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Autore: _Cthylla_    18/04/2020    1 recensioni
Un'illuminazione è giunta a Tarn, il comandante della Decpeticon Justice Division: tentare di scrivere certe memorie giovanili, risalenti a quando aveva un altro aspetto, un altro nome, un appartamento minuscolo in un settore di Cybertron non privo di disagi e, soprattutto, i vicini di casa peggiori della storia. Perché non tutti i Megatron sono uguali!
[Il contesto corretto sarebbe generale/vago. Maggiori dettagli nella premessa.]
Genere: Demenziale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Megatron, Nuovo personaggio
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Generation I
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Specter Bros'- la serie'
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Neppure io so dire con certezza se e quanto questa oneshot in cui il povero, giovane Damus si trova ad avere a che fare con i vicini di casa peggiori della storia, sia collegata al resto. Diciamo che è a libera interpretazione, come io ho liberamente modificato russo e altre lingue slave il poco che serviva per adattarle al settore chiamato Kostrobna.
Il Megatron presente qui è quello di Armada (una sua versione giovane prima di diventare un Decepticon) e c'è, come al solito, una OC di mezzo. C'è anche tanto disagio ma non è da prendere sul serio xD






Memorie, capitolo [numero ancora da definirsi]:  I vicini di casa peggiori della storia














Anno XXXXX.
 
Quando socchiudo gli occhi la tonalità rossastra dei raggi del sole artificiale che è stata scelta per questo settore mi suggerisce che sia mattino presto. Lunghe ombre dei miei pochi averi si proiettano su di me come artigli ma da tempo non è più una visione che trovo inquietante.
Mi rigiro nella cuccetta godendomi la quiete. Non è facile trovarla in questo posto se non, appunto, al mattino presto, mentre quasi tutti dormono o cercano di trascinarsi a dormire tra un “blyat” e un passo sghembo dovuto all' ubriacatura.
 
Per un attimo ho perfino l'illusione di poter tornare in ricarica, ed è allora che sento il rumore della porta del bagno nell'appartamento dei vicini aprirsi e la mia cara quiete viene squarciata dal suono di un gong e una fisarmonica, al quale poco dopo si aggiunge quello di... un flauto? Non sono del tutto certo ma, se lo è, è forse il peggiore che abbia avuto la sfortuna di ascoltare.
Torno a rigirarmi, in pieno stadio di negazione, nascondendomi nella spessa coperta ricamata. Potrebbe funzionare se non conoscessi i miei vicini di casa abbastanza bene perché il mio processore riesca a immaginare la scena che sta certo avendo luogo in quel bilocale che al momento, oltre a ospitare tre pessimi musicisti e due gemelli, è divenuto patria di molteplici specie fungine tecnorganiche.
Odo passi pesanti trascinarsi sul pavimento in direzione del bagno e la porta spalancarsi con violenza. I pessimi musicisti protestano col dire che sono stati loro (i gemelli, i miei amabili vicini) a rapirli, chiuderli in bagno e intimare loro di suonare ogniqualvolta avessero spalancato la porta, il che è estremamente probabile; quel che ignorano è che venire defenestrati sia un destino divenuto altrettanto probabile, per non dire certo, nel momento in cui la ricarica del Kostrobnese recante il nome di "Megatron" (non è il solo a portare una simile designazione, derivata nientemeno che dal nome di uno dei Tredici Prime originari) è stata interrotta.
Crogiolo ancora nella negazione udendo il rumore dei vetri della finestra distrutti per l'ennesima volta. L'allarme di un veicolo di qualche natura colpito dai musicisti in caduta libera si sostituisce al loro grido, una volta giunto il tonfo assieme ai frammenti di vetro tintinnanti.
Il susseguirsi di molteplici colpi di cannone sparati verso l'esterno mi porta a sobbalzare.
 
«Se io sono sveglio a quest'ora non vedo perché gli altri devono dormire! Blyat».
 
Tipico buongiorno a Kostrobna per chiunque viva sufficientemente vicino a questo palazzo da poter essere vittima del rispetto, della discrezione e della sopraffina, invidiabile, assolutamente ineccepibile educazione del mio vicino -la cui voce decisa e vagamente graffiata risuona molto chiara qui, causa pareti troppo sottili; tipico buongiorno per me.
 
