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Autore: E_AsiuL    21/04/2020    0 recensioni
Aine era stanca. Stanca di tutto e tutti. Stanca della vita che faceva. Qual era lo scopo di tutto quello che aveva passato nei suoi seicento anni? Aveva perso così tanto è guadagnato così poco… aveva perso la maggior parte della sua famiglia, tranne Marge e Adam, aveva perso i suoi amici. Sì, aveva conosciuto tantissime persone, solo per doverle perdere, prese dal freddo e implacabile bacio della morte. E aveva perso lui. L'unica persona che avesse davvero contato qualcosa per lei. L'unica persona che avesse davvero amato. L'unica persona che fosse stata in grado di farla sentire umana, quando non lo era più stata. Che l’amava, anche quando era diventata il mostro che era ancora.
Genere: Malinconico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate
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1 - The suicider
I live to kill and kill to live
I long for dying endlessly
(Sentenced - The Suicider)

 
Il lungo corridoio della fortezza era freddo e buio, come sempre. Sottoterra, non aveva potuto essere altrimenti. E con tutti quei vampiri in giro, l'oscurità era necessaria. A guardarla, la fortezza sembrava venire direttamente dal Medio Evo: pietra scura, mura spesse, torri, ponti levatoi. Ma dentro era tutta un'altra cosa: elettricità, arredamento moderno, ascensori, sale computer… non mancava nulla.

Aine percorreva il corridoio, illuminato solo da qualche lampadina nuda che pendeva dall’alto soffitto. Il suono dei tacchi dei suoi stivali rimbalzava sulle pareti. Odiava quegli stivali, erano scomodi e inutili in battaglia, ma facevano parte dell'uniforme - corpetto e pantaloni di pelle scricchiolanti - ed era costretta a indossarla nelle occasioni formali, insieme a un mantello che cadeva di lato, lasciandole scoperto il braccio destro, a mostrare la rosa nera che aveva tatuata sulla spalla. Il braccio era l'unica cosa che si vedesse, di lei, dato che aveva il viso nascosto dalle ombre del cappuccio e dietro la sua solita maschera. Nessuno, a parte i familiari più stretti - e lui - aveva visto la sua cicatrice ed era vissuto abbastanza a lungo da raccontarlo. Era una brutta cicatrice, che andava dal sopracciglio destro fino all'angolo della bocca, storcendola appena verso il basso. Fortunatamente, l'occhio era stato risparmiato dalla lama che l'aveva causata. Ovviamente, anche la persona che l'aveva sfregiata non era vissuta abbastanza a lungo da raccontarlo.

Aine aveva raggiunto la sua destinazione: la sala del trono. Grandi porte di legno, con complicate incisioni, la separavano dal Master. Raddrizzò le spalle, trasse un inutile respiro e mise le mani sulla superficie irregolare del legno, cercando l'interruttore nascosto che avrebbe aperto la porta esterna. Si era sempre chiesta che senso avesse la presenza di una porta esterna quando quella interna aveva più sistemi di sicurezza del caveau di una banca.

L'interruttore nascosto scattò quando lo premette e il legno scivolò di lato, rivelando una spessa porta metallica. Aprire questa era molto più complicato. Aine dovette pungersi il pollice sull’ago nel primo lucchetto - riconoscimento del DNA - e aspettare che la prima luce diventasse verde. Il secondo passaggio prevedeva la scansione dell'iride. Quando la seconda luce divenne verde, Aine passò al terzo e ultimo passaggio: riconoscimento vocale. Dopo aver dichiarato nome e grado, aver aspettato che la terza - e ultima, grazie a Vlad! - luce diventasse verde, la vampira fu ammessa nella sala del trono.

Le due sentinelle dietro la porta si raddrizzarono e irrigidirono al suo ingresso. Erano più alti di lei e più grossi, ma Aine si era guadagnata una certa fama sul campo di battaglia per quanto riusciva ad essere spietata, sia con nemici che amici.

Aine fece loro un cenno di saluto e li superò, i tacchi degli stivali che battevano sul pavimento di pietra. Contro la parete in fondo alla sala, su una pedana, c'era il trono, accanto al quale c'erano due bracieri e altre due guardie statuarie dall'aria seria. Quando Aine avanzò per salutare il Master, le sbarrarono la strada incrociando le lance. Nessuno poteva avvicinarsi troppo al Master.

«Non mi farà del male, lo sapete», disse il Master, ammonendo le guardie, ordinando loro di fare un passo indietro con un gesto vago.

«Grazie Master», disse lei, inchinandosi e poi inginocchiandosi, come di costume. Odiava gli atti di sottomissione, ma o si obbediva o si veniva puniti - il Master amava essere adorato. Ai piedi del trono era accoccolata, con la testa sulle ginocchia del vampiro, la sua amante principale, una rossa che molti avrebbero desiderato avere e nessuno osava guardare.

«Cosa ti porta qui, Capitano?», chiese il Master, accarezzando distrattamente i folti boccoli della sua amante.

