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Autore: LionConway    24/04/2020    4 recensioni
[Il Cacciatore]
[ The Deer Hunter / ... And Justice For All ]
[ high school!AU ] [ 1980s!AU ]
Mike Vronsky ha diciotto anni, vive con il padre in un'anonima cittadina della Pennsylvania e il suo principale sfogo è passare il tempo con i suoi migliori amici. Nessuno di loro ha un cospicuo conto in banca né voti particolarmente brillanti a scuola, ma la situazione di Mike è nettamente peggiorata durante la malattia e, in seguito, la morte della madre. Il nuovo anno è appena iniziato, la domanda per il college e l'evasione dalla vita di provincia pendono sulla sua testa e Mike deve assolutamente mettersi in pari con il programma.
Arthur, un giovane e attraente studente di Legge tornato in occasione dell'Homecoming, sembra essere la sua salvezza per quanto riguarda le ripetizioni... non fosse che detesta Mike e la sua combriccola per un torto subito un paio di anni prima.
Come se non bastasse, a peggiorare la situazione, ci sono gli ormoni ballerini di un diciottenne che comincia a scoprire la sua attrazione per gli uomini e, soprattutto, per il misterioso e affascinante Nick, il nuovo studente alla Clairton High.
Riuscirà Mike a sopravvivere al suo ultimo anno?
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: AU, Cross-over, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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IV. 
Con la testa tra le nuvole 

 

Something happens and I'm head over heels
I never find out till I'm head over heels
Something happens and I'm head over heels
Ah, don't take my heart, don't break my heart
Don't, don't, don't throw it away

Tears for Fears - Head over heels 
 



 

Il resto della settimana trascorse quasi in completa tranquillità. I ragazzi stabilirono il mercoledì come giorno fisso per le attività dell'A.V. Club, mentre Michael si lavorò per bene Miss Darbus, l'insegnante di teatro, [1] per convincerla a prenotare l'auditorium lunedì e venerdì. Così avrebbe facilmente avuto un programma settimanale che non sarebbe andato a intaccare le ripetizioni con Arthur.

Alle luci delle loro ultime confessioni e della tregua ormai -apparentemente- stabilita, Michael si sentiva più leggero, quel giovedì, mentre pedalava verso casa Kirkland, con due tavolette di cioccolato infilate in una delle tasche del giacchetto. Eliminata l'ansia, la sensazione di essere di troppo, perfino le sue performance matematiche sembrarono avere un piccolo miglioramento, quel pomeriggio.

«Non ho ancora cominciato a leggere il libro» ammise, mentre Arthur gli correggeva gli esercizi durante la loro pausa caffè. «Però ho inserito il film nella lista dei titoli per il cineforum di quest'anno. Abbiamo deciso di inserire solo film anni Sessanta e Settanta. Tra l'altro, sai cosa sarebbe interessante? Proporre film stranieri, perché è stupido parlare della Nuova Hollywood senza menzionare la Nouvelle Vague francese, o il neorealismo italiano o la Nová vlna...» 

Arthur sollevò lo sguardo su di lui, spingendo indietro gli occhiali che gli erano scivolati sulla punta del naso. «Cos'è quella roba che hai appena pronunciato?» chiese.

Michael ridacchiò: «Oh, è una corrente cinematografica cecoslovacca. Fu sviluppata dagli studenti dell'università di Praga come risposta artistica al regime comunista. L'asso di picche è il mio film preferito.»

Non aggiunse che lo era perché gli ricordava la propria situazione con il padre, a partire dal nome del protagonista. Invece, chiese ad Arthur quale fosse il suo film preferito.

Lui posò la penna e bevve un sorso di caffè, prima di rispondere: «The Wicker Man

Michael emise un lungo fischio, stiracchiandosi sulla sedia della cucina. «Leggerino» commentò. «Non ti facevo tipo da horror sofisticato, sai?»

«Perché no?»

«Boh, di solito quelli che portano le fasce tra i capelli sono fan dei Goonies e basta. Ahia!» 

