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Autore: Sapphire_    23/04/2020    5 recensioni
Rieccomi qui!
No, non è un seguito della storia che ho da poco finito, bensì, come avevo anticipato, dei capitoli autoconclusivi già preannunciati: missing moments, scene dal punto di vista del caro Alessandro... Poi si vedrà!
Buona lettura!
***
Attenzione! Consiglio caldamente di leggere "La fisica dell'attrazione" prima di questa, al fine di una maggiore comprensione!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Come avevo già promesso, ecco qui la raccolta di capitoli speciali sui personaggi de “La fisica dell’attrazione”.
Premetto subito: non ho un numero di capitoli che prevedo, potranno essere tre come dieci o più, seguirò l’ispirazione seguendo le idee. Se ci sono dei capitoli che vi piacerebbe leggere (una scena in particolare che non ho esplicitato nella storia, un evento dal punto di vista di un altro personaggio…) ditemi pure, se potrò accontentarvi lo farò più che volentieri!
Spero che questo vi piaccia, l’ho scritto più di un anno fa e spero che non ci siano grandi errori di sorta!
Buona lettura!

~Sapphire_
 
 
 
 
 
 
~La fisica dell’attrazione
 


~Special
 
 
 
 
 
Non aveva la minima idea di quanto avesse bevuto, e in qualche modo preferiva così.
O, almeno, preferiva così mentre stava mezzo coricato sul divanetto in pelle nera del locale scelto da Sebastiano per l’addio al celibato.
Alessandro Angelis non era mai stato un tipo che si dava all’alcol per superare i problemi, eppure quella sera ne aveva assurdamente bisogno.
«Bastarda…» si lasciò sfuggire a mezze labbra mentre sorseggiava l’ennesimo Invisible della serata.
Come se fosse stato richiamato, Emanuele, il suo migliore amico, si voltò verso di lui.
«Chi, la tua studentessa?» chiese a bruciapelo.
Strano che non l’avesse ancora nominata! Ormai sembrava essere diventata il chiodo fisso di quell’idiota dalla volta che aveva finito per parlargliene a un’insulsa cena di ex alunni, mentre aveva troppo vino in testa e poco cibo sullo stomaco.
«Perché finisci sempre per nominarla?» bofonchiò l’uomo chiudendo gli occhi – troppe luci stroboscopiche lì dentro.
L’idiota rise, anche lui annebbiato dall’alcol.
«Perché adoro vederti comportare come un dodicenne alla prima cotta.»
«Fottiti.»
«Ah ah.» mugugnò l’altro poco toccato, poi gli lanciò un’occhiata seria «Senti, so che stai pensando ad Eleonora, ma almeno cerca di togliertela dalla testa, ok?» borbottò l’altro uomo passandosi una mano sui capelli mossi biondo cenere, per poi decidere più pragmaticamente di legarseli.
Alessandro fece una smorfia.
«Esattamente, spiegami come dovrei fare, dato che ho ancora stampata in testa l’immagine di lei a letto con Marco.» sibilò.
Non sarebbe riuscito a scordarla, lo sapeva.
La cosa più strana era che, in fondo, sapeva già che la loro relazione stava già tragicamente affondando senza possibilità di recupero, eppure era rimasto stupito nel vederla tradirlo così platealmente. Con Marco poi, che le aveva presentato lui stesso!
Almeno quel bastardo si era beccato un bel pugno in faccia – sorrise perfido al pensiero ed Emanuele dovette capirlo al volo.
«Dai, gli hai già spaccato la faccia a quell’idiota, che ti importa ormai?»
Alessandro lo guardò con un sopracciglio inarcato.
«L’orgoglio, forse?» fece sarcastico terminando di bere in un sorso il proprio drink per poi versarsi della vodka liscia in un nuovo bicchiere – evviva la cirrosi epatica precoce!
Emanuele lo imitò, per poi voltarsi completamente verso di lui e ignorare tutto il resto del gruppo impegnato a uno strano giochetto con l’alcol per il povero futuro sposo.
«Ok, posso capire l’orgoglio e ci sta. Ma puoi farci qualcosa? No, quindi ok, bevi fino a distruggerti stasera e poi da domani volta pagina.» ordinò categorico. Dopo poco si illuminò in un sorriso inquietante «Puoi sempre concentrarti sulla tua cara Amelia.» sogghignò perfido.
Alessandro, che aveva appena preso un sorso, si ritrovò a tossire come un dannato.
