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Autore: MelKaine_Iceriel    08/08/2009    10 recensioni
Merlin è scomparso. Arthur non riesce a darsi pace. E dopo giorni e giorni di ricerche, un viandante terrorizzato gli consegna uno specchio destinato a lui con incise inquietanti parole: “Non v’è condanna più dolorosa del vedere. Non v’è agonia peggiore nel non poterlo fare.”
Genere: Romantico, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, Yaoi | Personaggi: Altro Personaggio, Merlino, Principe Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo II

Buona sera! Pubblico il secondo capitolo della storia, nonché, per ora, ultimo capitolo scritto da me (Iceriel). Qui ho veramente dato sfogo al mio sadismo, il che mi ha divertito un mondo! Non ho potuto esagerare perché altrimenti Mel mi picchiava, ma comunque direi che sono abbastanza soddisfatta dalla dose di cattiveria e di angst!*_*

Passo ora a rispondere alle recensioni!:3

@LadyKokatorimon: grazie mille per i complimenti!:3 personalmente mi diverto moltissimo a scrivere in uno stile adatto al medioevo, anche se a volte è un po’ limitativo perché bisogna trovare altri modi per dire cose che in genere sono rese semplicemente da delle metafore più “moderne”! però lo trovo esaltante lo stesso! Soprattutto esprimermi in veglie è una cosa che mi diverte moltissimo!XD spero anche io di leggere presto il seguito perché ora tocca a Mel!XD

@harderbetterfasterstronger: ti ringrazio moltissimo per i complimenti a questa storia. Mi hanno fatto molto piacere. Tuttavia, te lo dico per onor del vero, il prologo e i primi due capitoli, sono opera mia, non di Mel. Li ho scritti interamente io, con lei li ho solo ricorretti, abbiamo fatto una sorta di betaggio. Te lo dico perché dal tuo commento sembra quasi che sia opera di Mel e io ci abbia messo un po’ del mio zampino, cosa, appunto, non vera. Ripeto, la storia ce la dividiamo a capitoli: prologo e primi due a me, prossimi due a Mel, se la storia va per le lunghe, vedremo. E’ anche un po’ colpa mia che forse non mi sono spiegata bene nell’intro del prologo e del primo capitolo. Ecco, ci tenevo a precisarlo anche perché ritengo che io e Mel abbiamo due stili abbastanza diversi, e mi dispiace che la gente pensi che io, in qualche modo, cerchi di emulare il suo o viceversa.

@Arwen Woodbane: ehhhh l’angst è una droga! Come ti capisco! XD non temere. Il grado DISUMANO di sofferenza a cui lo sottoponiamo è proporzionale al grado di pucciaggine e al lieto fine: più lo torturiamo, più Arthur se lo coccola dopo!u.u

 

E ora avanti con la storia!<3

Endless Night

Capitolo II

"Merlin!"

Il suo fu un rantolo strozzato, come mai ne aveva pronunciati in vita sua.

Avvicinò lo specchio al volto, sconvolto, incredulo.

Non vi erano dubbi. Quello riflesso era Merlin. I suoi capelli neri, poco distinguibili vista loscurità che lavvolgeva, il suo straccetto rosso la logora camicia blu.

Merlin.

Ma non poté gioirne.

Nemmeno per un breve attimo.

Perché limmagine che vedeva mostrava un Merlin accasciato a terra, ansimante. Lo vide sofferente, il volto nella penombra risaltava bianco come la luna. Gli occhi vitrei, stanchi, vacui, come se non vedessero nulla, come se avessero sofferto troppo per poter voler vedere ancora qualcosa.

Il riflesso era ridotto, viste le dimensioni dello specchio, ma egli poté giurare che stesse tremando.

"Merlin!" lo chiamò, non curandosi di quanto ciò fosse stupido. Sapeva che non avrebbe potuto udirlo.

Pochi secondi dopo il mago ebbe un sussulto, come se qualcosa lavesse spaventato. Arthur lo vide alzarsi di scatto e guardarsi attorno come chi cerca di scrutare nel buio.

Vide unombra indistinta, inconsistente, comparire nellimmagine.

La vide avvicinarsi a Merlin.

Attaccarlo.

E vide il mago dimenarsi per cercare di liberarsene.

"Usa la magia usa la magia..." sibilava Arthur, non potendo far nulla di più.

Ma Merlin non faceva altro che scalciare e cercare di sfuggire.

