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Autore: Felyssa    25/04/2020    0 recensioni
Un'anima d'altri tempi, un'esteta al femminile che aspira a modellare la propria vita ai supremi valori dell'arte.
Intrappolata tra la realtà ed un'epoca passata di Bellezze senza tempo, solo l'Amore riuscirà a salvarla. O forse no.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
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Camminava lentamente, la mente ottenebrata da un flusso incostante ed implacabile di sensazioni ma lo sguardo attento e vigile: contemplava ogni aspetto di quella città che tanto amava. Continuava a pensare che il luogo in cui aveva vissuto la sua intera vita aveva irrimediabilmente plasmato la sua anima, probabilmente non sarebbe diventata quella persona altrove, ella scorgeva nella capitale i suoi riflessi interiori: caotica e dispersiva, certo non sarebbe stata di facile intuizione per coloro che avessero avuto uno scarso senso dell’orientamento, ma dotata di fermi, saldi, imperturbabili riferimenti.
Era una di quelle giornate in cui la primavera, timidamente, iniziava a diffondere quella calura sufficiente a render vivida la percezione di un clima mite e accogliente per poi ritirarsi bruscamente e improvvisamente, lasciando posto al cielo plumbeo e la pioggia fine e silenziosa. Anche il tempo, in quel dì di marzo, rispecchiava la sua essenza più profonda. Dopo giorni in preda all’insonnia e alle inutili agitazioni aveva capito di dover dar sfogo alle angosce interiori che la soffocavano da tempo.
Ella non aveva mai avuto intenzione di intraprendere alcuna campagna contro i suoi malesseri, non avrebbe innalzato alcun vessillo contro la tristezza né chiamato a raccolta le emozioni più liete per dar inizio ad una battaglia che potesse difendere dai pensieri più oscuri, sino l’ultimo respiro, quella parvenza di felicità e di calma che residuava nel suo animo. E non si trattava neppure di una resa. Era accettazione, quella. Le era sempre sembrato che la vita avesse truccato le carte ancora prima di esser state messe in tavola; forse dovremmo allora definirla rassegnazione: chi combatterebbe una guerra perduta in partenza?
Un’unica soluzione dunque poteva rimediare a quei malesseri dell’anima: la Bellezza. L’Arte, la Storia e la Letteratura rappresentavano l’antidoto, la cura, un dolce balsamo per i tumulti che la scuotevano. Nutrirsi del passato, di epoche lontane, di storie e leggende tramandate, di antiche opere mai sbiadite, mai perdute, mai dimenticate, evocava in sé un turbine di emozioni che nulla poteva eguagliare.
Per verità, si trattava di emozioni per lo più melanconiche, nostalgiche, sensazioni che non sarebbero mai potute essere riproducibili nella realtà odierna e se i pensieri di per sé non sono altro che formulazioni di idee astratte, i pensieri che la sua mente elaborava contemplando tali Bellezze erano sì formulati nel presente, ma sempre rivolti al passato, pensieri caricati di una maggior impercettibilità.
 
 
Cimitero Acattolico, qualche ora dopo.

Restò ad osservare la tomba di Keats per un tempo infinitamente lungo, quasi da non avere più alcuna percezione della realtà circostante, fino a quando non sentì il rumore dei ciottoli smuoversi sotto la terra e farsi sempre più vicino. Non ci fece caso, d’altronde il Cimitero Acattolico era un posto frequentato, ambito più dai turisti che dai romani stessi in realtà, ma a qualsiasi giorno, qualsiasi ora, potevi trovare curiosi, passanti e forestieri varcare la soglia della Sepulcrum Cestii per addentrarsi nella dimora delle anime d’oltretomba e, certamente, lei si trovava dinanzi una delle mete più importanti di quel luogo.

Nella grotta degli elfi mi condusse,
e lì lei pianse, e sospirò in tristezza,
ma i suoi barbari occhi io tenni chiusi,
con quattro baci.

Ivi lei mi cullò, sino a dormire,
e lì sognai: sia maledetto l'ultimo sogno
fantasticato lì sul declivio
del freddo colle.

Vidi principi e re, pallidamente,
scialbi guerrieri smunti, color morte erano tutti
e gridavano a me: - La bella dama che non ha
compassione, t'ha reso schiavo!

