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Autore: Stella Dark Star    20/04/2020    3 recensioni
La vita matrimoniale di Dazai e Chuuya non è esattamente rose e fiori, anzi è un vero campo di battaglia! Chuuya non si sente abbastanza amato, ma a Dazai sembra non importare... Il loro matrimonio è già alla frutta?
Akutagawa e Atsushi, al contrario, sono una coppia forte e felice e la loro figlioletta Hana è una bimba adorabile! Peccato che a rovinare l'atmosfera familiare ci pensi un ex amante di Akutagawa, il quale sembra deciso a riconquistarlo, anche usando trucchi infami come rivelare i suoi segreti più oscuri... Riuscirà Atsushi a sopportare il peso della verità?
Ps: ho aggiunto un disegno di Akutagawa in versione papà con la sua piccolina! Spero vi piaccia! :)
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Atsushi Nakajima, Chuuya Nakahara, Osamu Dazai, Ryuunosuke Akutagawa
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Mpreg
- Questa storia fa parte della serie 'SHIN+SOUKOKU SAGA'
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Dazai x Chuuya
Akutagawa x Atsushi:
Un fardello troppo pesante
 
Era caldo. Troppo caldo. Il suo corpo era rovente come se si fosse trasformato in una fornace umana. La presenza dentro di lui era grande e invadente, si muoveva velocemente e con forza. Era tutt’altro che doloroso, sia chiaro, il problema era un altro. Si sentiva…violato. E quel corpo sudato a contatto col suo, quel petto che gli sfiorava la schiena, quel braccio che gli stringeva la coscia per tenergli sollevata la gamba ed avere così lo spazio adeguato per penetrarlo fino in fondo. Il rapporto era appagante, dal punto di vista sessuale. La sua virilità eretta e gocciolante ne era la prova, sì, ma che dire del corpo nel suo insieme? E della sua mente? Il sole che entrava dal vetro della finestra, coi suoi raggi simili a lame dorate, gli feriva gli occhi, ma il pensiero di chiuderli lo spaventava. Se li avesse chiusi, cosa avrebbe visto riaprendoli? L’uomo che lo stava prendendo con tanta passione, sarebbe stato ancora lì o sarebbe svanito? Il piacere del sesso, i tormenti dell’anima…in quella combinazione c’era qualcosa che non andava.
“Ghhh….”
Strinse fra le dita della sinistra il futon caldo e umido come lui, il suo sguardo si posò sulla fede dorata che brillava all’anulare, illuminata dalla luce del sole. Anche quell’anello era sia un piacere che un dolore. Una gioia e un peso. Una promessa che un tempo gli aveva fatto toccare il cielo e che adesso era diventata un fardello pesante.
Il cuore gli batteva nel petto con prepotenza, ma era a causa dello sforzo fisico o si trattava di paura? La vista gli si offuscò per via delle lacrime. Aveva voglia di piangere.
“Dazai…”
La voce spezzata, come sempre, implorante per quell’orgasmo che stava arrivando, ma che nascondeva la disperazione che non riusciva a manifestare apertamente.
“Chuuya… Chuuya…”
La voce eccitata di Dazai, il suo fiato caldo contro l’orecchio. Un ultimo colpo di reni. E poi il silenzio.
Sentì il corpo di Dazai rilassarsi contro il suo, il braccio avvolgerlo dolcemente e, subito dopo, la mano sinistra raggiunse la sua e le loro dita s’intrecciarono. Gli anelli emisero un tintinnio nel toccarsi. Lo sguardo azzurro si fece di acqua, una lacrima uscì furtivamente e ricadde silenziosa sul cuscino. Ora che Dazai non era più dentro di lui, si sentiva così vuoto. Perché questa contraddizione continua? Ora non lo voleva, ora lo voleva, ora lo infastidiva, ora gli mancava. Il suo cuore e la sua testa erano troppo confusi.
Liberò la mano e uscì dal futon con la stessa agilità di una lepre che fugge dal cespuglio in un momento di distrazione del cacciatore.
“Mmmh? Perché scivoli via così?” Il lamento pigro di Dazai ruppe il silenzio.
Chuuya gli rispose secco: “Vado a farmi la doccia o tarderò all’appuntamento.”
Dazai sollevò svogliatamente la testa dal cuscino: “Manca più di un’ora! Possiamo stare ancora un po’ nel futon a coccolarci!”
“Devo prima passare al mio appartamento a prendere dei documenti, perciò…”
“Non avresti questi problemi se venissi a vivere qui con me.”
Con la mano sulla porta scorrevole che conduceva alla stanza da bagno, il corpo nudo e luccicante di sudore, Chuuya volse il capo verso di lui e gli lanciò uno sguardo di sfida: “Perché non vieni TU a vivere da me?”
“Dove? Al ‘Museo del Barocco’? No, grazie. Quell’appartamento è buio e inquietante con tutta quella mobilia occidentale datata. E poi non credo che il Boss sarebbe felice se un membro dell’Agenzia vivesse nella sede della Port Mafia!”
Chuuya cominciava davvero ad irritarsi.
“Potrei dire la stessa cosa, idiota! Io appartengo alla Port Mafia e non ho nessuna intenzione di vivere in questa dannata topaia di proprietà dell’Agenzia!”
Dazai sollevò un dito, in segno di ammonimento: “Ehi, non offendere il mio appartamento. Non sarà lussuoso, ma si sta bene.”
“Bene? Dannazione, Dazai! La carta da parati è rovinata ovunque ed è diventata color paglia marcia! E qui dentro non c’è niente! Dividiamo quello schifo di futon puzzolente e mangiamo seduti per terra! Almeno da me c’è un vero letto, grande e morbido, e un tavolo con delle sedie!”
“Ti ricordo che siamo in Giappone.” L’aveva detto con tono scherzoso, ma non abbastanza da mascherare una nota amara che purtroppo arrivò alle orecchie di lui.
“Tsk. Sto perdendo tempo.” Chuuya entrò nel bagno facendo sbattere la porta con violenza, rischiando di mandare in pezzi il vecchio telaio.
“Uff.” Dazai si lasciò ricadere di schiena, il suo sguardo vagò tutto attorno. Lo vedeva bene anche lui che quell’appartamento era vecchio e decadente, ma era tutto ciò che poteva permettersi. Probabilmente era una questione di orgoglio, sì, non avrebbe mai potuto mortificarsi chiedendo a Chuuya il denaro per prendere una casa dove andare a vivere insieme. Era certo che Chuuya avesse tutto il denaro necessario, ma preferiva morire piuttosto che lasciargli questa responsabilità. Era lui l’uomo, non Chuuya. Cioè…anche Chuuya era un uomo. Accidenti, non era questo il punto! Era lui, Dazai, la parte forte della coppia ed era suo dovere prendersi cura di Chuuya. Era più facile da capire che da spiegare, comunque. Sollevò le braccia e le incrociò sopra il viso. La mano su cui era la fede era giusto sopra il suo occhio. Erano sposati da soli cinque mesi e il loro rapporto stava andando a rotoli. Dove avevano sbagliato? E soprattutto, cosa poteva fare lui per sistemare le cose?
Sotto la doccia, Chuuya aveva gli stessi pensieri. L’acqua scorreva su di lui dipingendo segni trasparenti sulla sua pelle come un pittore fa con la tela. Il capo tristemente chino, i capelli bagnati che gli ricadevano sugli occhi, la mano sollevata giusto all’altezza del viso e la fede contemplata dal suo sguardo come una reliquia. Il giorno del matrimonio erano stati così felici….e adesso invece…
*
 
Ora che era pulito, profumato e ben vestito, Chuuya diede giusto un ultimo ritocco al gilet che gli calzava come una seconda pelle, poi prese il cappello dall’appendiabiti e cercò di sistemarselo sul capo alla bell’e meglio. Dannazione, in quel lurido appartamento non c’era neanche lo specchio all’ingresso. Bah, tanto poi lo avrebbe sistemato meglio in auto usando lo specchietto retrovisore.