Lombra continuò ad infierire , ma egli non riusciva a reagire.

Langoscia lo invase quando vide la casacca strapparsi e il sangue uscire da un taglio sul braccio.

Ed ancora e ancora.

La sottile maglia era ormai a brandelli.

Il suo corpo martoriato.

Lo vide schiantarsi contro il muro di pietra, come se vi ci fosse stato sbattuto contro.

Lo vide cadere, strisciare per allontanarsi da quellombra che lo stava ferendo.

Lo vide alzarsi faticosamente aggrappato alla parete come se non esistesse altra certezza se non la sua gelida consistenza.

Lo vide, nuovamente, guardarsi attorno, perso, smarrito. Tendere la mano avanti come per trovare qualcosa, qualcosa che

Arthur si paralizzò.

Il respiro gli morì in gola mentre il raccapricciante sospetto si faceva largo nella sua mente.

Continuò a guardare, sperando di essersi sbagliato.

Eppure

Quella mano saldamente ancorata alla parete

Il girarsi frenetico della sua testa come se cercasse di capire da dove sarebbe arrivato il prossimo attacco.

Arthur era abituato ad osservare ed interpretare i movimenti del corpo.

Laltra mano protesa di fronte a sé, a palpare laria.

Lo vide parlare, ma non poteva sentire cosa diceva.

Osservò angosciato mentre con riluttanza staccava la mano destra ancorata al muro per avanzare, incerto, entrambe le braccia tese in avanti.

"Non ci vede" ansimò ormai certo di quella tragica realtà. Dovette aggrapparsi al ripiano del camino per fronteggiare il capogiro che lo colse.

E ancora vide quellombra danzare attorno a Merlin, senza che lui potesse vederla, affrontarla difendersi.

Ma Merlin la avvertiva, come lui avvertiva quel colpo di spada nel suo angolo cieco.

Ma il mago non reagiva si allontanava, cercava la salvezza, ma non utilizzava le sue doti.

"La magia ti prego usa la magia!" implorò quasi.

Ma Merlin non lo fece.

Arthur si sentiva male come mai in vita sua.

Se non sapere dove era laveva straziato, il vedere e non poter fare, lo uccideva.

E quando lo vide venire scaraventato di nuovo contro il muro, quando lo vide accasciarsi nuovamente a terra, distrutto, terrorizzato, tappandosi le orecchie, capì… capì cosa quella scritta sullo specchio significasse.

Una rabbia cieca lo pervase e senza pensare si fiondò fuori dalle proprie stanze per recarsi in quelle di Gaius, noncurante del fatto che laveva appena obbligato a coricarsi.

Con lo specchio stretto nella mano si ritrovò a correre.

Aprì con violenza la porta di legno e trovò il vecchio cerusico chino sui libri seduto al massiccio tavolo.

"Sire!" lo accolse sorpreso il vecchio medico alzandosi con cipiglio preoccupato, sgomento di fronte allagitazione che, era evidente, aveva il controllo del principe.

"Merlin! Ecco a cosa serve, per farcelo vedere per farci vedere come lo tortura!" urlò.

La mascella serrata, il fiato corto per lansia e la rabbia. Gaius lo guardò confuso fino a che non prese lo specchio che Arthur gli stava porgendo.

"Oh mio dio" ansimò lasciandosi cadere sulla sedia.

Era troppo troppo perfino per lui.

Ma Arthur non poteva lasciare che si perdesse nello sconforto. Lo afferrò per le spalle.

"Gaius, ho bisogno di sapere" disse con fermezza.

"Cosa, Sire?" domandò spaesato, confuso.

"Dove risiede il potere di Merlin?"

"Non... non capisco" balbettò, gli occhi che continuavano a cadere su quello specchio in cui Merlin giaceva a terra, esausto, terrorizzato.

"Gli occhi gli occhi di Merlin che diventano oro ha a che fare con la sorgente del suo potere, Gaius? Rispondimi!" lo scosse leggermente.

"No no, io non credo. È è solo una manifestazione, non la sorgente. Il il potere scorre in lui non ha una sorgente, è egli stesso, semplicemente. Gli occhi sono solo un veicolo.. " Arthur lo lasciò andare e si passò nervosamente una mano tra i capelli.

Merlin non ci vedeva… questo, tragicamente, era chiaro.

Ma se la sorgente dei suoi poteri non stava negli occhi perché non la utilizzava?

