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Autore: Carme93    24/04/2020    2 recensioni
I nati del 1998 sono figli della guerra e della vittoria su Lord Voldemort.
La loro nascita ha simboleggiato nuova luce nel buio delle tenebre e gioia e speranza in un mondo in macerie da ricostruire. Un chiaroscuro insito nella vita di ognuno di loro.
La generazione figlia della guerra arriva a Hogwarts.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Minerva McGranitt, Neville Paciock, Nuovo personaggio, Teddy Lupin | Coppie: Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Capitolo tredicesimo
 
 






 
Serpeverde contro

Tassorosso
 
 






«Colpiscila più forte» suggerì Enan. «Guarda, ti faccio vedere». Prese una biglia, la posizionò con attenzione sul tappeto giallo e le diede un tocco secco con il dito. «Visto? Il tiro non dev’essere né troppo forte né troppo debole».
Dopo cena si erano ritirati in camera, avevano concluso i compiti per il giorno dopo e ripassato qualcosa, poi si erano messi a giocare a gobbiglie in attesa che Teddy tornasse dalla sua punizione.
Enan aveva vinto tutte le partite giocate fino a quel momento e tentava di aiutare Mark, che stranamente non vi aveva mai giocato. Non capiva proprio la famiglia dell’amico: avrebbe potuto anche comprendere le difficoltà economiche, ma quasi tutti i bambini maghi avevano un set di gobbiglie anche se del valore di pochi falci. Era un gioco semplice. Più conosceva Mark più si chiedeva come fosse cresciuto e si dispiaceva per lui. Si era lamentato più volte di non avere un padre, ma tutto sommato tra sua madre, i nonni e i suoi zii non gli era mai mancato nulla, anzi: aveva dei giochi tutti suoi e altri doveva condividerli con i suoi cugini, era cresciuto all’aria aperta e su un’isola meravigliosa. Per alcuni ragazzi Hogwarts rappresentava la libertà, ma lui la libertà sapeva bene cosa fosse e non erano quelle mura che li circondavano quotidianamente.
«Facciamo un’altra partita?» chiese.
Mark annuì.
Proprio mentre iniziavano, entrò Teddy.
«Ehi» disse Enan alzando una mano in segno di saluto. «Tutto bene?».
Teddy fece una smorfia e si strinse nelle spalle.
Enan e Mark ripresero a giocare, mentre Teddy andava a lavarsi. «Ragazzi» li chiamò quest’ultimo avvicinandosi, appena rientrò in camera. «Vi devo» prese un bel respiro, «delle scuse… soprattutto a te, Enan, ti ho messo nei guai».
«Non dire fesserie. Sono venuto con te perché volevo, non mi hai obbligato. Mi sa, però, che ti devi scusare con Laurence: se l’è presa perché hai scelto me e non lui come secondo. Ultimamente mi lancia sempre delle occhiatacce».
Teddy sospirò e annuì.
«Gazza è stato tanto terribile oggi?» chiese Enan.
«Come al solito» replicò Teddy.
«Hai risposto alla lettera del tuo padrino?».
Teddy gli lanciò un’occhiataccia e scosse la testa. «No, non lo farò».
«Teddy, ragiona».
«No! Mi hanno mentito».
«Gli adulti non ritengono di doverci dire la verità» borbottò Mark mancando per un soffio la biglia di Enan.
«Alle volte lo fanno per proteggerci» disse Enan, che odiava dover essere la voce giudiziosa della compagnia. «E poi non ti hanno propriamente mentito, si tratta di un’omissione».
«Sai che differenza» borbottò Teddy.
«Fa eccome differenza» insisté Enan. «Neanche mia mamma mi ha detto chi è mio padre e, quando lo scoprirò, non l’accuserò di avermi mentito».
«Non è la stessa cosa».
«Lo è» s’intestardì  Enan.
Teddy sbuffò. «Come vuoi, ma io non sono d’accordo. Ho, però, intenzione di chiedere scusa a Neville… Ora vado a letto, buonanotte».
Enan e Mark ricambiarono, ma si trattennero ancora un po’ a giocare.
Enan si sdraiò dopo un po’, ma rimase a fissare il soffitto: i pensieri che aveva tentato di scacciare fino a quel momento, gli si affollarono nelle mente. Le ricerche in biblioteca non avevano dato ancora alcun esito, nonostante l’aiuto di Elly: c’erano fin troppi giornali e riviste del 1998; in più era probabile che qualunque cosa riguardasse McBridge non fosse in prima pagina, perciò erano costretti a leggere ogni articolo ed era un lavoro lungo e tedioso. Inoltre Thomas Mulciber stava diventando una fissazione: perché era identico a lui? Era mai possibile che fosse solo una coincidenza e che la teoria dei babbani sull’esistenza dei sosia fosse veritiera? Doveva parlargli, decisamente era l’unica soluzione. Presa quella decisione, si abbandonò a un sonno agitato.
La mattina dopo Enan si sentiva uno straccio e aveva tutto tranne che voglia di andare a lezione.
«A che ora siete andati a letto?» chiese Teddy sospettoso.
Mark si strinse nelle spalle. «Appena abbiamo finito la partita. Neanche un quarto d’ora dopo di te».
