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Autore: nattini1    18/04/2020    1 recensioni
“Non dovevi farlo” la voce di Jack arrivò insolitamente dura e seria.
“Adesso puoi dire che ne abbiamo passate di cotte e di crude” provò Mac.
“Quando le cose si mettono male, la nostra arma migliore è il tuo cervello. Perché stavolta non ha funzionato?” domandò Jack.
Le mani, insieme alla sua testa, rendono Mac quello che è; quando tira fuori Jack dalla bara in fiamme, riporta delle ustioni che gli impediranno di usarle per un po’ e sarà Jack a doversi occupare di lui. Scritta per la Easter Advent Calendar Challege del gruppo Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart.
Genere: Fluff, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questi personaggi non mi appartengono; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 


 

Jack Dalton aveva fatto una lista di tutti i modi possibili in cui avrebbe potuto morire: in mille pezzi in seguito allo scoppio di un ordigno, dissanguato per ferita da arma da fuoco o per una coltellata, picchiato violentemente a mani nude o con oggetti contundenti, affogato nelle sabbie mobili. C’era andato vicino innumerevoli volte, un po’ troppo vicino per i suoi gusti in alcune circostanze, e aveva depennato dalla lista un bel po’ di voci. Ora poteva dire che “bruciato vivo chiuso dentro una bara in un forno crematorio” era una delle morti che avrebbe preferito evitare.

Seduto accanto a Mac sul retro dell’ambulanza si rivolse all’amico: “Che razza di aggeggio ti sei inventato per tirarmi fuori?”.

Mac fece un sorrisetto imbarazzato: “Mi sono schiantato con la Cadillac contro il muro e ti ho tirato fuori a mani nude”. Non aveva potuto fare altro perché quando aveva sentito Jack gridare: “Mac, ho bisogno di te più che mai! Fammi uscire da qui!” con il sangue freddo di chi ha una fiducia cieca nel partner, il suo cervello era andato in black out e aveva agito d’istinto buttandosi letteralmente nel fuoco. Mac improvvisava sempre, ma usando la sua brillante creatività e sfruttando quello che aveva a portata di mano, persino gli oggetti più comuni, mentre un comportamento così impulsivo e sconsiderato era tipico di Jack, che si lanciava a capofitto in ogni occasione.

“Ti sto contagiando o eri a corto di graffette o gomme?” scherzò Jack. Ma quando vide le bolle violacee sulle mani dell’amico qualsiasi pensiero vagamente ironico fu sostituito da un doloroso: “Non dovevi farlo”.

I paramedici gli avevano controllato i piedi, la parte che era stata più vicina al fuoco, ma si erano limitati a cospargerli con una pomata e a bendarli; riusciva persino a stare in piedi e a camminare, meglio se sostenendosi a qualcuno. Discorso diverso per le mani di Mac: i paramedici le avevano medicate con un sacco di roba, dichiarando che ne avrebbe avuto per un bel po’, almeno un paio di settimane.

Jack non aveva sentito ragioni e aveva insistito per accompagnare Mac a casa, dopo una rapida tappa in farmacia. Una volta varcata la porta, non dette alcun segno di volersene andare. Mise tutte le scatole sul piano della cucina: “Allora Mac, quando la roba che ti hanno messo diventa bianca...”

“L’idrobenda; diminuisce il rischio di distacchi accidentali per attrito. Mentre assorbe l’essudato, trasformandolo in gel, cambia colore” interruppe Mac.

“Sì, hanno detto che quando diventa bianca, va tolta e cambiata. Ma prima bisogna mettere questa pomata che sta nella scatola rossa...” proseguì Jack.

“Le betadine, per evitare infezioni” puntualizzò Mac “Grazie, Jack, vedrai che me la caverò”.

“Fai tacere quel tuo cervellone! Certo che ce la caveremo. Ma ti ricordo che i medici hanno detto che non potrai usare le mani per un po’, quindi penserò io a tutto” affermò Jack.

Mac scosse la testa: da anni Jack gli guardava le spalle ogni giorno sul campo e si era conquistato un ruolo fondamentale nella sua vita, prendendosi un posto nel suo frigorifero e uno molto più grosso nel suo cuore. Non aveva speranze di convincere quella sua testa dura a lasciarlo solo.

“Ti preparo qualcosa! Hai fame?” chiese Jack.

Mac annuì, era stata una giornata lunghissima e aveva bisogno di qualcosa di caldo nello stomaco.

