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Autore: Sabriel Schermann    20/04/2020    9 recensioni
Leonard aveva bisogno di scrivere, doveva dar vita ai personaggi che ogni notte gli scavavano la fantasia unicamente per trovare la propria pace; le sue creature lo chiamavano continuamente, impazienti di cimentarsi in qualche altra bizzarra avventura nel loro mondo incantato.
Si era accorto ben presto che non c'è nulla di particolarmente eccitante a vivere in un mondo rotondo, soprattutto se è il proprio…
[Raccolta partecipante alla challenge "I like that quote, said the month" indetta da Mari Lace sul forum di EFP]
[La prima OS partecipa al contest "Come lo struzzo" indetto da Little_Rock_Angel5 sul forum di EFP]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Le Strane Avventure del Signor L.'
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Sleepless

 

 

 

 

 

 

Come sono fortunate quelle persone che nella vita non hanno paure né terrori,
per le quali il sonno è una benedizione che arriva ogni sera
e non porta altro che bei sogni.

(Bram Stoker)

 

 

 

 

 

 

 

 

Non appena varcò la soglia di casa, Leonard si fiondò alla sua scrivania: aveva bisogno di scrivere, doveva dar vita ai personaggi che ogni notte gli scavavano la fantasia con le loro manie di protagonismo.
«Ora ho un po' di tempo» mormorò, rivolto a quel mondo immaginario che aveva creato unicamente per trovare la propria pace.
Signor L., signore!
Le sue creature lo chiamavano continuamente, impazienti di cimentarsi in qualche altra bizzarra avventura nel loro mondo incantato.
Gli abitanti di Elkland erano vivi, e il loro entusiasmo lo faceva gioire a sua volta: si era accorto ben presto che non c'è nulla di particolarmente eccitante a vivere in un mondo rotondo, soprattutto se è il proprio. Aveva quindi provveduto a crearne uno piatto attraverso le parole, anche grazie al supporto di suo fratello Erik.
In verità, se non fosse stato per lui, Elkland non sarebbe mai esistito: Leonard aveva inventato un universo ideale, su cui sarebbe volentieri fuggito a bordo di una nave piratesca, abbandonando l'esistenza che lo imprigionava, mantenendolo avvinghiato alle paure quotidiane.
«Sei riuscito a dormire in ospedale?»
Una voce lontana raggiunse il suo udito, come se centomila mura di carta lo separassero dal suo interlocutore.
Tuttavia, non gli era sfuggito quel gesto: Erik sapeva quanto detestasse che lasciasse la chiave incastrata nella serratura.
«Sai che così mancherà l'aria» lo corresse subito Leonard, infilando il naso in alcuni fogli che aveva riempito prima di venire investito da un'auto, una settimana prima. «Sai che mi innervosisce!» sbraitò, per poi recarsi fino alla porta con movimenti febbrili, gettando le chiavi sul pavimento.
Erik lo sentì bisbigliare qualcosa sull'ospedale e sulla pace, preferendo evitare di ripetere la domanda. In fondo, non necessitava nemmeno di una risposta.
Conosceva bene ogni singola mania di suo fratello, oltre alla patologia che, col tempo, era degenerata in una vera e propria fobia: la stessa che lo aveva costretto ad affidarlo allo specialista che lo seguiva ormai da qualche anno.
«Ma dove diavolo li ho messi?!» lo udì strepitare dalla stanza da letto che avrebbero dovuto condividere. Da quando glielo aveva suggerito, un po' per caso, Leonard non faceva altro che scrivere. Ne aveva parlato anche con lo psichiatra, che lo aveva rincuorato con un sorriso: «Scrivere lo aiuta a dissociarsi dalla realtà, e quindi dalla sua fobia. Non può fargli altro che bene».
Erik si era dato dello stupido infinite volte per non averlo compreso prima: ormai, era l'unica persona della famiglia in grado di prendersi cura di lui.
«C'è qualche possibilità che Lennie possa saper badare a se stesso in futuro?» aveva chiesto allo specialista, probabilmente in tono disperato, perché non gli era sfuggito il modo in cui l'uomo aveva soppesato le parole prima di rispondere.
Per quanto lo amasse, Erik non poteva contemplare l'idea di vivere il resto della sua vita con un individuo che a malapena rispondeva alle sue domande, anche se si trattava del suo stesso sangue.
Tuttavia, solamente per qualche istante, si sentì terribilmente in colpa per avere avuto pensieri così egoistici.
«Potrebbe. Le facoltà mentali le ha» aveva risposto lo psichiatra.
Forse era lui ad essere sempre stato troppo protettivo nei suoi confronti; forse era quella ragione per cui Lennie non faceva altro che peggiorare col tempo.
Ricordava come l'uomo si fosse alzato subito dopo, in un palese invito ad abbandonare l'ufficio: «Personalmente... non assumerei mai uno zombie».
Tornato alla realtà dal trambusto del fratello alle prese con la propria opera, Erik si fissò i palmi, accomodato sul letto. Lo specialista aveva utilizzato proprio quel termine per fare riferimento alla fobia di cui soffriva Leonard da quando la madre era morta, quasi cinque anni prima.
A pensarci bene, era stato proprio allora che suo padre aveva cominciato a bere, terrorizzato dal timore di fare la sua stessa fine. In verità, Erik non poteva saperlo: non lo vedeva che quando tornava a casa, a notte inoltrata, trovandolo accasciato sul sofà come un moribondo.
«Gli zombie qui sono due» pensò, finalmente uscendo dal letargo di ricordi in cui era sprofondato. Eppure, ricordava bene l'infanzia felice che aveva vissuto insieme a Leonard: è vero, lui era sempre stato strano, ma nessuno ci aveva mai dato peso.
I suoi genitori dovevano aver creduto che il figlio minore fosse semplicemente particolare, oppure avevano preferito non concepire la realtà per quella che era.
Erik aveva sempre saputo che il fratello avesse dei problemi mentali, ma era difficile attribuire loro un nome: ne aveva avuto una prova lampante quando, da bambino, aveva realizzato che Leonard impugnava qualsiasi giocattolo come un'arma.
Si diresse verso la cucina, lanciando una debole occhiata alla figura dai capelli chiari che scriveva compulsivamente riversa sulla scrivania.
A volte, quando si soffermava a rifletterci, proprio non riusciva a spiegarsi come suo fratello potesse non riposarsi mai, ma al tempo stesso possedere così tanta energia da rigettare sui fogli.
Lo psichiatra gli aveva assicurato che la sua insonnia – così la chiamava – fosse dovuta al trauma causato dal ritrovamento del cadavere della madre riverso sul pavimento della stanza da letto, apparentemente scivolato durante la notte.
E lui? Lui come poteva dormire con la pace nel cuore quando suo fratello passava le notti a scrivere al lume di candela?
«La luce mi disturba» gli aveva spiegato Lennie quando lo aveva sorpreso a scribacchiare davanti al lumino, «fa un dannato rumore e mi deconcentra».
Strano, non mi pare rumorosa, aveva pensato Erik, tornando a dormire.
Ma di che cosa si stupiva? C'era forse una mania che suo fratello non possedesse?
Accese la vecchia radio che teneva sul tavolo, in cerca di qualche melodia interessante. La voce di John Norum¹ irruppe nella stanza con tutta l'energia che il suo più grande successo possedesse.
«Jannie! Così mi deconcentro! Spegni subito questo fracasso!» gridò Leonard dalla stanza a fianco.
Sorrise a sentirsi chiamare in quel modo. Ormai ci aveva fatto l'abitudine: non poteva cucinare con un po' di musica in sottofondo se il fratello era in casa.
Tutto pareva disturbarlo: a volte si chiedeva se persino lui, che lo vezzeggiava continuamente, potesse infastidirlo.
Il buio era ormai calato su Bloemendaal² quando Erik dovette uscire di casa: l'allenamento quotidiano l'attendeva e non sarebbe tornato prima che l'orologio avesse scoccato il nuovo giorno.
Raccolse le chiavi sul pavimento, poi si rivolse a Leonard, prima di chiudersi la porta alle spalle: «Mi raccomando, lascia perdere papà quando torna».
Tanto sarà ubriaco, avrebbe voluto aggiungere, ma non era nemmeno sicuro che il ragazzo lo avesse udito. Come al solito, era certo avrebbe cenato soltanto quando il cibo sarebbe stato ormai freddo, in preda alla fame notturna.
Stranamente, il cielo quella sera ospitava un esercito di stelle nel suo letto oscuro. Forse il giorno seguente avrebbe potuto strappare Lennie dal suo mondo di carta per portarlo a riempirsi i polmoni dell'aria salata del mare.