“Dazai, sto uscendo.” Disse, voltandosi verso l’interno dell’appartamento.
In men che non si dica, si ritrovò con le braccia di Dazai ad avvolgerlo e il suo viso a strusciarsi contro la chioma folta e rossa.
“Mmh! Questa sera ci vediamo, vero?” Chiese con tono dolce, continuando a coccolarsi su di lui.
Chuuya dovette obbligarsi a rispondere alla solita maniera acida: “A patto che sia tu a venire da me e che mi lasci ordinare la cena. Non voglio ritrovarmi di nuovo a mangiare quelle cazzo di scatolette di granchio di cui ti ingozzi.”
“Allora mangerò tutto quello che vuoi tu, amore!”
“Chiamerò il mio ristorante preferito per ordinare una Canard à l’Orange. Tu devi solo fare lo sforzo di apparecchiare. E con ‘apparecchiare’ intendo che devi mettere in tavola le posate, non le bacchette.”
Dazai gli portò una mano sotto il mento per farlo voltare verso di lui, quindi gli lanciò un’occhiata seducente e rispose: “Va bene.” L’attimo dopo impresse le labbra sulle sue.
Gli piaceva viziare e coccolare sua moglie, ma sapeva essere anche dannatamente possessivo quando si trattava di effusioni. Più che baciarlo gli divorava le labbra, come se volesse imprimervi un timbro personale o un marchio che dicesse ‘tu sei mio’. E poi la lingua…entrava nella sua bocca senza chiedere il permesso e si prendeva tutto, fino a togliergli il respiro. Quel genere di baci ardenti che non lasciano via di fuga! E Chuuya ne veniva sempre travolto fino a sentirsi ardere. Senza contare che in quel momento Dazai indossava solo i boxer e il suo corpo odorava intensamente di sudore e sesso. Dettagli che avevano il potere di accendergli il desiderio. Fu proprio un certo movimento dentro i pantaloni a fargli da sveglia per tornare alla realtà e al dovere. Non era il momento di avere un’erezione. Per quanto difficile, doveva interrompere quel momento di fuoco.
“Mmh….fuah! Farò tardi!” Tentò di usare un tono autoritario, ma col respiro affannato e il viso tutto rosso, temette di non essere sufficientemente credibile, perciò si sforzò di liberarsi dall’abbraccio.
Suo malgrado, Dazai dovette cedere. Spalancò le braccia e sospirò: “Sì sì, ho capito!”
“Bene. A stasera.” Uscì dall’appartamento e richiuse la porta senza voltarsi indietro. Cercò di affrettarsi a scendere le rampe di scale e attraversare il cortile per raggiungere l’auto parcheggiata sul ciglio della strada. Aveva perso fin troppo tempo e fare tardi ad un appuntamento di lavoro non era da lui. Fece appena in tempo ad aprire la portiera e…
“Chuuuuuyaaaaa!!! Buona giornata, mogliettina mia!”
Dazai si era affacciato alla finestra ed aveva gridato così forte che probabilmente lo aveva udito tutto il quartiere! Chuuya si sentì crollare le ginocchia, ma fu solo un attimo, poi una carica di rabbia gli diede le forze necessarie per rialzarsi.
Si voltò con aria incazzatissima e gridò di rimando: “MUORI, IMBECILLE!!!”
In un lampo salì in auto e partì a tutto gas.
Sul serio, che problemi aveva quell’uomo? In quella palazzina ci abitavano quasi tutti i membri dell’Agenzia e a quell’ora di sicuro non erano ancora usciti per andare in ufficio. Gli dava ai nervi il pensiero che si stessero facendo una grossa risata a sue spese.
Colpì il cruscotto col pugno, imprecando tra i denti: “Cazzo! Possibile che quell’idiota non cambi mai? Da quando l’ho conosciuto è stato un continuo susseguirsi di enormi figure di me-” La vibrazione del telefono lo bloccò. Lo prese dalla tasca della giacca e rispose alla chiamata.
“Sì? …No oggi Akutagawa ha la giornata libera. Perché? …Come? …Ma non era domani? …Dì a quel tizio che non può spostare gli appuntamenti come gli pare. Se l’incontro è fissato per domani pomeriggio, allora si terrà domani pomeriggio. …Non mi interessa se protesta! E’ lui quello nel torto! …Certo che non voglio rintracciare Akutagawa! Non è giusto che rinunci ad un giorno con la sua famiglia perché un idiota che crede di essere chissà chi fa la voce grossa! Riferisciglielo. E aggiungi che, nel caso l’abbia dimenticato, noi della Port Mafia non prendiamo ordini da nessuno. …Come dici? Se insiste ficcagli una postola nel culo e fallo tacere!”
Chiuse la chiamata e gettò il telefono sul sedile accanto.
Certa gente meritava proprio di essere ammazzata! Da quando un banale trafficante di armi si sentiva autorizzato ad avanzare pretese? Tsk.
Akutagawa… Da quando il Boss lo aveva fatto avanzare di grado si era dimostrato pienamente all’altezza del nuovo ruolo. Svolgeva ogni incarico con la massima serietà e dando ottimi risultati. L’unica nota stonata era che aveva smesso di uccidere. Detto così sembrava ridicolo! Un uomo della Port Mafia che non uccideva? Follia pura! Era tutta colpa di quella pappamolla di Atsushi, comunque. Da quando si erano innamorati, Akutagawa si era fatto più tenero e questo per Chuuya era un fastidio. Ma in fondo non se la sentiva di accusarlo davvero. Akutagawa era diventato una persona migliore, soprattutto da quando era diventato padre. Già…ora aveva una bambina e in più il suo rapporto con Atsushi era stupendo, l’esatto contrario della situazione che stavano vivendo lui e Dazai. Ammetterlo era così doloroso…
*
 
Una bella giornata di sole era ottima per fare una passeggiata fra le vie dello shopping, soprattutto nei primi giorni di settembre quando l’afa estiva cominciava a ritirarsi. Essendo un giorno lavorativo, poi, le strade erano meno affollate ed era possibile camminare in tranquillità. Esattamente quello che stava facendo la famigliola Akutagawa-Nakajima!
Atsushi, con addosso una lunga maglia rosa confetto con lo scollo a barca e un paio di leggings bianchi con scarpe da ginnastica abbinate, sembrava quasi la decorazione di una torta nuziale, tranne per la grande borsa a tracolla che portava sulla spalla, la quale staccava totalmente a causa del colore giallo canarino. Molto più riservato e casual era invece Akutagawa, che indossava dei semplici pantaloni nero sbiadito su scarpe nere eleganti e una maglia grigia dal taglio morbido. Ciò che attirava l’attenzione su di lui, indubbiamente era la dolcissima bambolina che teneva sul petto, sostenuta dal marsupio da bebè. La piccola Hana era bella come un fiore, proprio come diceva il suo nome. Aveva folti capelli neri tendenti al mosso, con ciocche rosa cipria qua e là, il suo viso paffuto era d’incarnato bianco candido e i suoi occhioni magnetici amalgamavano il viola e il dorato. Un amore di bambina! Quando era in braccio al papà il suo passatempo preferito era giocare con le sue ciocche di capelli, in particolare colpire le punte bianche che sembravano quasi batuffoli. Il problema era che…spesso nel farlo le veniva naturale usare gli artigli.
Appena Akutagawa se ne accorse, le coprì immediatamente la mano e sbirciò attorno.
“Hana. Quante volte devo dirti di non estrarre gli artigli quando siamo in mezzo alla gente?” La rimproverò, seppur a bassa voce per non attirare ulteriormente l’attenzione.
La piccola dapprima spalancò gli occhioni con sorpresa, chiedendosi perché il suo papà la stesse guardando con gli occhi cattivi. Non le piaceva quello sguardo. Inevitabilmente gli occhi le si inumidirono e sporse il labbro inferiore.
