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Autore: Sabriel Schermann    22/04/2020    9 recensioni
Jan non aveva impiegato molto tempo a comprendere la vera natura della bambina, che ormai considerava come una figlia naturale: poteva facilmente immaginare che cosa avesse combinato quel giorno a scuola.
La maestra Sandra aveva deciso di fare mistero della questione, il che poteva significare solamente che si trattasse davvero di qualcosa di grave, se la faccenda era tanto urgente da parlarne subito, oltre che dal vivo…
[Storia classificata al terzo posto al contest "Scriptophobia" indetto da Soul_Shine sul forum di EFP]
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'La Casa di Cristallo'
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Le fate nascono dal ghiaccio

 

 

 

 

 

 

 

 

Jan non aveva impiegato molto tempo a comprendere la vera natura della bambina, che ormai considerava come una figlia naturale: poteva facilmente immaginare che cosa avesse combinato quel giorno a scuola.
Aveva quasi raggiunto il palaghiaccio per la sua lezione quotidiana quando il telefono cominciò a vibrare in una tasca; detestava essere disturbato durante l'orario di lavoro, soprattutto mentre era al volante ma, per fortuna del mittente, un brillante barlume scarlatto lo costrinse a fermarsi.
Il tono allarmato con cui rispose lo tradì: non aveva riconosciuto il numero, ma il nome – “Scuola Sindy” – che compariva sullo schermo non poteva mentire.
«Che cosa è successo stavolta?» sbuffò, trattenendo lo strumento tra la spalla e l'orecchio, premendo nuovamente un piede sull'acceleratore: quanto detestava fare il contorsionista per una stupida telefonata!
«Signor Schermann, è pregato di recarsi subito presso la scuola di Sindy Schermann».
La voce della maestra Sandra gli tuonò nel timpano, tanto da dover accostare per poter riafferrare il telefono scivolato sul pavimento dell'auto.
Non poteva guidare e concentrarsi sul timbro pigolante di quella donna allo stesso momento, dopotutto era pur sempre un uomo.
Cos'è, ti ha tirato i capelli stavolta?, pensò in un ghigno divertito. Sindy non glielo aveva mai detto apertamente, ma era chiaro che detestasse quella vecchia con ogni fibra del proprio essere.
Jan sbuffò ancora, liberando i polmoni dell'ossigeno che vi si era annidato all'interno durante la breve conversazione: «Gradirei discutere la questione di persona» scimmiottò, in una bizzarra imitazione dell'educatrice, imbottigliandosi nuovamente nel traffico in direzione della scuola.
Che cosa diavolo aveva combinato quella birbante di bambina?
La maestra Sandra aveva deciso di fare mistero della questione, il che poteva significare solamente che si trattasse davvero di qualcosa di grave, se la faccenda era tanto urgente da parlarne subito, oltre che dal vivo.
Prima di riattaccare, la vecchia strega gli aveva intimato di recarsi all'ufficio del preside, dove si trovava Sindy.
«È sempre pieno questo cazzo di parcheggio» borbottò Jan una volta raggiunta la propria destinazione. Il candido tappeto di petali dei fiori dei ciliegi gli ricordava che la primavera era giunta da più di un mese.
Entrò nel grigio edificio con lo stesso entusiasmo di un condannato dinanzi alla mannaia della ghigliottina; e più si avvicinava all'ufficio del dirigente scolastico, più si convinceva che ne sarebbe uscito solamente col capo mozzato.
Le telefonate improvvise della maestra Sandra non erano una novità, ma non era mai stato obbligato a recarsi a scuola così tempestivamente.
Oh Sin, ma che cosa hai combinato?, pensò, bussando timidamente alla porta accostata.
Il vocione di un uomo di mezza età proruppe dall'altra parte, invitando l'ospite ad accomodarsi sull'unica sedia presente nella stanza, oltre alla poltrona su cui era sprofondato.