Arthur lo aveva punzecchiato forte su una mano con la punta della penna. «Che stronzetto con la puzza sotto il naso» sogghignò -e quella era la prima volta che Michael lo vedeva divertito. Faceva una cosa con la punta della lingua, appoggiandola dietro l'arcata superiore dei denti. Era sensuale, sotto un certo punto di vista. Ipnotico. «Consideri veri cinefili solo quelli che hanno tempo e voglia di stare dietro ai mattoni cecoslovacchi?»

«Non ho detto questo.» Michael si passò un dito sulla piccola macchia d'inchiostro rosso che gli aveva lasciato la penna di Arthur. Ma, in realtà, sentiva il bisogno di distogliere lo sguardo da quell'espressione da serpe che gli faceva titillare qualcosa in prossimità della cintura. «Però, se effettivamente ti consideri un amante del cinema dovresti provare a dare una chance a qualunque cosa.»

«Che è un po' come dire se ti piace il baseball dovresti provare a tifare tutte le squadre

«Perché no? Se mi piacciono i Giants non posso saper riconoscere la capacità di gioco dei Red Sox?»

Per qualche attimo, Arthur parve rimuginare su quelle parole, mentre si accarezzava pensierosamente il mento. «Touché» disse, infine, e tornò indietro di una pagina sul quaderno di Michael. «Ho una notizia buona e una cattiva. Quale vuoi sentire per prima?»

«Quella buona.»

«La buona notizia è che lo svolgimento della prima equazione è perfetto.»

Michael esultò, lanciando in aria le braccia. Peccato che Arthur non avesse ancora finito di infierire sui suoi sentimenti.

«Quella cattiva è che tutte le altre sono miseramente sbagliate.»

Michael tornò ad afflosciarsi sulla sedia. «E ti pareva» bofonchiò.

L'ultima ora del venerdì prevedeva Educazione Fisica. Normalmente, l'avrebbe trascorsa con Steven, Axel e Stanley a nascondersi dalle grinfie di Adolfa e a sfondarsi di canne dietro i gabinetti della palestra, ma, sempre per la propria precaria condizione scolastica, quel giorno non gli pareva il caso. Così, per un'ora, strinse i denti e finse entusiasmo nel correre per il percorso a ostacoli che la Rizzo aveva imbastito intorno al campo di football.

Grazie al cielo, se l'era sempre cavata con la ginnastica, complice anche la propria predisposizione fisica naturale che lo aveva fatto grosso e atletico. Il problema di Michael era la pigrizia nei confronti delle cose che non lo entusiasmavano.

Mentre osservava Nick saltare gli ostacoli con l'agilità di una gazzella e beveva un po' d'acqua dalla propria borraccia, udì Linda sospirare accanto a lui: «Non è il culo più bello d'America?»

Michael sputò l'acqua e cominciò a tossire nel tentativo di fermare le risate.

«Vronsky!» lo riprese subito la professoressa. «Tocca a te, muoviti!»

Mentre Michael si asciugava la bocca e posava la borraccia, giunse un coretto dagli spalti. I suoi cosiddetti amici avevano rubato i ponpon blu e bianchi delle cheerleader dall'attrezzeria della palestra e si erano messi a improvvisare un balletto scoordinato.

«Datemi una V, datemi una R!» Axel cantava e scalciava, agitando i ponpon.

Stanley gli andò subito dietro: «Datemi una O, datemi una N

«S, K, Y!» esclamò Steven. «Perché Vronsky è il nostro re

«Ogni due ne salta tre!» [2]

«Scendete da lì, deficienti!» tuonò Adolfa, mentre, dietro di lei, la classe rideva a crepapelle.

Michael scosse la testa, domandandosi perché frequentasse gente del genere, e cominciò a correre. Gli ostacoli erano fin bassi, per lui, spingersi e portare la gamba oltre la sbarra di metallo era estremamente semplice. In meno di qualche secondo, giunse quasi alla fine del percorso quando, incrociando lo sguardo con Nick, vide che il ragazzo gli sorrideva. Il piede sinistro di Michael si scontrò violentemente contro l'ultimo ostacolo e lui inciampò, cadendo rovinosamente in avanti e rotolando per qualche centimetro in mezzo alla polvere.