“E non fare quella faccia! Se ti sto sgridando è perché te lo meriti.”
Atsushi intervenne prontamente come pacificatore: “Su su! State buoni!” Fece riaprire la mano ad Akutagawa per liberare quella della bimba, così si accertò che sui ditini non ci fosse più traccia dei piccoli artigli, quindi disse a sua volta: “Hana, lo sai che devi comportarti bene quando usciamo. Ha ragione papa!”
Hana scambiò un’occhiata con la mamma che, anche se la stava rimproverando, aveva comunque un’espressione sorridente, poi tornò a guardare il papà e vide ancora un’ombra nei suoi occhi. Mamma e papà erano così diversi…
Papa…” Lo chiamò con la vocina triste.
Ad Akutagawa bastò, non poteva pretendere chissà quale reazione da una bimba di appena sei mesi che sapeva dire appena due o tre parole! Sospirò e si mostrò più rilassato.
“E va bene… Dammi un bacino e ti perdono.”
Hana si illuminò come il sole che splendeva nel cielo! Adorava dare i bacini! Emise un vivace versetto di felicità e subito dopo sporse in modo buffo le labbra per accogliere quelle del papà. Chu!
Lo guardò sorridente fino a quando lui non ricambiò il sorriso. Pace fatta! Era così felice! Ora però doveva premiare anche qualcun altro. Voltò la testolina e chiamò allegra: “Mama!”
Atsushi ridacchiò: “Cosa c’è? Vuoi dare un bacino anche a me?”
Ovvio! Sporse nuovamente le labbra e attese che la mamma vi schioccasse le proprie contro. Che immensa felicità vedere la mamma e il papà sorridere! Era così contenta che agitò le gambette che pendevano fuori dal marsupio, ben fasciate da lunghe calze bianche e con ai piedini delle scarpette fatte di tessuto stampato a fantasia floreale come il vestitino che indossava.
La famigliola non fece in tempo a fare qualche passo, che Atsushi venne attratto dalla vetrina di un negozio di vestiti per bambini, allestita con la nuova collezione autunnale i cui colori dominanti erano senz’altro l’arancio e il marrone.
“Waaaaaah! Che carini! Chissà se hanno anche le misure da bebè!” Si voltò tutto sorridente verso Akutagawa: “Posso andare a vedere? Ti giuro che faccio presto!”
Akutagawa era perplesso. Veramente gli stava chiedendo il permesso? Ormai sapeva per esperienza che quando Atsushi vedeva qualcosa di bello per la bambina non poteva resistere dal comprarla. Complice il fatto che, con l’aumento di stipendio, avevano raggiunto una stabilità economica più che buona. Comunque, fin che era lui il capofamiglia, era meglio tenersi stretto quel ruolo, no? Finse di pensarci su, quindi rispose: “Perché no? Hana cresce a vista d’occhio e avere qualche capo in più per l’arrivo del freddo non è una cattiva cosa.”
Atsushi gli stampò un bacio sulla guancia e corse verso il negozio con un entusiasmo decisamente eccessivo per la sua età!
Mama?”
“Torna subito, non preoccuparti! L’aspettiamo qui.”
Per distrarla cominciò a soffiarle sui capelli, un gesto che la fece ridere di gusto. Un giochino semplice e sciocco, ma che a lei piaceva. E proprio nel bel mezzo del divertimento…
“Ryuunosuke?”
Nell’udire quella voce, Akutagawa s’immobilizzò. Se avesse potuto diventare invisibile lo avrebbe fatto volentieri. Purtroppo, non era un’abilità che possedeva. Non poteva nemmeno far finta di niente o entrare nel negozio per fuggire, perché così avrebbe solo confermato la sua identità. E allora…non restava che fare buon viso a cattivo gioco. Si voltò e vide un ragazzo che lo fissava con sguardo curioso. Alto, fisico asciutto, capelli castani e impomatai per creare un effetto spettinato, abbigliamento un po’ ricercato tipico di chi ama mettersi in mostra perché sa di essere bello.
“Allora sei davvero tu! Incredibile! Non avrei mai creduto di incontrarti in un luogo come questo!”
Akutagawa si avvicinò  a lui: “Taichi, da quanto tempo.”
“Già, anche troppo!” Rispose lui, portandosi una mano al fianco per mettersi in posa. Ma subito si ritrovò a strabuzzare gli occhi: “E questa bambina?”
“Lei è Hana. Mia figlia.”
“Figlia? Stai scherzando? Non credevo ti piacessero anche le donne!”
Akutagawa non riuscì a nascondere un certo disagio. “No. Veramente io…”
“Ryuu!”
Atsushi arrivò di corsa, esattamente come se n’era andato poco prima, e gli si affiancò: “La fila alla cassa è troppo lunga, tornerò un’altra volta!” Volse lo sguardo sull’altro ragazzo: “Scusami, stavi parlando con qualcuno?”
Akutagawa lo indicò con la mano: “Taichi. Un mio…vecchio amico.” Allo stesso modo indicò Atsushi, dicendo: “Lui è il mio compagno. Atsushi.”
Taichi era visibilmente sorpreso: “Compagno? Ma cosa…?” Passò lo sguardo su Atsushi, poi sulla bambina. “Non credo di capire…”
“Atsushi, tra le sue abilità, ha quella di generare la vita.” Spiegò Akutagawa.
“Ah, ora è chiaro!” Ammiccò in direzione di Atsushi e disse: “Forte! Però il potere di Ryuunosuke non lo batte nessuno!”
 Ad Atsushi quel tipo non piaceva per niente. Chi era? Ma poi…Ryuunosuke? Cos’era tutta quella confidenza? Perché parlava in modo così sfacciato ed arrogante?  Lo conosceva da mezzo minuto e già aveva deciso che non voleva vederlo mai più.
“Perdonaci, ma ora dobbiamo andare.” Intervenne Akutagawa, facendogli capire che era desideroso quanto lui di porre fine a quell’incontro.
Taichi mise le mani sulla difensiva: “No no, anzi scusatemi voi per il disturbo! Magari una sera possiamo vederci per bere qualcosa, eh Ryuunosuke?”
“Sono molto impegnato col lavoro e cerco di dedicare il tempo libero alla mia famiglia. Non…”
“Oh andiamo! Un’oretta ogni tanto per parlare la troverai di sicuro! Sempre che…Atsushi (?) sia d’accordo!”
Non lo era. Proprio per niente. Ma come faceva a dirglielo senza essere scortese?
“E’ una decisione che spetta a Ryuu, io non mi intrometto.”
Taichi si rivolse raggiante ad Akutagawa: “Ecco! Visto? Mi piace il tuo compagno! Allora ti scrivo una di queste sere!” E senza aggiungere altro s’incamminò.
Ovviamente loro presero la direzione opposta.
“Mi dispiace. Non credevo che lo avrei rivisto.” Disse Akutagawa, per rompere il silenzio.
“Non fa niente. A dir la verità mi sento un po’ infantile ad essere corso fuori dal negozio solo perché ti ho visto parlare con un altro ragazzo.”
“Sei geloso? Non ne hai motivo, credimi.”
“Be’…” Atsushi si sistemò la tracolla, giusto per guadagnare qualche secondo, poi riprese: “Tu non hai amici, perciò è facile capire che lo hai conosciuto in quel locale gay che frequentavi.”
“Sì. Ma lui non ha mai significato niente per me. Davvero, non pensarci più. Se dovesse contattarmi gli dirò che non se ne fa niente. L’ho allontanato una volta, lo farò di nuovo.”
La piccola Hana di certo non era in grado di capire cosa stava accadendo, però vedeva le espressioni dei suoi genitori e, soprattutto, aveva la capacità di vedere qualcosa in più rispetto agli altri bambini. In quel momento, ad esempio, la mamma aveva attorno un’aura di colore blu. Un colore che la rendeva triste. Invece il papà… Vedeva chiaramente che dentro il suo petto e dentro la sua testa c’erano delle grandi nuvole nere. Erano brutte e le facevano paura. Ed era la prima volta che le vedeva dentro di lui.
