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Autore: CaskettCoffee    23/04/2020    5 recensioni
"Lily è ogni giorno più Lily. E’ un sogno di scrittore, una favola da leggere tutte le sere prima di addormentarsi, un miracolo. E molte altre cose scritte nel suo nome, che è una storia. Diventerà anche lei una storia sua, piena di promesse, di successi, di cadute. Sarà questo e tanto altro, ma per adesso è nostra figlia. E nessuna parola basta a descriverla"
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Kate Beckett, Richard Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Melanie St.James non riusciva ancora a credere di trovarsi a suonare alla porta del loft dello scrittore Richard Castle.

Quando la direttrice dell’agenzia l’aveva chiamata, il giorno precedente, per quell’offerta di lavoro, aveva fatto fatica a rimanere calma.

“I Castle cercano una babysitter, la vogliono ultra qualificata, ma siccome non è un impegno a tempo pieno ma solo sporadico, ho pensato di proporre anche te. Ovviamente dovrai prima sostenere il colloquio, l’ultima parola spetta ai genitori”

Melanie aveva accettato senza pensarci due volte. Conosceva la storia di Kate Beckett – chi non la conosceva? L’arresto del senatore Braken era stato su tutti i giornali per settimane-  ed era sicuramente una fonte di ispirazione per lei. Sarebbe stato un onore anche solo poterla conoscere.

E poi non poteva nascondere a se stessa di essere una fan dello scrittore, ma soprattutto della loro storia d’amore travagliata.

Aveva seguito con apprensione le notizie della sparatoria che li aveva visti entrambi in fin di vita, soltanto poco più di un anno prima. Aveva gioito, come tutti i newyorkesi, alla notizia che entrambi si sarebbero ripresi. Aveva guardato come tutti il notiziario delle 6 il giorno in cui i due erano stati dimessi dall’ospedale.

Richard Castle era uscito sulle sue gambe, pallido, con gli occhiali scuri sul volto. Sostenuto dalla figlia, che lo teneva sotto braccio, aveva mestamente sorriso ai giornalisti e i fotografi che si erano accalcati fuori e che erano a malapena trattenuti dalle transenne opportunamente posizionate per lasciare ai due ex degenti lo spazio per uscire e salire in auto tranquilli.
Ma lo shock era stato vedere lei, l’eroina nazionale, Kate Beckett, la donna che era sopravvissuta a una sparatoria a un funerale, a svariati attentati alla sua vita di vario genere, uscire dall’ospedale su una sedia a rotelle.

I dottori nel loro bollettino medico avevano comunicato che i due non avrebbero avuto nessun tipo di lesione permanente, ma era stato sempre chiaro in tutte le loro comunicazioni, che fra i due pazienti il capitano Beckett era quella che aveva avuto la parte peggiore, e che si sarebbe ripresa più a fatica.

Quando aveva fatto capolino su quella sedia, spinta dall’uomo che i giornalisti avevano detto essere il padre di lei, era calato il silenzio anche fra quei chiassosi fotografi accalcati. La tenerezza di vedere quella donna temeraria, forte, coraggiosa, seduta placida su una sedia, con i capelli tirati indietro da una pinza, il volto scavato, gli occhi cerchiati, era stata grande per chiunque fosse lì a vedere, dal vivo o dietro a uno schermo.

Una voce aveva squarciato quell’istante di silenzio – “Forza capitano Beckett”- aveva urlato una ragazza accalcata lì, e la donna aveva sollevato gli occhi verso quella voce. E per quanto cerchiati, stanchi, gli occhi di Kate Beckett si erano illuminati e avevano trasmesso tutta la forza e il vigore che il fisico sembrava aver perso.
Aveva sorriso, aveva fatto un cenno con la mano stringendo il pugno, come a dire “eccomi, mi faccio forza, come sempre” e tutti sembravano essersi rassicurati.
Il marito si era voltato a guardarla – aveva distolto gli occhi giusto un istante per non perdere l’equilibrio scendendo dai gradini- e aveva sorriso.

