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Autore: Mirajade_    22/04/2020    0 recensioni
Raccolta di one-shot, in ordine cronologico, che vede protagonisti Angela Ziegler e Genji Shimada (subito dopo essere diventato un cyborg).
Le storie racconteranno il percorso della relazione tra i due dal loro primo incontro.
[GenjixMercy]
***
[https://open.spotify.com/playlist/4I7LREMFsdWQRu0L9lJc86?si=IE1dbhjhT_i5pp3jX0KCHg]
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genji Shimada
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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My heart's an artifice
Take me home when I lost myself
Love me better than I love myself
(Clean eyes - SYML)


Non lo aveva mai percepito come così lontano e non era di certo il vetro riflettente che li separava, Angela questo lo sapeva con certezza. La stessa certezza sembrava scaturirle un tremore invadente mentre appuntava pesantemente sul consunto block notes, non con poca difficoltà data la stanza semibuia in cui si trovava.
Il freddo le penetrò le membra congelando la sua figura al pavimento e ogni urlo disperato, ogni pugno contro il muro, ogni lacrima tra i ricordi della sua mente: Genji stava sempre lì a quell’ora tarda della notte scorticandosi con un passato che incombeva su di lui come un demone. Ogni aspetto dell’animo del ninja le si mostrò con una violenza tale da farla vacillare, un aspetto crudo, non filtrato dagl’occhi della dottoressa capace di trovare soluzione a tutto… era quella che fanno i dottori, no?
Non si era mai sentita così impotente.
Neanche quando si era ritrovata a piangere prossima ad una morte incombente…
***
Il viaggio era stato silenzioso fino a Berlino o forse era solo lei che in quell’istante sembrava più concentrata nel squadrarsi le mani piuttosto che intavolare un qualsiasi tipo di discorso con gli agenti scelti per quella missione di emergenza.
Torbjorn l’aveva squadrata come se il solo mettere piede nell’Orca fosse stata la peggiore scelta della sua vita. Lui sembrava leggerle negl’occhi stanchi e nella rigida linea delle labbra che qualcosa non andava e con un gesto del braccio bionico aveva attirato la sua attenzione per dirle di lasciar prendere il suo posto a Moira. Mercy gli aveva rivolto un sorriso dal tono amaro stringendo la presa sul caduceo come a voler dimostrare una forza che in quel momento non possedeva: colpa di una settimana lavorativa a dir poco impegnativa, ma sapeva che tra quelle scuse risiedeva anche lui… rigido in una posa da risultare quasi elegante mentre pretendeva di ignorare le battutacce di McCree.
Genji Shimada.
L’uomo a cui aveva stupidamente confessato i suoi sentimenti come una ragazzina alla sua prima cotta.
Il fumo della città in rovina le arrivò asfissiante sul volto. Reinhardt attivò l’enorme scudo al sentire una serie di spari anonimi mentre Winston illustrava il piano un ultima volta: salvare i civili, eliminare più unità Bastion possibili.
Lo scienziato le riservò uno sguardo attento –Mercy ti occuperai prettamente dei civili, Reinhardt verrà con te- la donna annuì affiancando l’omone tedesco il quale le riservò un sorriso a trentadue denti.
La missione sarebbe andata perfettamente, si era detta la dottoressa: sapeva della bravura di Reinhardt nel contrastare gli omnic, c’erano ottime probabilità di riuscita.
Ma, contrariamente ai suoi piani, Mercy dovette far fronte ad un numero non poco esiguo di unità Bastion capace di rallentare lei e il suo compagno di squadra. Aggrappati a lei vi erano due uomini ritrovati sotto le macerie; la valchiria le alleviò ogni peso che sentì addosso.
Una lunga breccia di omnic stava riempiendo di proiettili la barriera di Reinhardt.
La città era costellata da unità offensive; se fossero rimasti ancora a lungo sarebbero stati circondati e la barriera distrutta.
-Reinhardt- urlò tra gli spari –Dobbiamo allontanarli o non riusciremo a portare i civili in salvo- il crusader non rispose piegandosi di più contro lo scudo come a volerlo rafforzare con la sua stazza. Mercy lasciò la presa sui due uomini raccomandando loro di rimanere al fianco del tedesco; allargò le ali bluastre emettendo un leggero bagliore, in mano strinse il caduceo punitivo –Posso fare loro da esca se risulto loro offensiva-
-Scordatelo, Engel, ti farai ammazzare-  le prime crepe si fecero nitide nella barriera come fosse vetro rotto, i bordi iniziavano lentamente a smaterializzarsi.
Mercy non aveva paura, Angela questo lo sapeva, al contrario suo Mercy, il medico da campo, esternava una forza e un coraggio che sapeva mascherarsi nell’essere stesso della ragazza. Non avrebbe mai saputo definire quella sensazione, quel separare in due la sua anima per sopprimerne una parte che tremava al pensiero e alla vista della morte.
Si alzò in volo sotto le urla di Reinhardt, volteggiando quanto bastava per schivare i proiettili che le venivano contro e mirare a più unità possibili. Quelle smisero di vessare la barriera per concentrarsi su quella che era diventata una nuova minaccia.