Ci vollero un paio di secondi prima che il suo cervello registrasse quanto appena accaduto e, una volta scaricata l'adrenalina, si rese conto di quanto gli facesse male il ginocchio destro. Doveva essere atterrato proprio male.

Le orecchie gli fischiavano, ma ancora poteva sentire le urla e le risate sguaiate dei propri amici.

«Che figura di merda!»

«Sceee-moSceee-mo!» [3]

Michael sbuffò, sollevando una nuvoletta di polvere, e tentò di mettersi almeno a sedere per constatare i danni alla gamba. Qualcuno si accucciò di fronte a lui.

«Stai bene?»

Era Nick. Chino su di lui, i suoi occhi color ghiaccio erano intrisi di preoccupazione. Michael si sentì avvampare e sperò che lui non se ne accorgesse, che scambiasse il proprio rossore come conseguenza della corsa e dell'incidente appena avvenuto. Il cervello non sembrava voler collaborare.

«I-il ginocchio...» fu l'unica cosa che riuscì a balbettare, prima di volgere lo sguardo al danno. Si era strappato il pantalone grigio della tuta e un rivolo di sangue colava da una ferita aperta che gli bruciava come l'inferno.

Istintivamente, Michael fece per toccarsi il ginocchio, ma la mano di Nick fermò subito la sua.

«Non toccarlo» lo ammonì, e a Michael parve di sentire i suoi polpastrelli accarezzargli il palmo. «Potrebbe esserci finita della polvere, bisogna disinfettarlo subito.»

L'ombra della professoressa Rizzo si materializzò sul terreno. «Tutto bene, Vronsky?»

Fu Nick a rispondere per lui. «Si è tagliato il ginocchio, professoressa» disse. «Posso accompagnarlo in infermeria?»

«Andate. Nel frattempo, io sistemo quei tre imbecilli lassù.»

Michael si scambiò un sorrisetto d'intesa con Nick, prima di farsi aiutare a mettersi in piedi. Si sentiva un po' in imbarazzo per tutte quelle premure... ma, al tempo stesso, gli piaceva tenere il braccio intorno suo collo, appoggiarsi a lui come una stampella, sentire il suo braccio che gli circondava i fianchi, tenendolo saldo per non rischiare di farlo cadere.

«Sei più forte di quanto pensassi» osservò, mentre zoppicava in direzione dell'edificio scolastico. «So che non sono esattamente un peso piuma.»

«Scusa se ti ho distratto» rispose Nick. «Non volevo farti capitombolare. Mi ha sorpreso vederti correre così veloce.»

«Stai dicendo che sono grasso?»

«Sto dicendo che hai un bel fisichino, razza di boscaiolo rude che non sei altro. Pure senza barba sembri un orso!»

«Lo prendo come un complimento.»

«Lo è.» Salirono la rampa e aprirono la porta antincendio. «Gli orsi sono carini.»

Michael poté giurare di essere nuovamente arrossito. 
 

 

§§§§ 


 
 

Arrivò il weekend e con esso tornò il sole e una temperatura piacevolmente estiva. Quel pomeriggio, Michael, visto l'infortunio del giorno prima, ne approfittò per fare un po' di limonata e sdraiarsi su una branda in cortile a leggere. Il libro lo aveva preso così tanto che, in pochi giorni, aveva finito la prima parte e ora gli abitanti di Maycomb, Alabama, si preparavano al processo che avrebbe cambiato molti aspetti della loro vita quotidiana.

Piotr scese dalla rampa di cemento che portava alla porta del caravan e mosse qualche passo verso di lui. Michael, con gli occhi nascosti dietro le lenti degli occhiali da sole, non sollevò lo sguardo dal libro.

«Scendo in città» annunciò suo padre.

«Va bene» rispose il ragazzo, voltando pagina.

«Non so per che ora tornerò.»

«Come vuoi.»

«Ti ho lasciato dei soldi sul tavolo, se vuoi ordinarti la cena. Altrimenti c'è ancora il riso di ieri da scaldare.»

«Lo farò.»

E Piotr se ne andò, sgommando sulla strada con la Cadillac. Probabilmente, sarebbe rientrato ubriaco fradicio alle tre di notte, con Michael che fingeva di dormire nella propria stanza. Oppure avrebbe dormito in macchina, nel parcheggio dietro al bar dei Pushkov. Come se l'avesse invocato, il telefono prese a squillare dentro casa.

