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Autore: benedetta_02    24/04/2020    0 recensioni
Agata Giordano è una giovanissima ragazza che ha avuto l'onore di partecipare alla resistenza italiana che ora però ha solo bisogno di tornare nella sua città, Torino, per ricongiungersi con la sua famiglia e le sue vecchie conoscenze. Ma quello che troverà sarà solo morte, fame, terrore e così decide di ripercorrere passo passo la sua esperienza da partigiana attraverso i ricordi. Amori impossibili, segreti inconfessabili e un ruolo della donna sempre più di maggiore spicco, una donna stanca del passato e che ha un solo sogno: andare via.
Genere: Guerra, Malinconico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                                                                                                                                Torino, 25 Luglio 1945

 

È finita. Guardando gli ultimi scorci della mia città lacerata e distrutta, pensai per un attimo che era veramente finita. Ma per quelli come noi, non finisce mai. Avevo trascorso anni straordinari, liberata nelle montagne, dopo molti anni in una sorta di ascetismo indiretto (che poi asceta non lo sono mai stata), finalmente avevo preso coraggio, avevo raccolto gli ultimi stracci che mi erano rimasti ed ero riuscita a prendere la corriera di non so quale paese sperduto del nord Italia per raggiungere Torino, casa mia, e sperare che qualcuno mi riconosca. Ma ora, qui davanti alla stazione centrale di Torino, sono io che non riconosco la mia città. Case distrutte senza più nessuno sfarzo, Strade che precedentemente erano colme di auto che ora sono piene di cenere, cadaveri e macerie; ovunque si era persa quell'aria di gioia che incombeva su Torino qualche anno fa, prima della guerra, i tavolini che prima erano incorniciati da signori, ragazzi innamorati e bambini, ora sono vuoti. La guerra aveva scosso tutto, era stata come un terremoto fortissimo che si prende tutto senza permesso e non ti rida' più nulla indietro. Però il terremoto dura qualche attimo e poi ti lascia a piangere e a morire sul cadavere di una persona che sfortunatamente potrebbe essersi trovata sotto un tetto che da lì a poco sarebbe crollato oppure ti lascia da solo a guardare la tua casa dell'infanzia, la piazza dove ti sei innamorato per la prima volta, l'edicola dove hai comprato il tuo primo libro che ora non ci sono più, il terremoto è un minuto o massimo due e poi niente. La guerra però questo privilegio non te lo dà. La guerra, esattamente come il terremoto non ti da' una seconda possibilità, e anche la guerra ti lascia da solo con le tue macerie e i tuoi ultimi pezzi di una vita che ora non ti appartiene più, però purtroppo dura molto di più, la guerra non è un attimo, la guerra non è silenziosa, la guerra si prenderà tutto, anche i tuoi momenti e i tuoi segreti più intimi e lo fa lentamente. Ti prende ogni cosa, non ti lascia niente se non la disperazione, la tristezza e il dolore, la guerra non risparmia e ti rende partecipe della tua fine, ti costringe a guardare mentre ti portano via tuo marito perché si rifiuta di andare a combattere, mentre sparano tuo fratello perché ha deciso di procurarsi un giornale che non era possibile leggere, mentre torturano il tuo vicino di casa perché professava un'altra religione e mentre stuprano tua figlia, perché a loro va così, perché quel giorno non avevano niente da fare. La guerra ha fatto male e se mi sforzo riesco ancora a sentire le grida di aiuto e i pianti di tutte quelle persone che purtroppo un'altra opportunità non l'hanno avuta.