Per lui la magia era vitale come respirare. Potendo la usava appena possibile, era inconcepibile che non ne facesse ricorso ora, per difendersi.

"Perché me lo chiedete?" domandò Gaius con voce tremante.

E Arthur… Arthur non seppe con che coraggio riuscì a guardarlo negli occhi e a rispondere.

"Merlin… Merlin non ci vede. E non usa la magia… quindi ho pensato che quello schifoso avesse annullato la sorgente dei suoi poteri. Ma se mi dici che non sono collegati… Io non so proprio cosa pensare.”

Prese nuovamente lo specchio tra le mani e guardò il mago nuovamente a terra, le ombre attorno a lui che lo circondavano, fluttuando… quasi se ne stessero beffando.

E lui a terra, scosso da qualche sussulto quando un’altra ombra si faceva più vicina, quando lo sfiorava.

Lo vedeva, era spaventato.

Inerme come mai prima.

Indifeso come mai, nemmeno quando ignorava del suo potere, gli era apparso.

Distolse lo sguardo, poggiando lo specchio, incapace di guardare oltre, ma sentendosi un vile nel non farlo.

"Ne siete sicuro?" domandò Gaius, toccando lo specchio come se avesse paura di ferire Merlin stesso.

Arthur annuì.

" Merlin…" un sussurro affranto con voce stanca. Tutti i suoi insegnamenti non erano bastati…

Tutte le sue precauzioni, non erano servite a nulla.

"Non v’è condanna più dolorosa del vedere" citò stancamente, lasciandosi cadere nuovamente sulla vecchia sedia.

"Non v’è agonia peggiore nel non poterlo fare" concluse Arthur e il suo sguardo cadde, inevitabilmente, sull’immagine del suo servo e per un momento gli sembrò quasi di udirlo chiamare il suo nome…

 

 

 

 

La prima cosa che recuperò fu la percezione del suo corpo.

Gemette, sentendo le sue membra indolenzite, doloranti.

Non ricordava cosa fosse successo. Ricordava solo che stava raccogliendo delle erbe per Gaius… e poi… la sensazione. Quella sotto la pelle, quella che l’aveva svegliato quella notte quando era stata usata la pietra filosofale.

La sensazione che qualcuno stesse usando la magia.

Non ebbe il tempo di fare nulla che i sensi l’avevano lasciato come se gli venissero strappati dal corpo.

 

Si mise a sedere con un gemito.

Aprì gli occhi lentamente.

L’oscurità era totale, come se fossero ancora serrati.

Li richiuse.

Li riaprì.

E nulla cambiò.

Gemette spaventato, poiché non vedeva null’altro se non oscurità.

Si strofinò gli occhi e cercò di guardarsi le mani.

Ma continuò a non vedere nulla.

Nemmeno le dita di fronte ai suoi occhi.

Il buio più completo lo circondava. Si aggrappò tremando alla parete lì dietro.

Istintivamente, chiamò la luce a sé, la stessa che aveva guidato Arthur fuori dalla cieca oscurità.

La sfera di luce illuminò le pareti ed il suolo di pietra. Egli vide la sua mano e tirò un sospiro di sollievo.

Ci vedeva…

Ma non durò altro che il tempo di un battito di ciglia.

Egli udì l’urlo straziante di Arthur e, perdendo la concentrazione, la sfera si spense.

"Arthur!" urlò con quanto fiato aveva in gola.

Non pensò a nulla se non al fatto che anche lui era stato catturato.

Non sapeva da chi, non sapeva perché… ma Arthur era lì.

Doveva salvarlo.

A costo di morire nel tentativo.

Invocò ancora il suo potere, urlò la formula magica per portare la luce ovunque.

Doveva vedere.

Doveva trovare Arthur.

La luce nacque dalle sue mani, come una sirena che emerge dalle acque, e poi si espanse tutta attorno a lui.

Fece in tempo a vedere le pareti attorno a sé.

Non v’era nulla. 

Eppure laggiù non vedeva niente  se non oscurità. La sua luce non lo illuminava.

Come se non osasse spingersi oltre quel limite che le ombre imponevano.

Durò tutto un secondo.

Poi le urla strazianti lo stordirono di nuovo.

"Arthur!!" gridò. Ma quell’urlo disumano gli entrò nella testa quasi volesse tagliargliela.

Fu il suo turno di urlare, mentre attorno a se l’oscurità divorò la sua luce.