«Ho fatto fatica ad addormentarmi» spiegò Enan sbadigliando.
Teddy gli rivolse un’occhiata solidale prima di entrare nell’aula di Trasfigurazione.
Per Enan fu un’ora lunghissima, perché non riuscì proprio a concentrarsi e la Macklin lo richiamò più volte.
«Beh, ora abbiamo Difesa contro le Arti Oscure, non è che sia meglio» borbottò Charis.
«Grazie, ora mi sento meglio» sbuffò Enan, il quale però aveva in testa soltanto Thomas Mulciber e quasi si fiondò in classe. Nessuno prestava attenzione durante le ore di McBridge, perciò Enan non ebbe difficoltà ad affrontare il Serpeverde. «Mulciber, dobbiamo parlare» annunciò voltandosi.
«Io e te?» replicò annoiato il ragazzino, ma sembrava contento di avere una qualsiasi distrazione.
«Certo» sbottò Enan tentando di mantenere il tono basso. «Siamo identici, te ne sei accorto?». Andò dritto al punto, non amava i giri di parole. Mulciber smise di scarabocchiare il banco e lo fissò. «Che sei scemo l’avevo capito, ma non fino a questo punto» lo provocò Enan.
«Me ne sono accorto» replicò laconicamente Mulciber continuando a fissarlo.
«E ti sei chiesto perché?» insisté Enan.
«Certo».
«E?». Enan si chiese se l’altro si comportasse in quel modo con uno scopo preciso o fosse solo stupido.
«Cosa?» replicò Mulciber.
Enan era sul punto di scoppiare. «Come cosa? Voglio sapere perché, tu no?».
«McBridge vi sta guardando» bisbigliò Edith Yaxley che trovava la loro discussione un ottimo diversivo.
«Sì, lo voglio sapere».
«I tuoi non ti hanno detto nulla?».
«Mio padre è in carcere» replicò Mulciber come se fosse ovvio. «E non ho mai conosciuto mia madre».
Enan deglutì: Mulciber non aveva mai conosciuto sua madre, era solo un caso?
«E con chi vivi?»c chiese la Yaxley curiosa.
«Con i miei zii» rispose Mulciber.
«Che cosa ti hanno risposto quando hai chiesto di tua madre?» domandò Enan sentendo la gola secca e il cuore accelerare il battito.
«Per un po’ hanno ignorato la domanda, poi mio zio mi ha detto che non poteva rispondere».
«Perché?».
«Perché così ha deciso mio padre, a quanto pare».
«E non hai provato a cercare dei documenti? Che so, il certificato di nascita?».
«No» ammise Mulciber. «Tu?».
«Sì, ma mio nonno mi ha beccato e si arrabbiato un sacco perché ho messo le mani nei suoi documenti. Gli ho spiegato che volevo vedere il certificato, ma lui mi ha detto di non averlo: la mamma non l’ha portato con sé». Enan sospirò, ricordava bene quell’episodio: suo cugino Evander l’aveva pesantemente deriso perché non si sapeva di chi fosse figlio e lui aveva deciso che l’avrebbe scoperto.
«Allora indagate» suggerì la Yaxley. «Insomma tu» e indicò Enan, «non hai mai conosciuto tuo padre e tu», qui indicò Mulciber, «non hai mai conosciuto tua madre. È logico che c’è qualcosa sotto, sono troppe coincidenze».
«Puoi farti gli affari tuoi?» chiese Mulciber alla compagna di Casa.
«Indagheremo» rispose invece Enan. «Vero?» aggiunse rivolto a Mulciber.
«Ok, va bene».
«Dovreste partire dalle basi. Dove e quando siete nati?» s’intromise ancora la Yaxley.
«15 marzo 1998 a Londra» rispose Mulciber.
Enan lo scrutò sempre più turbato. «Anch’io sono nato il 15 marzo a Londra».
Rimasero in silenzio per il resto dell’ora: Enan aveva scoperto anche più di quanto si aspettasse. La parola ‘gemelli’ lo perseguitò per tutta la lezione.
Alla fine dell’ora Enan raccolse i libri velocemente e li lanciò nello zaino. Aveva assolutamente bisogno di prendere una boccata d’aria, magari avrebbe anche saltato la lezione di Volo per seguire di nascosto una di quelle di Hagrid.
Le urla e gli schiamazzi dei suoi compagni, però, lo costrinsero a voltarsi proprio mentre stava per fiondarsi fuori dall’aula.
Enan sgranò gli occhi incredulo per la scena che gli si profilò davanti: Mark non riusciva a staccarsi dalla sedia, letteralmente. Teddy e Charis l’avevano raggiunto; Charlie e Zoey inveivano contro i Serpeverde. Il professor McBridge li ignorò e lasciò l’aula come se nulla fosse. Perché godeva tanto a veder Mark umiliato? Non poteva esserci alcun motivo valido nel loro passato che giustificasse un simile comportamento.
«Aspetta, ti aiuto» intervenne Ning Li.
Teddy, furioso, gli puntò contro la bacchetta.
«Diffindo» disse Dolohov approfittando della distrazione di Teddy.
L’incantesimo squarciò la divisa di Mark, creando un vero e proprio buco dal quale si vedevano un paio di slip colorati. L’intera classe scoppiò a ridere. Mark divenne rosso in viso e rimase immobile.
Teddy lo prese per un braccio e lo trascinò fuori dall’aula, mentre Charlie minacciava vendetta.
Enan sospirò e li seguì.
 
