strano e a me piace cercare di capirlo.”
“È la stessa cosa, più o meno state insieme” trasse le sue conclusioni Bill con una risatina, mentre riprendeva a salire gli scalini.
Roddy lo affiancò. “Perché cazzo hai questa mania di distorcere la realtà?”
“Perché così è più divertente!”
“Questo è un commento alla Patton.”
“Certo, quel marmocchio prende ispirazione da me!”
Sghignazzando e battibeccando, finalmente i due giunsero alla loro stanza e si ritrovarono a dover bussare, dato che Mike ci si era chiuso dentro ed era l’unico a possedere la chiave.
“Non vi apro, voglio una stanza singola!” gridò il cantante dall’interno in tono di scherno. “Andate a dormire nella doccia di Jim e Puffy!”
“Dai, brutto stronzo, apri questa fottuta porta!” ribatté Bill, bussando con insistenza e ridacchiando sotto i baffi per l’esplicito riferimento alla pretesa del chitarrista.
“Mi devo davvero alzare?” protestò ancora Mike.
“Porta il tuo culo giù da quel letto e aprici, pezzo di merda” proseguì Bill, assestando una spallata alla porta per evidenziare il concetto.
In tutto questo, Roddy dovette passarsi una mano sugli occhi per asciugare le lacrime causate dal troppo ridere.
Quando finalmente il cantante fece scattare la serratura, i due si fiondarono all’interno e si guardarono brevemente intorno: ennesima stanza d’albergo uguale a un’altra.
“Ci avete messo un anno a salire. Stavate scopando sulle scale?” commentò Mike con nonchalance, che intanto si era rituffato sul letto e li osservava steso su un fianco.
“Sì, certamente! Peccato che non c’eri, sarebbe stata un’orgia coi fiocchi” replicò prontamente Bill, prima di rinchiudersi in bagno.
Roddy si sedette sul bordo del materasso di uno dei due letti liberi e si sfilò le scarpe con un sospiro stanco. Era frastornato da tutto ciò che era accaduto, ma sapeva che ancora c’era una questione in sospeso, avrebbe dovuto affrontare Jim e cercare di chiarire le cose; quella era senz’altro la parte più difficile.
E la cosa peggiore era che, nonostante ne avesse parlato con Bill, ancora non era riuscito a capire cosa provava quando stava con Jim. Il chitarrista gli piaceva, lo intrigava, lo conosceva da anni e gli voleva molto bene, ma oltre ciò c’era quella sensazione di benessere e calore che provava quando gli stava accanto.
Come quella mattina su quel letto matrimoniale, quando Jim per la prima volta si era lasciato abbracciare e coccolare, gli aveva concesso di accoccolarsi sulla sua spalla e giocare con i suoi capelli.
Proprio Jim, la persona meno aperta e affettuosa che conoscesse.
Chissà come mai Jim si lasciava andare così proprio in sua compagnia…
 
 
“Sai, poco prima di scendere dal tour bus ho notato, in una via qui nei dintorni, un negozio che pareva una pasticceria e c’erano un sacco di dolci buonissimi in vetrina, ma proprio qualcosa di esagerato! Vendevano di tutto, dalle torte ai pancakes, sembrava un posto creato apposta da Lucifero per tentarci… magari domani potremmo andare a fare colazione lì, che ne pensi?”
Puffy conosceva Jim da tantissimo tempo, loro due erano amici da prima che esistessero i Faith No More, quindi sapeva benissimo che quando il chitarrista si chiudeva in sé, l’unica soluzione era parlargli e provare a farlo uscire dal guscio pian piano, partendo da lontano, e solo dopo provare ad affrontare l’argomento che l’aveva ridotto al silenzio.
Così, mentre sistemava alcune cose in valigia e gli dava le spalle, aveva preso a blaterare e portare fuori qualsiasi cosa gli saltasse in mente, sperando di ricevere una sua reazione.
Ma a quelle parole dal letto di Jim si levò soltanto un brontolio sommesso.