«Come cazzo fai a sapere il suo nome?» sibilò irato. L’altro assunse un’aria innocente.
«Ho parlato con i tuoi, risalendo al cognome dei loro amici, poi ho spiato tra i compiti in classe che c’erano a casa tua l’altro giorno.» ammise con finta dolcezza, privo di alcuno pudore.
Il moro fece l’ennesima smorfia.
«Ma farti i cazzi tuoi ti fa schifo?»
«Con quella boccuccia di rosa spieghi ai tuoi studenti?» lo prese in giro il biondo.
«Adorati un cazzo. Sono tutti delle seghe, quell’Amelia compresa.» berciò l’uomo ormai partito per la tangente – quel discorso già lo sfiancava.
«Eppure, sa risponderti da quello che mi dici.»
«Infatti la boccerò.» rispose mellifluo, l’alcol alla testa che aveva iniziato a fargli sentire sempre più caldo.
«Questo è abuso di potere.»
«Tanto una scusa la trovo.»
Emanuele la squadrò con calma, tanto che il “che vuoi” gli partì in automatico.
«Mi hai detto che è sexy.» disse l’altro serio.
Alessandro arrossì pateticamente, trattenendo una rispostaccia e prendendo un altro sorso.
«Mi hai detto che è intelligente, anche se con le tue materie fa schifo.»
«Dove vuoi arrivare?» lo interruppe il moro – sapeva già che si era esibito in un quanto mai imbarazzante elogio a quella ragazzina, voleva evitare di ripetere l’esperienza.
Emanuele continuò a fissarlo in silenzio, per poi decidere di parlare.
«Se ormai ti sei mollato con Eleonora, perché non ci provi con questa?»
Se gli avesse preposto di uccidere i suoi genitori avrebbe avuto un’espressione meno scioccata.
«Stai scherzando.» no, non era una domanda.
«No, perché dovrei?»
Alessandro fece un verso a metà tra l’esasperato e l’incredulo.
«Allora, sarò breve: ha diciotto anni, è figlia di cari amici di famiglia e, forse te lo sei scordato, ma è una mia studentessa.» quasi sibilò le ultime due parole, per poi finire in grande stile incollandosi al bicchiere.
«E allora? È pure maggiorenne!»
Alessandro lo fissò ancora più stupito.
«Non posso provarci con una studentessa, è illegale!» praticamente strillò – per fortuna la musica era troppo alta per far sentire qualcosa a qualcuno.
«Ma se lei è d’accordo…»
«Non è d’accordo!»
«Mi hai detto che le piaci.» puntualizzò l’altro – il moro maledì in fretta la propria lingua lunga.
«La attraggo come potrebbe capitare a una diciottenne con un professore come me, punto.» tagliò corto, non provando nemmeno a negare di essere bello – tanto era la verità, che senso aveva?
Emanuele ghignò.
«Appunto, approfittane.» ripeté divertito.
Alessandro gli lanciò uno sguardo seccato.
«Dio, quanto sei molesto.»
«Ma ti piace.»
«Ok, potrei essere vagamente attratto da lei, ma prima anche solo di sfiorarla mi lancio da un ponte.» terminò ironico.
La questione era molto semplice anche se Emanuele non pareva volerla capire: Amelia era una sua studentessa, non poteva portarsela a letto come se nulla fosse!
C’era anche da dire che lo attirava come poche volte una ragazza fosse riuscito a fare e quando lo fissava con quegli occhioni scuri gli faceva venire voglia di sbatterla sulla prima superficie piana che trovasse a disposizione – verticale od orizzontale poco importava – ma aveva dei principi lui. Era pure appena maggiorenne, lui aveva ben nove anni in più.
Si morse un labbro mentre finiva per pensare a quella volta che gli era finita in camera da letto: per un attimo aveva seriamente pensato di trascinarla addosso a sé e dal suo sguardo sapeva alla perfezione che lei non si sarebbe tirata indietro.
Quella era la parte peggiore: lei gli avrebbe detto di .
Sospirò depresso. Era tutto troppo faticoso. Da quando la sua vita era diventata così? Non ne poteva più, chi gliel’aveva fatto fare a diventare un insegnante?
«Che aria tormentata.» commentò Emanuele – proprio non voleva mollare l’osso, quel bastardo.
Alessandro gli lanciò un’occhiata acida.
«Ne hai ancora per molto?» bofonchiò infastidito.