Mugugnando, Michael si cacciò giù dalla branda e, zoppicando, andò a rispondere. Era Stanley, che annunciò una riunione straordinaria a casa di Steven. «Dobbiamo aiutarlo a chiedere ad Angela di andare con lui al ballo.»

«Mancano tre settimane!» esclamò Michael. L'isteria di massa che infettava l'intera scolaresca nel periodo antecedente l'Homecoming era imbarazzante.

«Lo sappiamo bene» ridacchiò Stanley, «ma lui dice che se aspetta troppo non riuscirà ad invitarla per primo. E vuole fare le cose in grande, perciò dobbiamo aiutarlo.»

«Okay, okay» si arrese Michael, spostando il peso da una gamba all'altra, pentendosene subito quando avvertì una fitta lancinante al ginocchio monco. «Senti, perché non venite qua da me? Papà è fuori per tutto il giorno e ho preparato la limonata.»

«Perché no? Portiamo qualcosa da mangiare. A dopo!»

Sbuffando, Michael riagganciò la cornetta e andò a prendere bicchieri e tovagliette in cucina. Mentre apparecchiava il tavolo in cortile, vide Nick sbucare fuori da dietro un albero. A Michael quasi cadde un bicchiere nel tentativo di ricambiare il suo saluto. Cautamente, Nick attraversò la strada e si appoggiò alla recinzione che circondava il cortile. «Che combini?»

«Stiamo per avere un convegno su come aiutare Steven a chiedere ad Angela di andare al ballo con lui. Vuoi unirti?»

«Stevie spreca il suo tempo» lo informò Nick. «Angela è già stata invitata da cinque persone, ieri, e ha detto di sì a Todd Lancaster.»

«Oh no!»

Michael sbatté un bicchiere sul tavolo. Buttava male, malissimo: Todd Lancaster era il quarterback della squadra di football. Steven avrebbe dovuto sperare in un miracolo per avere ancora un barlume di possibilità con la propria bella. «Stevie non la prenderà bene.»

Difatti la prese a dir poco tragicamente. Scoppiò a piangere nel bel mezzo del giardino e cominciò a tirare calci a un vecchio copertone, recitando una lunga serie di «Cazzo!», intramezzati da «Blyat!» e «Fanculo!» vari. I ragazzi lasciarono che si sfogasse e, una volta sfinito, Steven si lasciò cadere sul gradino della passerella, il volto arrossato dalle lacrime e le mani affondate nei riccioli castani. Se non avesse pianto, a Michael una reazione del genere avrebbe fatto ridere di gusto. Invece, gli dispiacque terribilmente vedere il suo migliore amico ridotto in quel modo, e si sentì in colpa per aver sottovalutato i suoi sentimenti nei riguardi di Angela.

Stava per alzarsi e andare a consolarlo, quando Nick lo precedette, portandogli un bicchiere colmo di limonata fredda. «Dai, Steve, non ne vale la pena.»

«Facile dirlo per te!» lo rimbeccò Steven. Gli tremava leggermente la mano e la limonata fuoriusciva qua e là dai bordi del bicchiere di plastica. «Sei arrivato da una settimana eppure hai già l'intera squadra di cheerleading ai piedi! Io frequento la stessa scuola da quattro anni e Angela non mi parla dalle medie!»

«Questo non è vero» replicò Axel, agitando in aria una delle patatine al bacon che stava mangiando. «Ti ha sempre invitato alle sue feste.»

«Ci mancherebbe, le abito praticamente di fronte!»

«E l'anno scorso avete lavorato a quel progetto di scienze insieme...»

«Già, e poi non gliene è più fregato di cercarmi!» Steven posò il bicchiere a terra e cominciò a tastarsi i jeans alla ricerca di qualcosa. Alla fine, le sue mani trovarono l'accendino e l'astuccio argenteo dove teneva le canne già preparate.