L'insegnante si ergeva accanto al preside, nella tipica posizione che assumeva quando ambiva a darsi un tono. In una mano stringeva la sua bambina, immobile con lo sguardo fisso sul pavimento.
Subito, Jan tentò di decifrare ciò che Sindy potesse provare: era certo che desiderasse solamente scoppiare a piangere ma, se la conosceva bene, il suo orgoglio non glielo avrebbe mai permesso.
«Questa bambina» iniziò la maestra in tono austero, «è assolutamente indisciplinata!» quasi gridò.
Ringrazia che non ti ha staccato la mano a morsi, pensò l'uomo sorridendo dentro di sé.
Per darsi un contegno in una situazione in cui scoppiare a ridere non era consentito, finse quanta più curiosità possibile nel domandare che cosa fosse accaduto.
«Lei sa bene, signor Schermann...»
Jan storse il naso nel sentire pronunciare il proprio nome in un tale tono irriverente.
«...che il sabato appena passato è stato il giorno del re¹» puntualizzò la vecchia signora.
Quel timbro snervante si addiceva perfettamente a una strega. Di nuovo, l'uomo tentò di mascherare un sorriso con un cenno di assenso.
«Dunque abbiamo pensato bene di lasciare ai bambini un po' di svago, oggi».
Il modo in cui parlava, lentamente e attenta a scandire ogni parola, gli dava semplicemente sui nervi.
Ebbe d'improvviso l'impressione che, più che con la testa mozzata, sarebbe uscito da quell'ufficio con un'intensa emicrania.
«Il problema è che la bambina non pare aver apprezzato affatto il privilegio che il responsabile qui presente ci ha gentilmente concesso».
Ah, dunque è questo il punto! Deve ingraziarsi il preside!, pensò subito Jan, colto dall'ennesima ondata di ilarità. Avrebbe dovuto intuire che Sindy non aveva fatto realmente qualcosa di male; se quella donna avesse saputo come avevano festeggiato il giorno del re, ingozzandosi di cioccolato e canzoni per bambini!
«Non capisco quale sia il problema, signora» la interruppe, «perché non mi ridà mia figlia, innanzitutto?»
È bene che capisci con chi hai a che fare!, pensò, stringendo finalmente la manina di Sindy nella propria. Tuttavia, notò che questa era calda e sudata: era chiaro che avesse paura.
«Il problema è che la bambina ha abbandonato la classe senza il mio permesso!» sbraitò la maestra Sandra, ridestando il preside dal suo sonnellino ad occhi aperti. «Mi ha disobbedito! È scappata di sua spontanea volontà, e intendo prendere provvedimenti!»
«È fuggita dalla scuola?»
«Si è rifugiata in bagno» puntualizzò la vecchia, «ho impiegato quasi un'ora per trovarla! Nessuno sapeva dove fosse finita!»
Jan dovette coprirsi la bocca con una mano per evitare di scoppiare in una fragorosa risata.
Oh Sindy, la farai diventare matta prima o poi! Ed è già sulla buona strada...
«Purtroppo la bambina si è comportata così male che temo non potrà passare l'anno» aggiunse l'insegnante in tono improvvisamente solenne. La voglia di ridere si dissolse come polvere nell'aria.
«Ma l'anno non è neppure terminato! Come fate a trarre delle conclusioni così affrettate?!»
Jan temeva di non poter trattenersi dallo schiaffeggiare entrambi in quell'istante, in quel maledetto ufficio.
«Sapete bene la fatica che Sindy deve fare per recuperare anni di scuola in due soltanto! È stata una bambina sfortunata, non aveva nemmeno un documento con sé quando l'ho trovata e voi intendete bocciarla perché ha abbandonato la classe senza permesso?!»
Gli occhi della maestra parevano sul punto di fuoriuscire dalle orbite. Il preside, invece, non si era scomodato da quando Jan aveva fatto il suo ingresso nella stanza: pareva sul punto di appisolarsi da un momento all'altro.
L'uomo parlò tutto d'un fiato, in tono quasi isterico: «Vi imploro di riconsiderare questa proposta. È necessario che conosciate la storia di Sindy per avere un minimo di comprensione».