Cadde a terra mentre l’eco della voce del principe si spegneva nella sua testa.

"Ar…thur..." rantolò, allungando ancora la mano per rievocare la luce.

Non v’era altro che il suo nome tra i suoi pensieri.

Doveva salvarlo.

Non c’era né tempo per pensare né per avere paura.

Ma questa volta, la luce non ebbe nemmeno il tempo di nascere: appena sentì la calda sensazione della magia scorrergli nel braccio, la sua testa andò in frantumi di nuovo.

L’urlo di pura agonia lo straziò.

Così intenso che ebbe la certezza che l’avrebbe ucciso.

Così agonizzante, che ebbe la certezza che sarebbe stato il suo ultimo grido.

"A..rth…" non ebbe nemmeno il tempo di invocarlo che le tenebre che avvolgevano il suo corpo oscurarono anche i suoi sensi.

 

Non seppe dire quanto tempo passò.

Aprire gli occhi fu del tutto inutile.

Non si mosse. Restò lì, a terra sulla pietra ormai divenuta tiepida a contatto col suo corpo.

La testa gli pulsava ed egli… egli non riusciva a muoversi.

Sentiva ancora l’urlo di dolore del principe rieccheggiargli nei ricordi.

Non aveva più forza, eppure… eppure il principe aveva bisogno di lui.

"Arthur" ansimò per darsi forza.

Si mise in ginocchio, esausto, stremato, dolorante e confuso.

Non sapeva dov’era, chi l’aveva portato lì… cosa stesse succedendo.

L’unica certezza era il buio soffocante… e l’urlo di Arthur.

 

"Usa la tua magia, stregone… fammi sentire ancora quel grido disperato… avanti…."

Merlin si tirò in piedi di scatto, le gambe tremanti.

Non ricadde in ginocchio per pura determinazione.

"Chi sei?! Dove sei?! Fatti vedere!!! Dov’è Arthur?! Cosa gli stai facendo?" urlò con tutta la rabbia che aveva in corpo.

Non avrebbe tremato, né supplicato.

Sentì qualcosa muoversi accanto a sé, una mano accarezzargli la lunghezza del braccio… il respiro di qualcuno sul collo…

Si scansò sorpreso voltandosi, ma ovviamente non vide altro se non buio.

"Chi sei…?" ansimò. Non si azzardò ad usare la magia.

La frase pronunciata dallo stregone gli aveva lasciato la viscida sensazione che usare la magia avrebbe fatto il suo gioco.

Si afferrò il braccio come per imporre ai brividi che lo percorrevano di placarsi.

Una risata fu l’unica risposta che ottenne.

"Dov’è Arthur?!" urlò ancora, girandosi nel buio, cercando qualcosa, qualsiasi cosa che potesse permettergli di orientarsi.

"Arthur? Il principe è nel suo castello, caro il mio stregone…" e di nuovo rise.

Merlin non aveva mai avuto tanta paura in vita sua.

"No! No, tu menti! L’ho sentito urlare!!! Dove lo nascondi?! Cosa gli stai facendo? Lascialo andare!" e per quanto lo desiderasse, non poté mascherare la nota di puro panico nella sua voce.

"Cosa gli sto facendo? – chiese con voce divertita. Rise di nuovo. Credo che la domanda corretta sia cosa gli stai facendo" insinuò.

Merlin continuava ad ansimare, in preda all’ansia: quel buio lo agitava, quella voce che sembrava provenire da ovunque lo stordiva.

Non aveva controllo su nulla, né sulle sue emozioni, né sui suoi sensi.

Era cieco, incapace di capire dove fosse, gli sembrava di stare su un piedistallo in mezzo ad un precipizio.

"Cosa vuoi dire!?"

"Quello che ho detto… usa la magia, stregone… usala… e Arthur soffrirà come se l’avessero colpito con dieci frustate… usa il tuo dono, Merlin, fammi sentire le sue grida!" rise sguaiatamente, come un folle.

Merlin sentì la carezza dell’aria sulla pelle, come se fosse lì accanto a lui. Ma non osò muoversi.

"Menti… perché dovresti dirmelo?!" urlò di nuovo. Come se urlare dipanasse il terrore.

Come se urlare potesse nascondere la sua paura.

"Perché… non ci sarebbe divertimento per me, altrimenti! Vederti… sentirti impaurito… combattuto…" sussurrò con scherno.