«Alex, amico mio, lo sai che io voglio solo aiutarti. In questo momento ti sto facendo pure una seduta psicologica gratuitamente.» cinguettò l’uomo.
«Grazie ma non te l’ho chiesta.» fu la replica acida.
«Allora, cerchiamo di capire dove sta il problema.» iniziò Emanuele che in quel momento si stava divertendo un mondo – non come Alessandro, pronto a strozzarsi con la cravatta che aveva già tolto da tempo.
«Non c’è nessun problema.»
«Sì, se ti piace ma non te la fai.»
«Ok, allora il problema è che lei è una studentessa diciottenne.» rispose esausto Alessandro, abbeverandosi di vodka come un morto di sete nel deserto.
«Allora dovrebbe essere all’ultimo anno, giusto?»
Il moro gli lanciò un’occhiata confusa, non capendo dove volesse arrivare l’altro – aveva decisamente bevuto troppo.
«Sì.»
«Perfetto, allora zero problemi: lei si diplomerà quest’anno e quindi potrai sbattertela quante vuoi!» chiocciò allegro l’uomo. Alessandro si lasciò andare a un lamento.
«Ti prego, ha nove anni in meno di me.»
«L’età è solo un numero.» rispose spiccio il biondo.
«E il carcere solo una stanza.» ironizzò sarcastico il moro, per poi bere di volata l’ultimo bicchiere di vodka ed alzarsi – molto ciondolante, ma ce la fece.
«Io vado a prendere un po’ d’aria.» tagliò corto – anche perché, com’è che faceva così caldo lì dentro?
«Dove?»
«Dove mi pare! Fatti i cazzi tuoi!» berciò nervoso Alessandro, prendendo giacca e telefono e iniziare e andarsene per i fatti propri.
«Ricorda i preservativi!»
La risposta più eloquente fu il dito medio alzato del moro, ma il biondo non se la prese e iniziò a ridere mentre si voltava dagli amici.
Il professore, nel frattempo, cercava di districarsi tra la massa di gente che ballava e finiva per strusciarglisi addosso – aveva sentito anche un preoccupante pacco sul suo sedere e non era ancora pronto a solcare nuovi mari, quindi si affrettò a uscire fuori dal locale.
All’esterno l’aria era gelida e gli diede il colpo necessario per riprendersi – non troppo però, dato che il suo sangue era già sostituito con l’alcol da un bel pezzo.
Fece una smorfia e si lasciò andare in un gemito al muro, chiudendo gli occhi mentre sentiva la testa pulsare a causa della musica che l’aveva stravolto. Non andava pazzo per le discoteche, ma ogni tanto era un bel modo per staccare – solo non quando si stava ancora leccando le ferite per il tradimento e la sua testa (e non solo quella) si concentrava su quella ragazzina molesta.
Dio santo, non ho più l’età per queste cose, pensò depresso.
Non aveva più l’età per bere come un cammello così come non aveva più l’età per provarci con le diciottenni.
Le parole di Emanuele l’avevano tentato in maniera vergognosa e gli facevano venire voglia di insultarsi da solo. Come poteva passargli per la testa di provarci con una ragazzina, che aveva praticamente dieci anni in meno di lui? Era una sua studentessa poi! E i suoi genitori – oddio, se l’avessero saputo…
Si stropicciò gli occhi mentre sentiva di nuovo la necessità di bere e allontanare quei pensieri molesti, ma nel buio della sua testa la ricordò quella sera a cena, con quel semplice ma grazioso vestito blu scuro.
Avrebbe dovuto trascinarla a letto.
La cosa peggiore fu che, quando riaprì gli occhi deciso a ritornare dentro, fu peggio di una scarica elettrica.
Oddio, ho le visioni.
E invece non c’era nessuna visione, perché quella ragazza stretta in un favoloso vestito rosso scuro, tacchi che le snellivano ancora di più le gambe e una massa di ricci neri era senza alcun dubbio Amelia.
Non si rese nemmeno conto di aver leggermente dischiuso le labbra in un’espressione di muto stupore, si limitò a osservarla mentre la ragazza si accendeva con gesti rigidi dal freddo una sigaretta per poi portarsela alle labbra.
Non ci credo.
Amelia era lì di fronte a lui, come se fosse stata appena evocata.
Mai avrebbe pensato di trovarla lì, quella sera, proprio mentre c’era anche lui. Ubriaco fradicio.