Mentre passeggio tra le strade della mia città, mi sembra di ricordare ogni cosa: l'odore del pane sfornato della signora Clara, il signor Marcello che vende i suoi giornali, la voce del signor Mario che cerca di convincermi a lasciar perdere questa storia dell'università perché dice che una ragazza come me non dovrebbe perdere tempo nello studio ma dovrebbe iniziare a pensare al matrimonio e per esempio iniziare a frequentare qualche ragazzo, come suo figlio Giovanni. La verità è che io e Giovanni eravamo molto amici, dal momento in cui i nostri padri erano amici da tanto e lavoravano insieme da più di 20 anni; ma Giovanni era diverso dagli altri uomini che ho incontrato nel corso della mia vita. Giovanni era dolce, sensibile e aveva sempre belle parole per me, ma non perché mi amasse, ma perché io ero la sua complice, perché io ero l'unica persona con cui lui riuscisse ad aprire le sue emozioni, ero l'unica persona con la quale Giovanni parlasse, e non erano parole di amore o almeno non nei miei riguardi. Io non ho mai giudicato Giovanni, quando io sono andata via, non ho avuto nemmeno la decenza di farglielo sapere, non volevo che soffrisse ancora e soprattutto non me lo avrebbe mai permesso, sebbene fosse molto aperto sotto alcuni punti di vista, Giovanni mi ripeteva in continuazione la solita frase "sei una donna Agata, stai al tuo posto e fai fare agli uomini le cose da uomini" o peggio ancora mi avrebbe detto che sarebbe stata la mia idea più sciocca, che dovevo essere pazza per fare una cosa del genere. Se ora mi dovesse vedere il signor Mario Giraudo, mi consegnerebbe ai fascisti o mi porterebbe da mio padre per sbandierare la vergogna di sua figlia.

Finalmente arrivai al convento delle suore che mi avevano impartito un'educazione, la scuola cristiana sebbene mi avesse insegnato indirettamente ad odiare la Chiesa e a smettere di credere in Dio, mi aveva insegnato anche a credere in me stessa, che le donne non sempre sono solo un sopramobile e che è possibile avere un cambio di rotta, così iniziai a studiare duramente e mio padre non so grazie a quale santo decise di iscrivermi alla scuola dei grandi, al liceo. Ma soprattutto devo ringraziare Suor Costanza che mi ha permesso di credere nelle mie capacità e mi ha ripetuto sempre che io in qualche modo valgo. Nel convento mi sentivo veramente a casa, mi piaceva la vita che si conduceva lì seppure io già a 10 anni non credessi più in un Dio che prometteva di darci amore e protezione. Dopo aver passato due anni nelle montagne, avevo bisogno dei giardini torinesi, avevo una grande voglia di passeggiare nei viali della mia città, riposare all'ombra del grande albero che ruota intorno al convento e di ascoltare il frinire delle cicale. Sento il bisogno di vita intorno a me, dopo tanti anni da sola e circondata dalla morte.

Bussai alla porta del convento nella speranza che qualcuno mi aprisse presto, nella speranza che qualcuno potesse darmi un tetto sulla testa, nella speranza di ritrovare Suor Costanza ad abbracciarmi, nella speranza che la guerra non mi avesse distrutto anche quel piccolo angolo di paradiso che sognavo nella montagna, nella speranza che qualcuno mi possa riconoscere e nella speranza che la mia casa, che il mondo sappia ancora accogliermi. La mia più grande paura è proprio quella che probabilmente Suor Costanza non ci sia più, che al suo posto possa trovare una nuova suora, forse potrebbe essere scappata durante la guerra, forse potrebbe essere morta di vecchiaia o peggio, forse potrebbe essere morta a causa di chi la guerra la stava facendo. Questo pensiero mi trafigge il cuore, e per un attimo penso a tutte le volte in cui Suor Costanza ha creduto in me o quando ero spaventata da quello che stesse accadendo per le strade, lei era il mio porto sicuro, era il mio faro splendente in una notte buia e tempestosa in mare aperto, e se lei mi diceva che tutto sarebbe finito bene, io per un momento ci credevo veramente. All'improvviso la porta si aprì bruscamente, il cigolio di quel portone in ferro non era cambiato a distanza di anni, e come pensai ad aprirmi non fu Suor Costanza ma una delle tante nuove suore giovani, anonime e silenziose, una di quelle che probabilmente è stata costretta a diventare suora o non aveva molta altra scelta.