Sentì la sua mano sulla guancia e d’istinto cercò di colpirlo.

Ma il suo pugno non colpì nulla.

"Credermi o no, stregone? Ti stai chiedendo questo! Usare o no la magia? Questo è il tuo più grande dubbio! E ti divorerà! E non userai la magia per paura… ma sarai così terrorizzato che lo farai…. e lo sentirai urlare come non mai nella tua testa! E soffrirai, soffrirai come mai in vita tua! – un’altra risata crudelmente compiaciuta. – Se non te l’avessi rivelato non sarebbe stato altrettanto divertente!"

"Tu sei un folle! Dov’è Arthur!?"

A Camelot. Ma come avrai potuto notare, la magia scorre in te come in me, mago. E la magia… la magia può tutto! Un incantesimo, poche parole… non serve altro per lanciare una maledizione… è così che ho fatto con te, per portarti qui… e così ho fatto al principe, prima che tornasse a Camelot. Siete legati, mago, non ne sei felice? Ora lui sente la tua magia!" e ancora rise, rise folle, rise di una gioia malata e di una soddisfazione perversa.

"Perché fai tutto questo?! Cosa vuoi da noi?!" le parole gli uscirono come se fossero state costrette.

"Da voi? Voglio vedervi soffrire… soffrire come meritate" questa volta Merlin avvertì la voce dietro di sé. Provò a girarsi, ma non vi riuscì: il suo corpo era completamente paralizzato.

"Tu, mago traditore, sarai il mio burattino. E il tuo adorato principe non potrà fare nulla. Vi distruggerò. Vi distruggerò come sono stato distrutto io" il tono improvvisamente diverso.

Gelido, tagliente.

Incredibilmente lucido e crudele.

Merlin provò ad opporsi alla paralisi, ma senza usare la magia era impossibile.

Non poteva usare il suo dono.

Non poteva rischiare che quell’uomo dicesse il vero.

No… a costo di impazzire, a costo di morire, non avrebbe rischiato di far del male al principe.

Doveva proteggerlo.

Era nato per quello e avrebbe adempiuto al suo destino.

Non perché doveva, ma perché voleva.

Delle  mani si chiusero sulle sue spalle. Un respiro leggero sul suo collo gli mandò una scarica di brividi ghiacciati lungo la schiena.

"Tu pregherai la morte, mago, tu la anelerai come non hai mai desiderato null’altro" la mano scese sul suo petto, tracciandone i muscoli appena accennati.

"Ricordati… il tuo buio… è la mia luce. È la nostra luce…l’oscurità ti divorerà e sazierà la mia brama di vendetta."

Merlin sentì la lingua del mago carezzargli la guancia.

Se avesse potuto muoversi… avrebbe tremato.

Le mani scesero… scesero pericolosamente verso la cinta ed egli non poté fare nulla se non implorare nella sua testa che si fermasse.

 

Dio… Dio ti imploro… questo no…

 

Si ripeteva come un mantra nella testa mentre sentiva lo stomaco chiudersi e la paura stringergli la gola.

 

"Usa la magia… fermami…" sibilò per poi mordergli il lobo.

 

"No…" l’unico pigolìo che la gola gli concesse.

 

La bocca scese lungo il suo collo, mordendolo.

Merlin sentì lo straccio che indossava generalmente attorno alla gola svanire.

Le mani gli cinsero i fianchi ed egli ebbe la certezza che il suo destino fosse segnato.

E gli dolse in quel momento dare ragione a quell’essere ignobile:

 

non aveva mai anelato la morte così intensamente.

 

Il rapitore rise soddisfatto, divertito, lasciando i fianchi del ragazzo non senza graffiarlo con forza, quasi avesse artigli d’orso al posto delle unghie.

L’incantesimo che lo paralizzava svanì in quel momento concedendogli di urlare per il dolore e cadere a terra avvolgendosi con le braccia i fianchi su cui sentiva gli otto profondi graffi pulsare.

" È solo linizio, è solo linizio" e la voce riprese a provenire da ogni luogo.

"Ti lascio alle mie creature… bramano di giocare con te…" e tornò il silenzio fitto come quel buio.

Merlin urlò di dolore e frustrazione, strisciando nella speranza di incontrare la consistenza rassicurante della parete.

Dopo poco, si scontrò con essa e ci si accasciò contro quasi fosse l’unico contatto con un mondo che non poteva vedere.