E fu proprio a causa di quell’alcol che gli venne più che spontaneo rivolgerle la parola, facendola praticamente saltare sul posto.
«Ma guardate un po’… Amelia Moretti che fuma! Sai che fa male alla salute?»
Ovviamente per non smentirsi la prendeva in giro – certe cose non cambiavano, anche se era completamente ubriaco.
Vide il corpo della ragazza irrigidirsi e, di spalle, gli occhi del professore caddero proprio dove sarebbe stato più ovvio. Riprese a parlare nell’immediato, riportando lo sguardo su quella massa di capelli ricci e cercando di scacciare pensieri inopportuni.
«Potrei doverlo dire a Davide e Serena.» ma sì, infiliamoci pure i suoi genitori, tanto chi ha il cervello non annebbiato dall’alcol?
Alessandro si lasciò andare in un ghigno molto poco rassicurante vedendola girarsi con lentezza, ghigno che si fece ancora più pungente osservano il volto terreo della mora, la sigaretta quasi dimenticata a fumarsi da sola – non aveva la minima idea che la ragazza fumasse, ma d’altronde lui stesso aveva avuto quel vizio alla sua età, quindi chi era per giudicare? Certo, questo non gli impediva di fare il molesto – anche perché, avendola lì a disposizione, non sarebbe stato in grado di non tormentarla.
«P-professore?»
La sentì balbettare e lasciar scivolare lo sguardo su tutto il suo corpo. Alessandro era abbastanza conscio che si notasse il suo essere ubriaco, ma in quel momento non gli importava – non si era reso conto che si stesse mostrando sbronzo a una sua studentessa, anche perché la studentessa era colei che moriva dalla voglia di piegare.
Quel “professore” però lo irritò – perché doveva tormentarlo con quell’etichetta fastidiosa? Sapeva benissimo cosa li separava e non aveva per niente voglia di ricordarselo.
«Siamo fuori dalla scuola, Amelia, non farmi ripetere quello che sai già.» il tono sprezzante gli uscì in automatico, solo per voler cacciare via quel promemoria irritante.
La ragazza sembrò riprendere il controllo di sé in quel momento e la vide assottigliare lo sguardo mentre lo fissava quasi dubbiosa – era sempre stata così sexy?
«Che ci fai qui?»
La domanda lo fece sorridere ironicamente – che domanda ovvia, non sapeva fare nulla di meglio? Forse anche lei non era propriamente lucida, come lui.
«Festa di addio al celibato.» spiegò semplicemente.
Gli venne spontaneo darle un altro sguardo intenso, percorrendo con gli occhi tutto il suo corpo.
Dio, aveva voglia di morderla – ma no, non poteva sfiorarla neanche con un dito, doveva riprendere il controllo, anche se era dannatamente difficile pensare almeno un attimo in maniera lucida con tutto quello che aveva bevuto.
Si costrinse a prendere un’espressione indifferente ma non era sicuro di esserci riuscito.
«E tu?» fece a sua volta – non voleva far morire la conversazione, che cosa imbarazzante.
Amelia prese un tiro dalla sigaretta e Alessandro si concentrò per un attimo sulle labbra lucide, pensando che sarebbe stato piacevole passarci sopra la lingua – la vedeva già rabbrividire sotto il proprio tocco.
«Sono con una mia amica, volevamo fare qualcosa di diverso.» borbottò la giovane e il moro percepì il suo disagio in quelle parole – evidentemente era più lucida di lui e si rendeva conto dell’assurdità della situazione.
Guardarla stava iniziando a fargli male. Ricordava ancora com’era vestita la sera della cena a casa coi suoi e ora, con quel vestito rosso dallo scollo all’americana, le curve messe in evidenza, gli occhi intensi cerchiati di trucco e l’aria indecisa…
«Questa è la seconda volta che ti vedo in vestito.» commentò infine – non aggiunse che sperava di vederla anche senza, non credeva sarebbe stato consigliabile. Anche perché tanto quell’immagine lo tormentava comunque. Si lasciò andare in un ghigno perfido vedendola irrigidirsi, e nonostante la poca luce notò che si arrossava al volto.
«Questa è la seconda volta che ti vedo ubriaco.»
Touché, pensò il professore per nulla impressionato – conosceva benissimo le sue frecciatine e da un lato risultavano anche divertenti. Ma anche lui non era tipo da tacere, ovviamente.
«Beh, non mi sembri particolarmente lucida nemmeno tu.»