Stanley si stiracchiò sulla sedia e sbadigliò sonoramente. «Non lo hai ancora capito, Steve? Sono tutte uguali!» esclamò. «Le donne, dico. Ti considerano solo quando hanno un disperato bisogno d'aiuto. Sono brave, manipolatrici nate, perché la natura le ha rese più deboli degli uomini, succubi fin dall'alba dei tempi, e allora hanno imparato queste strategie per farci piegare alla loro volontà. Battono un po' le ciglia, inarcano le labbra all'ingiù, magari spingono un po' il petto in avanti e zam!, il gioco è fatto! E noi, lì, sempre ad abboccare come i poveri pesci lessi che siamo.»

Il suo discorso era delirante, ma la sua imitazione di un pesce all'amo, rappresentato da un dito in bocca, li fece morire tutti dal ridere. Quando smise di boccheggiare, Stanley prese un po' di limonata. «Fidati, non è diverso con Todd Lancaster. Adesso, Angela ha bisogno di lui per essere la reginetta della scuola, ma vedrai. Quando finirà la stagione, lo butterà nell'indifferenziata, insieme a te, insieme a tutti gli altri scarti organici del genere femminile. Qui è il povero Todd a essere una vittima.»

«Come la fai drammatica, Stan» osservò Nick. «Mai pensato, invece, che ad Angela possa piacere Todd, anziché Steven? Purtroppo, non sempre le persone che ci piacciono ricambiano.»

Michael spostò lo sguardo su di lui. Per un solo, minuscolo momento, fu quasi certo che gli occhi di Nick avessero guizzato nella sua direzione, mentre affermava ciò. Scosse la testa e si grattò una guancia ruvida: con ogni probabilità se lo era solo immaginato.

Axel accartocciò rumorosamente il pacchetto di patatine ormai vuoto. «Cambiando un attimo discorso» disse, «tra due settimane apre la caccia al cervo. Dovremmo cominciare a organizzarci.»

«A proposito» fece Nick, sorridendo timidamente. «Ho chiesto a Mike se ha voglia di insegnarmi a sparare. Se vi va, mi piacerebbe unirmi a voi.»

Stanley ridacchiò. «Sicuro che poi non ti metti a piangere davanti a Bambi morto?»

«Piantala, Stan.» Michael fece subito in modo di tagliare corto. Si alzò dalla sedia e, zoppicando, si diresse verso l'entrata del caravan. «Vieni con me, Nicky.»

Il ragazzo si alzò e lo seguì dentro casa.

Michael afferrò il fucile più piccolo da una mensola sopra il divano e si mise alla ricerca di una scatola di proiettili nella credenza.

«Come va il ginocchio?»

Si voltò e vide che Nick gli sorrideva dal divano. Michael si ritrovò a deglutire, domandandosi perché diamine quegli occhi luminosi avessero su di lui l'effetto di rincitrullirlo come non mai. «Meglio» mormorò, sedendosi accanto a lui, sul bracciolo, la canna del fucile stretta tra le mani. «Grazie per avermi accompagnato in infermeria, ieri.»

«Mi sentivo un po' responsabile. E poi è sempre bello finire Ginnastica prima del tempo.»

Risero e, per qualche attimo, a Michael parve che l'aria in casa propria fosse tornata a quel calore che permeava quando lui e mamma trascorrevano insieme i pomeriggi piovosi. Gli piaceva Nick. Gli piaceva la sua presenza, gli piaceva la sua voce, gli piaceva quella sensibilità che lasciava trasparire ma di cui, al tempo stesso, sembrava quasi vergognarsi. Come se, in qualche modo, dovesse giustificarla. No, non ce lo vedeva ad ammazzare un cervo.

«Ho iniziato il libro, sai?»

«Davvero?»

«Sì, l'ho... l'ho preso in biblioteca» mentì Michael. Per qualche strana ragione, non aveva ancora voglia di raccontare dei suoi pomeriggi a casa di Arthur. Forse perché, in fondo, gli piaceva pensare che stessero cominciando a coltivare un'amicizia che poteva avere tutta per sé. O forse si stava solo illudendo: d'altronde, erano state appena due lezioni. «Ho già finito la prima parte. Sono arrivato alla morte della signora Dubose.»