Nessuno dei due era un gran cuoco, quindi Jack ripescò un paio di barattoli di minestra precotta da uno scaffale e la riscaldò sul fuoco. Quando fu pronta, la versò in due piatti, si sedette accanto a Mac, tuffò il cucchiaio in uno dei piatti riempiendolo di liquido denso e lo sollevò all’altezza delle labbra dell’amico, che ricambiò con uno sguardo accigliato: “Non farai sul serio?”.

Jack sorrise: “Dai Mac, non avrai intenzione di mangiare la zuppa come un cane!”.

“Non mi tratterai come un bambino!” protestò Mac.

“Devo farti l’aeroplanino?” domandò Jack.

“In effetti sei abbastanza vecchio per essere mio padre!” lo punzecchiò Mac.

“Quando hai finito di ricordarmi che sono l’unica persona saggia in questa stanza, potresti aprire la bocca?” continuò Jack imperterrito.

Mac cercò di camuffare la risata che gli era salita spontanea con uno sbuffo dignitoso, ma schiuse le labbra. Davanti a chiunque altro avrebbe dato un colpo al tavolo rovesciando tutto, ma con Jack poteva permettersi di mostrarsi fragile: gli aveva affidato la sua vita ogni giorno, aveva condiviso con lui le sue paure e, anche quando non aveva avuto la forza di farlo, Jack gliele aveva lette dentro.

E in quel momento doveva aver percepito la frustrazione che provava: il suo cervello e le sue mani lo rendevano quello che era e ora, non potendo usare una parte che percepiva come fondamentale, si sentiva del tutto impotente.

Mac non avrebbe mai pensato che Jack potesse essere così attento e delicato nel nutrirlo: quelle mani che erano abituate a scattare e tirare pugni ora misuravano i gesti per non far rovesciare nemmeno una goccia. Forse perché aveva davvero fame, ma la minestra sembrava più buona del solito.

Jack era un tipo molto impaziente, ma non fece nessuna fretta a Mac e, quando il piatto fu vuoto, prese il tovagliolo e gli pulì le labbra. Appena si voltò per riporre il piatto nel lavandino, Mac ne approfittò per provare a prendere il bicchiere: avrebbe fatto tutto quello che poteva in modo autonomo. Al minimo tentativo di contrazione delle mani, strinse le labbra per non farsi sfuggire un lamento; arrendendosi al fatto che era impensabile qualsiasi altra soluzione, prese il bicchiere tenendolo stretto tra i polsi. Quando si voltò, Jack lo stava guardando con una cannuccia in mano.

Con rassegnazione, posò il bicchiere e aspettò che Jack ci infilasse dentro la cannuccia.

Jack attese che finisse di bere e poi gli prese le mani sfiorandone il dorso, l’unica parte che non aveva subito danni.

“Non dovevi farlo” la voce di Jack arrivò insolitamente dura e seria.

“Adesso puoi dire che ne abbiamo passate di cotte e di crude” provò Mac.

“Quando le cose si mettono male, la nostra arma migliore è il tuo cervello. Perché stavolta non ha funzionato?” domandò Jack.

“Non fanno così male, Jack” lo rassicurò Mac eludendo la domanda e sfilando le mani dalla presa di Jack.

“Mentire al tuo migliore amico non è il massimo” disse Jack, ma con un tono più dolce.

“Tu stai bene, quello è importante” sussurrò Mac.

Jack si arrese stringendolo in un abbraccio.

Dopo qualche secondo sciolse la stretta e si schiarì la voce: «Che ne dici di sederci sul divano a guardare qualcosa?».

«Con “qualcosa” non intendi una maratona di Die Hard, vero? Me l’hai fatta vedere talmente spesso che potrei citare a memoria le battute» chiese Mac sospettoso.

Jack si finse offeso: «Visto che stai male, ti farò vedere un film che ti piacerà senz’altro: The martian. Matt Damon è un tipo come te che improvvisa con quello che ha, sono sicuro che ti piacerà».

Si accomodarono sul divano l’uno accanto all’altro. Dopo la prima mezz’ora Mac cominciò a sentire la pressione sulla pancia. Sprofondò maggiormente nei cuscini cercando di non piegarsi su sé stesso, ma qualsiasi posizione risultava scomoda.

Jack gli lanciò un’occhiata di traverso e si alzò in piedi: «Beh, suppongo che la roba che è entrata da una parte, dovrà uscire da un’altra».

Per essere un genio, Mac ci mise parecchi secondi a rendersi conto che essere stato imboccato era solo al primo gradino nella scala delle cose imbarazzanti che avrebbero richiesto di essere fatte con l’aiuto di Jack. Cercò disperatamente una soluzione, ma l’unica cosa che riuscì a fare fu arrossire.