Assolutamente. Ora ne era sicuro: era troppo arrossata e sciolta per non essere un po’ brilla, e la cosa lo divertì. Sarebbe stato anche più semplice attirarla a sé, in una situazione del genere.
Sono uno stronzo.
«Dovrebbe tornare dai suoi amici.» rispose Amelia con tono acido – Alessandro si rese conto di avere esagerato troppo tardi.
La osservò spegnere la cicca con la scarpa e voltarsi, pronta a tornare dentro – a fuggire da lui – ma lui non ne aveva abbastanza. La voleva, ancora… Di più.
«Bevi qualcosa con me?»
La domanda con un vago tono di preghiera gli uscì prima che potesse controllarsi – molto probabilmente non l’avrebbe fatto comunque per quanto era ubriaco, ma almeno rifletterci un attimo per fare la stronzata consapevolmente…
«Cosa?»
Devo essere impazzito, pensò sconvolto lui stesso.
Era così facile chiederglielo, perché non riusciva a essere facile anche tutto il resto?
Si rese conto di come si fosse lasciato andare un attimo di troppo, di aver mostrato le proprie emozioni in un modo che non avrebbe dovuto fare con una come lei. Peccato l’avesse già fatto.
«Ti ho chiesto se vuoi bere qualcosa con me. Non voglio tornare subito dai miei amici, loro…» iniziò a parlare quasi cercando di giustificarsi – anzi, senza il quasi.
Quello però era vero: non voleva tornare dagli altri; tutti erano venuti a conoscenza del tradimento di Eleonora e lo guardavano come un povero disperato – vaffanculo, se veniva tradito uno come lui, loro potevano solo pregare in un miracolo! Stronzi.
La ragazza era stata così tanto zitta che si sentì un completo idiota in poco tempo.
Che cazzo ho chiesto…
Si spostò dal muro in cui era appoggiato come se fosse rimasto scottato da esso e traballò molto poco dignitosamente – era completamente ubriaco.
«Lascia stare, era un’idea stupida.»
Era un’idea di merda, si corresse nella sua testa.
La superò in pochi passi e la tentazione di allungare un braccio e afferrarla era tanta, ma riuscì a ignorarla – non sapeva da dove riuscisse a trovare quell’autocontrollo, doveva ringraziare Dio.
«Va bene. Ma devo sbrigarmi, c’è la mia amica che mi aspetta.»
Si bloccò di scatto a quelle parole, quasi spaventato. Si voltò e la vide controllare il telefono.
«Sicura?» sussurrò.
Devo essere impazzito, era il suo unico pensiero. Si sentiva un fascio di nervi, stava già iniziando a pentirsi di quella proposta assurda, però gli aveva detto di sì e…
«Sì.»
…era sì.
La fissò temendo potesse ancora cambiare idea, poi si autoimpose di riprendere il controllo di sé – e fu sempre per qualche assurdo motivo che riuscì a stamparsi in volto la solita espressione fredda che lo rendeva il terribile professore; si lasciò infine andare in un sorrisetto sarcastico, perché prenderla in giro era più facile che mostrarsi in difficoltà, e le fece un cenno con la mano per farla passare per prima.
E non mi si dica che non sono un gentiluomo.
All’interno la seguì mentre si dirigeva verso il bancone – fu assurdamente spontaneo sfiorarle la schiena per condurla e avvicinarsi per spostare coloro che intralciavano il passaggio. Sentire la stoffa morbida del vestito e pensare che ci fosse solo quel sottile strato a separarlo dalla pelle nuda lo fece soffrire più di quanto non sarebbe successo da lucido e dovette fare appello al suo totale autocontrollo per non afferrarla del tutto lì in mezzo alla sala. Nessuno li avrebbe considerati in fondo, sarebbero stati solo una coppia come un’altra in quel marasma.
Raggiunsero il bancone troppo presto e lui si appoggiò ad esso come con una scialuppa in mezzo al mare – una scialuppa che lo salvava dal mare di merda in cui era tragicamente caduto da quando l’aveva vista in quel vestito.
«Cosa vuoi?» chiese.
«Scusa, cosa hai detto?» urlò la ragazza – evidentemente la musica era troppo alta e la sua voce troppo bassa per farsi sentire.
Avrebbe potuto urlare a sua volta, sovrastare la musica con la voce.
Ma così è troppo facile cedere.