"La posso aiutare? "la suoretta non era italiana, aveva un accento diverso, probabilmente francese, probabilmente viveva al confine. Le mie gambe iniziarono a tremare, le mie mani a sudare e potetti sentire l'ansia e la preoccupazione mangiarmi dall'interno. Io dovevo sapere se lei fosse ancora viva, io necessitavo sapere se la mia suora fosse ancora qui ad aspettare la sua bambina. Ma temevo la risposta, in cuor mio, io lo sapevo che Suor Costanza non mi avrebbe aspettata, non mi avrebbe cercata perché non sapeva come trovarmi, perché esattamente come Giovanni, io la avevo lasciata qui a marcire e a morire mentre io me ne ero andata.

"Buongiorno, cerco Suor Costanza, sono Agata Giordano, sicuramente si ricorderà di me "tentai di dirlo con una voce apparentemente normale, ma era chiaro che fossi sull'orlo di una crisi emotiva e non avrei retto oltre se non mi avesse risposto immediatamente.

"Si sì, certo Suor Costanza, la madre superiora, gliela chiamo immediatamente, nel mentre vuole appoggiare la sua borsa e vuole entrare?". Finalmente un sospiro di sollievo. Senza nemmeno rendermene conto iniziai a piangere come una bambina, un sorriso mi solcava il volto e io non ricordavo più come si sorridesse, pensavo che ormai ridere e sorridere fosse un privilegio di pochi, che io ero stata segnata dal non potere sorridere più. Avevo voglia di prendere quella suoretta francese e abbracciarla e baciarla, quasi come se fosse stata la mia salvatrice, come se in qualche modo questa ragazzina mi avesse riportata sul sentiero di casa mia.

Quando la suoretta si allontanò per chiamare Suor Costanza, quel peso che mi ero portata addosso fino a quel momento, finalmente stava pian piano andando via. Mi sentivo come se il destino avesse deciso di riportarmi sulla strada più giusta per me, e non vedevo l'ora di poter dire tutto questo alla mia suora anche se lei mi avrebbe rimproverata come sempre dicendomi che il destino o il fato non esistono, ma esiste solo il disegno divino, e pur di poter stare ancora con lei, io la avrei assecondata.

Quando riuscii a scorgere Suor Costanza dietro le colonne del chiostro, iniziai a piangere nuovamente e quando lei mi vide, inizialmente non mi riconobbe ma le bastò toccare i miei ormai corti capelli castani ma che prima mi arrivavano fino al sedere e guardare nei miei occhi color nocciola che lei aveva sempre amato, per poter capire che la sua bambina era tornata a casa. Mi diede uno di quegli abbracci che ricordi per tutta la vita, iniziò a piangere insieme a me, e non riuscimmo più a staccarci, non avremmo potuto, entrambe sentivamo la necessità di colmare quei vuoti che io avevo lasciato per due anni interi, che io per colpa della mio essere così caparbia, avevo rischiato di non poter più abbracciare Suor Costanza, una madre, un'insegnate, una colonna portante. I convenevoli durarono a lungo, ma proprio mentre ci staccammo, Suor Costanza mi piantò uno dei suoi ceffoni più duri diritto sulla guancia sinistra. Io la guardai impietrita e i il suo sguardo divenne immediatamente rigido e aveva la fronte corrugata.

"Si può sapere dove sei stata esattamente per tutto questo tempo? Sei fuggita, chissà con chi, chissà dove. Sei stata la mia costante preoccupazione e mentre i tuoi genitori ti davano per morta, io speravo che tu fossi ancora qui su questo mondo. Se ti eri innamorata e volevi scappare, potevi dirlo Agata, ti avremmo aiutata come sempre."