Ritenendo che dieci secondi in silenzio fossero fin troppi per i suoi standard, Jack si spazientì: «Siamo insieme da più di dodici ore e non ti ho ancora visto andare in bagno. Se preferisci, puoi sempre pisciarti addosso!».

Mac lo rimbeccò: «Ti stai vendicando di quella volta in cui ti avevo suggerito di farla nei pantaloni per riuscire a passare da quel buco nel muro?».

Al ricordo entrambi si misero a ridere.

Il passato da soldati aveva influito molto sul loro senso del pudore (dopotutto si erano sfidati varie volte a chi la faceva più lontano in Afghanistan) e questo aiutò parecchio; Jack slacciò i jeans a Mac e li tirò giù insieme ai boxer. Mac decise che sedersi era la soluzione migliore.

Nel frattempo Jack si girò e aprì la doccia.

«Posso anche evitare di farla!» protestò Mac.

«Per i prossimi quindici giorni? Posso anche tapparmi il naso, ma con delle ustioni che non devono infettarsi non te lo consiglierei» lo sbeffeggiò Jack.

Mac rifletté un momento guardandosi attorno e poi disse: «Ok, allora mi servono: due sacchetti di plastica, due elastici, una stecca di 50 cm, del nastro adesivo e una spugna».

Jack era abituato a Mac che improvvisava e, dopo un rapido giro di ricognizione per la casa, gli procurò tutto.

Mac spiegò: «Adesso mettimi i sacchetti sulle mani e fermali ai polsi con gli elastici. Poi fissa un capo della stecca a metà braccio con lo scotch e all’altro capo fissa la spugna». Era determinato a fare tutto il possibile da solo.

Non fece in tempo a compiacersi del risultato che si rese conto di avere ancora addosso la maglietta e che sarebbe stato piuttosto complicato sfilarla.

Mettersi a letto a Mac era sembrata una cosa semplice, ma tirare su il lenzuolo si dimostrò una sfida che andava oltre le sue possibilità. Jack gli si avvicinò senza esitazione e lo coprì fino al petto, poi gli disse: «Vado a dormire sul divano, se hai bisogno chiamami!».

«Grazie, Jack» mormorò Mac.

Avrebbe voluto aggiungere altro, ma qualunque parola sarebbe stata un misero ringraziamento per l’immensa generosità di Jack nei suoi confronti. Si sentiva un po’ come quando Jack aveva rinunciato a tornare a casa sua in Texas per restare in Afghanistan a coprirgli le spalle, un lavoro ingrato che nessuno gli aveva imposto di fare, ma che aveva scelto. Era stato l’inizio di quella che era la loro amicizia, se così si poteva chiamare quello che per Mac era il legame più forte della sua vita che Jack insisteva per festeggiare ogni anno con un viaggio insieme a Las Vegas. Jack c’era sempre per lui: per proteggerlo, per tenerlo legato alla realtà, per dividere con lui il dolore, per dargli gioia. Non avrebbe potuto chiedere di più più, ma dire che non desiderava di più sarebbe stata una menzogna.

Il giorno seguente Bozer fece la sua apparizione, breve, ma estremamente gradita, per lasciare numerose provviste e un sacco di cose pronte in frigo, poi li salutò perché doveva partire per una missione della Fenice. Jack fu molto contento di poter avere a disposizione le cose cucinate da Bozer: non avrebbe certo lasciato Mac a morire di fame, ma ai fornelli era un disastro forse peggiore dell’amico. Matty non si era rivolta a lui per la missione: sapeva che la sua priorità era prendersi cura di Mac e non lo avrebbe lasciato da solo nemmeno se fosse stata in pericolo l’intera nazione. Un’altra ragione per cui si rallegrava che Bozer non ci fosse è che in questo modo avrebbe potuto dormire nel suo letto: non lo avrebbe mai ammesso nemmeno sotto tortura, ma accamparsi sul divano stava facendo protestare la sua schiena.

Dopo i primi due giorni, come era prevedibile, arrivò anche il momento in cui Mac raggiunse la vetta dell’imbarazzo chiedendo a Jack di raggiungerlo in bagno per aiutarlo a pulirsi. Quando Jack si avvicinò, Mac era teso, stringeva le labbra e tratteneva il respiro.

Jack lo chiamò: «Hey, mi guardi?».

Mac spostò il volto di pochi millimetri nella sua direzione; con un piccolo sorrisetto furbo e una rapida mossa, Jack passò una mano sulla guancia dell’amico. Mac la toccò con l’avambraccio e lo ritirò sporco di qualcosa marrone e morbido.

«Jack, sei impazzito?» urlò, sbarrando gli occhi e con la faccia che era diventata paonazza.