*
 
Quando Chuuya aveva detto che si sarebbe occupato della cena per non rischiare di mangiare ancora le scatolette di granchio che Dazai amava, non aveva dato istruzioni specifiche riguardo le bevande. Un’ottima scusa per presentarsi alla sua porta con un cesto colmo di bottiglie di sake! Eh eh! Chuuya era un grande estimatore di vini, ma era anche vero che non sapeva dire di no a del buon sake tradizionale, e questo lui lo sapeva bene. Per quanto avesse cercato di fare l’altezzoso, sorseggiando un delicato rosso che accompagnava alla perfezione l’anatra all’arancia, una volta terminata la cena l’aveva attirato in camera da letto col cesto di bottiglie, come un bambino attira in trappola uno scoiattolo usando delle ghiande come esca. Dazai era un pessimo marito…!
“Sei un bastardo con buon gusto, Dazai! Era da una vita che non bevevo un sake così forte!”
Chuuya era già ubriaco, ovviamente. Dopo i primi sorsi si era lasciato convincere a togliere i pantaloni e improvvisare un balletto sul letto, senza neanche rendersi conto di quello che stava facendo. Non era un mistero che non reggesse l’alcol!
Dazai, che stava bevendo a collo, ingollò un lungo sorso prima di rispondere: “Già. Però temo di aver esagerato con la gradazione. Hai bevuto appena metà bottiglia e sei già ubriaco fradicio.”
“Che? Ubriaco io? Quando mai?” Il modo in cui biascicava le parole ne era un’ulteriore prova.
“E comunque anche tu non mi sembri in gran forma! E ne hai bevuto la stessa quantità.”
“Veramente io ne ho già finita una e non sono nemmeno brillo.” Per dimostrarlo, prese la bottiglia vuota che giaceva a terra accanto al letto e gliela mostrò.
“Ma quando cazz-Hic! So io come farti ubriacare, bastardo!” Muovendosi ginocchioni, si avvicinò a lui che era semidisteso con la schiena sostenuta dai cuscini, quindi gli salì cavalcioni, lo afferrò per il gilet e s’incollò alle sue labbra.
In un primo momento Dazai lo lasciò fare, sbirciandolo con occhi socchiusi, ma poi rispose al bacio e cominciò ad assecondare i movimenti della sua lingua (gonfia a causa dell’alcol). Quando Chuuya si staccò, aveva un rivolo di saliva che gli colava a lato della bocca, ma subito lo asciugò passandovi la manica della camicia.
“Ah ah! Allora? Come ti senti?”
Dazai sorrise malizioso: “Eccitato. E sobrio. E credo che tu sia ancora più ubriaco di prima!”
“Non lo sono, stronzo!!!” Gridò Chuuya con fare isterico, per poi scoppiare a ridere.
“No di certo…” Disse tra sé Dazai.
“Sono un uomo perfettamente in grado di ragionare e di prendere decisioni.” Insistette Chuuya, dandosi delle arie che lo rendevano ridicolo. Poveretto…
“Sì, amore mio…” Doveva trattenersi, ridergli in faccia sarebbe stato come firmare la propria condanna a morte.
“E ho deciso che...mio caro fesso…adesso ti succhierò l’uccello!”
Dazai indubbiamente si dilettò nell’osservarlo mentre gli apriva la patta dei pantaloni. E nel percepire il tocco caldo delle sue dita. E… “Ohhh!” Gli sfuggì un grido nel sentire il calore umido della sua bocca. Dannazione…non capitava spesso che Chuuya gli facesse quella cosa. E tantomeno di sua iniziativa. Possibile che solo l’alcol fosse in grado di compiere una simile magia?
Non riusciva a staccare gli occhi da quella piccante visione. Quelle labbra sottili, quella lingua rossa, il modo in cui glielo stringeva, il modo in cui glielo leccava… Era troppo bello per essere vero. Troppo, appunto.
Dazai sospirò. Seppur a malincuore, doveva fermarlo.
“Chuuya, basta.”
 Chuuya si fermò. Quando sollevò lo sguardo su di lui, la sua espressione non manifestò particolare sorpresa, quanto più…delusione?
“Perché? Non ti piace?”
“Ma certo che mi piace, ti pare? Però…non sei tu.” Scosse il capo: “Voglio dire… Sei sotto l’effetto dell’alcol, altrimenti non faresti mai una cosa del genere. E non voglio che, una volta tornato sobrio, tu te la prenda con me per avertelo lasciato fare.”
“Se prometto di non arrabbiarmi? Posso?”
Dazai ridacchiò: “Non ricorderesti la promessa!”
“Quello che voglio io non va mai bene, vero?” Gridò Chuuya, i pugni stretti ai fianchi.
“Chuuya…?”
“Non te ne frega niente di me! Non te n’è MAI-FREGATO-NIENTE! Qualsiasi cosa io dica tu devi sempre contrariarmi! Che sia una cazzata come questa o una cosa importante come venire a vivere con me!” Gli voltò le spalle e andò a sedersi sul bordo del letto, dalla parte opposta a quella dove si trovava lui.
“Chuuya…”
“Hai sempre preferito lui a me. Che merda!”
“Mh? Lui chi?”
“Il tuo mondo girava attorno a lui. Per te esisteva solo lui. E io non ero altro che il tuo dannato cane.” Colpì il materasso con un pugno. “Che cosa devo fare per farmi amare da te?”
Dazai si spostò da dov’era  e in un attimo fu alle sue spalle: “Chuuya…di cosa stai parlando?”
“E’ bastata una sua parola per farti cambiare vita. UNA CAZZO DI PAROLA! Hai lasciato la Port Mafia, hai abbandonato me e ti sei messo a lavorare per un branco di sfigati!”
Tu-tum.
“Stai parlando di Odasaku?”
Finalmente Chuuya si voltò, gli occhi colmi di rabbia e odio.
“Se invece sono io a chiederti di portare qui il tuo culo…” Si premette la mano sul petto: “ IO, quello che hai sposato!!! Ti inventi di tutto per non accontentarmi!”
“Chuuya…è naturale che io voglia vivere con te. Perché ti amo. E’ solo che…”
“Che cosa? Cosa??? Quale fottuta scusa ti stai inventando per tirartene fuori? Cazzo, non ti sopporto più!” Facendo uso della manipolazione della gravità, raggiunse il soffitto con un balzo e si rannicchiò là sopra, il viso premuto contro le ginocchia.
Dazai era rimasto pietrificato. Non aveva mai visto Chuuya ridotto così. Non aveva mai sospettato che in passato avesse provato gelosia per Oda e gli sembrava incredibile che si fosse portato dietro quel sentimento negativo per tutti quegli anni. Non capiva… Cosa c’entrava lui con questo? Nemmeno per un istante lo aveva messo su un piano superiore a Chuuya! …o l’aveva fatto? Forse indirettamente? Amava Chuuya da sempre, mentre per Oda non aveva mai provato nulla di diverso da un sentimento di amicizia e di stima. Che cosa aveva fatto per spingere Chuuya a reagire in quel modo? Be’…era vero che per quattro anni non si erano visti perché stava cercando di cambiare vita, ma…alla fine lo aveva fatto per esaudire l’ultimo desiderio del suo amico in punto di morte. E non era stato affatto facile lasciare il ragazzo che amava e dedicarsi a questa cosa! Aveva sofferto in modo indicibile anche lui!
Gli stava venendo mal di testa. Non sapeva cosa dire. Sapendo che non avrebbe convinto in nessuna maniera Chuuya e scendere dal soffitto, pensò di andarsene. Forse avevano bisogno di dormirci su, tutti e due. Gli diede un ultimo sguardo e lasciò la stanza.