"Suor Costanza, mi creda, è stato molto di più di una semplice fuga romantica, magari lo fosse stato. È una storia difficile e lunga da raccontare, ho affrontato un viaggio interminabile, sto tornando da Bologna sa, però ora posso rioccuparmi della mia vita, posso sperare che finalmente tutto ritorni come prima, posso immaginare una vita nuova, lontana dai dispiaceri. E se sono qui, è per chiederle di ospitarmi per un po', ho bisogno di ritrovare la mia pace lontano dalla mia famiglia, lontano dagli occhi severi di mio padre, lontano dagli sguardi assassini di mia madre, lontano dalle battutacce di mia sorella. In più suor Costanza, penso di aver bisogno di cure mediche, di cibo e di dormire un po'".

Immediatamente Suor Costanza si irrigidì, mi diede la mano e mi fece sedere su una panca nel giardino del chiostro, mi strinse forte la mano e mi guardò negli occhi, quegli occhi che non avevo mai dimenticato, quegli occhi sicuri che però in quel momento non lo erano molto.

"Agata, la guerra è stata straziante, ogni giorno arrivava una notizia diversa, non sapevo più a chi credere. Quando finalmente è arrivata la notizia che la guerra fosse finita, pensavo che stessi sognando, pensavo che non fosse possibile, che era solo un'allucinazione, non credevo fosse possibile che terminasse mai. Ma è arrivata. E sei arrivata anche tu, che sei il dono più lucente di Dio. Torino è devastata, ma si è sempre ripresa, e lo farà anche questa volta." Tirò su con il naso, una lacrima le percorse tutta la guancia fino ad arrivare al collo, abbassò la testa, mi baciò la mano e con l'altra mi accarezzava i capelli, poi rialzò lo sguardo. "Angelo mio, io non so dove tu sia stata per tutto questo tempo, spero che tu sia stata al sicuro, sia stata lontana da tutto questo inferno, spero che tu sia andata a Napoli e che tu abbia preso un bel piroscafo per raggiungere l'America. Ma nel frattempo, qui noi ci spegnavamo ogni minuto un po' di più, chi aveva la pelle abbastanza spessa riusciva a sopravvivere, chi no moriva di fame, di freddo, di solitudine, di una malattia o peggio ancora chi non riusciva più a sopportarlo, si metteva una corda al collo e si lasciava morire". Si fece immediatamente il segno della croce, mise le mani in preghiera e inizio a parlare velocemente e sottovoce. Non mi sono mai capacitata della forza innata di quella donna, era speciale.

"E lei? "dissi io interrompendo la sua preghiera "Lei come ha fatto?"

"Io ho Lui, Bimba, io ho Dio con me"

"Suor Costanza, la ammiro sa, io non so come riesca ad affidarsi ad un Dio che ci ha dato questo, che ci ha dato la guerra e ci ha ucciso le persone accanto a noi"

Suor Costanza mi piantò l'ennesimo schiaffone sulla guancia, ma poi mi riprese le mani.

"Bimba, Dio non fa niente per caso, Dio non punisce, Lui insegna. Tutto questo non l'ha fatto Dio, l'ha fatto l'uomo. In più c'è una cosa che dovrei dirti." Poi si fermò, mi guardò e mi diede una carezza proprio dove qualche secondo prima mi aveva picchiata e riprese "Quando tu sei andata via, tua sorella Emilia, per la prima volta è venuta qui da me, all'inizio per accusarmi, perché credeva che fosse colpa mia se tu fossi scappata; ma poi è tornata, per chiedermi aiuto, per aiutare la vostra famiglia, per far sì che tu saresti tornata a casa. Ma tu non tornavi mai, io non sapevo cosa raccontare loro. Un giorno tua madre si presentò sulla mia porta in lacrime e iniziò a gridare e a piangere forte, quando disse « Leone è morto ». Tuo padre è stato vittima di una brutta malattia che pian piano se l'è portato via. "Fece una pausa. "Tua madre non ha retto. L'hanno trovata morta sulle sponde di un fiume, si era buttata nelle acque gelide di notte. Probabilmente non era più in sé".