L’ultima immagine sul notiziario era stata quella dei due colleghi poliziotti e amici di lunga data della coppia, Javier Esposito e Kevin Ryan – che in quei giorni di attesa e strazio erano stati visti più volte entrare e uscire dall’ospedale, oltre che intervistati numerose volte per spiegare la vicenda in varie conferenze stampa- caricarsi Kate Beckett quasi di peso per metterla in auto.

La coppia aveva richiesto al pubblico un po’ di tranquillità, pace, e silenzio stampa per il loro recupero, e neppure i fotografi si erano azzardati a contravvenire alle richieste di quei due eroi della patria, così erano ormai considerati.

Poi qualche mese dopo era rimbalzata su tutti i social la notizia che il capitano Beckett era stata urgentemente trasportata all’ospedale.

La pressione mediatica, la calca di giornalisti e persone fu tale che l’ospedale dovette disporre una sala per i giornalisti, mentre le altre persone fuori erano tenute a distanza addirittura dalla polizia.
Tutta la città sembrava in apprensione, il terrore di una ricaduta – dopotutto uno sparo era qualcosa di serio, magari le lesioni erano state gravi, magari il capitano non si era mai davvero ripresa- avevano tenuto la città in sospeso per un’intera giornata.

Melanie ricordava ancora la voce del giornalista del TG che dava la linea in fretta e furia al loro inviato alla sala stampa dell’ospedale, quando era apparsa accompagnata da due medici la figlia di Richard Castle, Alexis Castle.

Che non si fosse presentato lo scrittore aveva fatto tutti temere il peggio. Melanie aveva tremato negli istanti prima che la ragazza prendesse la parola.

“A nome della mia famiglia, ringrazio tutte le persone che in queste ore hanno dimostrato vicinanza e apprensione per lo stato di salute di Kate. Siamo molto commossi da tutti i messaggi e dalle manifestazioni di affetto che in queste ore si sono succedute, non credevamo che Kate e mio padre fossero così tanto amati. Siamo veramente toccati”

Perché quella donna la faceva tanto lunga?

“E per questo ho deciso di venire qui per comunicarvi di persona la notizia. Circa un’ora fa, alle 21.10, il capitano Beckett ha dato alla luce una splendida bambina, mia sorella”

Dopo un momento di sconvolgimento, le urla e gli applausi, i fischi, risuonarono della sala stampa.

“Sono felicissima di farvi sapere che madre e figlia stanno entrambe bene. Ringraziamo tutto il personale dell’ospedale per questo. Mio padre, comprenderete, non vuole allontanarsi da entrambe neppure per un minuto. Anch’io preferisco tornare da loro. Vi ringrazio ancora, di nuovo, per tutto l’affetto”

Le mani alzate non si contavano, ma la ragazza non rispose alle domande e salutò con un sorriso e lasciò la parola ai medici, i quali comunicarono qualche altra informazione sullo stato di salute di madre e figlia. Uno shock da aggiungersi allo shock per i newyorkesi. Il capitano Beckett aveva rischiato la sua vita, e non solo la sua, ma anche quella di sua figlia.

In virtù dello stato delicato del capitano, il signor Castle – riferì poi il suo addetto stampa- richiedeva per la sua famiglia pace e tranquillità per affrontare quel periodo particolarmente intenso della loro vita.

E di nuovo, qualche giorno dopo, quella coppia usciva dal medesimo ingresso da cui era uscita solo qualche mese prima, dopo la sparatoria. Medesima orda di giornalisti, medesima calca dietro gli schermi di smarphone/tv/pc. Medesime persone della famiglia – Alexis, la madre di lui Martha Rodgers, il padre di lei, i due colleghi poliziotti con l’automobile- e il capitano Beckett usciva sempre seduta su una sedia a rotelle, gli occhi cerchiati e il viso scavato. 