Nel sentire il rumore della porta d’ingresso, Chuuya risollevò il viso.
Se n’era…andato?
“Si fotta!” Disse aspramente. Bene così, no? Andandosene aveva solo confermato tutto quello che lui aveva detto. Era così stanco di essere al secondo posto… Era meglio chiedere il divorzio e farla finita? Tanto non era altro che una firma su un pezzo di carta. Il loro matrimonio era una buffonata.
“CAZZO!” Si diede una spinta e fece una capriola per rimettersi in posizione eretta, quindi si lasciò scendere. Non appena ebbe rimesso i piedi sul pavimento, scattò di corsa all’inseguimento. Lasciò l’appartamento, fregandosene di essere mezzo nudo, e attraversò in un lampo il corridoio fino a raggiungere l’ascensore. L’indicatore di piano era spento. Era già uscito o aveva preso le scale? Nel dubbio si precipitò giù per le rampe, ad un certo punto dovette schivare due agenti che stavano salendo.
“Signor Nakahara?”
Continuò a correre, ignorandoli,  e in breve si ritrovò al piano terreno. Diede una rapida occhiata, di Dazai non c’era traccia. Corse fino alla guardiola.
“Ha visto Dazai passare di qua?”
“Sì, poco fa! Mi scusi, sta bene signor Nakahara?”
Non rispose neanche a lui, solo si precipitò all’esterno nel disperato tentativo di vederlo da qualche parte. Aveva preso un taxi? Oppure si stava recando alla metro? La cosa migliore da fare era andare al suo appartamento. E allora…via di corsa verso il parcheggio privato! Dovette saltare la sbarra di blocco per accedere, non avendo con sé la tessera. Finalmente raggiunse la sua auto ma…realizzò solo in quel momento che non aveva le chiavi. Lo sguardo puntato sulla mano vuota e tremante.
“No… No… NOOOOOO!” Batté i pugni sul volante, scoppiando in un pianto disperato. Ancora. Di nuovo. Dazai se n’era andato senza dire una parola e l’aveva lasciato lì. Proprio come quella volta…
“Perché? Perché lui…?”
La stessa sensazione di precipitare nel vuoto e infrangersi in mille pezzi. Il cuore che gli doleva in modo insopportabile. Il respiro che gli si spezzava fra i singhiozzi. Non poteva sopravvivere per la seconda volta ad un dolore simile. Non poteva. Non ne aveva le forze.
All’improvviso sentì il tocco di una mano gentile sulla spalla. Volse il capo di scatto. La signora Kouyou era lì per lui, come ogni singola volta in cui aveva avuto bisogno di una figura materna. Vide nei suoi occhi la pena che provava per lui. Dannazione, era come vivere in un dèjà vu.
“Chuuya, rientriamo. Sono sicura che questa volta non sia grave. Niente che non si possa risolvere bevendo una tazza di buon tè e facendo una bella dormita.”
In genere era una donna severa, ma quando si trattava di lui si tramutava in dolcezza e comprensione, come fosse stata davvero sua madre. Era l’unica persona a cui permetteva di vederlo in quelle condizioni. L’unica persona a cui mostrava le sue debolezze, oltre a Dazai.
*
 
Quanto era buona la pappa che le dava la mamma! Quella sera sul piattino c’era una cosa colorata di arancione e di viola…come aveva detto che si chiamava? Non lo ricordava, però era buona! Quando vide il cucchiaio avvicinarsi, aprì bene la bocca e…
“Aaaaaahhhhmmm!”
“Hana, la fai assaggiare anche al tuo amichetto scoiattolo?”
L’amichetto in questione era ricamato sul bavaglino, ed era un gran golosone! Ogni volta che lei mangiava la pappa, ecco che anche lui voleva assaggiarla, e allora la mamma sollevava il bavaglino per farlo avvicinare alla sua boccuccia e così lo scoiattolo poteva mangiare quello che lei aveva sulle labbra. Ma non era l’unico! Aveva un amichetto per ogni bavaglino e tutti quanti amavano mangiare la pappa dalle sue labbra! Ma la mamma era brava e glielo faceva fare a turno. Quando uno aveva mangiato troppo, lei lo metteva via e ne prendeva un altro. Bisognava accontentare tutti, no?
Atsushi sorrise: “Ecco fatto! Avete mangiato tutti e due! Sei contenta?”
Hana batté le mani sul ripiano del seggiolone e rispose con dei versetti allegri.
“Bene! Allora adesso sistemo queste cose, così poi controllo le pentole.”
Per prima cosa diede la ciuccia del tè alla bambina, quindi si alzò dalla sedia e andò a riporre piattino e cucchiaio dentro il lavello. Sul fornello lì accanto, vi erano due pentole nelle quali stavano bollendo rispettivamente del riso e delle verdure. Vide che il riso aveva consumato tutta l’acqua, perciò spense il fuoco, invece mescolando le verdure constatò che mancava ancora un po’ perché fossero pronte.
Dlin dlon!
Si voltò di scatto: “Il campanello a quest’ora?”
Hana tolse la ciuccia dalla bocca e chiese: “Papa?”
Atsushi scambiò un’occhiata interrogativa con lei: “Dici? Non sarebbe la prima volta che dimentica le chiavi. Vado a vedere.”
Uscì dalla cucina ed attraversò il corridoio, accompagnato dal suono del campanello.
“Sto arrivando.”
Quando aprì la porta, chi si ritrovò davanti non gli piacque affatto. Occhiali da sole inforcati fra i capelli, camicia con due bottoni aperti in alto, jeans attillati e un ghigno pericoloso.
“Buonasera! Cercavo Ryuunosuke.”
Atsushi si adombrò all’istante.
“Non c’è. Non è ancora tornato dal lavoro.”
Taichi ridacchiò: “Sempre dedito al lavoro, eh? Ero passato per invitarlo a bere una birra, visto che per telefono ha rifiutato diverse volte. Ehi, non è che sei tu a dirgli di non uscire con me?”
Come, prego?
“Te l’ho già detto l’altro giorno. Ryuu prende le sue decisioni da solo. E comunque non sono così possessivo da vietargli di uscire con un amico.”
“Va bene, non scaldarti!” Lo canzonò Taichi. “Era solo una mia supposizione, visto il modo in cui ci hai interrotti durante il nostro incontro! Anche se ci sono abituato, eh! Ryuunosuke era abbastanza conteso al locale e spesso i ragazzi litigavano per stare con lui! D’altronde, come dar loro torto?”
Il pugno di Atsushi si strinse con forza, dietro la schiena. Doveva trattenersi.
“Se non ti dispiace, mia figlia è da sola in cucina e io ho lasciato una pentola sul fuoco.”
“Oh, ma certo! Non voglio distoglierti dalle tue faccende femminili! Però…posso aspettare Ryuunosuke dentro? Non vorrei che i vostri vicini fraintendessero vedendomi qui fuori!” Col pollice puntato al di là della propria schiena, indicò la porta dell’appartamento al capo opposto del corridoio.
Ma non esisteva proprio! Farlo entrare? Quel buzzurro? Neanche morto!
“Non credo sia una buona idea. Al ritorno sarà stanco. E poi… Se ha già rifiutato i tuoi inviti, non vedo perché dovresti forzarlo.” Gli lanciò un’occhiata di sfida.
“Ahahahah! Sei divertente, sai? Ma io non ho intenzione di rinunciare.” Si appoggiò allo stipite della porta e si chinò quanto bastava per essere faccia a faccia con lui: “Mi sembra incredibile che mi abbia lasciato per uno come te. Non sei neanche il suo tipo. A lui piacciono gli uomini alti e bruni, come me!”
“Non ti permetto di parlarmi in questo modo.”
“Mi permetto da solo! A riprova di quanto ho detto, quando l’ho conosciuto era a pezzi perché l’uomo che amava lo aveva scaricato…o se n’era andato, non ricordo i dettagli. Ha detto che io glielo ricordavo e mi ha chiesto se ero disponibile a rimpiazzarlo. Sì, detto così non suona molto carino, ma il succo del discorso è che io gli sono stato accanto per quattro anni. Non ero l’unico, ma ero il suo preferito.”