Non piansi, non feci uscire nulla da quegli occhi, mi ero ripromessa che non avrei più pianto, che il tempo del dolore fosse finito. Se mio padre è morto, è stata la malattia ad ucciderlo, sono cose che possono capitare. E mia madre se ha deciso di togliersi la vita per un uomo, ha dimostrato quello che è, una persona che non riesce a camminare con le proprie gambe, senza essere sorretta un uomo.

"E mia sorella dove si trova?"

"Tua sorella è in Francia, si è sposata un annetto fa e ora ha una splendida bambina. Emilia è riuscita a ricostruirsi una vita e una famiglia, è stata capace di rialzarsi dalle sue macerie e ha ritrovato la forza ed il coraggio di andare avanti. E ora lo devi fare anche tu".

Mia sorella è cambiata, lo sento dalle parole di Suor Costanza. La principessa di casa, ora è diventata la regina di un'altra casa e ora lei ha la sua principessa. Mia sorella deve sapere, mia sorella deve conoscere la verità, mia sorella merita di sapere dov'è stata sua sorella per tutto questo tempo, che cosa ha fatto, con chi è stata e soprattutto perché ha preso una scelta così azzardata. Io necessito di sentire ancora il calore del corpo esile di mia sorella, io ho bisogno di sentire la sua voce e la sua risata, ho bisogno di toccare i suoi lunghi capelli e ho bisogno di sentirle dire che ora andrà tutto bene. Voglio poter andare sulla tomba dei miei genitori con lei, dargli un ultimo saluto e far vedere loro che Agata ed Emilia Giordano sono cresciute, sono due donne forti ora e sono state in grado di cambiare la propria vita.

Proprio mentre questi pensieri mi attraversavano la mente, diedi un ultimo sorriso a Suor Costanza e lei mi abbracciò per un'ultima volta, ordinò alla suoretta francese di accompagnarmi nella mia stanza e mi disse che ora ci sarebbe stata lei ad occuparsi di me. Suor Costanza lei è sempre stata qui con me. Sempre.

Appena entrai nella stanza del convento, mi sentii finalmente a casa, fin quando non vidi una ragazza alta e magra, con gli occhi verdissimi e i capelli rossi fuoco che teneva in braccio un bambino, probabilmente di due o tre anni. Gli stava cantando una canzoncina, quelle ninna nanna che ricordi anche quando sei adulto e non vedi l'ora di poter cantare ai tuoi figli. Quando lei si accorse di me, poggiò il bambino sul letto e spostò indietro i capelli che prima aveva sul viso.

"Scusa non pensavo che c'era qualcuno "Un altro accento, ancora una volta. Ma non era come quello della suoretta francese, era diverso, era più caldo. "Milena sono", disse poi.

"Ciao Milena. Sono Agata, sono un'amica di Suor Costanza, questo bimbo è tuo?"

"Si, è mio figlio"

"Scusami se te lo chiedo, ma tu non sei italiana?"

"Non sono italiana? Solo perché non ho fatto la scuola e non parlo come te vuol dire che non sono italiana? Sono siciliana, di Caltanisetta. E se quella per te non è Italia, peggiu pi tia."

Prese il bambino e andò di sotto. Per un attimo mi resi conto che io in Sicilia non c'ero mai andata e nemmeno lo sapevo com'era fatta la Sicilia, ma qualcuno diceva che era bellissima, anche se i Siciliani non avevano voglia di cambiare. Io questo ancora non lo so, ma se Milena ha lasciato la sua terra per venire nella fredda Torino, un motivo ci deve essere. Ma chi è Milena?

 

   
 
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