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Autore: YamaYuki    23/04/2020    1 recensioni
Changkyun è forte e indipendente, non ha bisogno dell'aiuto di nessuno e di questo Jooheon è convinto. Oppure no?
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Jooheon sentì una leggera nausea. Sapeva che non era niente di serio, solo un brutto miscuglio di stanchezza per il concerto della sera prima e caos di Times Square. Era bello essere a New York, ero splendido aver archiviato una data nella Grande Mela ed era eccezionale l’idea che fosse solo uno di vari concerti negli Stati Uniti. Nell’esaltazione del momento, riposarsi era all’improvviso diventato un bisogno secondario che Jooheon aveva ignorato il più a lungo possibile; ora il suo fisico cominciava a rivendicare le dovute attenzioni mandando segnali inequivocabili, come quella nausea.
Jooheon si voltò verso Shownu e Hyungwon, suoi compagni per quella passeggiata, e ammise: «Ragazzi, sono un po’ stanco».
«Rientriamo?» propose il leader.
«No, no, torno in hotel da solo. Voi continuate pure» disse Jooheon.
«Sicuro?».
«Sicurissimo» e fermò un taxi.
Diede l’indirizzo dell’hotel e si fece trasportare senza prestare alcuna attenzione alla strada, era bello poter ignorare tutto, e arrivò a destinazione in fretta.
Entrò in albergo e si diresse alla reception, aveva lasciato lì la chiave nel timore di perderla – non sarebbe stata la prima volta.
«Stanza 514» disse.
«Prego» le rispose sorridente la receptionist «Il suo compagno di stanza è già rientrato».
“Changkyun è qui?” pensò Jooheon “Pensavo fossero tutti fuori”. Si limitò a ringraziare la signorina, afferrò la chiave e prese l’ascensore in fondo al corridoio.
Davanti alla porta della camera si chiese se aprire direttamente o annunciarsi in qualche modo, in fondo non aveva idea del perché il maknae fosse rientrato presto. Bussò e accostò l’orecchio, nessuna risposta. D’altra parte Changkyun poteva essere in bagno, stare dormendo o essersi allontanato dalla camera per godere di qualcuno dei servizi dell’hotel senza per questo ripassare davanti alla reception.
Jooheon aprì la porta ed entrò piano. Le tende erano aperte, l’illuminazione violenta del sole entrava da fuori bruciando gli occhi. Stagliata in controluce, la sagoma di Changkyun sdraiato a letto, schiena alla porta, si disegnava nera e immobile.
Jooheon lo guardò: sembrava piccolo. Changkyun non sembrava mai piccolo, né di età né di statura eppure, a ben pensarci, lo era di entrambi.
Pareva dormire e Jooheon si mosse piano temendo di svegliarlo, finché non lo vide scosso dalla testa ai piedi da quella che pareva una scarica elettrica: stava singhiozzando.
“Piange?” pensò Jooheon, ma non lo disse. «Sei sveglio?» bisbigliò invece piano.
«Sì» rispose Changkyun mentre tirava su col naso. Non si spaventò per niente al suono della voce dell’amico, evidentemente l’aveva sentito entrare.
«È tutto ok?» chiese il più vecchio.
«Benissimo» mormorò l’altro e la sua voce era straziante.
Jooheon non sapeva bene cosa fare, si dondolò spostando il peso da un piede all’altro pensando a cosa dire.
«Davvero» lo anticipò Changkyun «sto bene, non ho bisogno di niente. Sono a posto così».
Jooheon girò sui tacchi e si avviò verso la porta, deciso a lasciare in pace l’amico che aveva evidentemente bisogno di un po’ di spazio per sé. Aveva già una mano sulla maniglia quando si fermò: stava facendo bene?
Changkyun era un tipo forte e indipendente, maturo, dall’aria invincibile. Non chiedeva mai supporto, se la cavava sempre da solo, addirittura dava l’impressione di mal sopportare l’aiuto esterno. Si erano tutti abituati a questo suo stile tanto da smettere di preoccuparsi per lui. Però... però a volte è difficile fare tutto da sé. A volte uno vorrebbe non sentirsi così solo. È che ci si dimentica come si fa a chiedere, a volte.
Jooheon tornò sui suoi passi a si diresse verso il letto dell’amico. Senza parlare, si tolse le scarpe e si sdraiò dietro al maknae, affondò il viso nella sua nuca e lo abbracciò stretto.
A quel punto Changkyun scoppiò in un torrente di lacrime. «È che ogni tanto non ce la faccio. Da quando siamo qui sento un peso incredibile e non è solo questione di lingua. Mi pesa tradurre e parlare continuamente passando da coreano a inglese e viceversa, e so che sono ingiusto verso di te e Kihyun che mi date una grossa mano ma... mi sento responsabile di questa cosa. Come se voi poteste sbagliare, io no. E poi io sono per tutto l’“americano”, si aspettano tutti che io sia abituato allo stile di vita, che io conosca come vive la gente qua o cosa siano le cose più disparate. Avevo cinque anni quando ho lasciato gli Stati Uniti! E ne sono passati quasi venti! Io non lo so, non sono più americanizzato di un qualunque coreano che abbia meno di trent’anni e una connessione internet. Io... io sono esausto».
Changkyun continuava a singhiozzare rumorosamente mentre grossi lacrimoni gli rigavano il viso. A Jooheon si strinse il cuore. Eccolo lì, il cucciolo. Il potente lupo svelava la sua vera natura, quella di un animaletto selvatico e impaurito. Il più grande si strinse il piccolino al petto e cominciò ad accarezzargli i capelli.
«Changkyun» disse, la sua voce era dolce e emozionata insieme «non portare tutto questo peso da solo. So che ti stiamo dando tanto da fare: traduci, dai una mano a tutti e nello stesso tempo hai il tuo lavoro da fare, il rap e le coreografie. Questi concerti sono faticosi per chiunque, per te questo tour rischia di essere estenuante. E so che tu non ami chiedere aiuto quando pensi che qualcosa sia un tuo compito, ma... almeno non tenerti tutto dentro. Vieni da me, parlami».
Changkyun tirò su col naso e cercò di calmarsi. «Davvero posso?».
Jooheon gli prese il viso fra le mani e lo baciò piano. «Ma certo. Sempre».
Rimasero abbracciati fino ad addormentarsi e nessuno li vide prima dell’indomani.
   
 
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