Si chinò su di lei, all’orecchio, così vicino da sfiorarle i capelli con la bocca, da sentire il profumo che era quasi intossicante e tremendamente eccitante. Così vicino che gli sarebbe bastato pochissimo per baciarla e farla gemere. Così vicino che lo mandava via di testa.
«Cosa vuoi?» ripeté.
La vide mordersi un labbro e fu come morire.
«Quello che vuoi tu!»
La risposta arrivò terribile e salvatrice al tempo stesso: l’allontanava da quella meraviglia ma lo salvava dal casino che c’era nella sua testa.
Mentre richiamava l’attenzione del barman si concentrò su cosa ordinare per lei – la vedeva come una da drink dolci, non sapeva perché. La risposta in quel modo arrivò prima che potesse rifletterci troppo.
«Un Invisible e un White Russian.» disse al barman che si era proteso verso di lui per ascoltare l’ordine. Non sapeva quanto fosse una buona idea bere un altro di quei cosi, un insieme di vodka, rum bianco, gin e tequila dal sapore amaro che l’aveva accompagnato per buona parte della serata, ma aveva voglia di farsi del male.
Lasciò i soldi sul bancone e dopo poco i drink furono pronti; prese il proprio e l’altro lo diede alla ragazza che subito lo assaggiò incuriosita.
Notando come un giovane lanciasse uno sguardo di troppo ad Amelia, Alessandro si infastidì e fu automatico prenderla per un polso e trascinarla via da lì, al riparo dagli occhi indiscreti, per godere solo lui della sua voce e della sua figura sinuosa e affascinante.
Finirono ai divanetti e si abbandonò sopra di uno di essi sentendosi la testa pesante – la lasciò andare indietro e per un attimo raggiunse il paradiso.
«Che cos’è?»
La voce di Amelia lo raggiunse con una nota di curiosità, facendolo riprendere. La fissò mentre prendeva un sorso del proprio drink e poi ricordò cosa contenesse in effetti il White Russian: tantissima vodka, liquore al caffè e panna. Forse era troppo alcolico per una come lei, a momenti troppo magra.
«White Russian. Ho pensato ti piacessero le cose dolci, ma ora che ci penso forse è un po’ troppo forte per te.» borbottò poco convinto – le parole iniziavano ad attorcigliarsi sulla lingua, legata da tutto quello che aveva bevuto.
La frase successiva però non se l’aspettava.
«Hai intenzione di farmi ubriacare?»
La domanda aveva un tono chiaramente scherzoso, ma il significato presupponeva qualcosa che non era ammissibile tra un prof e una studentessa.
Era inevitabile che nella sua testa passassero mille idee, tutte frutto di quelle parole.
Riuscì a mantenere un’espressione impassibile, almeno in un primo momento, poi l’alcol gli fece piegare la bocca in un sorriso che, se anche era nato come poco convinto, si fece ironico e insinuante. Ormai l’argine era stato rotto e non era colpa sua. Anche se avrebbe continuato a mettere benzina sul fuoco, ovviamente.
«Non ho bisogno di farti ubriacare.» soffiò appena, ma sapeva che Amelia aveva sentito.
E sapeva anche che il significato di quella frase fosse perfettamente chiaro a entrambi – anche perché non c’erano molti altri modi per interpretarla, soprattutto se si stavano guardando in quella maniera.
Gli venne automatico accentuare il sorriso e socchiudere gli occhi per fissarla.
Sotto le basse luci del locale, i capelli corvini assumevano sfumature di vario colore e nella pelle in quel momento arrossata erano proiettate le lunghe ciglia che rendevano il suo sguardo ancora più intenso.
Per un attimo la sua mente immaginò l’espressione della ragazza mentre…
«Non ne sarei così sicura, cosa te lo fa pensare?»
La replica non fu troppo veloce, segno che anche lei si fosse lasciata andare in altri pensieri, e Alessandro la vide prendere un sorso del drink, il gesto così meccanico da risultare rigido come l’intera figura.
Vederla in difficoltà lo fece fremere di divertimento e fu istintivo per lui sporgersi verso di lei, poggiando il gomito sulla gamba fasciata dai jeans scuri e il mento sul palmo. Non erano esageratamente vicini, però già quella minor distanza accorciò ulteriormente lo spazio tra loro e il limite imposto dai ruoli che coprivano.
Sarebbe bastato poco – pochissimo – per superarlo.