A quel punto Atsushi non poté più trattenersi. Non solo quel tizio lo stava offendendo pur non conoscendolo, ma addirittura si mostrava apertamente ostile con lui e intenzionato a riconquistare Akutagawa? C’era un limite alla sopportazione.
“Non mi interessa sapere cosa faceva il mio compagno prima di conoscere me. Ora vattene prima che io mi arrabbi sul serio.” Lo avvertì.
Taichi ridacchiò: “La verità fa male, eh? Sapere che si è scopato i gay di mezza città non deve essere bello!” La risata gli morì in gola nel vedere la strana mutazione del ragazzo che stava sbeffeggiando. I suoi occhi avevano…cambiato forma? Anche la sua faccia sembrava diversa. Ma cosa…? Indietreggiò di un passo e allora notò che anche le mani avevano assunto un aspetto diverso. Quelli erano…artigli?
“Cosa sei tu?”
“Il tuo incubo peggiore, se non ti levi di torno immediatamente.” La voce uscì simile ad un ringhio.
Taichi rischiò quasi di cadere all’indietro, tanto era impressionato da ciò che i suoi occhi vedevano.
“Sei un mostro…” Scosse il capo, come per riprendersi, quindi la sua sicurezza tornò a manifestarsi attraverso un sorriso amaro e parole affilate: “Un ottimo compagno per uno come Ryuunosuke. Quel pervertito obbligava i suoi amanti a indossare bende sulle braccia e sul collo e poi si divertiva a torturarli con tecniche sadomaso. Io accettavo tutto questo perché lo amavo, ma…”
Atsushi fece un balzo verso di lui gridando: “VATTENE!!!”
Per quanto borioso e sfacciato, Taichi non era certo così stupido da restare lì a farsi sbranare da una creatura mostruosa! Anche se il modo in cui scappò giù per le scale a gambe levate non era esattamente un esempio di dignità…
Finalmente eliminato il problema, Atsushi rientrò nell’appartamento. Richiuse la porta e vi si lasciò scivolare contro di schiena mentre il suo potere svaniva poco per volta. Cosa significavano quelle parole? Cos’erano quei discorsi? Sadomaso? Bende? Un uomo che se n’era andato e che gli somigliava? Ogni dettaglio sembrava riportarlo ad una figura ben precisa.
“Non può essere… Lui non…” Si portò le mani alla bocca, era scioccato.
Akutagawa innamorato di Dazai? Era impossibile. Sapeva che in passato era stato ossessionato da lui, ma da questo ad arrivare a parlare di amore e sesso…
Estrasse il telefono dalla tasca dei pantaloni e selezionò un numero.
“Dazai?”
Atsushi! Buonasera!”
“Scusami se ti disturbo… Sei a casa?”
Sì…e a dirla tutta sono solo come un cane perché ieri ho litigato di nuovo con Chuuya! Hai bisogno di qualcosa?”
“Posso…posso portarti Hana?”
“Ma certo! Vuoi che la tenga per la notte? Per me è un piacere!”
“Ti ringrazio… E’ solo che…che io…” Un colpo di singhiozzo gli spezzò la voce e le lacrime cominciarono a rigargli le guance senza che potesse far nulla per impedirlo.
…Atsushi? E’ successo qualcosa?”
“No…sniff… Io e Akutagawa…sniff…dobbiamo parlare…”
Atsushi. Aspettami lì, sto arrivando.”
Atsushi lasciò scivolare il telefono dalla mano, i singhiozzi e le lacrime ormai lo stavano devastando.
*
 
“Non temere, mi occupo io di lei. Vero, Hana?” Disse gentilmente Dazai, con la bimba già in braccio.
Atsushi gli posò la tracolla giallo canarino sulla spalla: “Dentro c’è tutto quello che può servirle. Ma se dovessi aver bisogno di altro, basta che…”
Dazai lo interruppe: “Staremo bene, non preoccuparti. Ora la cosa più importante è che tu e Akutagawa vi chiariate, di qualunque cosa si tratti.”
Sì…doveva farsi spiegare da Akutagawa il perché in passato si scopava dei ragazzi fingendo che fossero lui! Facile come bere un bicchier d’acqua!
Ovviamente non poteva dirglielo, quindi si limitò ad annuire.
“Grazie, Dazai.”
“Beeeneeee!!! Ora jiji porta questa bella bambina a fare la nanna!” Cantilenò con voce allegra, facendo ridere la piccola.
Atsushi le diede un bacio sulla fronte: “Fai la brava, Hana! Comportati bene con ojii-san!”
Lei cominciò a battere le manine, contenta, ripetendo: “Jiji! Jiji! Jiji!”
Le piaceva stare con il nonno, perché faceva sempre cose divertenti e si comportava come un bambino! E poi che ridere quando faceva arrabbiare la nonna e poi lei lo sgridava!
Dazai si affacciò all’uscita, ma prima di andare sorrise ad Atsushi e gli fece l’occhiolino: “Buona fortuna!”
Non appena Atsushi ebbe richiuso la porta, si sentì schiacciare dall’insolito silenzio dell’appartamento. Andò in cucina, passò lo sguardo sulle pentole con la cena che miracolosamente non si era bruciata. Chi aveva voglia di mangiare dopo quanto accaduto? Prese posto sulla propria sedia, o più che altro ci si lasciò cadere sopra a peso morto. Non sapeva cosa fare. Akutagawa era ignaro di ciò che avrebbe trovato una volta tornato a casa. Come cominciare il discorso? Soffermandosi a riflettere, non fece caso al rumore della chiave che girava nella toppa, o alla porta che veniva  aperta e poi richiusa, o ai passi lungo il corridoio.
Akutagawa entrò in cucina: “Sono tornato.” Vedendo Atsushi là seduto, gli andò incontro e si chinò per sfiorargli le labbra con un bacio.
“Dov’è Hana?”
“Da Dazai. Dormirà là.”
“E’ un modo per dirmi che posso farti gridare dal piacere tutta la notte? Sono un po’ stanco ma…d’accordo!” Gli sollevò il mento con la mano per vedere la sua espressione, ma invece che un bel visetto arrossato dall’imbarazzo, vide un’espressione particolarmente seria e un paio di occhi gonfi.
“Atsushi, cosa c’è?”
“Dobbiamo parlare. Ma prima…” Abbassò lo sguardo: “Possiamo cenare, magari.”
Akutagawa si sedette sulla sedia accanto alla sua: “No. Voglio sapere cosa succede. Perché hai pianto?”
 “Vedi…” Niente, non sapeva come introdurre il discorso. Sospirò e abbozzò un: “Taichi è venuto qui, prima. Mi ha detto delle cose…orrende.”
“Dannazione.” Batté il pugno sul tavolo. “Credevo di essere stato chiaro e invece quel pezzente ha osato venire qui a darti fastidio? Gli darò una lezione, te lo prometto. Anzi, farò di più. Chiamo subito la Polizia e sporgo denuncia.” Prese il telefono ma, prima che potesse digitare il numero, Atsushi lo fermò posandovi sopra la propria mano.
“No. Dubito che si farà rivedere dopo avermi visto trasformato. E’ fuggito via come il codardo che è.”
Akutagawa lo guardò con tanto d’occhi: “Ti ha fatto arrabbiare così tanto da farti trasformare? E io non dovrei fare nulla?”
“Akutagawa…” Era il momento di dirglielo: “E’ vero che praticavi il sadomaso e obbligavi i tuoi amanti a indossare delle bende?”
Akutagawa si sentì come se un iceberg gli fosse cresciuto improvvisamente dentro e gli stesse gelando le viscere. La sua mano tremò. La mano su cui era posata quella di Atsushi.
