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Autore: _Robertino_    17/04/2020    2 recensioni
Una storia di viaggio, avventura, speranza e libertà
Genere: Avventura, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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629, tutti stipati nei 77 metri di un barchino che a mala pena ne contiene 500.

Ecco il viaggio lussuoso, di prima classe, che mi spetta per salvarmi e dare un futuro alla mia famiglia. Io sono Bilal, vengo dalla Libia; si quella di Gheddafi, dei terroristi e di tutti i luoghi comuni che vi vengono in mente. Spero di arrivare in Italia e poi chissà …

Sono Bilal, ho trentacinque anni, una vita passata come mercante, ma ora è tempo di cambiare. Basta tirare avanti, voglio costruire un futuro migliore.

Venerdì, terminata la preghiera, fuori dalla moschea sento dire che a tarda sera partono due gommoni in direzione Italia, m’informo, chiedo orari e costi, serviranno metà dei risparmi di una vita, torno a casa e do notizia a mia moglie e ai miei 2 bambini. Non ce lo facciamo dire due volte ed iniziamo a preparare questo viaggio della speranza. Alle 23 ci presentiamo sulla spiaggia con  i soldi e l’indispensabile. Notte fonda.
Saliamo su un gommone. Saremo oltre il centinaio, bambini compresi. I bambini … molti sono stati fatti partire senza nessuno. Il mare calmo ci fa ben sperare. Non voglio girare lo sguardo alla mia terra, piangerei solamente. La notte è lunga e il viaggio lo sarà molto di più. Mio figlio Idrees si è accasciato tra le mie gambe, dorme e aspetta solo di toccare terra. L’altro mio figlio, Nadeem è attaccato al collo della madre, anche lui dorme.  Dopo qualche ora di viaggio l’odore acre dei nostri corpi sudati circonda quel poco spazio che occupiamo. Per cercare di respirare pulito sollevo la testa, guardo il cielo stellato e riempio le mie narici di aria fresca e salmastra.
Passano le ore, è sabato e il primo chiarore dell’alba scopre l’orizzonte. Alla partenza, l’altro gommone carico ci precedeva, questa mattina, però non lo vedo all’orizzonte, forse è più avanti, forse è già arrivato. Per passare il tempo intoniamo canti, cominciamo a parlare tra noi, i bimbi giocano. Siamo già a largo ma non vediamo nessun lembo di terra, solo cielo e mare uniti come una di quelle tele che da buon mercante offrivo alle donne del mio villaggio. Il sole cade a picco e il gommone dal colore nero su cui siamo non aiuta a stare più freschi. Decido di addormentarmi un po’, sono stanco, ho sete e fame. Come del resto tutti gli altri. L’acqua e il poco cibo preparato da mia moglie cominciano a scarseggiare, un po’ l’abbiamo anche condiviso. Pazienza.

E’ di nuovo sera e poi di nuovo notte. All’improvviso, quando davanti ai miei occhi e tutto buio sento un gran chiasso, voci, motori di barche in movimento. Immagino di essere arrivato e invece no, siamo ancora in mezzo al mare. Vedo luci, forse un’isola. Con questo gommone e con tutta questa gente non abbiamo fatto molta strada, alla fine da una grande nave ci gettano i salvagente che aggrappiamo con forza. Tutta la mia famiglia è con me, le forti luci provenienti dalla nave mi accecano ma riesco a scorgere alcuni dei volti che erano partiti con me qualche sera prima. Saliamo a bordo, c’è più spazio ma non cosi sufficiente. Ve l’ho già detto siamo 629 in 77 metri. Molti di quelli che sono lì mi raccontano di aver visto la morte in faccia: il loro gommone si è ribaltato e sono salvi, sono 400.

Ora siamo tutti qui, diretti verso la terraferma. È domenica, pieno giorno e il sole ci asciuga. Riceviamo conforto, acqua e cibo. Qualcuno si sta prendendo cura di noi. Gli operatori parlottano, ma sono agitati. Dopo circa due ore ci dicono che la nostra destinazione non sarà l’Italia. Perché? Perché questo paese da sempre ospitale, da come ci raccontavano chi già l’aveva raggiunto, ora dice no? Cosa ci aspetta? L’unica certezza per ora è che siamo vivi ma in mezzo al mar Mediterraneo.

Passano i giorni. Sono fradicio ma  vivo. Ormai la vita qui dentro è come quella di un grande villaggio e le notizie vanno e vengono né più né meno come quando eravamo a casa nostra. Tra tutte queste captiamo la più importante: l’unica terraferma, dopo tutto questo vagare, terra di salvezza sarà la Spagna. A conti fatti ci vorrà un’altra settimana in mezzo al mare. Un’altra settimana per pensare, per progettare e per sperare di vivere in maniera dignitosa. Un’altra settimana di sogni e speranze.

Mi chiamo Bilal e forse il mio nome racchiude un po’ tutta questa avventura. Fuori sono bagnato dall’acqua, dentro sono bagnato di dignità e speranza.

   
 
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