 
Furono quelle tre strofe a rinsavirla dai suoi pensieri. Il forestiero che si era lentamente avvicinato ora era esattamente dietro di lei, recitava a memoria la ballata del poeta il cui nome è scritto nell’acqua, quasi sussurrandola. Una voce calda, intensa, proprio come la ricordava. Non era alcun forestiero. Lei conosceva bene l’identità di colui che stava intonando i versi di Keats alle sue spalle. Un brivido le percorse la schiena, la consapevolezza giunse improvvisa e la colse impreparata. Restò immobile, esattamente dov’era, continuava a dare le spalle alla figura che le era dietro, lasciandosi trasportare da quei versi che oramai conosceva a memoria. Poi, al termine di una delle strofe, si girò lentamente, non alzò del tutto lo sguardo che invece tenne rivolto alle sue mani incrociate all’altezza dello stomaco. Fu lei questa volta a continuare.
 
Le lor livide labbra scorsi nella penombra,
che m'avvertivano: - L'ampia voragine orrendamente
s'apre! - Allora mi svegliai, e mi scopersi qui,
sopra il declivio del freddo colle.


Percepiva chiaramente gli occhi di lui indugiare sul suo volto e non osò mai incrociarli, eppure, un’imprevedibile nota di coraggio la spinse a voler cercare quel contatto visivo che aveva agognato per mesi. Sguardo e pensieri improvvisamente furono di nuovo sulla stessa linea d’aria, proprio come quello stranamente caldo giorno di dicembre in una Villa Borghese invernale infuocata dal tramonto.

Questo è accaduto perché qui rimasi
solo, senza uno scopo ad attardarmi,
pur se appassite fosser le cipree
e gli uccelli del lago non cantassero.


Furono le loro voci all’unisono a porre termine alla ballata, mentre i loro sguardi continuavano a studiarsi, osservarsi, cercare nell’altro esattamente le medesime sensazioni che scuotevano l’animo di ognuno. Fu sorpresa di sé stessa quando, dopo diversi secondi di silenzio, fu lei ad interrompere la magia creatasi in quei minuti.
- “Vedo che non abbiamo perso l’abitudine di trovarci nei medesimi luoghi”
-“ Ho sempre pensato fossimo simili”.
Se lo erano ripetuto innumerevoli volte quei giorni in cui più di ogni altro le loro anime si erano avvicinate, seppur astrattamente, limitandosi a sfiorarsi nei pensieri, senza aver mai il coraggio di varcare la soglia del reale. Quella frase fu come un fulmine a ciel sereno, scatenò improvvisamente in lei un tumulto di emozioni recondite, emozioni che aveva tentato di arginare, placare, soffocare e ci era riuscita, in parte almeno: durante il giorno il mare di sensazioni ero quieto, immobile, solido, puro ghiaccio, ma era sufficiente un ricordo, un pensiero, la nostalgia notturna che sempre le faceva visita e il chiaror di luna a dar vita alla marea improvvisa, alla tempesta, al mescolarsi di sentimenti che per il bene di tutti sarebbero dovuti restare immutati. La staticità non durava mai a lungo, l’incessante evolversi dell’essere prevaleva di continuo, il progredire delle emozioni era inarrestabile, non vi era modo di cristallizzarle o spedirle nell’oblio, esse erano più vivide che mai e chiedevano spazio, manifestazione di sé, esteriorizzazione. Tornò a posizionarsi esattamente di fronte la tomba di Keats, vide lui fare altrettanto, poi abbassarsi lentamente, posare un piccolo fiore con estrema delicatezza per poi tornare al suo fianco.
-“ Mi accompagneresti a far visita a Shelley?". Per la seconda volta fu sua l’iniziativa. Quel giorno la timidezza aveva deciso di farsi da parte, e ringraziò che per una buona volta, forse, le sue azioni stessero eseguendo coerentemente la volontà dei suoi pensieri. Decise che non si sarebbe affatto tirata indietro di fronte le insicurezze eppure, interiormente, un’ansia indecifrabile la stava divorando lentamente.
-“Con piacere, sarebbe stata la mia prossima destinazione”.
   
 
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