“E’ la verità, dunque…” Stava per mettersi a piangere ancora.
“No! Cioè…sì, è vero. Ma perché te l’ha detto? Che cosa aveva in mente?”
Atsushi si ritrovò ad alzare la voce: “Non è ovvio che voleva riconquistarti? E’ venuto qui con l’intenzione di mortificarmi e portati via da me! Ma non è questo il punto! Eri innamorato di Dazai?”
“Cos-?” Quella conversazione stava peggiorando sempre di più. “Non lo penserai davvero!”
“Cos’altro dovrei pensare? Tutto quello che mi ha detto combacia perfettamente. Allora? Eri innamorato di lui? Rispondi!”
“Non lo ero. Non lo sono mai stato.”
“E allora perché facevi quelle cose?” Atsushi si alzò in piedi e si voltò per asciugarsi le lacrime. Era così arrabbiato, e ferito, e imbarazzato… Perché stava succedendo proprio a loro?
“Non voltarmi le spalle, Jinko.”
“Non riesco a guardarti in faccia in questo momento.”
“Ti faccio schifo? E’ questo che vuoi dire?” Akutagawa si alzò a sua volta, la rabbia cominciava a ribollirgli nel sangue. “Non ne vado fiero, va bene? Era solo il mio modo malato di riempire il vuoto che lui aveva lasciato abbandonandomi. In passato ho fatto molte cose sbagliate e speravo con tutto me stesso che alcune di queste non le avresti mai scoperte, perché sono orrende. Eppure, tu meglio di chiunque altro dovresti sapere che ormai quel ragazzo non esiste più.” Prese Atsushi per le spalle e lo fece voltare. Quegli occhi tristi e bagnati dal pianto lo ferirono più di mille lame.
“I-io lo so…”
“Allora puoi perdonarmi?”
Atsushi era tremendamente scosso. Era successo tutto all’improvviso, i pensieri gli vorticavano nella mente come un tornado, le emozioni gli premevano nel petto…
“Io ti amo.” La voce gli uscì in un sussurro, le lacrime ripresero a scorrere sul suo viso.
Akutagawa lasciò un sospiro di sollievo, posò la fronte contro la sua: “Anch’io ti amo. Sei l’unico che abbia mai amato.  E odio me stesso perché continuo a farti soffrire.”
Atsushi scosse leggermente il capo: “Non è colpa tua. Come hai detto, il passato non si può cancellare. Però…credo di avere il diritto di essere rimasto scioccato da una confessione come quella.”
“Sì. E non so quanto tempo impiegherai a dimenticarla. Spero solo che questo non ti allontani da me.” Con un braccio gli avvolse il girovita per stringerlo a sé, mentre con l’altra mano gli fece poggiare la testa contro la spalla. Si rasserenò nel sentire Atsushi rispondere all’abbraccio. Poteva solo immaginare come doveva essersi sentito in una situazione del genere, da solo, mentre lui finiva di impartire ordini a degli agenti della Port Mafia senza avere il minimo sospetto di cosa stesse accadendo lì a casa. Era forse il prezzo da pagare per gli errori del passato? Lui sapeva di meritarlo, ma non poteva sopportare che fosse il suo compagno a soffrire al posto suo.
“Ryuu? Vuoi…mangiare qualcosa?” Chiese Atsushi, mogio mogio, alzando la testa dalla sua spalla. Nell’incontrare il suo sguardo fu assalito da un enorme senso di colpa. Aveva usato parole troppo dure? Prendere per oro colato tutto quello che aveva detto quel demente di Taichi lo aveva messo in una posizione complicata e così si era ritrovato ad accusare Akutagawa senza lasciargli la possibilità di spiegarsi. Era caduto nel torto da sé. E adesso se n’era uscito con una domanda sciocca. Nessuna sorpresa che lui lo stesse fissando con occhi di ghiaccio.
E invece…
“Adesso c’è solo una cosa in grado di saziarmi.”
La voce di Akutagawa era incredibilmente calda e sensuale, ed anche il suo tocco leggero sulla guancia non lasciava spazio a dubbi su cosa intendesse fare. Atsushi non dovette far altro che lasciarsi andare, affidarsi a lui completamente. Non appena Akutagawa posò le labbra sulle sue, quel semplice contatto bastò a ristabilire l’equilibrio del loro rapporto. Niente più conflitti, niente più litigi, niente più ombre dal passato. Solo loro due all’interno di quell’appartamento che era diventato la loro nuova casa da appena un paio di mesi e che avevano acquistato pensando al futuro della famiglia a cui avevano dato vita. Mano nella mano lasciarono la cucina e si affacciarono al salotto, un luogo spazioso dove dominava la tonalità bianca dei mobili, del sofa, del lampadario, ingentilito dalle tende azzurre semitrasparenti e reso accogliente dalla morbida moquette beige. Dopo aver attraversato anche quella stanza, si diressero alla loro camera da letto, il luogo che li rappresentava e dove avevano fuso gli stili che più amavano. La carta da parati rosa antico sul quale erano stampati dei pittoreschi roseti; il grande letto dalla montatura in ferro battuto su cui era una coperta blu e un set di cuscini dalle federe azzurre; le tende che avevano il colore e l’effetto delle onde del mare; un grande armadio in stile antico europeo dalla colorazione nocciola sbiadita sui bordi e al centro di ogni anta; una toeletta dallo specchio ovale la cui cornice faceva pendant con la montatura del letto e sul cui ripiano erano due spazzole, pettine e boccette di profumo dalle rifiniture in argento. La luce della luna piena che filtrava attraverso i sottili tendaggi, creava un’atmosfera magica come all’interno di un sogno.
Atsushi lasciò che Akutagawa lo spogliasse di ogni capo, lentamente, e assaporando di volta in volta la pelle che scopriva. A sua volta, lui fece lo stesso, soffermandosi con le mani sui punti che sapeva essere più delicati, quali addome e cosce. Akutagawa prese posto al centro del letto, seduto e con le gambe incrociate, e accolse Atsushi su di lui affinché gli cingesse i fianchi con le gambe. Atsushi gli portò le braccia al collo, le incrociò sul retro, mentre con una mano andò ad accarezzargli la nuca risalendo pian piano con le dita fra i suoi capelli. Le loro labbra si unirono in un bacio profondo, caldo e umido, mentre dal basso il desiderio che provavano l’uno per l’altro si accendeva poco alla volta. Le mani di Akutagawa viaggiarono sul corpo di lui esplorandolo come una mappa, il petto come una spiaggia dalla sabbia calda e malleabile, la schiena come una prateria spianata, le natiche come dolci colline e…il suo interno caldo e accogliente come una vasca termale.
“Ahhh… Akutagawa…” Gemette dolcemente Atsushi, gli occhi chiusi da cui già facevano capolino delle lacrime di piacere.
“Atsushi…”
Akutagawa, che assecondava il movimento dei suoi fianchi e talvolta lo accentuava premendo la mano sulla sua zona lombare, dall’alto manteneva il contatto accarezzandogli il viso guancia contro guancia e facendogli sentire il proprio respiro caldo contro l’orecchio.
I loro respiri ed i loro gemiti amalgamati in una melodia serena nella notte.
*
 
“Daaah! Ngh-buuwaaaaah!”
Da una melodia romantica ad un’altra decisamente più vivace, ovvero quella della piccola Hana che si trovava distesa sul futon del nonno, con le gambette piegate verso l’alto che ogni tanto scalciavano, le braccia sollevate e gli artigli ben sporgenti per acchiappare la benda che lui abbassava e sollevava. Dazai, disteso sul fianco accanto a lei, non riusciva a staccare gli occhi dal suo viso sorridente, tanto era pazzo di lei. Vederla sorridere e sentire i suoi versi allegri era diventata la sua nuova passione, più appagante delle scatolette di granchio e del sake! E allora cosa c’era di meglio che allentare la fasciatura della benda al braccio e farla giocare con l’estremità per dare libero sfogo a quell’istinto felino che aveva ereditato dalla madre? In questo modo lui poteva osservarla da vicino e crogiolarsi nella pucciosità!