Il mio nome è Damus.
Mi sono trasferito a Kostrobna per ragioni di svariati generi, principalmente economiche, che in questa sede non intendo approfondire... e anche oggi, come ieri, devo accettare il fatto di trovarmi ancora qui.
 
«Daaaamusss».
 
Conosco la voce femminile dal timbro scuro localizzata decisamente troppo vicino ai miei recettori audio, eppure dopo pochi istanti di istintiva fissità -oh, la fissità! La prima reazione di una povera preda, pia illusione pensare che sia realmente utile a qualcosa!- scatto in piedi per autodifesa, sempre in modo istintivo, e il mio braccio è teso, il pugno è chiuso, la coperta a terra. La mia mano va nella direzione giusta e il bersaglio è ora davanti alle mie ottiche, ma un suo fluido spostamento all'indietro fa sì io colpisca solo aria, sbilanciandomi.
La mano aperta di Wraith, gemella del vicino di casa peggiore della storia -e vicina di casa peggiore della storia anch'ella, meritevole del titolo anche solo per il fatto di trovarsi nel mio appartamento senza essere stata invitata a entrare- raggiunge il mio pugno. Il debole attrito è sufficiente a salvarmi da una caduta e in parte dall'imbarazzo.
 
«Come incubo doveva fare proprio schifo».
 
«Prego? Guarda che ero del tutto sveglio! Il contrario era impossibile dato che tuo fratello, non pago di aver rotto la finestra, ha pensato bene di mettersi a sparare cannonate».
 
«Quindi avevi sentito».
 
«Come chiunque non sia sordo!»
 
La vedo annuire solennemente. Solo ora riesco a far caso al particolare del cubo di energon extra forte nella sua mano sinistra.
 
«Di già?»
 
«Fino a poco fa non avevamo cibo in casa... e comunque non si mangia asciutto, eh! Vieni a fare colazione con noi, vicino!»
 
«Non sono certo che sia-»
 
La porta d'ingresso del mio appartamento viene spalancata con una spallata che non lascia dubbi sull'autore di un simile gesto, irrispettoso a una tale quantità di livelli al punto di rendere impossibile quanto inutile cercare di elencarli tutti.
 
«Wraaaith!» sbraita Megatron «Lo stai svegliando o lo stai costruendo daccapo?! Datevi una mossa, è ora di mangiare!»
 
«Sveglio lo era da prima che arrivassimo... come al solito!»
 
«Ecco, allora poche chiacchiere».
 
Megatron e Wraith, i vicini di casa peggiori della storia.
Giunti qui dalla campagna di questo disgraziato settore che è Kostrobna, si sono impossessati del bilocale vicino al mio defenestrando quelli che fino ad allora erano stati i proprietari. Per essere più precisi, Megatron li ha scaraventati fuori dalla finestra mentre Wraith si presentava al sottoscritto sorridendo, augurandosi che saremmo stati buoni vicini e chiedendomi se avevo dell’energon extra forte.
I precedenti proprietari erano persone tutto sommato tranquille col solo difetto di sparare musica ad alto volume tutta la notte e che, in confronto a ciò che vedo ora, a volte riesco perfino a rimembrare con affetto. 
 
«Hai di nuovo rotto la finestra» dico a al mio vicino, tanto per rompere il silenzio creatosi nella brevissima camminata tra gli ingressi dei nostri appartamenti.
 
«Quello che suonava il flauto non meritava altro».
 
Sì, sono costretto ad ammettere a me stesso che tutto ciò mi ha giovato in alcune cose (il mio pugno ha mancato Wraith ma, prima dell’inizio quasi obbligato della frequentazione tra me, lei e il fratello, non sarei riuscito a cercare di darlo e tantomeno sarebbe stato tra i miei istinti. Quale orribile fase della mia esistenza! Trascorsa a essere poco meno indifeso di una protoforma!) ma il fatto di trovarmi quasi a concordare con Megatron causa una certa inquietudine nel mio animo al pensiero di star diventando talmente avvezzo a loro e a Kostrobna da iniziare non solo a sopportarlo, ma a anche mescolarmi.
 
«Era abbastanza stonato, sì».
 