La sua mente era un groviglio di paure, timori e angosce, che a stento trovavano un ordine. Aveva paura, una dannata paura.

Non sapeva cosa lo aspettava.

Non sapeva se Arthur fosse davvero al sicuro a Camelot.

Non sapeva se sarebbe sopravvissuto o quanto tempo avrebbe resistito prima di impazzire.

Perché non vi era dubbio.

O la morte o la follia l’avrebbero raggiunto, di questo ne era sicuro.

Si chiedeva perché a lui, perché a loro.

L’essere l’aveva chiamato traditore… ma perché?

Perché aiutava un Pendragon? Perché non aveva cercato di distruggere il regno che aveva osteggiato la magia come la peggiore delle pestilenze?

E allora perché colpire anche Arthur… perché? Che uccidessero lui e nessun altro. Solo lui doveva pagare per quel presunto tradimento.

Poggiò la guancia alla parete. Era l’unica certezza, l’unica sicurezza in quella dimensione dove niente era definito.

Non poteva vedere.

Il tempo non aveva più misura.

Perfino i suoni lo ingannavano facendogli sentire cose lontane, nella testa.

A stento il tatto era ancora in suo possesso: poteva essere toccato e non toccare.

E in quel mare di nero pece, la sensazione umida e fredda e ruvida di quella roccia sembrava l’unica àncora alla realtà.

Perfino il pavimento sotto di sé era incerto… gli sembrava di poggiare sul nulla, di poter essere in bilico… ma quella parete, quella parete attaccata al suo corpo gli dava un perverso senso di sicurezza.

 

Rimase lì.

Sentiva il buio addosso a sé soffocarlo, entrargli nella pelle e scavare fino all’interno del suo corpo come se lo stesse intossicando.

Non poteva non muovere a scatto le gambe, le braccia, il corpo… doveva avere la certezza che ancora erano in suo possesso, che l’oscurità non se li era portati via.

Per quanto tempo il suo corpo sarebbe stato suo?

 

Perché lo sapeva… quel buio l’avrebbe divorato piano piano.

Avrebbe mangiato tutto di lui, fino a che non avrebbe realizzato che era diventato egli stesso parte dell’oscurità.

 

A volte si lasciava andare a gesti privi di senso, come scrollare le braccia nella speranza insensata di levarsi di dosso quel buio cieco, come se fosse un parassita saldamente attaccato alle sue membra.

 

Ricordò di aver urlato.

 

E poi… poi erano cominciati i suoni.

Gli scricchiolii… gli scricchiolii in una stanza di pietra.

Il suono metallico delle catene che strisciavano.

I gemiti e i lamenti.

"Chi c’è?" domandò con voce tremante.

E le risate stridule di esseri non umani.

Sentì qualcosa sfiorargli la gamba.

Schizzò a sedere con rinnovato terrore e le risa aumentavano. Era impossibile definire da dove venissero… venivano da ovunque.

"Cosa volete!? COSA?!" urlò. Ma nessuno, o niente, lo degnò di risposta.

Qualcosa lo afferrò per un braccio e lo tirò in piedi con violenza.

Urlò di dolore quando quella che doveva essere una mano strinse la presa così forte che sentì l’osso scricchiolare.

Cercare di liberarsi fu meno che inutile.

"LASCIAMI!" ordinò.

Altre risate.

Qualcosa gli strinse la gola facendolo sbattere al muro. Singultò incapace di respirare.

Con il bracco libero cerco di afferrare ciò che lo stava strozzando, ma non trovò altro che la pelle tesa del suo stesso collo.

Convulsamente se lo graffiò cercando di liberarsi da quella morsa impalpabile, ma tremendamente reale.

La morsa sul braccio aumentò facendolo inarcare per il dolore, incapace di urlare, di reagire.

Tutto il suo essere bramava per usare la magia… ma non poteva, non doveva.

Uccise il suo istinto di sopravvivenza pensando ad Arthur, a null’altro che a lui.

 

Fu così difficile.

 

Eppure, quando la presa sul collo e sul braccio si dissolsero, ringraziò il cielo di aver resistito.

Si accasciò al suolo, tossendo convulsamente.

Il braccio gli faceva male, i fianchi dove ancora i graffi marchiavano la sua pelle bruciavano… così come il suo collo dove con le sue stesse unghie aveva cercato di scavare nella carne per respirare.

"Arthur…" ansimò.