Ma fra le braccia stringeva un prezioso fagotto. E l’espressione questa volta era estasiata, sui volti di entrambi i neogenitori.

Urla, flash, chiasso, domande strillate.  Il capitano fece un cenno di saluto con la mano. La voce di una ragazza, di nuovo, si stagliò sopra le altre – Come si chiama?- si sentì un acuto.
Dovette sentirlo anche il capitano, che alzò lo sguardo verso la voce della ragazza, e senza neppure parlare sillabò soltanto con le labbra “Lily” prima di sparire dietro i vetri oscurati dell’auto.

Da quel giorno erano trascorsi 9 mesi.

La coppia si era ritirata nella loro casa negli Hamptons per maggiore tranquillità. Il loft dove vivevano - e dove era avvenuta la sparatoria- aveva subito una massiccia ristrutturazione nel periodo di lontananza della coppia, che era rientrata in città solo da poche settimane. Ed evidentemente, cercava una babysitter.

La porta si aprì di botto. E dietro la porta c’era Martha Rodgers.

“Tu sei cara?”

“Melanie St.James, per il colloquio come baby sitter” balbettò.

“Certo cara, accomodati. Spero che l’identificazione all’ingresso non sia stata troppo fastidiosa, ma le precauzioni non sono mai troppe, comprenderai”

Era stata controllata come all’aeroporto, al piano terra, prima che potesse entrare in ascensore. Ma non si era permessa certo di fiatare.

“Nessun problema, capisco benissimo. Non è stato più fastidioso dei controlli dell’aeroporto”

“Beh, mio figlio ha esplicitamente richiesto per chiunque entrasse di applicare le procedure antiterrorismo, per cui sarà felice di sapere quel che mi ha riferito. Posso offrirti qualcosa?”

“Oh no, grazie signora, sto bene così”

“C’è un po’ da attendere cara, mio figlio e sua moglie sono nello studio. Ti chiameranno loro. Puoi aspettarli qui in salone”

Sedersi sul divano ed osservare la casa di quei due le sembrava un ottimo scenario per i prossimi minuti.

“Bene, la ringrazio tanto”

La donna le sorrise, e poi si allontanò verso le scale.

L’appartamento era splendido. Luminoso, ampio, con addirittura un lucernario sul tetto. Meraviglioso. Lo studio dello scrittore tuttavia era separato dal salone soltanto da una libreria aperta. Questo rendeva le loro sagome visibili, e le loro voci udibili dal salone. Melanie allungò l’orecchio per sentire cosa si stessero dicendo.

“Non mi è piaciuta assolutamente, ma scherziamo? Come ha potuto mandarcela quell’agenzia? Sembrava spiritata!”

La voce era chiaramente maschile. Si sentì in risposta uno sbuffo, femminile.

“Non era spiritata Castle, era soltanto un po’ risentita. Forse il fatto di averle riso in faccia quando ti ha detto che veniva dal Kansas non ha aiutato a metterla dell’umore migliore”

“Andiamo Beckett, ma l’hai vista? Con quella frangia sugli occhi? Tu avresti il coraggio di affidare nostra figlia a una ragazzina del Kansas che si veste come una amish e che probabilmente si taglia i capelli a casa con le forbici trinciapollo? Sono rabbrividito. Ho visto Lily sull’altare dei sacrifici di qualche fanatico pazzoide!”

Di nuovo uno sbuffo femminile. 

“Di questo passo non troveremo mai qualcuno, ed io devo tornare a lavoro la prossima settimana”

“Ma Beckett, perché una tata? Me la sto cavando benissimo, te lo ripeto. Io sento di farcela, posso gestire Lily quando tu non ci sei, e tu puoi lavorare tranquilla. Un sacco di donne lavorano con i figli senza avere una tata”

“Tipo?”

“Beh… Eleonor Roosvelt…. O Ethel Kennedy!”

“Ethel Kennedy, Rick, seriamente?”