Puffy non si arrese e, mentre afferrava la maglia che avrebbe utilizzato quella notte come pigiama, proseguì: “A proposito di dolci, mi è rimasta sempre impressa la cheesecake che ho mangiato a casa tua quella volta che mi hai invitato a pranzo, ti sto parlando di anni e anni fa… l’aveva fatta tua mamma, credo, o forse era tua nonna. Aveva il cioccolato e le more, era la cheesecake più buona che io abbia mai assaggiato! Se non sbaglio c’era anche Cliff ed entrambi ne abbiamo preso due fette enormi… poi siamo usciti, lui si è ubriacato e ha vomitato tutto”.
Si voltò per recuperare una pila di indumenti che aveva poggiato sul suo materasso e vide Jim sollevarsi su un gomito e osservarlo con fare divertito. “Sì, cazzo, mi ricordo! La tua faccia mentre lo guardavi vomitare era esilarante.”
“Ero disgustato.”
“Appunto, è per quello che faceva ridere.”
“Io non stavo affatto ridendo, cazzo.” Il batterista si lasciò sfuggire un sorriso nostalgico a quel ricordo.
Nella stanza calò il silenzio e Puffy si impegnò a frugare nella sua mente per cercare qualcosa da dire, ma non trovò niente. In genere Jim non stava zitto un attimo in sua compagnia, ma quella sera sembrava davvero di malumore.
Puffy sospettava che c’entrasse la lite con Bill di quella mattina, anche se non ne aveva ben capito i motivi. Ormai non indagava più, scene del genere erano all’ordine del giorno in casa Faith No More.
“Speriamo che Roddy se la cavi in stanza con Patton” commentò infine, sedendosi sul letto.
Jim si rigirò nel letto, dandogli le spalle.
“Sono solo le nove, non vorrai mica dormire adesso!”
“No, infatti stavo pensando di uscire.”
Puffy si illuminò. “Usciamo allora!”
“No, io esco. Da solo.”
“Che pezzo di merda, mi vuoi escludere…”
Jim sbadigliò. “Vai dagli altri.”
“No, sono troppo stanco, non ho voglia di andare a farmi distruggere il cervello da quei tre.”
“Ah, sei stanco. E allora dormi, buonanotte.”
Puffy sospirò: il suo amico era un caso perso. “E dove hai intenzione di andare?”
“Non lo so. Al cinema, in un bar, in un bosco, in un luna park abbandonato…”
Il batterista si ravviò i dreadlocks e rifletté un attimo su come continuare il discorso. “Ma domani andiamo a fare colazione insieme?”
“Può essere, se non sono morto.” Jim si mise supino.
“Perché mai dovresti esserlo?”
“Così, magari passa una macchina e mi investe.”
Un grido disumano proveniente dalla stanza accanto interruppe la loro conversazione, attutito dalla parete; ne seguì una forte risata e altri strilli indistinti.
I due si scambiarono un’occhiata perplessa.
“Che cazzo stanno combinando quei tre?” si chiese Puffy, dando voce ai pensieri di entrambi.
“Si staranno scuoiando a vicenda” fu il laconico commento di Jim.
Ma ormai quel baccano aveva scatenato la curiosità – e anche un pizzico di preoccupazione – del batterista, così si alzò e decise di andare a controllare.
“L’ho detto io, che in questa band c’è bisogno di un baby sitter” borbottò, mentre lasciava la stanza e si richiudeva la porta alle spalle.
Quando si avvicinò a quella della camera adiacente, scoprì che era socchiusa e gli bastò spingerla appena per entrare.
La scena che gli si parò di fronte aveva del raccapricciante.
Roddy e Bill sembravano nel pieno di un esperimento: il tastierista aveva i polsi legati dal lenzuolo e si dimenava come un pazzo, mentre Bill contava i secondi che passavano tenendo d’occhio un orologio, e nel mentre si scambiavano una serie di insulti coloriti, grida e colpi.