Non seppe perché lo disse… forse per darsi forza, forse come sfogo di un desiderio proibito che lo abitava.

Perché egli sapeva che Arthur doveva stare lontano da lui.

Arthur non doveva venire né a cercarlo né a salvarlo.

Arthur doveva pensare alla sua vita.

Arthur doveva dare retta a suo padre, egli era solo un servo, non doveva rischiare la sua vita per lui.

Lo sapeva, eccome se lo sapeva.

E ci credeva sul serio.

Eppure… benché sapesse che doveva andare così…

Benché cercasse di convincersi che era giusto così, che sarebbe andata così, perché così doveva andare…

Merlin in segreto… in segreto non desiderava altro che Arthur venisse… e lo portasse via con sé nella luce.

 

Forse si era addormentato.

Non ne era sicuro…

In quel luogo, dove non vi era differenza tra avere gli occhi chiusi o sbarrati, dove il confine tra apatia e mondo onirico era così labile che a volte scompariva…

Dove distinguere la realtà dal sogno era cosa pressoché impossibile…

Merlin non era sicuro di nulla.

Ricordava di aver avuto fame e sete, ma l’oscurità aveva divorato anche quello.

In un primo momento era stato grato ai crampi perché gli donavano una vaga percezione del tempo. Avere fame implicava essere lì da un arco di tempo vagamente definito, ma poi anche quella certezza era sparita… era sparita la fame, era sparita la sete.

E nulla gli era rimasto per misurare il nulla dei sensi, il limbo del tempo.

Perfino delle sue ferite era stato grato, perché il loro decorso per la guarigione avrebbe scandito il trascorrere del tempo…

Ma la magia di quell’uomo l’aveva privato anche di quello… le ferite erano guarite rapide sotto i suoi polpastrelli…

Non v’era rimasto nulla…

Mosse appena il suo corpo.

Strinse le dita per avere ancora la certezza che fosse ancorata al muro.

Lì, dove vi era un solco tra le rocce, lì aveva posto le sue dita.

Il suo unico sollievo…

La sua unica sicurezza.

 

Nel nulla ancora voci, ancora suoni, ancora versi e gemiti.

Ma il buio si era divorato anche la paura e gliela restituiva solo quando le ombre si avvicinavano, lo sfioravano.

Gli restituiva il terrore solo per poterlo vedere divorato da esso.

Gli Impalpabili, così li chiamava nella sua testa, lo attaccavano, all’improvviso, gioendo del suo terrore, del suo dolore.

Oppure a volte gli passavano vicino, lo sfioravano appena, facendogli temere quello che stava per arrivare senza mai farlo arrivare. Si beavano dei suoi sussulti, dei suoi spasmi di paura.

Ma la cosa più terribile era quando lo afferravano e lo allontanavano dalla parete…

Allora Merlin strillava e strepitava, cercava di opporsi, e loro…

Loro godevano, lo sentiva.

Gli tenevano le braccia e prima lo sbattevano contro la parete poi lo scaraventavano nel nulla.

E nel nulla, ridendo, lo lasciavano.

 

E Merlin ansimava terrorizzato, terrorizzato di perdersi nel limbo… e strisciava e gattonava fino a che non trovava la sua salvezza e ci si aggrappava. La parete fredda lo tranquillizzava, lo calmava… ma a volte nemmeno quello serviva e si ritrovava ferito, abbandonato a se stesso a singhiozzare e implorare la morte.

 

A volte giaceva semplicemente per terra, giocherellando con le dita della mano che non era arpionata tra le rocce, con la sua casacca, per saggiarne la consistenza, per sentire e percepire qualcosa… oppure tamburellava con le dita, beandosi del suono sordo… una volta aveva persino osato canticchiare e fischiettare… ma il buio non aveva gradito e aveva protestato sfogando la sua furia sul suo corpo. Gli Impalpabili si erano accaniti contro di lui, graffiandolo e attaccandolo, strappandogli la casacca e ferendo le sue membra.

 

Ed allora, quando il buio lo lasciava in pace, egli cadeva a terra e ripeteva, a mezza voce, l’unico nome per cui valesse la pena sopportare tutto quello, l’unico nome per cui aveva accettato di abbandonare in quel limbo la magia:

"Arthur…"

 

Continua…

 

Con questo capitolo lascio la tastiera in mano a Mel!^^ Spero di essere stata all’altezza della sua bravura, e che abbiate gradito! A presto!

Iceriel

  
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