«C'è dell'altro, signor Schermann» l'interruppe l'insegnante, con rinnovata calma. «Abbiamo appeso dei palloncini sulle travi del soffitto, in occasione della celebrazione, e alcuni sono scoppiati per sbaglio. È evidente che può capitare, soprattutto con dei bambini...»
La pausa tra le sue parole parve durare cent'anni al padre adottivo di un'orfana venuta dal bosco.
«Ma la bambina ha avuto una reazione del tutto fuori luogo: si è coperta il capo con le mani, rannicchiandosi sulla sedia in posizione fetale».
Oh, no.
«Pare chiaro che questo possa apparire come un comportamento esilarante a dei bambini di dieci anni...»
Vai avanti, strega.
«Dopodiché è fuggita, sotto gli occhi increduli di tutti. Mi sono fiondata a recuperarla, ma non l'ho più vista».
Gli occhi increduli, mi sono fiondata, bla bla bla... idiota!
Jan non riusciva a capire se fosse sul punto di esplodere o di svenire. Alla fine optò per una via di mezzo, rimanendo in silenzio per un po', soppesando con attenzione le parole che avrebbe pronunciato.
Aveva percepito un sussulto nella manina che stringeva, alla parola “palloncino”.
«Non vi è venuto in mente che una bambina di dieci anni che ha vissuto per mesi nella foresta possa perlomeno allarmarsi ai rumori forti?»
Ecco, era stato troppo irruento e aveva sicuramente messo fine alla carriera scolastica di sua figlia.
«E non avete pensato che una bambina di dieci anni possa sentirsi mortificata nel temere qualcosa che i bambini normali non temono, perché al tepore delle loro case non sentono i rumori della strada?!»
Jan aveva momentaneamente perduto la capacità di conversare in modo civile: stava sbraitando e, in tutta probabilità, lo stava facendo inutilmente.
Aveva intuito che quella maestra non avrebbe mai compiuto alcuno sforzo nel comprendere la psicologia di un'orfana: l'aveva cacciato il suo primo giorno di scuola, costringendolo a passare la giornata sotto il sole fuori da quel triste edificio.
Lo aveva disturbato infinite volte, quando Sindy disegnava invece di seguire la lezione, e persino quando aveva rubato la matita a un compagno, reclamandola come propria – come effettivamente era.
Quella donna era una totale incompetente e i suoi studenti sarebbero stati gli unici a pagarne le conseguenze.
«Vorrei portare alla sua attenzione un'ulteriore questione» precisò la maestra, come ignorando ciò che l'uomo aveva appena affermato. «Sindy Schermann non è solo una bambina indisciplinata, ma è anche violenta. Io e il preside abbiamo deciso di non sottoporle la questione quando è accaduto, ma ha volontariamente messo le mani addosso a un suo compagno, che non aveva fatto nulla per meritare la sua ira».
Nel pronunciare queste parole, col tono più sereno che la sua laringe avesse mai accolto, la donna aveva incrociato le mani sul ventre, in una posizione che trapelava soltanto assoluta tranquillità. Il preside, invece, ormai inghiottito dalla poltrona, pareva faticare terribilmente a trattenere le proprie fauci dallo spalancarsi in uno sbadiglio.
«Mi dispiace signor Schermann, ma sarò costretta a sospenderla almeno per un paio di giorni. Io e il dirigente scolastico ci confronteremo sul da farsi».
Jan fece un respiro profondo, raccattando tutta la pazienza rimastagli, per poi esordire in un semplice: «Vi prego di tenere in considerazione le circostanze», allontanandosi dall'ufficio con passo incredibilmente lesto.
Sindy lo seguì senza dire nulla, percorrendo il viale a testa bassa fino al parcheggio. Si lasciò allacciare la cintura come faceva sempre, quando il cellulare dell'uomo vibrò nuovamente nella tasca.
Deciso a non rispondere, un senso di profondo sollievo lo invase quando scoprì che la buona sorte, per una volta, pareva avergli risparmiato altri patimenti.