Le ali della valchiria si flettevano come fiamme nell’aria, Mercy ne percepiva il calore rassicurante sulla schiena mentre conduceva gli omnic più lontano possibile dal suo compagno di squadra, davanti a lei si stagliarono veloci enormi macerie e Bastion in assetto torretta nascosti tra esse.
Il mondo le scorse davanti come se fosse al di sopra di un treno.
Era la prima volta che osava tanto, che rischiava con la sua stessa vita per il bene altrui, aveva messo in gioco conoscenze, studi e tempo per riuscire a salvare chiunque e adesso si ritrovava lì senza bisturi né pinze alla mano, consapevole di un alta probabilità di non sopravvivenza.
Ma Mercy non aveva tempo per la paura, Angela questo lo sapeva.
Quando un urlo le invase il campo uditivo si fermo a mezz’aria; le unità a pochi metri di distanza; le ali più luminose. Sotto una struttura di ferro e cemento una donna urlava in preda al panico e al dolore. La dottoressa si gettò a capofitto verso la figura interessata, nelle orecchie il fischio del vento e i proiettili che scalfivano la valchiria.
La donna era bloccata all’interno di un cunicolo di macerie, causa un enorme pilastro di cemento.
-Stai bene?- le chiese. Non sembrava ferita oltre la sporcizia.
Non ricevette risposta sono un sguardo spaventato come pochi, la civile stava tremando tanto da impedirle qualsiasi parola, una mano appoggiata sulla spalla nascondeva quella che Mercy vide finalmente come un taglio schizzante di sangue.
“Scheiße” pensò.
Il rumore dei Bastion sempre più vicini. I proiettili sugl’edifici semi distrutti scaturirono una polvere farinosa in grado farle lacrimare gli occhi.
Afferrò il pilastro e pregò con tutto il cuore che la valchiria riuscisse a sollevarlo. Strinse i denti mentre il peso le ricadeva su braccia e spalle, le ali bruciarono suggerendole un sovraccarico della tuta. Urlò e sentì chiaramente la maceria muoversi sotto le sue dita, quanto bastava per permettere alla donna di passargli accovacciata sotto ed evitare che il cunicolo le si abbattesse addosso come un castello di carte. Quest’ultima la ringrazio balbettando tra le lacrime.
Mercy lasciò ricadere il pilastro con un tonfo, poi le vide: le unità Bastion disposte attorno a quella scena in perfetto assetto torretta. Un movimento e sarebbero diventare entrambe un perfetto tiro al bersaglio.
Le ali bruciavano ancora emettendo una luce azzurra quasi accecante.
-Scappa- disse alla donna pietrificata alla vista degl’omnic. Questa batté le palpebre incredula.
La valchiria fremeva. Mercy dovette socchiudere gli occhi soppressa dalla luce alle sue spalle.
–Scappa!- urlò e la sensazione che provò la definì unicamente atroce mentre la sua stessa tuta le scorticava via la pelle come fosse ferro rovente, bruciando di un intensità capace di confondere i Bastion e permettere la fuga della civile. La dottoressa si sentì quasi sospesa nel vuoto in un attimo, un paradiso dai toni bluastri come fosse morta; e forse lo era veramente tra gli spari incessanti e la pelle da rasentare lava.
La luce però si spense come fosse stata una lampadina, rivelando agl’occhi di Angela gli stessi omnic di poco prima iniziare un caricamento del rotore delle mitragliatrici.
-Mercy, qui Tracer, siamo ad un minuto dalla tua posizione, resisti-
La valchiria sembrava consumata, morta, sul suo corpo. In un ultimo disperato movimento chiuse quelle ali spente e prive di vita sulla sua figura in un gesto di protezione.
Pianse, Angela.
E non era il dolore che l’aveva pervasa prima, né tantomeno quello che sapeva sarebbe arrivato.
Sapeva che mancava ancora così tanto da fare, da scoprire, da vivere e la morte la stava semplicemente sequestrando, lì, senza che potesse replicare. Si lasciò cadere sulle ginocchia prima che il rumore arrivò, incessante, violento, ostile: le mitragliatrici che sparavano.
Tremò e fu perplessa nel percepire i suoi muscoli contrarsi involontariamente dalla paura. Quando alzò lo sguardo Genji era lì, vicino alla sua figura rannicchiata che muoveva la spada così velocemente da tagliare segni nell’aria densa. Nessun proiettile la scalfì.
Quando Winston piombò dall’alto piazzando l’enorme scudo protettivo, il cyborg infoderò la wakizashi, respirando con affanno ed emettendo un bagliore verdastro dalle iridi. Si lasciò cadere su un ginocchio davanti alla dottoressa sporca di polvere e terrore.
-Sei ferita?- le chiese poggiando quasi con timore una mano sul volto della ragazza, asciugandone le lacrime con il pollice incerto. Il cuore prepotente contro la cassa toracica.