Nel frattempo Mike, in ginocchio sul pavimento nei pressi del televisore, rovistava nella sua collezione di videocassette di film porno ed enunciava a gran voce: “Allora, cosa possiamo guardare, Red Night o The Velvet Room? Vabbè, la notte è giovane, io li metterei entrambi!”.
Senza battere ciglio, il nuovo arrivato mosse qualche passo verso Bill e Roddy. “Cosa stareste facendo? Vi è presa la passione per il sadomaso come a Patton?”
“No, è una cosa che abbiamo visto in un film. Praticamente vogliamo scoprire quanto tempo impiega una persona per liberarsi quando ha i polsi legati, solo che Roddy non è molto collaborativo” spiegò il bassista con un tono da presentatore televisivo. “Se si allena potrebbe anche battere il Guinness World Record, sai?”
“William David Gould, sei un figlio di puttana, devo andare in bagno! Slegami, cazzo!” strillò Roddy con fare disperato.
Il bassista sbuffò, cedendo alla richiesta e liberando l’altro dalla stretta del lenzuolo. “Sei una rottura di palle, non si può fare niente con te.”
Roddy allora scappò subito in bagno, imprecando tra i denti.
Già stufo di quel delirio, Puffy si stava accingendo a lasciare la stanza, quando Mike gli rivolse un sorriso innocente. “Ehi, Puffy! Rimani per il film?”
“Veramente preferirei astenermi.”
“D’accordo!” Il cantante si rimise in piedi e si avvicinò all’interruttore per spegnere la luce.
“Che cazzo fai?” sbottò Bill quando si ritrovò immerso nel buio.
“È per guardare il film.”
“Me ne fotto del film, accendi, non si vede un cazzo!”
“Ah, ma che palle! Avevo ragione quando vi volevo mandare a dormire nella doccia di Jim e Puffy!”
Il batterista, sentendosi tirato in causa, inarcò un sopracciglio.
“Ma vuoi accendere la luce?” abbaiò ancora Bill, irritato.
Mike sbuffò.
“Perché siamo al buio?” chiese Roddy, uscendo dal bagno.
Puffy si strinse nelle spalle. “Buona fortuna, ragazzi!” concluse, spalancando nuovamente l’uscio per tornare in corridoio.
Solo che, proprio in quel momento, vide Jim sbattere la porta della loro stanza per poi lanciargli le chiavi e camminare a passo spedito verso il vano dell’ascensore.
“Ehi, Jim, dove vai?” gli gridò dietro.
“Te l’ho detto, al cinema!”
Anche Roddy si affacciò, gli occhi sgranati che perlustravano il corridoio. “Jim sta… sta andando via?!”
Puffy annuì. “A quanto pare vuole stare da solo.”
Il cuore del tastierista perse un colpo a quelle parole. Sapeva bene che Jim stava male per la discussione con Bill, sapeva che sarebbe dovuto andare a parlarci e a confortarlo molto prima, sapeva di essere l’unico a poterlo fare e ora si sentiva terribilmente in colpa.
Una cosa era certa: non poteva più rimandare, non avrebbe permesso che se ne andasse e restasse da solo tutta la sera a rimuginare.
Si voltò solo per qualche istante e incrociò lo sguardo di Bill, che gli sorrise.
Poi, senza perdere altro tempo, corse fuori dalla stanza e si fiondò giù per le scale, col cuore che gli batteva a mille e l’ansia di non arrivare in tempo. Non sapeva nemmeno cosa gli avrebbe detto, ma l’importante era riuscire a fermarlo.
E poco gli importava se sarebbe dovuto uscire per strada senza una giacca.
Una volta al piano terra, superò la hall senza nemmeno vederla e si ritrovò sul marciapiede, coi polmoni che bruciavano e il freddo pungente che s’infiltrava tra i vestiti.
Si fermò a riprendere fiato e si guardò attorno, individuando subito la figura scura e slanciata di Jim ferma a diversi metri da lui, sicuramente in attesa di un taxi.
“Jim!” lo richiamò, andandogli subito incontro.