«Evelina! Perdonami, ho avuto un contrattempo» disse veloce, «dì alle ragazze che arriverò tra poco» e chiuse la chiamata, frettoloso di tornare a casa per dirigersi al palaghiaccio. Il resto glielo avrebbe spiegato dopo: Evelina era un'allenatrice in gamba e sveglia, avrebbe certamente capito.
Nessuno fiatò fino a quando Sindy, una volta a casa, non si precipitò nella propria stanza, afferrando i pattini per seguire Jan alle sue lezioni pomeridiane.
«Eh no» la fermò lui, strappandole la borsa dalle mani, «tu oggi te ne stai a casa, e non verrai più al palaghiaccio fino a quando non avrai imparato a comportarti come si deve!»
Sindy non ebbe subito una reazione, nonostante lo sguardo attento dell'uomo ne cercasse assiduamente una. Ancora, la bambina non parlava: si limitò a sedersi composta sul divano, con le braccia conserte e il viso scuro.
Tuttavia, Jan non fece in tempo a dirigersi verso la porta, che la piccola riprese i pattini da terra con uno scatto, seguendolo come un'ombra rincorre il proprietario.
Jan detestava perdere la pazienza con lei, eppure a volte non poteva proprio farne a meno. «Ho detto che non puoi venire oggi, sei stata una bambina cattiva! Ti rendi conto che rischi di perdere un altro anno?! Sei grande ormai, dovresti essere responsabile e invece...»
Aveva iniziato a sproloquiare senza nemmeno rendersene conto. Subito, una scena terrificante gli si presentò davanti agli occhi.
«Non gridare, non gridare!»
Sindy si era rifugiata ai piedi del divano, gettandosi sul pavimento coprendosi il capo con le mani, puntando le ginocchia al mento. Se ne avesse avuto la possibilità, si sarebbe certamente rifugiata nella piccola fessura piena di polvere tra il sofà e le piastrelle.
Jan non aveva mai inveito contro di lei in quel modo, consapevole delle sue paure: aveva capito in fretta che Sindy temeva i rumori, in particolare quelli forti. Quando l'aveva incontrata, qualche mese prima, aveva notato una smorfia di puro dolore sul suo viso assonnato nell'udire i fuochi d'artificio accogliere il nuovo anno, accoccolata sul letto d'ospedale in cerca di pace.
Jan aveva addirittura pensato che fosse quella la ragione per cui gli avesse stretto così forte la mano: come poteva una creatura venuta dalla foresta, dopotutto, affezionarsi a uno sconosciuto in un solo giorno?
Era stato in occasione della festa nazionale appena passata, però, che Jan aveva compreso che la paura di Sindy, in realtà, consistesse in una vera e propria fobia: pur tenendola in braccio, pareva agitata e confusa; al rimbombo dei colori frizzanti nel cielo, aveva stretto nuovamente le palpebre, aggrappandosi al collo dell'uomo come sul punto di precipitare in un dirupo. Come se il mondo all'improvviso esplodesse tutt'intorno a lei.
Era stato allora che Jan aveva optato per dei festeggiamenti più modesti, ma ugualmente piacevoli: le canzoni per bambini non parevano crearle alcun tipo di problema.
«Ti prego! Non urlare con me!»
Non era la prima volta che la vedeva piangere. Era già accaduto quando, prima di portarla a casa con sé, le aveva detto che l'avrebbe fatta visitare dai medici dell'ospedale più vicino. Eppure, non avrebbe mai voluto sentirla singhiozzare di nuovo, anche se sapeva che a volte accadesse, quando le leggeva qualche fiaba prima del bacio della buonanotte.
In quelle occasioni, Sindy poggiava una guancia sul suo petto e spesso, quando la spostava con delicatezza sul cuscino accanto, le macchie scure delle lacrime erano visibili all'altezza dell'addome.
«Non griderò, piccola» mormorò avvicinandosi lentamente, fino ad accovacciarlesi accanto. La bambina smise lentamente di piangere e, finalmente, tirò su il viso dalle ginocchia, respirando l'ossigeno a pieni polmoni. «Perdonami, sono stato uno stupido. Non succederà più» mentì l'uomo.
«Non ho picchiato nessuno, Jannie» la sentì pronunciare con voce tremante, lasciandosi soffiare il nasino arrossato. «Lui mi colpisce sempre in testa, e io ho reagito... ma è successo solo quella volta».