Aine sollevò il capo e guardò l'antico vampiro seduto sul trono. I capelli lunghi e bianchi, gli scendevano lisci sulle spalle, incorniciando un volto squadrato in cui gli occhi scuri erano infossati sotto sopracciglia cespugliose. Aine si morse un labbro e rispose, fissando gli occhi nei suoi.

«Ho qualcosa da chiedere, Master. In privato», aggiunse, spostando rapidamente lo sguardo sulle guardie.

Il Master sorrise e fece un cenno con la mano. «Lasciateci. Non ho bisogno di voi con il mio ufficiale più fidato», disse, la voce carica di sarcasmo. Aine era letale in battaglia, ma detestava le regole, se erano fatte da qualcun altro. Pensava che le uniche regole che valesse la pena seguire fossero le proprie, e aveva sfidato l’autorità del Master più di una volta, giudicandolo un cretino che ragionava con l’uccello: l’amante di turno – maschio o femmina non era importante – gli chiedeva qualcosa, batteva le ciglia, e il Master dichiarava guerra a un altro clan, faceva uccidere qualcuno, senza badare al costo. E Aine, più di una volta, aveva detto la sua e, in più occasioni, aveva sfidato il Master. Lui non si fidava di lei, definendola volubile, una vedova addolorata, sempre pronta a uccidere, controllata da rabbia e dolore. Ma la stimava, perché di solito otteneva risultati.

«Anche la vostra amante, se non chiedo troppo», aggiunse Aine, dopo che le guardie ebbero lasciato la stanza con una certa riluttanza.

Il Master alzò un sopracciglio, sorpreso. Aine non aveva mai nessuna considerazione verso le sue – o i suoi – amanti (a parte dirgli che lui non aveva nessuna spina dorsale e che loro lo tenevano per le palle rinsecchite, sempre se ne aveva ancora) e non aveva mai avuto problemi a discutere qualcosa davanti a loro, considerandoli solo dei begli oggetti stupidi.

«D’accordo», annuì, perplesso. Si alzò, prendendo la sua amante per mano e facendola alzare. «A dopo, amore mio», disse, baciandole le mani e indicandole la porta laterale.

Aine si alzò, mentre il Master si sedeva di nuovo. «Allora?» chiese lui, impaziente e un po’ spaventato. Il momento era arrivato, allora. Il suo sguardo non prometteva niente di buono, dietro quella maschera. Lo aveva fregato, con tutta quella serietà, per sbarazzarsi di ogni testimone e ucciderlo una volta per tutte?

Aine sospirò, le dita al bordo della maschera. «Ho bisogno di un ordine di esecuzione per un membro del clan», disse, dopo un po’.

Il vampiro attese con una certa ansia che lei dicesse il nome, temendo di sentirle dire: “Voi!”

«Chi deve essere giustiziato?» chiese, stringendo i braccioli del trono.

«Io, Master. Voglio morire», confessò.

Il Master era incredulo. Rimase lì, ad occhi sgranati, quasi a bocca aperta. La sua assassina, il suo boia, il soldato più assetato d sangue del suo esercito, voleva morire. Riprese rapidamente contegno, pur chiedendosi le ragioni di questa decisione. Non era stato lui a crearla, lei era arrivata al suo clan, ma conosceva gran parte del suo passato. Sapeva che piangeva ancora la morte del suo promesso, e che aveva rifiutato ogni vampiro che le si era proposto, restando fedele alla sua memoria e, dopo lo stupore iniziale, intuì che quella fosse la ragione. Era stanca di piangere e voleva farla finita. Ma doveva chiedere.

«Perché?» sembrava una parola così vuota, una domanda così futile, quand’ebbe lasciato la sua bocca, ma doveva chiedere. E il suo meschino desiderio di vendetta ebbe un po’ di soddisfazione nel vederla stringere i pugni così forte da farle tremare le braccia.

«Sono stanca, Master. Ho vissuto abbastanza», rispose, secca. Non voleva dare troppe informazioni, il suo dolore era solo suo, niente che interessasse il Master.

Il Master rifletté su quella risposta: aveva ragione. Era stanca di piangere. Accordarle la sua richiesta sarebbe stato giusto: non era la prima con tale desiderio e aveva sempre accontentato tutti. Ma, con lei, era un peccato. Il Master pensò che avrebbe potuto provare di più, cercare di andare avanti, avere una vita al di fuori del lavoro, vivere fuori dal dolore. Ma aveva scelto di vivere dentro il suo dolore, lasciando che la consumasse. Con un sospiro, il Master annuì.

«Avrai il tuo ordine di esecuzione. Hai un mese per fare i tuoi addii», disse. «Puoi andare, ora», la congedò.

Inchinandosi di nuovo, Aine si voltò e lasciò la sala del trono.

 
Aine corse per i corridoi, rischiando le caviglie su quegli stivali ridicoli. Raggiunse la sua stanza ed entrò, sbattendosi la porta alle spalle e inserendo ogni possibile allarme anti-intrusione. Si strappò di dosso maschera e uniforme e si gettò sul letto. Un mese. Il suo ultimo mese.

«Aspettami solo un altro po’… sto arrivando, Alex. Sto arrivando…»
  
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