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Autore: Gatterina    18/04/2020    0 recensioni
La Quarantetra!
Come se la cava il sovrannaturale, con tanti di noi chiusi in casa?
Proviamo a scriverlo, di giorno in giorno.
Si tratta di un'iniziativa del mio ragazzo, se avete voglia di partecipare anche voi, condividete i vostri pezzi con il tag #LaQuarantetra.
La mia storia parla di un professionista alle prese con la sua ultima vittima: la loro vita semplicemente ritmata da sani e puntuali spaventi è stata stravolta. Troveranno un nuovo equilibrio?
Siate sani e felici e creativi!^^
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono del parere che nessuno possa definirsi un autentico professionista se non dopo aver svolto dignitosamente il proprio lavoro, in diversi ambienti e situazioni, e anche secondo i criteri più severi sono fiero di rientrare nella categoria. La società si evolve nel tempo, e bisogna sapersi adattare.

Molti dei miei colleghi si sono arresi e hanno finito per sparire dopo l'avvento dell'elettricità; altri avevano avuto problemi già con le prime grandi vetrate. Io no. Ricordavo bene i racconti mio nonno: ai suoi tempi la più grande depressione s'era avuta quando gli umani avevano cominciato a costruire le prime abitazioni, abbandonando acccampamenti e boschi.

Considerando quanto si fosse scoperta proficua la nostra attività una volta adeguata all'ambito cittadino, sapevo che lasciarsi scoraggiare era un errore.
Ho aspettato, studiato la situazione, scoperto opportunità inesplorate e sono andato avanti, dando vita a una vera rivoluzione e diventando un maestro della mia professione.

Adesso, per attirare l'attenzione di un passante mi basta un rapido luccichio, e con tutte le superfici riflettenti e le fonti di luce a disposizione essere un buon manipolatore dà risultati eccezionali.

Attirare un umano in un luogo sperduto e mandarlo in una spirale senza fine di puro terrore è un attimo. Aspettare che sia giunta per loro l'ora del sonno e stuzzicarli perché vedano due occhi fissarli dall'angolo buio della stanza è uno spasso.

Da anni sono passato a presiedere case semplici, ai margini delle grandi città. Ho spaventato molte famiglie, da solo o in compagnia, ma di recente ho scoperto la quieta e soddisfacente vita che una donna sola può darmi.
Le famiglie fanno molto lavoro da sole, specie quelle con tanti piccoli: si sa che il panico è contagioso.
Ma troppe volte riescono a buttare tutto sul ridere, e distruggere ore di accurato lavoro del sottoscritto. L'ansia mi piace gustarla così come viene; una vittima sempre più convita d'essere fuori di testa è il premio più ambito. Odio chi mente a se stesso. Quello che voglio è emozione pura!

Nell'ultimo anno ho seguito una ragazza e ho molto apprezzato i vantaggi della sua situazione.

Ogni giorno al suo rientro, prima di vederla uscire di casa, quando si prepara per andare a dormire, a ogni viaggio al bagno o in cucina nel cuore della notte... riesco sempre a strapparle almeno un sussulto.
È una situazione ideale, e non sono l'unico ad approfittarne: due miei colleghi sono spesso qui.

Ammetto di non essere stato io il primo a notare il cambiamento, nonstante sia un grande osservatore.

Vedete, nell'ultimo mese, e forse persno da qualche settimana in più, la nostra ragazza è rimasta a casa senza uscire se non per pochi minuti.
La prima settimana aveva cominciato ad addormentarsi sul divano, con la tv accesa a volume bassissimo, e l'occasione era così ghiotta che, confesso, ne abbiamo approfittato senza saperla far durare.

All'ottava notte in cui si svegliava di soprassalto per un fruscio improvviso e inorridiva per l'ombra all'ingresso, correndo in camera senza potersi scrollare di dosso l'impressione d'essere seguita, ha imparato la lezione ed è tornata diligente a dormire sul letto.
Lì è al sicuro da noi, almeno finché tiene a modo il cuscino o non le scivola il lenzuolo di dosso. Non ha importanza, del resto, abbiamo tanti altri momenti per rifarci.

In un paio di settimane ho cominciato a sentire il peso di non avere un vero momento per me stesso, fino a stufarmi di dover organizzare in fretta e furia l'accoglienza giusta ogniqualvolta tornasse da un giro alle pattumiere. Perché diavolo non stava via di casa per un tempo ragionevole, lasciandomi riposare decentemente?

Ma non ho perso di vista i miei obiettivi e ho imparato ad apprezzare tanti nuovi dettagli.
Il modo in cui scruta lo schermo per qualche secondo dopo averlo spento, pronta a scorgere il mio riflesso, mi ha portato a sentirmi quasi ubriaco della nostra nuova intimità. In quella mi sono crogiolato, e sono stato distratto.