“Okay d’accordo, lei non lavorava, però molte altre donne ci riescono”

“Castle, eravamo d’accordo. Non una tata fissa, però qualcuno che possa aiutare occasionalmente. Lily non rimarrà sola con lei, ci sarà sempre qualcuno di famiglia. Però non possiamo continuare a pretendere che quando dobbiamo allontanarci entrambi, siano tua madre o mio padre o Alexis a preparare pappe, latte, cambiarla o riordinare le sue cose. Una babysitter può fare tutto questo, e renderà le cose più facili a chiunque di noi stia con Lily, te compreso”

Kate Beckett era indubbiamente la donna più ragionevole che Melanie avesse mai sentito.

“Lo so Kate, non c’è bisogno di ripetere le solite spiegazioni. Hai ragione, so che hai ragione, e non mi devi nessuna giustificazione. Non ci dobbiamo sentire colpevoli di quello che stiamo facendo, è giusto per entrambi tornare a lavorare.”

“Guarda che qui sei solo tu che si sente colpevole, io l’ho presa serenamente la mia decisione di tornare al distretto”

“Certo, quindi non è per senso di colpa che ieri l’hai portata tutto il giorno a spasso?"

"C'eri anche tu a spasso, e sei stato tu quello che da Fao Schwarz le ha comprato una caterva di giocattoli, che non entravano neppure nel bagagliaio!"

"Beckett, tu l'altro giorno con Lanie, invece di fare shopping per te, le hai preso 1300 dollari di vestitini!"

Ci fu un silenzio colpevole.

“Non vorrei mai separarmi da lei, neppure per un secondo, e lo sai. Certo che mi sento colpevole a lasciarla. Certo che sto male, che ho paura. Certo che ho l’ansia per quello che ci è successo. Ma ho preso tutto questo, e l’ho riposto altrove. Perché ora è il tempo di andare a capo. Ora è il tempo di Lily”

Quella donna era la donna più ragionevole del mondo, e aveva anche un che di filosofico nell’esprimersi.  Melanie la stimava ogni minuto di più.

“E va bene Kate, chi è la prossima?”

“Melanie St.James. Si è appena laureata in medicina, e si sta prendendo un anno di riposo prima del corso di specializzazione”

“E’ troppo giovane”

“Ha quasi l’età di Alexis!”

Castle sbuffò. “Alexis era adulta anche a 6 anni, è un caso a parte”

“Ha quasi l’età che avevi tu quando è nata Alexis allora”

“Tu pensi davvero che questa sia una rassicurazione che dovrebbe convincermi? Ti prego, Kate!”

“Magari ti convincerai sapendo che dalle informazioni di Espo, è una ragazza modello, neanche una multa”

Castle sbuffò ancora più forte. “Troppo pulita. Nessuno può avere un’auto a New York e non avere preso mai una multa”

“Il padre è nella polizia, Castle.”

“Dovrebbe rassicurarmi? Avrà fatto sparire lui tutte le informazioni scabrose”

“E’ un collega, il capitano Kirkson lo conosce personalmente, e ce lo raccomanda. La ragazza ha tutte le qualità che abbiamo richiesto. E’ persino specializzata in manovre di disostruzione pediatrica. E’ perfetta! Ti prego, dalle una possibilità”

Melanie intravide un cenno di lui con la testa, in segno di resa. “Va bene, la faccio entrare” capitolò. A Melanie sembrò di sentire un sussurro di esultanza della capitana Beckett. 

“Dai, magari la terza è quella buona” strizzò l’occhio la moglie a suo marito. “E per favore, evita qualsiasi commento sulla sua provenienza, o sul suo abbigliamento, o sul suo taglio di capelli. Evita qualsiasi commento in generale”

“Sarò muto come un pesce. Gestirai tu l’interrogatorio, capitano”

Interrogatorio? Melanie cominciava ad avere un po’ paura. Era il caso di volatilizzarsi prima che la notassero?