«Come sarebbe a dire che ti colpisce in testa?»
Jan intuì che Sindy si riferisse al bambino a cui aveva accennato la maestra Sandra quel pomeriggio. La vide fare un debole cenno di assenso, asciugandosi le lacrime che ancora gocciolavano sulle guance.
«Lui mi colpisce sempre alla testa...» ripeté con un velo infinitamente triste negli occhi. «Mi fa male...»
Lo sapevo, sapevo che quei marmocchi sarebbero arrivati a tanto!
Di nuovo, un barlume di collera si accese nel petto dell'uomo. Come osava quell'incompetente di una maestra accusare Sindy di essere una bambina violenta? Come osava solamente credere che fosse normale che dei bambini la beffeggiassero per una fobia? Perché la gente non capiva mai?
L'avrebbe convocata e ne avrebbe parlato al più presto. E avrebbe scaraventato in faccia al preside l'inettitudine di quella donna, l'avrebbe anche fatta licenziare se fosse stato necessario!
«Allora è davvero una strega...» pensò Jan ad alta voce, stringendo la sua bambina tra le braccia. «Oh, sì! La maestra Sandra è una delle peggiori streghe, di quelle con il naso a punta che di notte si trasformano e vengono a trovarmi nei sogni!» si infervorò la piccola. «Invece, le fate...»
Ma il padre la interruppe con un sospiro: «Da quando hai paura dei rumori forti, Sindy? È per questo che ti sei rifugiata in bagno oggi, vero?»
Ma la bambina gli sfuggì dalle braccia, animandosi: «I palloncini sono cattivissimi! Sono cattivi come le streghe, forse tutte le streghe cattive nascono dai palloncini...»
Il tono serio con cui quella creatura aveva espresso le proprie congetture magiche lo fece scoppiare in una fragorosa risata.
«Poi la maestra Sandra grida sempre...»
«E ti dà fastidio?»
Sindy si gettò nuovamente sul pavimento. «Mi fa paura...»
Effettivamente, Jan non aveva mai pensato a questa eventualità, eppure avrebbe dovuto prevederlo. Avrebbe dovuto sapere che una bambina che aveva subito un potenziale trauma avrebbe in tutta probabilità sviluppato delle fobie.
Forse... forse avrebbe potuto rivolgersi a una vecchia conoscenza, una di quelle appartenenti alla vita che aveva tentato di cancellare per sempre. Forse lei poteva aiutarlo; in fondo, era molto più esperta di lui nella cura di traumi gravi.
«Finché sarai con me niente e nessuno potrà farti del male, Sindy» le disse in tono solenne, stringendola tra le braccia. «Ti ho fatto una promessa, ricordi? Sei al sicuro da qualsiasi strega qui».
Jan sospettava che Sindy non si riferisse solamente alla maestra con quel termine. Doveva esserci molto di più dietro, qualcosa che ancora non era riuscito a scoprire.
Insieme ce la faremo, mia piccola Sin...
Poi si avvicinò alla soglia, porgendole la borsa con i pattini. In fondo, non c'era alcun motivo di punirla per qualcosa che non aveva commesso.
Vide una nuova luce impossessarsi dei suoi occhi: le iridi color giada apparivano ora più brillanti, più vive, più serene.
«E le fate?» le chiese all'improvviso, serrando la porta dietro di sé. «Le fate da dove nascono?»
«Le fate nascono dal ghiaccio» rispose la bambina, senza esitare.
Jan l'aiutò ad accomodarsi sul sedile posteriore dell'auto, allacciandole la cintura con fare paterno.
«È bello, Sindy...»
È bello che tu veda le fate in un mondo in cui non esistono.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

¹ Nei Paesi Bassi, il giorno del re (Koningsdag) è una festa nazionale celebrata il 27 aprile in occasione del compleanno del re Willem-Alexander.
Durante questo giorno, le strade olandesi si tingono di colori (su cui, tra tutti, domina l'arancione, il colore nazionale) e non è raro che si festeggi anche con i fuochi d'artificio, come viene specificato in seguito nel testo.

   
 
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