La presenza del mio vicino risulta particolarmente imponente nell’ambiente angusto che ci circonda, tanto nel corridoio, quanto nel bilocale. Ad andar di similitudini lo descriverei alto e grosso come una torre di guardia, più resistente di un armodrillo, forte come tre jurassanoidi e con un brutto carattere che, pur non avendo avuto modo di conoscere quelle creature, immagino fosse analogo; inoltre è dotato di un cannone, procuratosi non oso immaginare dove e come, di due lunghe corna dai molteplici utilizzi che svettano fieramente sulla sua testa e di uno sguardo rosso brillante -unica nota di colore acceso in una corazza viola scuro, verde cupo e più d’un grigio- che afferma, anzi urla, “Ho voglia di spaccare la faccia a qualcuno e posso riuscirci facilmente”. In altre parole, Megatron è molto somigliante al tipo di persona che cercavo in modo disperato di evitare quando vivevo ancora a Tarn, purtroppo senza riuscire nei miei intenti e con conseguenze negative da qualsiasi punto di vista fisico e mentale -argomento che in questa sede rifiuto di approfondire.
 
I raggi di luce carminio che si fanno strada nella stanza vengono divorati dall’insolenza del cubo verde brillante che di sera e di notte costituisce la sola fonte d’illuminazione del bilocale, mentre di giorno può diventare un poggiapiedi, un poggiatesta, una sedia, uno strumento utile per lo yoga, un punto rialzato sul quale ballare, un’arma impropria nel caso sia Megatron a prenderlo in mano e infine, nel caso attuale, un tavolo… sul quale è stato apparecchiato il cibo che fino a poco fa, sono sicuro, era nella mia dispensa.
 
Megatron sbuffa scocciato. «Tutto qua?»
 
Invitare a fare colazione il proprio vicino di casa dopo avergli rubato il cibo e lamentarsi perfino della quantità: assurdità o avanguardia pura? Questo è il dilemma. Ciò che dilemma non è, è il mio desiderio di prendere a schiaffi uno, l’altra o tutti e due.
 
«Ora che ci penso non ho guardato sotto la cuccetta, vado a vedere» replica Wraith con tutta la nonchalance del cosmo «Voi intanto iniziate pure senza di me, no problem!»
 
«Mi raccomando, fate come se quella fosse casa vostra e non si trattasse del mio cibo!» esclamo.
 
Sono conscio che il mio sarcasmo cadrà nel vuoto -non perché manchino di comprenderlo, quanto perché a loro non importa- attraversando senza colpo ferire i loro processori da una parte all’altra esattamente nel modo in cui Wraith in questo momento sta attraversando la parete che divide casa mia da casa loro.
 
Nel caso ve lo stiate chiedendo, no, non avete sbagliato alcunché nella lettura. Conosciuta come alterazione di fase o “transfase” a voler essere marcatamente gergali nell’abbreviare, l’abilità della quale Wraith è portatrice le consente di attraversare pareti, oggetti, persone e qualche altro trucco; è comoda -ancorché limitata sia per l’essere a tempo sia per altri motivi- specie per una femme che è sì molto alta ma anche abbastanza sottile e leggera perché il suo gemello possa, se mai volesse, stringere il suo punto vita con una mano e spezzarla in due.
 
«Ora però è il nostro cibo!» dichiara Megatron, con un ampio cenno del braccio che include anche il sottoscritto.
 
Da una radiolina inizia a risuonare l’inno di Kostrobna mentre Wraith, recante con sé nulla di nuovo avendo già razziato in precedenza tutto il poco che avevo, attraversa di nuovo la parete con testa alta e pugno destro premuto all’altezza della Scintilla. Megatron la imita subito dopo.
 
 
“Soy’uz neurjshimy sectorj svobodnykh
Splotila naveki Kostrobna Velij!...”
 
 
Il patriottismo è uno dei pochi tratti dei miei vicini riguardo cui non mi sento di obiettare.
Nella vita è importante avere uno o più punti fermi, un qualcosa a cui credere ciecamente, che sia la patria, che sia una famiglia (non necessariamente con CNA simile) o un Dio, una filosofia, se stessi. Una persona senza punti fermi è una foglia tecnorganica morta sbattuta dal vento in ogni direzione, senza possibilità di esercitare alcun controllo sulla propria esistenza: un destino tra i peggiori che possano capitare, in cui si può solo pregare per un colpo di vento fortunato che spinga la foglia sulla strada giusta verso la stabilità.
 