La fissò e sapeva perfettamente che dentro di lei fosse agitata. Lo capiva da come teneva stretto il bicchiere, tanto da rendere le nocche bianche, da come il labbro era ripetutamente morso, da come il piede ticchettava sul pavimento producendo un suono non percepibile a causa della musica.
«È solo una sensazione. Potrei sempre sbagliarmi.» anche questa frase venne detta in un sussurro, e anche in quel caso sapeva di essere stato comunque sentito.
La guardava negli occhi e vedeva tutto il tumulto interiore della giovane ed era una delizia sapere di poterla rendere così. Gli faceva chiedere come avrebbe reagito se avesse osato di più.
«Potrebbe esserci la sua fidanzata da qualche parte qua in giro.»
Fu come se fosse appena esplosa una bomba.
Alessandro sentì il proprio sangue gelarsi e non poté impedirsi di chiudersi in un’espressione di puro gelo – il ricordo che stava cercando di relegare in un angolo per tutta la sera riemerse prepotente e bastò per farlo di nuovo incazzare.
Prese un sorso dal proprio bicchiere – usare l’alcol come anestetico era sempre un’ottima idea – ma non riuscì a cancellare la rabbia che riemergeva in lui prepotente.
Poi però parlò e non seppe neanche darsi una spiegazione al perché disse proprio quella frase.
«Non c’è nessuna fidanzata. Ci siamo mollati.»
Sentì la propria voce risuonare gelida ma non gli importò granché – la sua testa era più impegnata a cercare il motivo della stessa.
Perché glielo diceva? Forse perché il suo tono gli era sembrato altrettanto irritato? O forse per un vano desiderio di chiarimento?
Vide però Amelia strabuzzare gli occhi sorpresa e fu così buffo che non poté impedirsi di ridere – ma fu una risata fredda e acida, priva di reale divertimento.
«Mi dispiace, io…»
La salvò da quel patetico tentativo di scuse o “mi dispiace” vari, non aveva la minima voglia di ascoltarli.
«Tranquilla, avevo già in testa di farlo da un po’ di tempo. Scoprire che andava a letto con un altro è stata solo la spinta di cui avevo bisogno.» spiegò gelido.
Ma perché glielo sto dicendo?
Cioè, magari dirle che si erano mollati poteva anche andare, ma raccontarle anche del tradimento…
Era l’alcol a parlare, o forse solo la rabbia.
Il bicchiere era ancora mezzo pieno quando lo terminò tutto d’un fiato e la gola gli bruciò al contatto con l’alcol, stordendolo in un attimo più di quanto non fosse successo nell’ultima mezzora.
Si sentì caldo e ovattato – una sensazione piacevole, tutto sommato – e la musica parve farsi più ronzante mentre i contorni di Amelia un poco più sfocati. In pochi minuti anche il proprio pensiero si fece rallentato ma vagava comunque in una bolla di confusione che lo rese più leggero.
Perché era così arrabbiato? In fondo che importava? Aveva lei davanti.
«Mi dispiace. Non so bene come ti senti in questo momento, mi è capitata una cosa simile ma beh, essere traditi così… Non so cosa dovrei dirti per farti sentire meglio, però questa tipa ha fatto una stronzata – ok, so che sembra una frase costruita apposta, però lo penso davvero, insomma…» la ragazza si interruppe brutalmente e così Alessandro ebbe il tempo di comprendere fino in fondo il senso di quelle parole.
Lo stava… consolando?
Ma subito Amelia riprese e le sue labbra si muovevano in maniera così ipnotica che non riuscì proprio a spostare lo sguardo da esse.
Lei era una calamita e lui un misero magnete.
«…io credo che tu sia davvero una brava persona. Ok, ti reputo uno stronzo e a momenti ti odio, ma sei il mio professore, credo che sia più che normale farlo! Però per le poche volte che ti ho visto fuori da scuola mi sei sembrata una persona interessante, brava – come il giorno che non mi hai interrogata perché mi hai vista giù, ecco! Io sono convinta che lei sia stata una grandissima stupida a tradirti perché tu mi sembri una persona degna di fiducia e-»
Basta.
Fu quello il suo unico pensiero.
Non basta per le parole, non basta per i tentativi di conforto.
Basta a quel limite che si era autoimposto per una differenza di status che li rendeva inavvicinabili. Nulla era importante in quel momento, nulla sarebbe valso a distrarlo da quello che il suo corpo e la sua mente avevano intenzione di fare dalla prima volta che l’avevano vista in quella serata.