«Adoro quella parte» confessò Nick. Inclinò di poco la testa all'indietro e i suoi occhi parvero illuminarsi nuovamente. «Il momento chiave della maturazione di Jem. La morte di una persona anziana che coincide con la morte della sua infanzia stessa. La trovo una cosa molto profonda.»

Michael si sistemò meglio sul bracciolo. «Non ci avevo fatto troppo caso» ammise, sentendosi un po' in imbarazzo rispetto alla capacità dell'altro di leggere così profondamente tra le righe. Lui si stava limitando a godersi un buon libro. «Ero solo un po' contento di essermi tolto una vecchia rompiscatole.»

«Devi andare un po' più a fondo di così, se vuoi comprendere a pieno il senso di uno scritto» rise Nick. «Ma non fa niente, ci arriverai. Ti piace?»

«Mi piace moltissimo.»

«Ne sono felice. Allora, mi insegni a usare quel coso?»

Michael annuì e gli fece cenno di alzarsi e di seguirlo in camera di papà e mamma. Nick imprecò quando vide la testa di un cervo impagliato appesa sopra il letto. «Quanto cavolo è grosso?»

«La tagliata di cervo migliore della mia vita. Vieni qui.»

Si piazzarono ai piedi del letto e Michael gli passò il fucile, ovviamente ancora del tutto scarico. Michael si adoperò per correggergli la postura.

«Ruota il corpo a tre quarti» disse, posandogli le mani sui fianchi stretti. Avvertiva un lieve imbarazzo, mentre aiutava Nick a prendere la giusta posizione di tutto: i piedi, le braccia, la testa. Un imbarazzo che cominciò a essere sostituito da un certo calore, quando si ritrovò a circondare il suo corpo esile con le braccia muscolose, sovrapponendo le proprie mani alle sue sul fucile. La sua pelle era calda e levigata, piacevole al tatto.

«Tieni... tienilo ben stretto sotto l'ascella» mormorò Michael, avvertendo una serie di brividi scorrergli lungo tutto il corpo. Le gambe presero a formicolargli. «Altrimenti ti becchi tutto il rinculo sulla spalla e fa un male cane. Sì, così... ora cerca di portare la mira sulla fronte del cervo. Gli occhi sempre perpendicolari alla bindella...»

«Ci sono un sacco di cose da ricordarsi» osservò Nick.

Michael, intrappolato tra il comò e il corpo del compagno, deglutì. La schiena di Nick premeva forte contro il suo petto. Le proprie labbra gli sfioravano l'attaccatura dei capelli. Era impossibile che lui non avvertisse tutti i suoi tremori. Stava impazzendo. Gli girava la testa e... oh no. Oh, merda.

«Cazzo!» esclamò, prima di spingere malamente Nick in avanti, facendolo cadere sul letto.

Lui se n'era accorto. Ovviamente. Era impossibile che non l'avesse sentito, aveva una coscia praticamente attaccata al suo inguine. E rideva.

«Ti percepisco entusiasta, Mike!» lo prese in giro.

Michael, istintivamente, si sedette sul letto con le mani sopra il pube, tentando di nascondere il più possibile l'evidente erezione sotto la stoffa dei propri pantaloncini.

«Io non volevo... insomma, mi dispiace, io... adesso mi passa!» esclamò, avvertendo il rossore invadergli le guance. Dio, che figura di merda storica! Com'era possibile che si fosse eccitato in quel modo? No. Non si era eccitato. Era solo... il richiamo della foresta, tutto lì. Gli capitava spesso, a dirla tutta. L'ultima volta gli era successo a lezione d'inglese, solo perché aveva pensato che quel giorno vi erano i tacos a mensa. «Cristo!»

Come se gli avesse letto nel pensiero, Nick sembrò volerlo consolare. «Non fa niente» disse, mettendosi a sedere e appoggiando il fucile a terra. «Succede, è il contatto fisico. Se ti dicessi con cosa mi eccito, a volte, mi prenderesti per il culo da qui fino alla fine dei miei giorni.»

«No, dai, dimmelo» lo esortò Michael, combattendo contro ogni impulso di toccarsi. «Magari mi aiuta a farlo calmare.»