“Melanie, vero?”

Troppo tardi. Richard Castle in persona faceva capolino dalla porta dello studio. “Sì”

“Vieni, accomodati pure. Scusaci per l’attesa”

“Oh, nessun problema”

Lo studio era una stanza dall’atmosfera maschile, quadri con le copertine dei libri alle pareti, libri in ogni lato. Qualche incursione tuttavia, era di gusto estremamente femminile. Una copertina rosa e rossa con dei fiocchetti giaceva abbandonata su una poltrona. Foto di famiglia sui mobili rendevano l'atmosfera calda, familiare. Una grande foto del capitano Beckett, con il braccio sua figlia e di fianco Alexis, troneggiava di fianco al computer. Era evidente che al signor Castle piaceva vedere il viso delle sue tre donne mentre lavorava.

“Scusaci ancora per l’attesa, Melanie” fu il capitano quella volta a parlare.A Melanie apparve molto più sana, nell'aspetto, dell'ultima volta in cui l'aveva vista, alla Tv. Il suo viso aveva riacquistato colore, e i lineamenti si erano fatti più morbidi. Il vederla in piedi, dritta, scultorea, rendeva un lontano ricordo quell'immagine di donna emaciata che aveva impresso nella testa.

“Nessun problema, capitano Beckett” le rispose la ragazza stringendole la mano.

“La nostra fama ci precede, vedo” commentò il signor Castle.

“Oh sì signor Castle, sa, mio padre è un poliziotto, e sua moglie è una vera celebrità nell’NYPD”

L’espressione perplessa sul volto dello scrittore fece intuire alla ragazza che quella non era forse la risposta che lui pensava di ricevere. Lo aveva stupito. Touchè.

“Allora Melanie" iniziò la capitana, placida " la signora James dell’agenzia Stanford ti ha caldamente raccomandata. Come forse saprai, noi cerchiamo una collaborazione occasionale, sporadica, alcuni giorni la settimana”

Intervenne il signor Castle. “Mia moglie tornerà a lavoro lunedì prossimo, e sarò io ad occuparmi della bambina”

La capitana storse gli occhi. “Tuttavia, anche mio marito deve potersi dedicare per qualche ora al suo lavoro, anche se sarà presente in casa, per cui l’impegno che ti si richiede è di accudire nostra figlia per quelle ore. Sarebbe quindi alcuni giorni la settimana, e occasionalmente al bisogno nel weekend. Può andare bene?”

“Nessun problema signori Castle, la signora James mi ha spiegato la situazione, e questo tipo di collaborazione è ideale per me, perché anche io presto riprenderò gli studi. Ho concluso da poco l’università, ed è stato un impegno gravoso per me e la mia famiglia, in termini di tempo e di denaro. Vorrei prendermi un anno di pausa, appunto, per poter riprendere fiato, ma ho intenzione di lavorare per mantenermi in questo anno e per mettere qualcosa da parte per il futuro”

Sperò di essere sembrata affidabile, e convincente.

“Bene, allora direi che possiamo iniziare con le domande” le disse Castle.

E Melanie tremò.

Un’ora e mezza – e un centinaio di domande- dopo, sembrava che l’interrogatorio stesse per concludersi.

“Direi che ti abbiamo chiesto praticamente tutto. Ti possiamo lasciare libera” le disse il capitano, sorridendole.

“Veramente…” la ragazza si permise di interromperli, mentre si stavano già alzando. “Non mi avete detto nulla della vostra bambina. Come è Lily?”

I due si guardarono fra loro, stupiti. Ci fu un momento di silenzio.

“Devi perdonarci Melanie, è che sei la prima che ci chiede di Lily” le disse la signora Castle, sorridendole.

“Beh, sei effettivamente la prima che non è scappata via urlando indignata, quindi…” aggiunse il signor Castle.

Ci fu di nuovo un momento di silenzio. I due si guardarono, e Melanie ebbe l’impressione che si stessero parlando solo con lo sguardo.