Sporgersi verso di lei fu veloce quanto un battito di ciglia.
Baciarla? Beh, anche meno.
Sentire finalmente quelle labbra sulle proprie fu infernale e paradisiaco allo stesso tempo.
Era rovente e la mano corse automaticamente al suo fianco, costretto in quella stoffa che avrebbe tanto voluto non esistesse. Quella curva era così sinuosa e invitante che per istinto la strinse ancora di più e in un attimo sentì la giovane che lo attirava di più a sé, le mani tra i capelli scuri in una carezza che stava per farlo gemere.
Quando schiuse la bocca lei rispose a sua volta e fu anche peggio.
Forse era il gusto del proibito, forse era l’alcol.
Forse era semplicemente lei.
Ma avrebbe voluto non staccarsi mai più da quelle labbra. Avrebbe voluto affogare in quel corpo, ignorando tutto ciò che si era autoimposto mediante la ragione.
Con la lingua le percorse le labbra e le sentì morbide, percepì il leggerissimo gemito di lei che sembrava chiedergli di più, ancora di più, di più ancora.
Fu con sofferenza che si staccò da lei per necessità di ossigeno.
E finalmente poté vederla da vicino. Gli occhi scuri, allargati per la sorpresa, le labbra tumide e rosse.
Si sentiva in una fantastica nuvola lontana da tutto e da tutti – ma con lei straordinariamente vicina e calda e morbida.
Solo ancora un attimo, solo ancora un bacio…
Ma lei si alzò di scatto in un movimento tale che si ritrovò sbalzato via – c’era freddo, ora.
«Io…» iniziò la giovane, interrompendosi.
Non lo guardava negli occhi, quasi tremava ma non era abbastanza concentrato da creare una frase giusta per quell’occasione. Troppo alcol nelle vene e quel bacio era stato peggio della droga.
«Io devo andare, c’è la mia amica che mi aspetta.»
Non ci fu il tempo materiale di dire qualcosa: Amelia fuggì come se il diavolo in persona la stesse inseguendo e si perse in un secondo tra la folla.
Cosa è successo?
Era stato tutto così veloce e così intenso che Alessandro ancora faticava a capire.
Quando si alzò dal divanetto era stordito e ancora più traballante, ma riuscì a raggiungere il proprio gruppo di amici – tutti erano ormai totalmente ubriachi, tutti tranne Emanuele che quando lo vide gli lanciò un’occhiata confusa.
«Dov’eri finito? Mi stavo quasi per preoccupare.» gli disse.
Alessandro però non rispose, lasciandosi andare in quei divanetti mentre tutto riprendeva a girare in maniera piacevole. Non rispose.
«Tutto bene?»
Andava tutto bene?
No, per niente.
Aveva appena baciato Amelia. Aveva appena baciato una sua studentessa. Che cazzo aveva in testa?
Devo essere impazzito.
Con quell’unico pensiero afferrò di volata un bicchiere e si versò dentro abbondante vodka, prendendone un lungo sorso sotto lo sguardo spiazzato di Emanuele.
«Che è successo?» insistette l’amico.
«Amelia…» bisbigliò lui, quasi in preda a una trance.
«Amelia? La tua alunna?»
Il moro ebbe solo la forza di annuire. L’amico lo fissò sospettoso.
«Che è successo? È qui?»
Altre domande, altre energie da sprecare per rispondere. Annuì di nuovo.
Emanuele parve scioccarsi.
«Oddio… L’hai vista?»
Annuì.
«Lei ti ha visto?»
Annuì ancora.
«E…?»
Silenzio.
«Lascia stare.»
Non voleva parlarne, voleva eliminare quell’idea che gli era saltata in testa. Era solo un idiota.
Emanuele parve capire qualcosa e tacque.
«Vuoi tornare a casa?»
Alessandro a quel puntò alzò lo sguardo e lo osservò.
«Sai cosa voglio?» sussurrò. L’amico lo fissò in attesa.
«Bere.»
Bere. Bere fino a dimenticarsi di quanto fosse stupido. Bere fino a poter credere di non averlo fatto. Bere fino a entrare in un sogno in cui continuava a baciarla.
Perché non posso?
Perché lei?
E prese il primo shot di quella che sarebbe stata una lunga e terribile notte.
 


 
[Nell'amore il piacere e il dolore sono sempre in lotta.
Publilio Siro]
  
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