Jack cominciò a ridere a più non posso, incapace di trattenersi. Appena riuscì ad articolare qualche sillaba, tra una risata e l’altra, confessò: «È cioccolata!».

Mac non poté evitare di trattenere le risate a sua volta. Era tipico di Jack scherzare in qualunque momento: dava soprannomi fantasiosi agli assassini che sparavano contro di loro o faceva battute su Star Wars mentre Mac cercava di salvare un equipaggio intrappolato su una nave. Avrebbe fatto qualunque cosa per farlo ridere e metterlo a suo agio alleggerendo una situazione difficile!

Quella sera Mac lasciò che Jack gli lavasse i capelli; si inginocchiò per terra appoggiando i gomiti sul bordo della vasca e chinando la testa dentro. Jack gli chiese se la temperatura andasse bene prima di bagnargli i capelli. Mac si sorprese di quanto potessero essere delicate le mani di Jack: per essere uno che di mestiere tirava pugni ai cattivi, sapeva anche avere un tocco molto gentile. Gli piaceva che Jack indugiasse a massaggiargli coi pollici la nuca, se fosse stato un gatto si sarebbe messo a fare le fusa.

Se Jack pensava che avrebbero fatto molto meglio e molto prima entrando insieme nella doccia (cosa che Mac aveva intenzione di evitare come se ne andasse della sua stessa vita, perché era abbastanza certo che nemmeno concentrare il pensiero su Murdoc, lo psicopatico che voleva ammazzarlo, avrebbe potuto impedirgli di avere certe reazioni), non lo disse mai, lasciando all’amico tutto lo spazio che intendeva prendersi. Mac però notò che aveva acquisito un certo divertimento nel vestirlo: gli sistemava le magliette in modo che cadessero perfettamente sulle spalle, lisciando la stoffa e Mac aveva dovuto dissuaderlo dallo stirare quelle che riteneva fossero sgualcite.

Una sera Jack stava facendo la doccia e Mac, troppo stanco per restare sul divano, si era buttato a letto e si era appisolato. Mac nel dormiveglia lo sentì chiudere l’acqua; immaginò che sarebbe venuto a controllarlo e, come aveva previsto, udì i passi di Jack avvicinarsi e percepì il fruscio leggero delle coperte che accarezzavano il suo corpo mentre l’amico lo copriva. Sorrise tra sé sentendosi grato di tutte le attenzioni che gli venivano rivolte, erano anni che nessuno aveva cura di lui in quel modo. Si aspettava di sentirlo allontanarsi, ma invece fu sorpreso da un bacio sulla fronte. Era poco più di uno sfiorare, della carezza del battito delle ali di una farfalla, ma lo scaldò molto più della coperta.

Dieci giorni dopo andarono a fare il controllo in ospedale per togliere definitivamente le bende. Sul palmo delle mani di Mac si era formato uno strato sottile e delicato di pelle nuova di un rosa acceso e il medico era entusiasta: si complimentò per l’attenzione con cui erano state medicate le ustioni e disse che probabilmente non sarebbero rimaste nemmeno le cicatrici, ma che per un anno o due la pelle avrebbe avuto un tono molto chiaro.

Una volta salutato Jack, che lo aveva riaccompagnato, Mac rientrò a casa sua chiudendo la porta alle sue spalle. Mangiò un po’ di avanzi in frigo e poi si fece una rapida doccia. Provò a guardare qualcosa in tv, ma dopo aver cambiato vari canali decise di spegnere e se ne andò a letto. Era contento di aver riconquistato la propria indipendenza, di poter compiere quei gesti apparentemente semplici che gli erano stati preclusi a lungo, ma si sentì improvvisamente molto solo. Afferrò il bordo del lenzuolo e lo tirò a sé. Quel semplice gesto gli ricordò Jack. Prese il telefono e digitò un messaggio, restando in sospeso con l’indice tra il cancelletto e l’invio: «La prossima volta che mi vuoi dare un bacio, puoi farlo quando sono sveglio».

 

NdA

Ciao a tutti!

Il rapporto tra Jack e Mac è quello che, secondo me, fa funzionare la serie e le loro interazioni sono sempre stupende, sia che stiano provando a salvare il mondo che stiano passando una serata attorno al fuoco. Mac e Jack hanno l’abitudine di scherzare anche quando sono bersagliati da pallottole (si comportano come una vecchia coppia sposata), quindi ho cercato di inframmezzare il più possibile la tensione della situazione.

Vi lascio il link del gruppo: https://www.facebook.com/groups/534054389951425/ e se avete un attimo lasciatemi un pensiero!

   
 
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