Il chitarrista non fece una piega finché Roddy non gli si parò davanti, ansimante e tremante.
Allora lo squadrò da capo a piedi e si rese conto che era successo davvero, Roddy l’aveva seguito.
A lui importava ancora.
“Si può sapere dove avevi intenzione di andare?” gli chiese il ragazzo biondo, massaggiandosi un fianco.
Jim decise di ricorrere alla sua solita corazza. “Al cinema, voglio vedere se c’è un film horror. Vieni con me?” propose con tranquillità, come un perfetto finto tonto.
“Sono in pigiama, cazzo.”
“Oh… già, peccato.”
Calò il silenzio per qualche istante, in cui Jim osservò Roddy che si stringeva le braccia intorno al corpo nel tentativo di placare i violenti brividi di freddo: indossava soltanto una leggera maglia bianca in cotone, adatta al potente riscaldamento dentro l’hotel ma non al fresco della sera.
Vederlo così gli metteva un’inspiegabile e irrefrenabile voglia di stringerlo a sé e tenerlo al caldo, ma una parte di lui gli suggeriva di non cedere alla tentazione. Roddy non se lo meritava: era stato un vero stronzo a raccontare a Bill del loro legame particolare e addirittura a insinuare quelle cose orribili sull’omofobia.
Già, Jim non ce l’aveva più con Bill né con nessun altro, ma soltanto con Roddy. L’aveva tradito e messo terribilmente in imbarazzo.
“Jim, stai scappando.”
Fu quella frase a rompere il silenzio e distoglierlo dai suoi pensieri.
Fu quella frase a rompere tutte le barriere che si era costruito attorno in quelle ultime ore.
“Ascoltami bene, Roddy: non ho capito cosa ti sei messo in testa o cosa ti hanno messo in testa gli altri, ma io non sono omofobo, va bene? Non mi fai schifo, non ti odio, non è un problema se dormiamo nello stesso letto e se respiriamo la stessa aria e se ti butti addosso a me e mi fai il solletico! Non ci sono abituato, ma non è un problema e se tu la pensi così, cambia subito idea perché non mi piace questa cosa!”
Roddy rimase completamente spiazzato. Era la prima volta che Jim si apriva in quel modo così spontaneo, con quel fervore nella voce e quello sguardo terribilmente serio, come se tutte le tracce della sua consueta stravaganza avessero lasciato il posto a un’estrema lucidità e consapevolezza.
“Io volevo… soltanto chiederti scusa per le accuse di Bill, non penso affatto che tu sia omofobo e sono stato il primo ad ammettere che è difficile accettarmi, lo so…” mormorò Roddy, sentendosi ancora una volta in colpa.
“Perché l’hai detto a lui?”
“Perché Billy è il mio migliore amico, io non l’ho fatto per male, non potevo immaginare che succedesse tutto ciò e mi dispiace davvero.” Distolse lo sguardo, mortificato.
Jim prese un respiro profondo. Okay, questo lo capiva e lo accettava, non poteva impedire a Roddy di parlare col suo migliore amico.
“Quindi tu non lo pensi davvero” disse, più a se stesso che a Roddy.
“Ma certo che no, io… Jim, se mi odiassi non sarebbe successo ciò che è successo quel giorno.” Il biondo arrossì nel pronunciare quelle parole e nel ricordare quanto fossero stati vicini quella mattina, uno con le dita intrecciate tra i capelli dell’altro.
“E se Bill vedesse questo, come reagirebbe? Cambierebbe idea?” Detto ciò, Jim afferrò Roddy poco sopra i fianchi e lo trascinò più vicino a sé, per poi stringerlo in un abbraccio avvolgente e affettuoso. Alla fine non era più riuscito a resistere e poi non avrebbe avuto senso farlo, aveva capito che Roddy non aveva nessuna colpa e il vero coglione della situazione era stato solo e unicamente Bill.
Ma ci sarebbe stato tempo in un secondo momento per pensarci, o forse no, sarebbe caduto anche quello nel dimenticatoio. Comunque in quel momento c’erano cose ben più importanti a cui pensare.