“Se fosse morta…se fosse morta…”  e non riusciva a dare una fine a quel pensiero poiché sembrava soffocarlo soltanto.
Angela pianse contro il suo petto tutto quello che aveva provato in quel periodo opprimente.
***
...segnò un altro appunto, Angela, tentando di cancellare i ricordi nell’atto della scrittura.
Il giovane Shimada aveva terminato il suo supplizio nella stanza d’allenamento accasciandosi stanco contro una parete.
Il volto era tornato nuovamente una maschera distaccata e inespressiva.
***
L’odore di disinfettante non gli era per nulla mancato.
Ritrovarsi nuovamente in quel letto fu doloroso: stava rivivendo le stesse sensazioni del giorno del suo risveglio. L’intorpidimento, la gola secca, il riverbero che emanava nelle ossa la sua armatura, la sua morte, la katana, il tempio, il sangue, Hanzo.
Hanzo.
Inspirò e fu rivelatorio: sentì l’aria entrare nello sterno, ossigenargli le membra rimanenti e uscire.
Le gambe pesanti.
L’elettrocardiogramma prese ad emettere un suono tartassante.
Sollevandosi di scatto strappò gran parte dei cavi e tubi che lo tenevano legato ai macchinari, riempendo la piccola stanza di allarmi fastidiosi incapaci di superare il flusso dei suoi pensieri. Sembrava tutto così ovattato: l’udito, la vista, persino Angela che entrava trafelata… solo il suo corpo era vivido.
La stanza si fece silenziosa.
-Non mi aspettavo ti svegliassi in così poco tempo- gli disse la dottoressa porgendogli una mano affusolata. Il dorso era screpolato all’altezza delle nocche –Vieni-
Genji la afferrò saldamente e ponendo forza sui talloni si alzò dal letto. Sentì chiaramente qualcosa muoversi, muscoli forse, ma quando abbassò lo sguardo non trovò gambe umane bensì qualcosa di diverso dalle gambe robotiche a cui era stato abituato.
Angela lesse una nota di sconforto nei suoi occhi.
 Occhi di un perfetto castano che racchiudevano quelle che sembravano venature verdastre. Nessun rosso.
-So che non posso darti un corpo umano- sospirò –Ma se posso farti percepire anche se per poco la sensazione di averlo, lo farò…sempre- vide il ninja appoggiarsi sulle sue spalle in cerca di un sostegno per evitare una possibile caduta, ebbe la sensazione di percepire per un attimo le sue labbra sulla fronte.
-Avevi detto- iniziò lui –Avevi detto che era un lavoro di potenziamento richiesto da Blackwatch- la guardò con occhi spalancati.
Sentì come un muscolo contrarsi a livello della coscia quando mosse una gamba.
Angela sorrise –Loro vogliono una macchina perfetta. Io voglio renderti felice in qualche modo- fece un passo indietro appoggiando una mano sulla vita del ragazzo intimandogli silenziosamente di camminare. Uno specchio rettangolare sostava a pochi centimetri dalla porta del bagno.
Quando gli si posizionò davanti Genji poté ammirare un corpo nuovo, seppur bionico.
-Ho rimosso qualsiasi sistema di tubi esterno sostituendolo con uno interno alimentato da cuore e polmoni trapiantati. Oltre all’armatura ho aggiunto pelle e muscoli sintetici sugl’arti e il tronco e recettori più sensibili a livello dei palmi e delle piante dei piedi. Inoltre ho tolto completamente la cornea automatizzata; lo zoom e la resistenza a forti luci saranno possibili grazie ad un visore-
Ma Genji aveva smesso di ascoltarla da molto o forse non le aveva mai prestato veramente attenzione nell’esatto momento in cui si era piantato lì, davanti allo specchio.
I suoi occhi erano così umani. La sua percezione così acuta.
Quel corpo sarebbe forse bastato a fargli accettare la sua condizione?
No, era ovvio. Quello che vedeva non sarebbe mai stato umano, ma quello che sentiva…
-Sei più umano di quanto credi- Angela squadrò il pavimento, conficcò le unghie corte nel palmo –Ho visto come ti senti Genji, forse non mi è chiaro pienamente, anzi ne sono sicura, ma quello che vedo è umano come chiunque, se non di più-
Il ninja la guardò intensamente, sollevò una mano e accarezzò la pelle morbida della biondina; era calda, liscia, morbida qualcosa che la sua di pelle aveva perso da tempo. Passò un pollice sul naso, l’arco di cupido, le labbra.
Quelle sollecitazioni sui polpastrelli erano puro godimento; gli occhi di Angela liquido bollente pronti a bruciarlo.
Era così bella, così forte.
E lui…lui non poteva ancora averla nelle condizioni in cui versava ancora la sua mente.
Overwatch lo aveva aiutato ma quando avrebbe iniziato ad aiutare se stesso?
-Genji, stai piangendo…-
Si, le sentiva le lacrime. Fresche contro le cicatrici.
Doveva andarsene.
Baciò un ultima volta quelle labbra venefiche per il suo cuore.
“Ti amo” ma fu solo un pensiero.

 
   
 
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