*
 
Nei giorni successivi tutta la Scuola venne a conoscenza dello scherzo dei Serpeverde ai danni di Mark, che dovette sopportare le prese in giro non sono dei suoi compagni ma anche di studenti più grandi. Elly, profondamente dispiaciuta, se ne lamentò con il professor Vitious, che, però, non poté aiutarli non avendo altre prove oltre la loro parola. L’unico che avrebbe potuto prendere provvedimenti era McBridge, ma naturalmente negò tutto.
Charlie era abbastanza furiosa per quella situazione e, naturalmente, si prodigò per organizzare una vendetta: questa volta anziché agire impulsivamente accettò l’aiuto di Teddy, Enan, Zoey e Charis.
«Sei sicura che funzionerà?» chiese Charlie a Zoey. Si trovavano nascoste dietro un arazzo vicino al bagno dei Prefetti. Quel giorno non sarebbero stati solo i Serpeverde a provare la furia dei Tassorosso.
«Sì, l’ho visto fare un sacco di volte nei film».
In quei giorni avevano studiato bene le abitudini di Fabian Brown e finalmente avrebbero colpito: Charlie odiava l’attesa.
All’improvviso percepirono dei passi sempre più vicini e poi delle voci.
«Eccoli» sussurrò eccitata Zoey. «Finalmente l’abbiamo beccato».
In effetti quello era il terzo appostamento della settimana. Fabian Brown aveva l’abitudine di recarsi nel bagno dei Prefetti con delle ragazze, almeno un paio di volte alla settimana.
Charlie annuì e sbirciò dietro l’arazzo: era proprio lui in compagnia di una bionda. Li osservarono mentre entravano nel bagno. Dopo una decina di minuti uscirono anche loro allo scoperto.
L’ingresso al bagno dei Prefetti avveniva solo dopo aver pronunciato una parola d’ordine, che Enan aveva ottenuto da suo cugino Artek. Di certo Charlie non avrebbe potuto chiederlo a suo fratello James; né Mark a sua sorella, sebbene per ragioni differenti.
«Barnaba» sussurrò Charlie e la porta si aprì. Le due entrarono il più silenziosamente possibile. Il bagno era in penombra.
«Oh, che romantico» sussurrò Zoey.
Charlie simulò un conato di vomito. Per tutto il perimetro della vasca c’erano una serie di candele profumate, unica fonte d’illuminazione del bagno. I due ragazzi, immersi nell’acqua, davano loro le spalle.
Zoey indicò i vestiti gettati alla rinfusa sul bordo della vasca.
Charlie annuì e le fece cenno di tacere, poi estrasse la bacchetta e sussurrò: «Wingardium Leviosa».
I vestiti si sollevarono, ma non si mossero verso di loro. Charlie imprecò mentalmente. Compì qualche passo avanti e li prese, poi tornò immediatamente nella parte in ombra.
Le due ragazzine uscirono dal bagno e si nascosero nuovamente dietro l’arazzo. Ora dovevo solo attendere.
Era quasi l’una e mezza quando un’insonnolita Charlie notò la testa di Fabian Brown far capolino fuori dalla porta. Che stesse verificando se potessero uscire anche nudi? Trattenne a stento una risata: considerata la sua fedina penale, probabilmente sarebbe stato espulso se fosse stato beccato non solo in giro dopo il coprifuoco, ma anche completamente nudo.
Scosse Zoey che si era appisolata e insieme si palesarono. Dovevano fare in fretta per non essere beccate e dedicarsi alla seconda parte della loro missione.
«Ciao, Fabian» cinguettò Charlie come se nulla fosse. Il Grifondoro sgranò gli occhi. «Hai perso qualcosa?».
Fabian Brown ringhiò comprendendo subito di essere vittima di uno scherzo. «Restituiscimi i vestiti, immediatamente».
«A un patto» disse Charlie, delusa di non poter giocare ancora con lui.
«Quale?».
«Non chiederai più nulla a me e Sam Fields».
«E va bene, accidenti a quando ho fatto affari con te».
«Ottimo» commentò Charlie. «Ecco a voi». Lanciò i vestiti che si sparpagliarono nel corridoio.
Fabian Brown imprecò sonoramente e le due Tassorosso scapparono via scosse da risate non del tutto silenziose.
Charlie e Zoey si nascosero dietro un arazzo finché non si furono calmate.
«Un’idea meravigliosa» disse Charlie.
«Già, ma sarebbe stato molto meglio in pieno giorno».
Charlie ridacchiò e tirò fuori un plico di fogli dallo zaino, che aveva portato con sé. «Forza, distribuiamo questi e poi andiamo a dormire».
Il più velocemente possibile, in quanto entrambe molto stanche, affissero i fogli in tutta la scuola: nelle aule, nei corridoi e in Sala Grande addirittura li distribuirono sui tavoli degli studenti e su quello dei professori.
Quella mattina Hogwarts si sarebbe svegliata tappezzata dell’immagine di Antonin Dolohov a testa in giù con tanto di mutande a cuoricini.
 