Il rispetto verso l’amor di patria dei gemelli e verso quello che, per disastrato che sia, è il settore che mi ha temporaneamente adottato, è quel che mi spinge a imitarli a mia volta. Megatron e Warith non lo farebbero con l’inno di Tarn, ammetto che io stesso non riuscirei a mostrare affetto per quel posto, ma cosa mi vieta di avere più riguardi di loro, se è quel che desidero?
 
«E comunque noi ti offriamo sempre da bere, quindi poche chiacchiere» mi rimprovera Megatron finito il momento patriottico.
 
«Questo perché sapete benissimo che io non bevo affatto! Se lo facessi non credo proprio che sareste altrettanto generosi».
 
«Oooh no, al contrario» mi contraddice Wraith, accovacciandosi accanto al cubo verde «Sarei disposta a dare via tutto l’energon extra forte che abbiamo pur di vederti di nuovo portare a spasso un cane da te rapito calandolo giù dalla finestra per poi, nell’ordine, provarci con il divano, slinguarti il mio cuscino e infine-»
 
«Tentare di palpeggiarmi una chiappa chiamandomi “bella signora” e finendo a terra con una testata della quale ti darò il bis se non ci decidiamo a mangiare» completa Megatron, guardandomi con evidente biasimo «…che pervertito».
 
 

 
[ Nota dell’autore: censurare questa parte dell’opera in fase di editing. È bene che simili memorie giovanili rimangano acquattate nei più bui meandri del mio processore. Conto di procedere limitandomi a dire che “ero solo un po’brillo” senza aggiungere dettagli. ]
 
 

 
 Mi accovaccio accanto al cubo verde proprio come Wraith prima e Megatron poi hanno già fatto. Sulle prime non faccio caso all’attenzione con cui mi stanno osservando ma poi la noto e, nello stesso istante, comprendo.
 
«Hai imparato ma a chi non è kostrobnese serve allenamento costante. Costante!» ribadisce Megatron, puntando un indice contro di me.
 
«L’hai fatto in modo istintivo! Sono commossa!» esclama Wraith, con le ottiche lucide più per un vago sentore di sbronza che per commozione reale. Spero.
 
Dovete sapere che accovacciarsi mantenendo la parte posteriore dei piedi attaccata al terreno, pavimento o superficie in genere, è pratica tipica delle genti nate e cresciute in questo settore e viene chiamata “squat”. È una posizione che a detta loro garantisce massima stabilità, massimo comfort e la possibilità di scattare nuovamente in piedi con facilità qualora la situazione lo richieda. Ogni luogo e ogni occasione sono buoni: sei in attesa perché arrivi il tuo turno di entrare in un qualsiasi luogo? Squat. Ti sei stancato di restare in piedi ma non ci sono sedie attorno? Squat. Stai mangiando assieme ai tuoi amici o sei in giro assieme a loro e vi siete fermati da qualche parte? Squat. Sei abbastanza fortunato da possedere uno schermo grazie al quale poter godere di film e serie? Guardali facendo squat. 
State pensando che quanto ho detto finora sembra recitato a memoria? Sappiate che è così. A detta dei miei vicini sarebbe stato più facile per me imparare il loro squat aggiungendo la teoria a un costante allenamento e al “partire avvantaggiato grazie al mio non essere una western spy, blyat” -ove per western spy s’intende dire chiunque provenga da città quali Cybercity, Iacon, eccetera e qualsivoglia settore non si trovi nel lato est di questo pianeta.
 
 «Se mi sono accovacciato in questo modo è per evitare a una maggior porzione della superficie del mio corpo di venire in contatto con il vostro pavimento, il vostro divano o qualsiasi cosa diversa dal cubo verde! Ci sono funghi in tutti gli angoli!» ribatto, conscio di avere un alleato se si tratta di rimarcare cose simili.
 
«Shì» annuisce Wraith, con la bocca piena «Le montagnole di scorze di semechki di energon a volte fanno nascere qualcosa. Mai come in bagno però».
 