“A questo punto, penso che lunedì potrai direttamente conoscerla, vero Castle?”

“Direi di sì. Dai, vediamo come state insieme”

Melanie incrociò le dita, sorrise alla coppia, e strinse a entrambi la mano. 

 
Il lunedì Melanie fu accolta da Richard Castle, che le aveva subito offerto un caffè e un sorriso, che rassicurò Melanie, tesa per quel primo giorno di lavoro. 

“Le ragazze sono in camera, Lily si è appena svegliata. E’ quella porta lì. Puoi andare, così potrai conoscere Lily”

La ragazza sorrise, e dirigendosi verso la stanza seguì la voce del capitano Beckett.

La trovò seduta su una poltrona, già vestita in tailleur pantalone grigio, con la bambina seduta sulle gambe. Era in assoluto la bambina più carina che avesse mai visto. Boccoli scuri, occhi furbi, guance da pizzicare. Era una bimba adorabile.

La cosa che invece la lasciò perplessa fu sentire il capitano Beckett parlare a sua figlia come ad una adulta, senza quella vocina che Melanie stessa utilizzava per parlare con i bambini.

“Lily, io adesso devo andare a lavoro, ma sarò di ritorno stasera. Ti prometto che domani staremo tutta la giornata insieme. Papà dovrà scrivere, per cui passerai un po’ di tempo insieme a Melanie, la tua nuova baby sitter, una ragazza simpatica e responsabile. Penso vi troverete bene. Mi raccomando, non fare lagne con lei, sennò tuo padre sai come è”

“Spero proprio ci troveremo bene” si permise di disturbare Melanie. “Mi scusi, mi ha lasciato entrare suo marito”

Beckett alzò gli occhi “Certo, ovviamente. Lei è Lily” disse, e la bambina si girò seguendo lo sguardo della madre. Melanie la salutò con la mano, e Lily rispose agitando la manina. Il capitano Beckett sembrò rassicurarsi.

“Bene, ci siamo già dette tutto ieri sera al telefono, comunque per qualsiasi cosa di là c’è Rick. In ogni caso sul frigo c’è il numero del mio cellulare e quello del distretto, loro sanno sempre dove trovarmi. Lily ha un po’ di raffreddore, le sto dando un cucchiaino di sciroppo ogni 4 ore. Il prossimo deve prenderlo alle 10, il cucchiaino è lì sul comò. Nel primo cassetto c’è tutto quello che può servirti nel caso la tosse peggiorasse. Puoi dare un’occhiata?”

Melanie sorrise mentre apriva il cassetto del mobile bianco con disegnati degli elefanti. “Qui c’è un apparecchio per le inalazioni, una borsa per l’acqua calda, baby termometro, baby crema per il torace, baby gocce per il naso, baby sciroppo per la tosse e… un flacone di Valium?”

Beckett le sorrise, strizzandole l'occhio un ghigno.

“Quello è per Castle, nel caso ti dia fastidio glie ne metti 10 gocce nel caffè”

Melanie rise, e la tensione abbandonò il suo corpo come per magia. Quello era in assoluto il posto di baby sitter migliore che potesse sperare.
 

Era trascorso un mese da quel primo giorno di lavoro. Era dai Castle tre volte alla settimana, quando la madre, il capitano Beckett, lavorava al distretto. Lily era una bambina sveglia, giocavano spesso insieme, ridevano, e anche Melanie si distraeva ad avere a che fare con quella bimba esuberante.

Per quel mese era filato quasi tutto liscio, tranne una volta in cui si era trovata costretta a chiamare il capitano Beckett perché il signor Castle aveva accompagnato la madre in banca.

Aveva chiamato perché non riusciva a trovare il ciuccio rosso – quello mezzo distrutto che Lily adorava – e siccome la piccola non smetteva di piangere per il fastidio dei dentini, si era sentita di chiamare la madre.