*
 
Charis sospirò e strinse la cinghia dello zaino.
«Tutto bene?».
La ragazzina s’illuminò all’arrivo di Shawn. Il Grifondoro era con i suoi compagni, ma fece loro segno di entrare in Sala Grande e si fermò con lei.
«Insomma».
«Che è successo?» s’informò Shawn.
«Non hai visto il disegno di Dolohov?».
Il Grifondoro scoppiò a ridere: «Sicuro! La scuola è tappezzata».
«L’ho fatto io» confessò la Tassorosso.
Shawn la fissò sorpreso per qualche secondo, poi sorrise. «Cavoli, sei ancora più brava di quanto credessi».
«Non credo che mio zio sarebbe felice di ricevere una nuova lettera dalla McGranitt».
Shawn si chinò su di lei. «Ma dai, come potrebbero scoprire che sei stata tu?».
Charis si strinse nella spalle. «Non lo so, ma ho paura».
Shawn si mordicchiò il labbro, poi disse: «Senti, possiamo fare così: parlo con Austin, lui è un Prefetto, saprà senz’altro che cosa sanno o non sanno i professori e, in caso, può confondere le acque… comunque Dolohov se lo meritava».
Charis gli fu grata per la sua gentilezza e disponibilità, gli scoccò un bacio sulla guancia  e corse via.
Quel pomeriggio sul tardi la Tassorosso si recò nella Sala Ingresso, dove l’attendevano già Diana Webster, l’amica di Teddy, e Brian McCallister, Prefetto di Corvonero che si era proposto di aiutarle. Charis salutò timidamente e si avviarono insieme.
«È gentile da parte tua» disse Diana al Prefetto.
«Non ho di meglio da fare» replicò il ragazzo stringendosi nelle spalle.
«Non devi studiare per i G.U.F.O.?».
«Manca ancora molto» disse Brian.
Non dissero più nulla finché non raggiunsero la Sala Trofei. I tre ragazzi guardarono ogni trofeo sperando di vedere il nome del loro professore spuntare da qualche parte.
«Oh, ma questo è il padrino di Teddy?» chiese sorpresa Diana indicando una targa.
Charis si avvicinò e lesse l’iscrizione: Harry Potter e Ron Weasley per i Servigi Resi alla a Scuola. 1993.
«Sì, Harry Potter» disse Brian. «Forza, controlliamo il registro dei Prefetti e Capiscuola».
«E in che anno sarà stato studente McBridge?» chiese Diana.
«Controlliamo dalla seconda metà del ‘900 in poi» disse Brian.
Effettivamente, con molta pazienza, scoprirono che McBridge era stato Prefetto all’inizi degli anni ’70.
«Non so a che cosa vi possa servire però» sbuffò Brian.
Diana e Charis si strinsero nelle spalle e lo ringraziarono per il suo aiuto.
Quella sera Charis si attardò in Sala Comune a disegnare, Charlie e Zoey erano simpatiche, ma erano anche molto rumorose. La Sala si svuotò lentamente, ma lei non ci fece troppo caso. A mezzanotte passata, però, un rumore improvviso la spaventò. Si voltò verso l’ingresso e, sorpresa, vide Teddy trascinarsi fuori dal tunnel.
Il ragazzino cadde in avanti imprecando.
«Che ti è successo?». Charis corse da lui.
«Incantesimo delle Pastoie» sospirò Teddy pallido e visibilmente stanco.
Charis si accigliò: aveva riconosciuto l’incantesimo, quello che non tornava era ben altro. «Chi è stato?». Non era anormale vedere dei ragazzini impastoiati per i corridoi, molti lo trovavano divertente, ma Teddy, in teoria, aveva trascorso le ultime ore insieme al custode della Scuola, Argus Gazza.
«Dolohov, naturalmente» sbuffò Teddy. «Ha approfittato di una momentanea assenza di Gazza, al quale non è fregato niente della mia situazione».
Charis sospirò, ben sapendo quanto il custode odiasse gli studenti.
«Ehm, Charis, conosci il controincantesimo?» chiese Teddy imbarazzato e le sue guance si colorarono leggermente di rosso.
«Oh, sì, me l’ha insegnato Shawn… quando l’hanno usato contro di me…». Fu il suo turno di sentirsi imbarazzata, poi, per darsi un contegno, estrasse la bacchetta e pronunciò il giusto incantesimo.
«Grazie» mormorò Teddy sgranchendosi le gambe.
 
 
*
 
 
«Che hai?» chiese Charlie.
«No, niente».
Charlie fissò Zoey accigliandosi: la sua amica era strana da qualche giorno, ogni tanto la sorprendeva a guardare fuori dalla finestra o nel vuoto con un’espressione triste. Non riusciva a comprenderne il motivo però. «Sicura?».
«Sì, sì» replicò Zoey evitando il suo sguardo.
«Sul serio? E dai, che ti prende?» insisté Charlie.
Zoey sospirò. «Le mie amiche non hanno risposto a nessuna delle mie lettere fino a ora. Le ho mandate ai miei e ho chiesto loro di consegnargliele… Non è servito a nulla… Mi manca tanto casa…». Non avrebbe voluto confessarglielo e se n’era già pentita: e se se la fosse presa? Non voleva perdere anche lei.