«Tutta colpa di una certa DISGRAZIATA, Wraith, che aveva il compito di pulire questo mese e invece non ha ancora toccato uno straccio, Wraith!»
 
Debbo ammettere che se Megatron avesse guardato me nella maniera in cui sta guardando la sorella mi sarei sentito abbastanza propenso ad alzarmi e impegnarmi nelle pulizie, tuttavia lei non è me, purtroppo per il loro bilocale.
 
«Abbiamo uno straccio?»
 
«Sì! Quella cosa bianca che è in bagno!»
 
«Quella dove sono nati i funghi che ho barattato ieri con l’energon extra forte facendoli passare per allucinogeni?»
 
«Quella!»
 
Mangia, non incrociare lo sguardo di uno o dell’altra e taci, Damus.
Mangia, non incrociare lo sguardo di uno o dell’altra e taci.
Mangia…
 
«Aaah… sì beh se vuoi usalo pure, io non me la prendo».
 
«No, blyat, non esiste! Pulire tocca a te, quindi tu pulisci, perché io non intendo muovere un dito fino a quando toccherà a me! Chiaro?!»
 
Una presa di posizione che sarebbe comprensibile se solo servisse davvero, cosa che invece non è. Sono sempre stupito di come due persone tutto sommato ben messe riguardo l’igiene personale (anche se spaccare tubature all’esterno del palazzo per fare la doccia è peggio che discutibile) possano riuscire a vivere in qualcosa di molto simile a stalla di porcineacon anche quando spetta a Megatron pulire. Nonostante la mancanza di funghi quando è lui a occuparsi dei lavori di casa possa essere considerata un netto miglioramento, resta un esempio da non imitare.
 
«Cercherò di inventarmi qualcosa in questi giorni».
 
«L’hai detto anche una settimana fa! Disgraziata!»
 
Smetto di ascoltare il battibecco, che pure continua, decidendo di concentrare i miei pensieri sul lavoro che mi spetterà durante la giornata.
Non che ci sia molto su cui riflettere per un operaio qualunque di una fabbrica qualsiasi destinato a ripetere meccanicamente lo stesso gesto per otto ore al giorno, cinque giorni alla settimana, il tutto per una paga che naturalmente è misera dato che il compito non richiede particolari requisiti se non riuscire a sopportare l’alienazione che il tutto comporta.
Le cose sono migliori solo per i responsabili del reparto, tanto che dopo milioni di considerazioni e ripensamenti ho perfino trovato la forza di fare domanda per quella posizione nel momento in cui si è liberato un posto: lo stipendio è più alto e, riuscendo ad accumulare shanix più in fretta, magari riuscirei ad andarmene da qui prima.
Non è andata bene.
 
 
“Ho visto come ti muovi e come lavori, sei veloce, sei competente e sei organizzato ma, detta in modo molto schietto, ti mancano gli attributi per trattare con quelli che sarebbero i tuoi sottoposti. Sono stupito già solo del fatto che tu abbia fatto domanda. Cerca di imparare a essere più deciso e poi forse ne riparliamo”.
 
 
Pensare al lavoro è stata una pessima idea.
La radiolina, che in tutto questo tempo non era stata mai spenta e continuava a trasmettere l’inno di Kostrobna, inizia a emettere una serie di statiche per poi morire. Il mal di testa atroce che giunge dal nulla subito dopo mi fa desiderare di essere morto a mia volta, inizio a sentire tutto in modo ovattato, chiudo per un istante i sensori ottici e…
 
«… aver rotto la finestra prima non è stato male, almeno non devo farlo per buttare fuori il cadavere. Ehi! Di’ un po’, vuoi darti una mossa a svegliarti?!»
 
Non capisco cosa intenda Megatron, sono sveglio, ho solo chiuso le palpebre un attimo.
Non comprendo perché mi succeda, non comprendo il motivo per cui c’è sempre qualche oggetto che fa la fine della radiolina poco prima che arrivi il mal di testa. So di possedere un’abilità che mi permette di paralizzare parti corporee altrui e spegnere le macchine ma non la utilizzo per più d’una ragione (una delle quali è il mio fisico che ne subisce i contraccolpi) e, soprattutto, non ha alcun effetto a distanza.
 