Il capitano le aveva risposto subito. Concisa, alla domanda disperata di Melanie, aveva risposto: “Hai guardato sul ripiano a sinistra del lavandino? Nella ciotola bianca?”

Era rimasta al telefono mentre Melanie cercava, e quando la ragazza aveva esultato al telefono per il ritrovamento, la capitana aveva aggiunto “e già che ci sei, sterilizzala prima di dargliela”. Melanie aveva obbedito correndo verso l’apparecchio per sterilizzare, e nel frattempo aveva pensato bene di mettere il suo telefono in vivavoce per far parlare Lily – seduta sul seggiolone- con sua madre, sperando che sentire la voce del capitano calmasse la bimba.

Aveva sentito la voce del capitano farsi dolce: “Ciao, tesoro sono io mi riconosci? La mamma torna presto, fai la brava”. Poi aveva aggiunto, concisa “Melanie devo attaccare, ci aggiorniamo dopo”.

Melanie scoprì quella sera – da suo padre, che l’aveva saputo dal suo stesso capitano - che aveva chiamato il capitano Beckett durante una riunione con il sindaco e con vari dirigenti della polizia newyorkese, fra cui appunto il capitano del distretto di suo padre, che aveva saputo da suo padre di quel lavoro.

Si era scusata, mortificata, con il capitano. Che l’aveva rassicurata, cercando di calmarla. “Hai fatto bene come hai fatto Melanie. Mia figlia viene prima di tutto”.

Sentì che la fiducia del capitano verso di lei, e pensò per la prima volta di stare facendo bene quel lavoro.

Se ne sentì rassicurata ancora anche qualche giorno prima quando, per la prima volta, il signor Castle le aveva permesso di portare Lily qualche minuto fuori, da sole loro due. Non senza essersi raccomandato – almeno 20 volte- di non perderla di vista.

Il signor Castle era stato sempre molto vigile a guardarle, e Melanie, seppur aveva potuto agire senza nessun tipo di indicazione, aveva spesso sentito di essere controllata. Negli ultimi giorni, sempre meno. Melanie credeva fosse un buon segno.

Il signor Caste uscì fuori dal suo studio mentre Melanie era in cucina a bere un po’ d’acqua. “Melanie sono le 5, se vuoi puoi andare. Beckett mi ha chiamato ed è appena uscita dal distretto”

Melanie sorrise e si alzò con qualche parola di ringraziamento e convenevoli vari – grazie ancora, sono stata benissimo, Lily è stata un tesoro, è una bambina dolcissima- si avvicinò verso il divano per prendere le sue cose.

“Sei stata brava con lei. Prima ho visto che le hai toccato una guancia piano, delicatamente, e Lily ha fatto quel suo gorgheggio di quando è assolutamente estasiata. Tu le piaci. E non è facile piacerle”

Melanie si sentì toccata da quell’elogio inaspettato. L’uomo era sempre stato affabile con lei, ma paradossalmente era più reticente di sua moglie, verso di lei, nonostante fosse sempre presente a casa mentre Melanie c'era. 

“Ho pensato a quello che mi hai chiesto” inaspettatamente le disse lo scrittore.

“A cosa scusi?”

“A come è Lily. Il mese scorso, quando me lo hai chiesto mi hai preso alla sprovvista, e mi sono trovato stranamente a corto di parole. Mia madre dice sempre che per essere uno scrittore faccio fatica a trovare le parole quando servono” sorrise, quasi fosse uno scherzo. “Ma è vero, è difficile descrivere certe cose” Si sedette, e la guardò.

“Lily è ogni giorno più Lily. E’ una sogno di scrittore, una favola da leggere tutte le sere prima di addormentarsi, un miracolo. E molte altre cose scritte nel suo nome, che è una storia. Diventerà anche lei una storia sua, piena di promesse, di successi, di cadute. Sarà questo e tanto altro, ma per adesso è nostra figlia. E nessuna parola basta a descriverla”

A Melanie sembrò che le parole di quell’uomo verso la figlia fossero più che abbastanza. Gli sorrise, e le mancarono le parole. 