Charlie divenne pensierosa. «Sono solo delle stupide. Insomma la magia è una cosa forte, no? Dovrebbero essere contente per te».
Zoey si strinse nelle spalle e con un sospiro fissò il professor Vitious che stava spiegando.
«Che facciamo per vendicarci di Dolohov? Non avrebbe dovuto attaccare Teddy».
«Da quando siete così amici?».
«Facciamo parte della stessa Casa, la nostra seconda famiglia, no?» bofonchiò Charlie.
Zoey sorrise, felice di distrarsi dai brutti pensieri. «Non saprei, l’abbiamo già umiliato una volta. Attacchiamo uno dei suoi?».
«Mulciber?».
«Magari Ning Li, è un lecchino».
Charlie s’illuminò. «Hai ragione, sarà lui la nostra vittima».
«Hai qualche idea?».
«No» ammise Charlie.
Rimasero in silenzio per un po’, fingendo di seguire la lezione.
«Forse ho un’idea» disse Zoey uscendo dalla classe.
«Ottimo, sono tutta orecchi».
«Alexis Becker ha chiuso Mark in un bagno sul treno, secondo te quello schizzinoso di Ning Li quanto apprezzerebbe?».
Charlie scoppiò a ridere. «Va bene, ma lo chiudiamo nel bagno delle ragazze».
«Semplice, ma geniale» concordò Zoey. «Ma come lo attiriamo lì?».
Charlie ci pensò su un attimo e rispose: «Facciamoci aiutare dai ragazzi».
«Enan» disse Zoey. «Non credo che Teddy e Mark collaborerebbero».
«Già, hai ragione».
Le ragazzine raggiunsero il compagno e lo convinsero a parlare lontano da orecchie indiscrete.
«Che intenzioni avete?» chiese sospettoso Enan.
Charlie gli raccontò tutto.
«Non vuoi vendicare Teddy?» lo provocò Zoey. «Se lo meritano».
«Anche per come trattano Mark».
«Ok, va bene» assentì Enan. «Come faccio ad attirarlo in bagno?».
«Questo è un problema tuo» replicò Charlie. «Mica possiamo fare sempre tutto noi».
Enan alzò gli occhi al cielo e annuì.
«Bene, ci vediamo tra un po’».
Le due ragazzine assentirono e andarono a nascondersi in uno dei cubicoli del bagno del primo piano. Nemmeno cinque minuti dopo Enan entrò correndo, seguito proprio da Ning Li, e lanciò nel gabinetto qualcosa.
«Accidenti, Macfusty! Questa me la pagherai cara!».
Enan si fece da parte per lasciar passare il Serpeverde; a quel punto le ragazzine uscirono allo scoperto e Charlie chiuse a chiave il bagno.
«Ehi!» gridò indignato Ning Li.
«Salutaci, Dolohov» replicò Charlie.
«Quando uscirai da lì» aggiunse Zoey.
Tutti e tre scoppiarono in una sonora risata e scapparono via.
Zoey, per la felicità di Charlie, tornò a sorridere, anche se non aveva ancora dimenticato le sue amiche e la nostalgia la coglieva soprattutto la notte. Qualche sera dopo lo scherzo a Ning Li, fu costretta a trattenersi in Sala Comune per terminare i compiti con l’aiuto di Mark. Stranamente Charlie e Charis erano sparite subito dopo cena.
«Aspetta, non abbiamo finito» borbottò Mark.
Zoey sbuffò. «Ma che dici? Certo che abbiamo finito».
«Ma potremmo anticipare i compiti per dopodomani».
«Sei impazzito?» sbottò Zoey. «Sono le dieci di sera».
Mark balbettò.
«Mi nascondi qualcosa?».
«N-no».
«Sì, non sai mentire!».
«Oh, ti prego, Charlie mi ha minacciato» bofonchiò il ragazzino.
Zoey si accigliò: allora era vero! Le sue compagne le stavano nascondendo qualcosa! «Buonanotte, Mark» sbottò la ragazzina, lasciando il compagno intento a borbottare qualcosa sul fatto che Charlie lo avrebbe ucciso. Zoey  corse nella sua stanza e aprì la porta con veemenza, ma rimase a bocca aperta. Charis e Charlie avevano coperto il pavimento con i patchwork dei letti e sopra vi avevano appoggiato dei cuscini; di lato vi era una quantità sorprendente di dolci e patatine.
«Cosa?».
«Sorpresa!» disse Charis con il suo sorriso timido.
Charlie alzò gli occhi al cielo. «Mark non è stato capace di trattenerti ancora un po’».
«Mi ha proposto di anticipare i compiti» ridacchiò Zoey tentando di comprendere che cosa stesse accadendo.
Charlie si sbatté una mano in faccia. «Che incapace!».
«Dai, lui ci ha provato» lo difese Charis. «E poi eravamo pronte».
«Mi occuperò di lui domani» concesse Charlie, poi sorrise a Zoey. «Sorpresa».
«Non capisco» confessò Zoey.
«Visto che ti manca casa, ho pensato di fare qualcosa che facevi con le tue vecchie amiche».
Zoey era senza parole.
«Ho chiesto aiuto a quelle tue amiche Corvonero Nate Babbane, mi hanno detto che i pigiama party sono forti».
«Abbiamo fatto del nostro meglio» aggiunse Charis.
Zoey scoppiò in lacrime e le abbracciò di slancio.
«Quindi sei contenta?» chiese Charlie perplessa.
«Sì, lo è. A volte la gente si commuove» le spiegò Charis pazientemente facendo ridacchiare le altre.
«È una sorpresa magnifica».
 