«Ormai sono tre minuti... Wraith! Hai trovato o no quel coso con la roba che prende?!»
 
«Ho solo due mani, gli scomparti sono tanti e non è in quello in cui lui lo mette di solit- semechki! Ha dei semechki! Aveva. Eeee… eccolo! L’ho trovato!»
 
«Non so se prenderlo a sberle per svegliarlo o aprigli la bocca e sbattere dentro tutto».
 
«Sarebbe una perdita di tempo, gliela metto io direttamente nel serbatoio assieme all’energon extra forte, almeno fa effetto prima».
 
I discutibili approcci medici dei vicini peggiori della storia riescono a darmi la forza di riaprire gli occhi. Il mal di testa è ancora pulsante ma il suono non è più ovattato e la visuale diventa man mano meno annebbiata, mostrandomi due paia di occhi dall’indentica gradazione di rosso.
 
«C-che… diamine…»
 
«Cerca di evitare di andare offline in casa mia, con tutto il sudicio che c’è manca solo un morto e siamo a posto. Si può sapere che ti è preso?!» sbotta Megatron.
 
«Probabilmente è lo stress. Si ostina a lavorare otto ore al giorno, come altro deve finire?»
 
«Invece di perdere tempo in fabbrica potrebbe stare in giro con noi, trovare quel che gli serve e imparare a darle quando è in rissa invece di bloccarsi e prenderle come quattro giorni fa!» esclama Megatron, per poi rivolgersi al sottoscritto «Idiota. Se ci avessi seguiti da quando siamo arrivati qui saresti diventato una macchina da combattimento, non come me, ma dignitosa».
 
«Sai che non apprezzo la violenza e ancor meno la violenza inutile, in caso contrario ti avrei già preso a ceffoni, la voglia c’è» dico, ancora a terra, mordendomi la lingua troppo tardi.
 
Megatron fa un sorrisetto malevolo. «Come la volta in cui abbiamo avuto quella breve discussione che è finita con lo sfondamento della parete che divide i nostri appartamenti? Per quel che mi riguarda possiamo rifarlo anche ora! Forza, alzati!» mi invita, facendo cenno di avvicinarmi «Hai avuto abbastanza coraggio con le chiacchiere, dimostrane altrettanto con i fatti!»
 
Ho davvero voglia di farlo, per un attimo riesco persino a immaginare il rumore del suo naso che si rompe contro il mio pugno e le sue corna a seguire, solo che poi torno bruscamente alla realtà ricordando che la mia inesperienza è pari alla sua abilità di incassare. Non serve che qualche istante per riuscire a fare due conti e capire che attaccare non sarebbe una grande idea.
 
«Perché invece di rompergli le scatole non gli proponi di nuovo di allenarvi a fare a botte insieme quando starà meglio? Faresti prima» commenta Wraith, lanciandosi in bocca quelli che erano i miei semechki.
 
È frustrante la mia incapacità di comprendere dove finiscano le azioni dettate puramente dalla natura di attaccabrighe di Megatron e dove inizi quello che, dal loro punto di vista, forse è perfino una mano tesa in un atto d’aiuto, perché pur vivendo nello squallore e nel disagio è difficile che qualcuno decida di rompere loro le scatole ed è ancor più difficile che suddetto “qualcuno” ne esca bene, dunque si sentono più tranquilli e sicuri di molti; sia come sia, mentre prendo il solito antidolorifico penso che farei volentieri a meno tanto delle provocazioni quanto dell’ “aiuto”, anche perché (come il loro interesse verso la mia salute con tutto ciò che implica) è più dannoso che altro.
 
«Non lo faccio perché questo idiota direbbe di no come al solito, ecco perché» replica Megatron alla sorella, per poi guardarmi «Riesci ad alzarti in piedi?»
 
«Anche per forza, tra neanche mezz’ora devo partire per andare al lavoro».
 
«Ancora?! Warith, leghiamolo».
 
«Non abbiamo corde!»
 
«Allora lo stendo con una testata, è per il suo bene».
 
«Non ci provare nemmeno!» esclamo «Mal di testa ne ho già abbastanza senza il tuo aiuto. Il lavoro non è faticoso, ce la faccio, da qui all’arrivo in fabbrica sarà passato tutto… e domani, come dopodomani, sono giorni liberi».
 