Lily, forse intuendo che si stesse parlando di lei, cominciò a reclamare la sua attenzione con dei lamenti.

“Non preoccuparti, vado io stavolta. Mi godo qualche minuto con lei, che quando arriverà Beckett monopolizzerà tutta l’attenzione di Lily, sicuro. Tu vai pure a casa”

L’uomo sembrava molto più spigliato ora, con lei, e Melanie si sentì sollevata. Avere la fiducia di entrambi i genitori era fondamentale. Era contenta di avercela fatta. 

“Grazie ancora per l’aiuto, oggi. Ci vediamo domani” le sorrise. E, in un attimo, sparì dietro la porta. Melanie stava per raccogliere le sue cose per andare via, quando sentì la voce dell’uomo che richiamava l’attenzione.

“Melanie?! Scusa, prima di andare via potresti portarmi la copertina rosa di Lily che sta nel mio studio?”

“Certo signor Castle!”

Melanie entrò nello studio alla ricerca della copertina rosa. Trovò invece, poggiata in bella vista, una risma di fogli appena stampati, rilegati con una spira. Non sapeva dire se un libro, anche se sembrava un po’ troppo piccolo. Forse doveva essere concluso. O ampliato. Ma era aperto, in bella vista lì, e Melanie non poté fare a meno di sbirciare.

"Kate ha ragione. Ora è tempo di andare a capo. Ora è il tempo di Lily. E’ il tempo della sua vita. E la sua vita deve avere il sapore dello zucchero filato, delle canzoni, dei disegni colorati.

La notte sogno una stanza di ospedale, Kate stesa su quel letto, i fili attaccati a una macchina, un ago che compie movimenti impercettibili, poi ogni tanto impazzisce, e io allora mi sveglio e stringo Kate più forte, che il suo sonno sia sereno. E questa è la cura, per entrambi.

Mi nascondo spesso a guardarle, loro due insieme, la testa di Lily nell’incavo del collo lungo di Beckett, i loro capelli intrecciati.
Talvolta, gli occhi di Kate si perdono nel vuoto. Io so che la sua testa va a noi, distesi per terra, un buco in petto, il sangue che sgorga, le nostre mani intrecciate, in quell’istante sul confine fra la vita e la morte.

Io allora batto forte le mani in un applauso che interrompa il suo viaggio verso il buio. E lei mi guarda, pensando che io applauda a Lily. E guardo il sorriso di Kate, i suoi occhi. E guardo le mani di Lily, che cercano la madre. E le abbraccio, e cerco di guarire con Kate, e cerco di farle capire che sento anche io quello che sente lei. Che sento anche io la stessa paura. Che tutto questo non esista. Che sia un sogno.

Ma quando Lily con le sue mani cerca sua madre, sento che Beckett si rende conto che questa è davvero la sua, la nostra vita. Nostra figlia.

Nostra figlia, che è un sogno di scrittore, una favola da leggere tutte le sere prima di addormentarsi, un miracolo. E molte altre cose scritte nel suo nome, che è una storia. Diventerà anche lei una storia sua, piena di promesse, di successi, di errori. Sarà questo e tanto altro, ma per adesso è nostra figlia. E nessuna parola basta a descriverla.

Nostra figlia, a cui abbiamo dato un nome Lily. Come un fiore."


Melanie sorrise, e chiuse quell’abbozzo di libro.

Fu allora che si accorse che sulla prima pagina, a mo’ di copertina, c’era un foglio scritto a mano. “Come un fioredi Richard Castle.

E Melanie si ritrovò a gioire al pensiero che inaspettatamente, con quel lavoretto preso solo per arrotondare, stava dando un piccolo contributo alla stesura di nuovo best seller del suo scrittore preferito. 

O forse, addirittura, un capolavoro.
   
 
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