 
*
 
 
Mark si aggiustò la cravatta, tentando di sembrare più presentabile di quant’era in realtà. Aveva appena finito di fare i compiti con Charis e Teddy e, nonostante la stanchezza, lo attendeva una lezione con il professor Vitious. Ormai era meno imbarazzato rispetto alla prima volta, ma lavorare sulla concentrazione, basilare per chiudere la mente e controllare il suo potere, era molto difficile. Si avviò lungo il corridoio piuttosto affollato, d’altronde mancava ancora un’ora al coprifuoco e i ragazzi più grandi avevano avuto la gita a Hogsmeade. Nel castello si respirava aria natalizia e professori e Prefetti avevano iniziato a decorarlo. Nei giorni precedenti vi era stata anche la prima nevicata e faceva sempre più freddo. Il sopraggiungere del Natale, però, aveva portato con sé un ulteriore cruccio per Mark: il loro Direttore pretendeva di sapere se sarebbero rimasti o meno a Hogwarts per le vacanze e Mark non sapeva come comportarsi. Una parte di lui era conscio che avrebbe dovuto trascorrere il Natale con la sua famiglia; ma Alexis lo odiava, suo padre era arrabbiato con lui e il ragazzino dubitava che avrebbero festeggiato molto diversamente rispetto agli anni precedenti. Hogwarts lo attirava moltissimo. Nel dubbio aveva scritto al padre, magari questa sarebbe stata la volta buona che gli avrebbe risposta, dopotutto, non considerando la strillettera – e lui voleva dimenticarla -, non gli aveva mai scritto da settembre.
All’improvviso uno spintone lo fece cadere, alzò il viso e incrociò lo sguardo divertito di Mulciber. Enan gli aveva raccontato che finalmente era riuscito a confrontarsi con il Serpeverde, ma quest’ultimo non sembrava minimamente cambiato, anzi sembrava più arrabbiato e cattivo del solito.
«Oh, Becker, non riesci nemmeno a stare in piedi».
Non era la prima volta che Dolohov lo derideva davanti a tutti e subito intorno a loro si radunarono gli studenti presenti, pronti a divertirsi un po’ ai danni del Tassorosso.
Mark fece per rialzarsi, ma Mulciber lo spinse di nuovo sul pavimento di pietra.
«Stai giù, quelli come te devono strisciare» sibilò Dolohov.
Il Tassorosso non replicò: alla Scuola babbana era molto peggio ed erano anni, ormai, che aveva rinunciato a reagire.
«Hai fatto la doccia oggi, Becker?» chiese Ning Li ghignando.
Mark deglutì consapevole che il Serpeverde non desiderasse altro che vendicarsi per lo scherzo subito pochi giorni prima. Tacque ancora: non si aspettavano veramente una risposta e, comunque, l’avrebbero deriso qualunque cosa avesse detto.
«Aqua eructo» pronunciò Ning Li.
Uno spruzzo d’acqua colpì in pieno Mark che finì contro il muro. Il ragazzino tossì e respirò affannosamente. Come conosceva quell’incantesimo?
Qualcuno strillo, ma gli altri risero divertiti.
«Che succede qui?».
Una vocetta stridula ben nota si levò al di sopra della confusione e tutti scapparono via. Come sempre. L’unico miglioramento rispetto alla scuola babbana era stato che gli insegnanti – McBridge escluso naturalmente – non se la prendessero con lui per partito preso e lui in quel momento era palesemente la vittima.
Mark evitò l’occhiata indagatrice del professor Vitious e si alzò per darsi un contegno – anche se, bagnato com’era, era ben difficile.
«Sono stati Dolohov e i suoi amici?» chiese il professore continuando a scrutarlo.
Mark chinò il capo e disse: «Non fa niente».
Vitious sbuffò: «Questo dovrei stabilirlo io». Poi puntò la bacchetta contro di lui e con un soffio d’aria calda lo asciugò in pochi minuti. «Vieni».
Mark lo seguì in silenzio e prese posto sulla solita sedia di fronte alla scrivania, mentre il professore faceva altrettanto arrampicandosi su una pila di cuscini.
«Quanto durerà ancora questa storia?». Il Tassorosso fissò il professore: di che parlava? «Allora?».
«Non ho capito, signore» mormorò incerto Mark.
«Secondo te, noi insegnanti non ci siamo accorti che voi Tassorosso avete intrapreso una gara di dispetti – se possiamo chiamarli così – con i Serpeverde nelle ultime settimane?».
Mark ricambiò lo sguardo sorpreso dalle sue parole. Che avrebbe dovuto rispondere? In realtà non si era posto nemmeno il problema, il suo obiettivo era tenere la testa bassa, evitare Alexis e sopravvivere. Naturalmente era perfettamente conscio delle intenzioni bellicose di Charlie, Zoey ed Enan, ma non aveva riflettuto su quali avrebbero potuto essere le conseguenze nel tempo: dopotutto gli insegnanti il più delle volte non avevano nemmeno scoperto i colpevoli.
«Non lo so» mormorò il ragazzino, sperando che non insistesse.
Il professor Vitious sospirò. «Dì ai tuoi amici che vi stiamo osservando e che nessuno si vendichi di quello che è accaduto prima. Questa situazione deve finire adesso o non vi piaceranno le conseguenze». Era strano vedere Vitious tanto serio, perciò Mark deglutì spaventato e annuì. «Bene, mettiamoci al lavoro».
 