 

 

 

♪♪♪

 

 

 

Un nuovo abitante era comparso sul suolo piatto di Elkland. Il gigante Roth si accovacciò per poterlo osservare meglio: si trattava di qualcosa che non aveva mai notato prima, della dimensione simile a quella di un folletto.
Un florido fogliame pareva la sua criniera e il corpicino tozzo gli ricordava le radici dell'unica piantina che cresceva nella sua grande casa.
Roth adorava il suo creatore per questa ragione: Elkland era un luogo di pace, in cui esistevano solamente la fratellanza e la solidarietà.
Dopotutto, i grifoni e le arpie, gli esseri più meschini che il suo mondo accogliesse, erano scomparsi da un pezzo.
Roth si tirò in piedi per proseguire verso il villaggio degli elfi; non si accorse che un lieve movimento aveva animato lo strano vegetale, né poteva immaginare che l'armonia di Elkland sarebbe stata presto spezzata. Tempi duri avrebbero scosso quella terra di pace e conciliazione: non sapeva che il signor L., il suo eroe, aveva introdotto il primo vero antagonista nel suo mondo.
Se avesse acuito l'udito, avrebbe potuto addirittura sentirlo sussurrare: «Attenzione alle paure del giorno. Amano rubare i sogni della notte»³.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

¹ Chitarrista e cantante norvegese, meglio conosciuto come membro della band svedese Europe.

² Bloemendaal è una città situata nell’Olanda Settentrionale, nei Paesi Bassi, in prossimità del mare.

³ Citazione di Fabrizio Caramagna.


   
 
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