«Perché invece non vieni con noi a nord del settore?» mi propone Wraith, svuotando un cubo e mezzo di energon extra forte e offrendo l’ultima metà al fratello «C’è una partita di Cube nel pomeriggio».
 
Avrei anche potuto prendere in considerazione l’idea di accettare se fosse stata una giornata in cui non lavoro e, soprattutto, se non sapessi perfettamente che Megatron va allo stadio tanto per sostenere la squadra di Kostrobna quanto per dare inizio a risse spaventose che, complice il fatto che questo settore sia pieno di teste calde, di solito coinvolgono tutta la curva.
L’ultima volta, reo di aver accettato, sono finito mio malgrado coinvolto nello scontro e ho paralizzato per errore la gamba di qualcuno che, come ho scoperto poi, stava fuggendo da Megatron; il “Grandissimo!” che ho ricevuto da quest’ultimo, seppur fosse un complimento, non mi ha fatto piacere.
 
«No, grazie, sarebbe molto più faticoso della fabbrica. Vado alla fermata…»
 
«Veniamo con te!» esclama Wraith.
 
«Il match di Cube non era nel pomeriggio? Perché partite ora?»
 
«Qualcosa da fare nell’attesa c’è sempre. Lì poi ci sono case un po’meglio delle nostre e ieri sera ragionavamo sul fatto che è ora di prenderci un televisore nuovo, blyat, ormai è un po’ che siamo senza per… com’è che è successo?»
 
«Se non erro, Megatron era ubriaco l’ha usato per buttare giù il vostro vicino del piano di sopra quando si è calato qui e ha bussato alla finestra per chiedergli se aveva una sigaretta di energon».
 
Perché?
Perché eventi simili sono diventati la normalità nelle mie cronache ascoltate da Kostrobnesi troppo ubriachi per ricordare?
 
Wraith solleva le sopracciglia. «Sai che non lo ricordavo proprio?»
 
«Questo perché quella stessa sera avete bevuto al punto che siete usciti a cercare voi stessi a vicenda, il tutto trascinandomi dietro».
 
«Non ci aiuta granché, è successo un paio di volte in queste due settimane» sbuffa Megatron.
 
«Sei. È successo sei volte e io parlo della penultima».
 
«Aaaah».
 
 

 
[ Nota dell’autore: con mio enorme rammarico debbo notare che l’intermezzo tra questo e il mio ritorno dalla fabbrica è andato perso. La mia ipotesi è che sia andato a finire in certi punti dei miei appartamenti dei quali io stesso ignoro parzialmente il contenuto. Chiedendo a Lord Megatron (quale ironia che il mio ex vicino di casa e Lui portino la stessa designazione pur essendo due persone totalmente diverse!) di darmi la forza di tuffarmi in una ricerca che si preannuncia ardua, per il momento continuo la prima rilettura di quanto ho scritto. ]
 
 

 
Quando giungo alla fermata la pioggia è diventata fortissima e non resta altra luce se non quella delle insegne e quella dei pochi lampioni giallo sporco ancora miracolosamente sani.
Alzarmi è quasi difficile, non sono riuscito a sedermi che cinque minuti fa dopo un viaggio fatto costantemente in piedi che oggi, forse a causa di quant’è accaduto stamattina, ho trovato un po’stancante. Megatron e Wraith forse sono ancora a nord a far danni o forse sono già tornati, non so dirlo (girano molto per il settore ma solitamente finiamo a incrociarci nei mezzi pubblici, specie di sera) quindi ho potuto dimenticarmi del posto in fondo che, se sono presenti anche loro, mi è riservato. Quando salgono sui mezzi pubblici l’espressione di Megatron fa sì che si crei il vuoto attorno a lui, alla sorella e a me, con conseguenti posti liberi.
 
La pioggia che inizia a battere sul mio corpo quando scendo dovrebbe irritarmi o far sì che mi affretti per raggiungere casa ma non è così. La sensazione che provo non è di fastidio, è quasi un massaggio che riesce a lavar via la stanchezza e i brutti pensieri per qualche minuto, prima che il mio processore ponga un quesito quale “Dove saranno finiti quei due?”
 