*
 
 
Teddy fissò la porta incerto. Sapeva di doverlo fare e avrebbe dovuto farlo molto prima: però all’inizio era troppo arrabbiato e scosso, poi era subentrato l’imbarazzo. Prese un bel respiro e si decise a bussare.
«Avanti».
Per un attimo aveva sperato che non ci fosse nessuno, invece doveva farsi coraggio. Aprì la porta e fece capolino all’interno. «Ciao» sussurrò. «Se ti disturbo, me ne vado» disse con tono sommesso.
Neville Paciock lo scrutò per un attimo, poi sorrise. «Entra, Teddy».
Il ragazzino obbedì e chiuse la porta dietro di sé. Si avvicinò alla scrivania e qui dondolò mordicchiandosi il labbro.
«Siediti» lo invitò Neville.
«Non posso stare molto, mi… mi aspetta Gazza…» borbottò distogliendo lo sguardo e pentendosi delle sue parole.
«Come posso aiutarti?» chiese gentilmente Neville ignorando il suo imbarazzo.
«I-io» iniziò il ragazzino. «Io ti chiedo scusa».
Neville sorrise dolcemente. «Teddy».
«No, sul serio. Mi vergogno per quello che è successo quella notte. Le parole di Dolohov mi hanno reso cieco, non volevo che… insomma, mi dispiace per quello che ti ha detto…».
Neville si grattò la testa e sospirò. «Già, quella notte hai esagerato, però comprendo benissimo il tuo stato d’animo».
«Anche tu sai quello che si prova, vero?» azzardò Teddy. Non aveva fatto altro che rimuginare su quello che aveva scoperto da quando era arrivato a Hogwarts.
Neville s’incupì. «Diciamo di sì».
«Tu non provi il desiderio di vendicarti? Io non riesco più nemmeno a guardare Dolohov… vorrei…».
«Cosa?» lo interruppe Neville con durezza.
«Vendicarmi».
«Pensavo fossi pentito!».
«È cattivo, non merita perdono».
Neville sbuffò. «Non è così che funziona».
«Però il professor McBridge odia Mark e non lo nasconde! Non vedo perché se lo dico io non va bene».
«Ma non va bene nemmeno il comportamento di McBridge!» sbottò Neville arrabbiandosi.
«Lo so che Mark non ha colpa di qualunque cosa abbiano fatto i suoi familiari, ma Mark è buono, Dolohov no».
«E chi sei tu per decidere chi è buono e chi è cattivo, eh? Da quando sei diventato giudice?».
Teddy deglutì: quella situazione aveva preso una piega decisamente inaspettata. «I miei genitori hanno dato la loro vita contro quelli come Dolohov».
«Sei solo un ragazzino che si riempie la bocca di parole più grandi di lui». Teddy fu profondamente colpito da quelle parole e dall’asprezza con cui erano state pronunciate. Strinse i denti e si alzò: non aveva nessuna intenzione di continuare quella conversazione.  «Dove vai?».
«Me ne vado» replicò Teddy in tono sostenuto.
«E con quale permesso? Sono pur sempre il tuo insegnante e pretendo rispetto. Torna a sederti».
Teddy gli rivolse un’occhiata incredula e confusa. «Io non…».
Neville sospirò per l’ennesima volta. «Scusami, non volevo essere troppo severo. Il punto è che le guerre sono brutte, fattelo dire da chi ne ha vissuta una… Non va bene questa rabbia che ti porti dentro. Hai parlato con Harry?».
«No, con lui non ci parlo».
«Teddy, ragiona. Il tuo padrino sa…».
«Lui si è vendicato. Lui l’avrebbe fatto alla mia età, invece mi ha rimproverato proprio come la nonna!». Ecco la verità: non era soltanto per le omissioni che era arrabbiato, ma anche per la reazione di Harry. «Ron me l’ha detto: quando Harry pensava che Sirius Black avesse tradito i suoi, l’ha attaccato senza bacchetta magica… a mani nude… E, ora, viene a fare la morale a me!».
Neville sbuffò: se Hermione avesse saputo che ancora una volta Ron aveva parlato a sproposito, si sarebbe infuriata. «Il fatto che Harry si sia comportato in un determinato modo, non significa che sia giusto. È il tuo padrino e tu lo adori, è normale, ma anche lui commette degli errori».
«Ma non è stato punito per quello che ha fatto».
Preso in contropiede, Neville boccheggiò e si passò una mano sul volto. Colpito e affondato! «Giusto» non poté fare a meno di affermare. «Sai che fai? A Natale farglielo presente».
Teddy sorrise vedendo che Neville non era più arrabbiato come prima.
«Quindi posso non andare da Gazza?».
Neville sventolò un dito davanti al suo volto. «Molto furbo, molto. Secondo me, però, la punizione ti fa bene e, se pensi che sia ingiusto, potresti sempre chiedere a Harry di venire ad aiutarti. Vuoi che gli scrivo?».
«Se venisse ad aiutarmi, ci farei pace».
Entrambi ridacchiarono e Neville gli porse una mano. «Sei molto intelligente, promettimi che penserai a quello che ti ho detto».
«Va bene» assentì il ragazzino stringendogli la mano.
«C’è altro che ti preoccupa? Sappi che, finché non farai pace con Harry, puoi contare su di me».
«Grazie» disse sinceramente Teddy. «In verità sono preoccupato per Mark, il professor McBridge è veramente cattivo».
Neville si accigliò. «Che cosa fa di preciso durante le sue ore?».
Teddy cominciò a raccontare, ma a un certo punto fu interrotto dal professor Lumacorno che entrò nell’ufficio senza neanche bussare.
«Neville, vieni per favore».
«Che è successo?» chiese perplesso il professore.
«Vieni. Scusaci, Teddy».
Il ragazzino annuì e seguì fuori i due insegnanti.
«Ehi, Teddy». Si voltò verso Enan che era apparso improvvisamente alle sue spalle, probabilmente fino a qualche secondo prima era stato nascosto dietro un arazzo. «Ti stavo cercando».
«Perché?».
«Charis è in infermeria».
«Cosa? Che ha?».
«Dolohov e i suoi se la sono presa con lei, mentre era in biblioteca. Quanto meno alcuni ragazzi del quarto anno dicono di aver visto dei ragazzini di Serpeverde sul posto, i professori stanno indagando. Madama Pince è furiosa».
«Che le hanno fatto?».
«Hanno incantato dei libri – probabilmente Ning Li – e i libri l’hanno attaccata. Un volume particolarmente pesante l’ha presa in testa e lei ha perso conoscenza».
Teddy sgranò gli occhi. «Come sta?».
«Non lo so, andiamo a vedere».
Madama Chips non li fece entrare, affermando che Charis avesse bisogno di riposo e calma, ma li rassicurò sulle condizioni dell’amica.
«Ma perché?» non poté fare a meno di chiedersi Teddy.
«Perché cosa?» replicò Enan.
«Noi non ci siamo vendicati dello scherzo a Mark, abbiamo seguito l’avvertimento di Vitious».
«Ma a loro mica interessa» sospirò Enan. «Piuttosto avranno pensato che ci fossimo arresi e che era il momento del colpo di grazia. Te lo dico io, da domani se ne andranno in giro trionfanti».
Teddy annuì. «E noi?».
«Non lo so» ammise Enan. «Ma stanno per iniziare le vacanze e non ci conviene metterci nei guai adesso o i nostri familiari ci faranno a pezzi, altro che regali».
«Già. Non voglio pensare all’accoglienza che mi riserverà la nonna» bofonchiò Teddy. «Che avete scoperto su McBridge?».
«Poco» confessò Enan. «Odio le ricerche in biblioteca, quel posto sa di chiuso. Mark è sempre impegnato a studiare o con le lezioni extra di Vitious. Charis non può fare tutto da sola».
«Mi dispiace non essere stato d’aiuto».
«Tranquillo, un periodo no capita a tutti» replicò Enan dandogli una pacca sulle spalle.
«Grazie, Enan».
 