Intanto il cuore di Roddy batteva talmente forte che pareva sul punto di esplodere. Per la prima volta Jim aveva compiuto il primo passo e l’aveva abbracciato, e lui era così tanto felice che gli veniva voglia di esultare; mai si sarebbe aspettato che quel ragazzo così chiuso, rude e lugubre potesse essere così affettuoso e perfino dolce con lui.
Eppure ora lo teneva tra le braccia, assicurandosi che non sentisse freddo e provando in tutti i modi a farlo smettere di tremare.
Ma non erano solo brividi di freddo, quelli che gli percorrevano il corpo.
“Vuoi ancora andare al cinema?” chiese Roddy con una risatina, il volto sepolto tra i capelli del chitarrista.
“Ah, fanculo al cinema!” esclamò l’altro, senza sciogliere l’abbraccio.
“Allora che ne dici di rientrare? Non so te, ma io mi sto congelando il culo” gli fece notare il tastierista sghignazzando.
Per un istante nella mente di Jim si affacciò un’idea malsana, un improvviso desiderio. Per un attimo pensò di constatare lui stesso se le parole di Roddy fossero vere, prese in senso letterale.
Ma quel pensiero era talmente bizzarro e surreale che non poté fare a meno di scoppiare a ridere, talmente forte che fu costretto a sciogliere l’abbraccio.
“Sei rincoglionito? Perché stai ridendo?” gli domandò Roddy confuso, osservandolo mentre si sbellicava senza un apparente motivo.
“Così, mi andava di ridere” buttò lì Jim, tra una risata e l’altra. Poi posò una mano sulla spalla di Roddy e lo spinse leggermente verso l’ingresso dell’hotel. “Su, andiamo dentro, prima che il tuo culo diventi un siberino!”
Roddy si ritrovò a pensare che Jim fosse estremamente strano, a volte lo lasciava talmente basito che sospettava non fosse umano, ma non poteva che esserne contagiato. Scoppiò a ridere a sua volta, mentre si diceva che non si sarebbe mai stancato di scoprire le sue mille sfaccettature e affascinanti bizzarrie.
Qualunque fosse la natura del loro rapporto.
Entrarono in ascensore ancora sghignazzando, ma nonostante l’attacco improvviso di risa, Jim non si perse il dolce spettacolo delle guance di Roddy che, grazie al calore che l’aveva avvolto, si tingevano di rosso per poi tornare pian piano a un colorito normale.
Quando le porte scorrevoli si chiusero e i due furono all’interno del box, Roddy posò lo sguardo su Jim e lo trovò estremamente tenero, con quei capelli ribelli e scompigliati e l’atteggiamento apparentemente burbero, ma che nascondeva tanto altro.
“Jim” mormorò a mezza voce, prima di accostarglisi e posargli la testa sulla spalla, accoccolandosi al suo fianco.
Trascorsero alcuni istanti in cui rimasero in silenzio in quella posizione, cullati dall’ascensore che saliva lentamente piano dopo piano.
E Roddy pensò, il suo cervello elaborò un miliardo di cose nel giro di qualche istante. In un attimo decise che ormai non aveva più nulla da perdere, che quella era stata una giornata talmente surreale che era arrivato il momento di giocarsi il tutto per tutto. Magari avrebbe rovinato tutto, ma ormai le cose avevano rischiato di andare a rotoli tante volte, così come tante volte si erano sistemate.
Così prese il coraggio a due mani.
Un secondo prima che le porte dell’ascensore si riaprissero sul terzo piano, si sporse verso Jim e lasciò che le loro labbra si sfiorassero. Fu un attimo, durò il tempo di un battito di ciglia, ma quell’unico piccolo gesto conteneva una delicatezza e una potenza destabilizzanti.
Roddy si allontanò subito con una risata e uscì in corridoio; era elettrizzato da capo a piedi, ma una parte di sé era consapevole che non si sarebbe mai più ripetuto, Jim non l’avrebbe mai ricambiato in quel modo e non aveva senso illudersi.