Per l'altro è stato diverso, immagino, perché è sempre stato il più fisico di noi tre.
Ha un talento raro che non mi vergogno d'invidiargli e dal più insignificante degli stracci tira fuori una sagoma di tutto rispetto. Per ovvie ragioni il cappotto appeso all'ingresso e l'accapatoio in bagno sono i suoi strumenti preferiti: persino io sono stato sorpreso più di una volta a scorgervi una figura nascosta

Abbiamo lavorato insieme in certe occasioni speciali, e ottenuto dei gridolini di spavento niente male.

«Credo che mi abbia sorriso» mi ha detto qualche giorno fa. Era pensoso e appena insicuro, come un berretto che non sa bene per che verso afflosciarsi sul suo attaccapanni.

Nella notte senza vento rami insistenti hanno graffiato le finestre, traendo stridii minacciosi dal vetro liscio. «Impossibile. Ha sempre guardato due volte, ben atterrita, e l'ho anche vista rabbrividire» è intervenuto l'altro da fuori.

Io ho preferito restare zitto: sono, piuttosto, uno che guarda, e se m'ero lasciato sfuggire qualcosa preferivo rimediare prima di pronunciarmi.

Perciò, negli ultimi giorni, ho prestato attenzione e adoperato diligentemente ogni trucco appreso in anni di onorato servizio: in più di una occasione sono certo che abbia fissato il suo sguardo nel mio.

Non intendo mentire, l'attenzione non mi dispiace.

«Mi ha parlato» il lamento mi raggiunge su passi veloci e troppo pesanti, proprio mentre sto studiando l'angolo migliore dal quale scrutarla, tra lo spazio dietro la porta per la cucina e l'ombra della libreria alta, quella con le foto incorniciate e i pupazzi in cima.

Questa volta non ho motivo d'esser sorpreso. Sono quasi certo che la ragazza ci abbia notato.

«Mi ha chiesto: “Sei lì?” e sembrava pure felice! Nessuno è mai stato felice dei miei ansiti! Terrorizzato, inorridito, ma mai felice!» il cigolio della porta suona addolorato, e il mio collega è prossimo alle lacrime. Devo fare qualcosa, lo so. Ancora una volta, devo affrontare il cambiamento e farmi pioniere. Ma sento che questa volta sarà diverso.

Uno dei pupazzi cade dal mobile a raggiungerci, e la sagoma accuattata in tutto simile a quella di una belva pronta a scattare si srotola nella mia direzione.

«Oggi mi ha sorriso, e poi mi ha aggiustato la manica!».
Se entrambi si rivolgono a me è perché sono un professionista stimato, e intendo meritarmi la loro stima.
 

La ragazza entra nella stanza in quel momento, dimostrando in un attimo che il mio talento non è andato sprecato: l'angolo è perfetto, e con un cigolio mormorato la porta oscilla per merito di quell'altro, e lo sguardo della ragazza saetta sul fagotto scuro in attesa sul pavimento.
Catturo rapido uno scintillio sugli occhi vuoti del pupazzo nascosto nell'ombra e adesso sono certo che lei mi stia guardando come mai prima d'ora.

Ha gli occhi cerchiati di nero e si apre in un sorriso instabile, di quelli che tremano.

La sua attenzione però è stonata, fin nel profondo sento che qualcosa sta per cambiare per sempre: sono a un passo da una nuova rivoluzione.

«Sei tu» dice, inspiegabilmente lieta dello spettacolo che le stiamo offrendo.

Quasi le rispondo, infastidito più del lecito. In che senso “Sei tu”? Siamo tre mostri ben distinti e non intendo accettare questa ridicola confusione!

Scivolo verso lo schermo spento e con mia soddisfazione mi segue con lo sguardo. Non è spaventata però. E i miei colleghi sono pronti a seguire il mio esempio: la porta sbatte forte con un tonfo sordo e il pupazzo sembra allungarsi senza fine nella sua pozza d'ombra.

La ragazza scatta col capo da una parte all'altra della stanza, e per un momento torno a sentire il dolce gusto d'allarme strisciarle addosso.

Poi scoppia a ridere. Non di nuovo, cazzo.

Ma lei ride fino alle lacrime, gettando al vento la mia preoccupazione, pura e sconvolta come la migliore delle vittime.

«Di certo non ho motivo di sentirmi da sola!» ansima, e anche se può sentire l'eco della sua voce tormentarla strisciando sul tappeto e nota le ombre allungarsi tra le coste dei libri, è me che cerca, lo sguardo intrecciato al mio.

Completamente folle, questa mia ragazza. Le sorrido. Mi piace.

La rivoluzione non delude mai.

  
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