*
 
Nevicava ancora. Presto l’intero parco sarebbe stato ricoperto da una bianca coltre di neve. Un gruppo di ragazzini, a occhio dei primi anni, si stava sfidando in una battaglia di palle di neve. Sfiorò il vetro della finestra e sorrise leggermente: l’eco gioioso delle loro risate arrivava fin lì. Si strinse lo scialle scarlatto al petto e sospirò: la tranquillità e la spensieratezza di quei ragazzi dipendevano anche da lei durante il periodo scolastico e, Merlino solo lo sapeva, quanto a volte fosse difficile.
Qualcuno bussò. Lei si ricompose e si allontanò dalla finestra. «Avanti» disse, poi prese posto dietro la scrivania ingombra di carta.
Dieci ragazzini entrarono e salutarono sommessamente.
«Ci ha fatto chiamare, professoressa McGranitt?» chiese il Serpeverde dai tratti orientali. Minerva ricordava perfettamente il suo nome, Ning Li, e sapeva che il padre era un eminente membro del Ministero cinese, di stanza a Londra. Non aveva mai parlato con lui. I suoi colleghi, specialmente Horace Lumacorno, le avevano riferito che era un ragazzino di talento, ma che palesemente avesse già iniziato la sua educazione magica prima di recarsi a Hogwarts.
«Sì, signor Ning Li» replicò asciutta continuando a scrutarli attentamente. Accanto a Ning Li, vi erano gli altri Serpeverde: Antonin Dolohov, il leader del gruppo, Thomas Mulciber ed Edward Burke. I Tassorosso si erano radunati dalla parte opposta. «Immagino che sappiate il motivo della vostra convocazione». I ragazzi azzardarono delle occhiate l’un l’altro; Teddy Lupin fulminò Dolohov, che, però, rimase impassibile. Minerva era ben conscia di che cosa frullasse per la mente del giovane Tassorosso in quel momento: se fossero stati soli, avrebbe accusato il Serpeverde per la situazione in cui si trovavano. «Allora?» insisté tentando di far appello a tutta la sua pazienza.
«P-per g-gli s-scherzi che ci siamo scambiati nelle ultime settimane» balbettò Mark Becker.
Minerva l’osservò con attenzione: i capelli castani gli ricadevano disordinatamente sulla fronte, i suoi occhi erano sgranati e impauriti e aveva delle occhiaie non troppo profonde; in generale sembrava meno fragile di quando era arrivato a settembre, ma era ancora molto vulnerabile, si vedeva e, Filius, il docente che aveva più confidenza con lui in quel momento, gliel’aveva confermato. Doveva ammettere che quel ragazzino la incuriosiva e non poco: un legilimens naturale era certamente qualcosa di straordinario e lui sembrava di buon cuore, toccava alla Scuola guidarlo in modo che usasse i suoi poteri al meglio. «Grazie, signor Becker. Non credevo di aver posto una domanda difficile, dopotutto».
«Ma noi non abbiamo fatto nulla» si lamentò all’istante Charlie Krueger. «Sono stati loro a mandare in infermeria Charis».
Minerva alzò una mano per fermare la replica di Ning Li e si rivolse alla Tassorosso. «Purtroppo, la signorina Williamson non ha visto i suoi aggressori e non posso prendere provvedimenti in merito».
«Ma lo sanno tutti che…».
«Come sta, signorina Williamson?» chiese la McGranitt ignorando Charlie.
«Bene, grazie» rispose timidamente Charis.
La Preside annuì. Quella ragazzina era molto timida, ma altrettanto talentuosa da quello che le era stato riferito. Conosceva perfettamente Adam Williamson e più volte l’uomo le aveva già scritto mostrandosi preoccupato per la nipote.
«Se non puo’ stabilire di chi sia la colpa, perché ci ha convocato?».
Antonin Dolohov. Quel ragazzino era la sua costante preoccupazione da settimane. Era fin troppo arrogante e sicuro di sé. Neanche James Potter e Sirius Black le si rivolgevano con tanta sfrontatezza a undici anni. E ciò che la turbava era che Dolohov fosse stato educato in quel modo, ma con quell’atteggiamento avrebbe avuto fin troppi problemi. La reazione di Teddy Lupin non era altro che lo specchio di come avrebbe reagito l’intera società magica che, non volendo altro che dimenticare il passato, non avrebbe esitato a condannare il discendente di una famiglia di Mangiamorte.
«Cinque punti in meno per la tua mancanza di rispetto» sentenziò Minerva. «Vi ho convocato per avvertirvi che con il vostro atteggiamento avete esaurito la pazienza del corpo docenti. Nessuna guerra tra Case è approvata né lo sarà in futuro, perciò regolatevi di conseguenza. Rifletteteci bene durante le vacanze, perché da gennaio in poi se persevererete nella vostra condotta, saranno attuati provvedimenti severi. Sono stata chiara?». I ragazzini annuirono sommessamente. «Molto bene. Ora recatevi in Sala Grande per la cena. Ho un annuncio da fare a tutta la Scuola».
Li congedò e si appoggiò allo schienale della sua poltrona appena rimase sola.
«È così simile a suo padre».
Minerva sospirò, ma non commentò: Albus si riferiva senz’altro al giovane Lupin. Dopo il duello con cui avrebbe dovuto vendicare i suoi genitori, si era come spento e aveva abbandonato il ruolo di leader tenuto fin dal primo giorno, ma sembrava che i suoi compagni non l’avessero accettato. Harry e Neville le avevano sempre detto che era un ragazzo assennato, ma lei fino a quel momento aveva visto il suo lato impulsivo e la tendenza ad autocommiserarsi e torturarsi da solo tipica di Remus Lupin.
Sperò ardentemente che i due gruppi ascoltassero il suo consiglio, altrimenti avrebbe mantenuto la sua minaccia. Si alzò pronta ad affrontare l’intera Scuola.
Aveva avvertito i Direttori di dover dare un annuncio, perciò non si stupì di trovare la Sala Grande più affollata del solito. Si diresse al suo tavolo e immediatamente attirò l’attenzione degli studenti. La sala piombò nel silenzio più assoluto.
«Buonasera» esordì. «Non ruberò molto tempo alla vostra cena o alle vostre attività serali, voglio solo annunciarvi che, da quest’anno, l’ultimo giorno prima dell’inizio delle vacanze natalizie, si terrà la Festa dell’Amicizia». Un leggero brusio si sollevò dai ragazzi, così fu costretta ad alzare il tono della voce. «L’obiettivo è quello di favorire l’amicizia tra le Case, perciò quella sera non dovrete indossare la divisa né nessun altro accessorio che indichi la vostra appartenenza a una Casa o un’altra».
L’annuncio ammutolì non solo i ragazzi, ma anche i suoi colleghi.
   
 
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