Invece Jim restò immobile per qualche istante al centro del box, l’incredulità e la confusione divoravano ogni suo pensiero. Se l’era sognato o era successo davvero? E soprattutto, come doveva sentirsi a riguardo, cosa doveva pensare?
Chissà perché sentiva le labbra di Roddy ancora impresse sulle sue, nonostante si fossero soltanto sfiorati.
E chissà perché dopo quel contatto tutto il mondo gli appariva più luminoso.
 
 
 
 
 
 
 
♥ ♥ ♥ ♥ ♥
 
 
…come non dare un seguito alla mia primissima storia sul fandom, in cui le cose tra Roddy e Jim erano rimaste così indefinite? Insomma, per chi non l’avesse capito, la Martum è la mia ship del cuore nei FNM, anche se la immagino piuttosto innocentina *____*
Come già scritto nella presentazione, questo è il sequel (per la gioia di Sabriel XD) della mia It shouldn’t bother me, ma spero che, per chi non dovesse aver letto l’altra storia, il testo sia comunque risultato chiaro, ho cercato di spiegare tutti i riferimenti ^^
Ma passo subito a chiarire un paio di cose!
Innanzitutto, quando accenno al fatto che i ragazzi della band non hanno ancora chissà quale potere decisionale riguardo alla disposizione delle stanze, dipende dal fatto che la storia è ambientata agli esordi della loro carriera, quando ancora non erano famosi e si non potevano avanzare chissà quali pretese. Rimanendo fedele al prequel, ho fatto riferimento al fatto che Jim e Roddy cpndividessero sempre la stanza, anche se ovviamente non ne ho la certezza ^^
Quando Mike si mette a smistare le videocassette dei film porno /ci credo che poi Puffy non voleva andare nella sua stanza… XD), ho preso spunto dalla sua reale passione per la cinematografia a luci rosse, passione che non tende a nascondere e anzi, spesso si è lasciato anche ispirare per quanto riguarda i testi XD (sì Mike, ti mando Spencer a farti il profilo… -.-)
Invece quando parlo di Jim che osserva gli altri che guardano qualcuno vomitare (un altro bell’esaurito…), faccio riferimento a un’intervista super esilarante ma allo stesso inquietante che gli è stata fatta nei primi anni Novanta, dove appunto dice che lo diverte osservare le reazioni della gente quando qualcuno vomita. Quell’intervista mi ha aiutato un sacco per la sua caratterizzazione e per inquadrare le sue innumerevoli stranezze, vi lascio il link perché è qualcosa di assolutamente fuori dal mondo XD
http://www.artistwd.com/joyzine/music/fnm/fnm1.php
Che poi, a essere del tutto onesta, quest’intervista più che chiarirmi le idee me le ha ancora più confuse AHAHAHAHAHA e noi diciamo che è Mike quello strano…
Comuuunque, quando Puffy (povera vittima :P) racconta l’aneddoto della cheesecake, nomina anche un certo Cliff; come già spiegato in altre storie, mi riferisco a Cliff Burton, primissimo bassista dei Metallica che è venuto a mancare nell’86 a causa di un incidente stradale. Puffy, Jim e Cliff erano veramente tanto amici in passato, avevano anche formato una band insieme, quindi mi piace pensarli alle prese con queste situazioni idiote da ragazzini XD
Ultimissima piccola notina: il titolo della storia è un verso del brano Everything’s Riuned, tratto dall’album dei Faith No More del 1992, Angel Dust. Ragazzi, quella canzone è dannatamente bella ed è l’ennesimo esempio di quanto le tastiere di Roddy e la chitarra di Jim siano ih netto contrasto ma allo stesso tempo si fondano perfettamente *-* awww!
Bene, ho delirato anche troppo, come al solito XD quindi non mi resta che ringraziarvi di cuore per essere giunti fin qui e aver letto questo testo!!! :3
Alla prossima! ♥
 
 
   
 
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