Il colpo di un cannone a neanche cento metri di distanza, dal rumore che ormai mi è ben conosciuto, mi porta a trasalire.
 
«EEEEEEEE- DYUREDE’DANJE!»
 
Megatron, perché di lui si tratta, canta (urla) il verso di una tipica canzone del luogo prima di sparare un altro colpo.
 
«AJANI’SAM!»
 
Colpo di cannone numero tre.
Forse è colpa mia che, se in orari simili non sono ancora in vista, mi chiedo ancora dove siano invece di limitarmi a essere sollevato all’idea di non dover assistere a simili sfoggi di kostrobnesitudine.
 
«SON OMKO JU VOLYM!»
 
Alle tre cannonate sparate in fila una dietro l’altra si aggiunge il rumore dei colpi sparati dalle persone che a quest’ora sono abbastanza ubriache da mettersi a cantare a loro volta, applaudendo tra un “blyat” e un “cyka blyat” (quel loro intercalare il cui significato cambia a seconda del contesto, in questo caso d’approvazione, ma resta sempre alquanto volgare), alias… tutta la strada.
Questo è il posto in cui vivo al momento.
 
Incontro Megatron, visibilmente ubriaco, all’ingresso del palazzo. «Quando ci sei, si sente…»
 
«AH! Vicino!» esclama, dandomi una pacca sulla schiena che mi avrebbe fatto crollare a terra se fossi stato più esile «Dovevi venire allo stadio, razza di ssss… zozzone! La rissa più bella del mese! E il Kostrobna ha vinto!»
 
Ciò conferma quel che temevo e quanto ho detto stamattina, nulla di sorprendente.
Il desiderio staccare i recettori audio, coricarmi e stare tranquillo fino a domani mattina diventa sempre più grande ma inizio a intuire che non verrà soddisfatto nel momento in cui, giunti al piano in cui si trovano i nostri appartamenti, odo la musica tipica del posto sparata a un volume tale da far tremare le pareti. Inutile chiedersi da quale delle topaie qui presenti provenga di preciso.
 
«Ecco dov’era andata a finire la deesHgraziata» commenta Megatron, fermandosi davanti all’ingresso del suo bilocale e aprendo la porta.
 
«CYKA BLYAAAAT!»
 
Questo è il grido con cui Wraith e le oltre venti persone presenti nello stretto bilocale ci accolgono e, fosse solo questo, non sarebbe nulla che non abbia già visto. A essere sconcertante è ciò che realizzo negli istanti che seguono.
Dalla finestra che Megatron ha rotto questa mattina entra la pioggia ma Wraith, invece di fare un tentativo per tamponare il danno, ha lasciato entrare l’acqua e ha utilizzato la transfase per mettere dei pezzi di lamiera come barriere tra essa, la porta d’ingresso e la stanza in cui c’è la cuccetta sua e di suo fratello, creando dunque una piscina (ormai il livello dell’acqua è notevole e continua a salire); come se ciò non fosse stato sufficiente ha svuotato nell’acqua almeno due flaconi di detergente profumato, sopra il cubo verde che galleggia pigro c’è un il televisore che lei e Megatron devono aver rubato oggi e… sto pregando inutilmente divinità di vario tipo che quello che penzola dal soffitto e si tuffa parzialmente nell’acqua non sia un grosso insieme di serpentine arroventate prese da chissà dove per scaldare l’acqua.
Forse è solo  un sogno. Forse è ancora mattina e io sono ancora svenuto, perché se così non fosse staremmo rischiando di saltare tutti in aria.
 
Kostrobnesi ubriachi marci, alcuni dei quali aggrovigliati da fili di lucine, ballano, saltano, bevono, ridono e gridano. Il tuffo che fa Megatron nella piscina casalinga urlando “Finalmente un po’di sapone in questo posto” causa un’onda anomala che raggiunge la mia faccia.
 
Io sono sveglio, l’acqua è effettivamente calda e se avessi un briciolo di autocontrollo o dignità in meno, sarei in lacrime.
 
«…e tu vieni qua!»
 
Vengo sollevato e gettato in mezzo all’acqua saponata e alle persone dal peggior vicino della storia.
Temo di poter dire con sicurezza che, anche questa notte, dormirò la notte successiva.
   
 
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