«Va bene. L'altra sera stavo guardando un documentario sull'Africa e mi è venuto durissimo quando hanno cominciato a parlare degli ippopotami.»

Non andava bene! Non funzionava per niente, anzi, era anche peggio ora che Michael s'immaginava Nick, seduto su un divano a fare esattamente quello che avrebbe voluto fare lui in quel momento.

«No» bofonchiò, accavallando le gambe. «No, non funziona.»

Nick ridacchiò e gli diede un buffetto sulla spalla. Gravissimo errore. «Mike, vai in bagno e fatti una sega» gli consigliò, a bruciapelo. «Non dico niente agli altri.»

Ci mancherebbe, pensò Michael, disperato, e, scusandosi mille volte, si fiondò in bagno alla velocità di un missile.

Sollevò il coperchio del gabinetto e si abbassò i pantaloni e le mutande, prendendo a masturbarsi freneticamente. Non furono esattamente i minuti migliori della propria vita. Dovette coprirsi la bocca con la mano libera per soffocare i gemiti, ma ancora avvertiva la terribile morsa dell'imbarazzo che gli impediva di godersi a fondo quel momento.

Più ci pensava, più si rendeva conto che non era sicuro gli sarebbe successo con qualcun altro. Con Axel, Stanley e Steven gli veniva un po' da ridere e un po' da vomitare solo a pensarci. Ma con Nick... Michael ancora avvertiva la propria presa su quei fianchi così morbidi, quasi femminei. Il pensiero gli andò alla testa e si ritrovò a sorridere nel pensare a Nick, disteso sul letto dei suoi genitori, accanto a lui... no, non accanto. Sotto di lui, a incrociare le loro gambe, a strusciarsi l'uno contro l'altro. Quello lo portò vicino, molto vicino, ma non era abbastanza... non ancora. S'immaginò di baciarlo. Un bacio lungo, passionale, come quello che vedeva nei film. Pensò a Nick che prendeva l'iniziativa, che ribaltava le loro posizioni e, oddio, sì, che prendeva a scoparlo.

Michael dovette spiaccicarsi la mano contro la bocca per non far sentire ai suoi amici, agli animali del bosco, a tutta Clairton, che stava urlando mentre veniva, pensando a un altro ragazzo.

Rimase piegato in avanti per qualche secondo, cercando di riprendere fiato, appoggiato alla cassetta del gabinetto. Alla fine, prese un po' di carta igienica e si pulì meglio che poteva.

Mentre si lavava le mani e il viso, incontrò il proprio riflesso nello specchio sopra il lavandino. Non ricordava di essere mai stato così rosso in volto, così ansimante, nemmeno dopo una lunga e sfiancante corsa.

«Va bene» disse, rivolto alla propria immagine. Raddrizzò la schiena, inspirò profondamente ed espirò a lungo. «Va bene» ripeté, mentre si dirigeva alla porta. «Va tutto bene.» 
 


 

[1] - sì, ho davvero chiamato l'insegnante di teatro di Mike come quella di High School Musical. Non ho fantasia con i cognomi dei prof, perdonatemi.

[2] - un saluto ai fan di Harry Potter ❣️

[3] - so che è probabilmente una cosa estremamente italiana, ma faceva troppo ridere per non inserirla.
 


💕 ANGOLO AUTRICE 💕

Ciao, carissimi!! 
Spero con tutto il cuore che questo capitolo non sia troppo cazzaro, anzi, peggio: troppo adolescente, ha! Anyway, sono in pieno periodo Mike/Nick in questi giorni, ma vi prometto che avremo un po' più di Arthur nei capitoli a venire ❤️ 

Spero che stiate tutti bene 💕 Restate in casa, uscite solo se dovete, supportate le storie belle su Wattpad e GUARDATE THE DEER HUNTER. Come al solito ringrazio tutti quelli che leggono e recensiscono, sono sempre il solito culo a (non) rispondere (perdonatemi è che generalmente leggo le recensioni da telefono e come sapete il mio utilizzo del pc è limitato), ma sappiate che apprezzo davvero tantissimo il supporto che date a me e alle mie storie!  

Pizza, carbonara, ciao 💖

 
 

 

  
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