Ad un tratto le manine artigliate si fermarono e la piccola emise un ampio sbadiglio. I suoi occhioni si socchiusero un po’.
“Vuoi fare la nanna?” Sussurrò Dazai al suo orecchio.
Abbassò il braccio affinché lei potesse prendere la benda e stringerla fra le manine, quindi, nel giro di pochi istanti, sia le sue che le mani di lui si posarono sul morbido e caldo pancino. L’espressione soddisfatta che sfoggiò, anche se ormai aveva gli occhi chiusi, era impagabile.
Dazai si sporse e le baciò la fronte: “Buonanotte, piccola mia.”
Ovviamente anche guardarla dormire era una cosa che adorava. In effetti non c’era nulla di lei che non gli piacesse!
La vibrazione del telefono interruppe quella divina contemplazione. Sulle prime Dazai fu tentato di distruggerlo scaraventandolo contro la parete, ma appena i suoi occhi lessero il nome sullo schermo, l’istinto distruttivo si smorzò. Non potendo usare la destra per non sottrarla ad Hana e rischiare di svegliarla, si mise a pancia in giù e recuperò il telefono con la sinistra.
“Accetto qualsiasi tipo di offesa pur di sentire il suono della tua voce!”
Un istante di silenzio, poi dal capo opposto del ricevitore arrivò una risposta.
“Se mi dai il permesso di farlo non c’è più gusto, idiota!”
Dazai ridacchiò, poi lasciò un sospiro: “Ero indeciso se contattarti prima io o lasciarti sbollire un po’…”
Chuuya, che in quel momento era sul suo letto, schiena appoggiata alla spalliera e con addosso solo una maglia semplice da casa, chiese sospettoso: “Perché parli piano? Dove sei?”
“A casa. Hana sta dormendo accanto a me.”
“Fedifrago bastardo! L’unica volta che non dormiamo insieme mi rimpiazzi con una bella ragazza!” Voleva essere un rimprovero, però Chuuya non riuscì a dirlo senza ridere.
“Sai che ti cercava? Appena siamo entrati, la prima cosa che ha detto è stata ‘baba’! E quando le ho detto che obaa-san non c’era, mi ha guardato con degli occhi che mi hanno fatto sentire un verme!”
“Ben ti sta!”
Dazai gonfiò le guance con fare indispettito, come un bambino capriccioso. Se Chuuya lo avesse visto lo avrebbe colpito con un pugno. Meglio lasciar correre…
“Come hai trascorso la giornata? Io sono stato parecchio indaffarato.”
“Le solite cose… Ah e poi ho…ehm…” Chuuya arrossì, anche se di fatto nessuno poteva vederlo. Impacciato, si chinò in avanti e prese a massaggiarsi una gamba nuda come se vi stesse spalmando una crema invisibile. Prese respiro e continuò: “Ho preso appuntamento alla Banca per fare una cosa importante.”
Dazai sbatté le palpebre rivolto alla parete. “Mh?”
Il sospiro di Chuuya fu talmente rumoroso da urtargli il timpano.
“Facciamo così. Io te lo dico, però tu prometti di non fare battute stupide come al tuo solito.”
Dazai fece spallucce: “Cercherò!”
“Va bene.” Cambiò posizione sul letto, mettendosi con le ginocchia strette al petto, come per proteggersi. Forse dalla vergogna di quanto stava per dire?
“Ho chiuso il mio conto e ne ho aperto uno congiunto. Con te.”
Silenzio assoluto. Forse era il caso di dargli qualche dettaglio in più.
“Ho pensato che…essendo sposati, fosse giusto così.”
Ancora il vuoto. Cominciava ad incazzarsi!
“Cazzo! Devo proprio dirtelo? Non voglio più che facciamo vite separate! Ora quello che è mio è anche tuo, perciò puoi prendere il tuo dannato orgoglio, infilartelo nel culo, pensare seriamente a cercare una casa dove possiamo vivere insieme e usare i soldi che sono sul NOSTRO conto per acquistarla! Hai capito, imbecille?”
…………………………………………………………….!
Ormai i nervi di Chuuya erano prossimi a saltare come petardi.
“Dazai. Se non dici qualcosa, giuro che chiedo il divor-“
“Ho capito.”
Un momento. Aveva sentito qualcosa nella sua voce. Non è che…
“Dazai… Ma stai piangendo?”
“Sniff. Non- non è come credi…”
Le labbra di Chuuya si arcuarono in un sorriso: “D’accordo, farò finta di non essermi accorto che stai piangendo dalla gioia.”
Dazai dovette usare il braccio con cui reggeva il telefono per asciugarsi il viso con la manica della camicia. Per forza che piangeva! Era la prima volta che Chuuya gli dava una dimostrazione d’amore così chiara! Fosse stato da solo lo avrebbe raggiunto di corsa per baciarlo e fargli cose zozze per l’intera nottata! Ma questo era meglio non dirglielo…
“Ehi Dazai? Mi stavi dicendo che oggi sei stato molto impegnato. Ti hanno affidato un nuovo caso?” Una domanda giusto per distrarlo.
Ora che era in grado di controllarsi, Dazai risollevò il telefono e rispose: “No. Sono stato in ufficio solo per sistemare delle scartoffie. La maggior parte del tempo l’ho passata qui a riempire scatoloni con le mie cose. Be’, in realtà sono solo quattro, non ho gran che!”
“Mh? E perché lo hai fatto? Il Presidente ti ha sfrattato?” Il tono di voce appositamente perfido.
“No! Sono io che me ne vado! Ho spiegato al Presidente che vorrei vivere con mia moglie e lui ha accettato di buon grado, nonostante il poco preavviso.”
Questa volta fu lui ad essere accolto dal silenzio.
“Chuuya…domani hai tempo di venire qua con l’auto, così carico quegli scatoloni? Immagino che Atsushi verrà a riprendere Hana prima di andare al lavoro e io ho preso la giornata libera per poter sistemare le mie cose da te. Ah sempre che tu sia d’accordo!”
Dalla gola di Chuuya si levò un singhiozzo. Accidenti, quella era la telefonata più sdolcinata e piagnucolosa della sua vita!
“E me lo chiedi, idiota?” Si portò una mano al volto nel tentativo di placare il pianto, inutilmente. Tirò su col naso rumorosamente e disse: “Verrò alle 8. E porterò la colazione. Cappuccino bollente e croissant appena sfornati. Voglio mangiare un’ultima volta in quello schifo di appartamento e non potrai fare niente per impedirmelo!!!”
E riattaccò.
Dapprima sbalordito per la piega inaspettata di quella conversazione, alla fine Dazai dovette sforzarsi di non scoppiare a ridere! L’uomo che aveva sposato era imprevedibile! Posò il telefono a terra accanto al futon, dov’era prima, e si rimise comodo sul fianco.
“E’ opera tua tutto questo?” Si rivolse ad Hana, che dormiva pacifica come un angioletto. “Se il tuo potere è davvero così forte, farai grandi cose quando crescerai!”
Non erano frasi senza senso. Era stato chiaro fin dai primi giorni che la bimba aveva ereditato il ‘Potere della Tigre’ da Atsushi, ma forse nessuno tranne lui aveva capito che era in possesso anche di un’altra abilità molto più potente. Hana era in grado di vedere il vero stato d’animo delle persone, ma soprattutto aveva la capacità di alterarlo o modificarlo in base al suo volere. Lo aveva constatato così tante volte che ormai aveva perso il conto. Persino quella sera doveva aver visto la tristezza che lui cercava di mascherare e percepito il senso di colpa che provava nei confronti di Chuuya. Per questo il suo sguardo lo aveva steso! Quindi era possibile che avesse contribuito anche a quella felicità improvvisa? Chissà!
  
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