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Autore: Lupoide    25/04/2020    3 recensioni
Quando Velkrow, figlio di Madre Priscilla e di padre ignoto, vede cadere il proprio mondo sotto i colpi d'un cavaliere che non aveva mai visto prima, si trova improvvisamente libero dallo stato di cattività cui era stato condannato dalla nascita. Finalmente libero, ma a quale prezzo?
Genere: Angst, Avventura, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Rosso su bianco.

Vermiglie macchie sanguigne che insozzano la neve ai vostri piedi. Lì ove m’inginocchio per consolarvi il pianto.

Perché quelle lacrime bagnano il vostro volto? Rispondetemi, ve ne prego, Velka, Madrina di tutti noi. Spiegatemi le ragioni che v’attanagliano il cuore in questo momento.

Sono io, il vostro fedele discepolo, a chiedervelo.

Seguendo lo sguardo vostro s’incontra la vastità del ponte che porta dove dimora colei che ci protegge tutti: la prima esiliata, ed è lì che mi dirigo come manifesta la vostra volontà.


La Falange è caduta, insieme al cavaliere di Berenike che sorvegliava quella lingua di pietra posta a proteggervi, madre Priscilla.


L’armatura dei Cavalieri d’Argento pesa sulle mie spalle mentre avanzo verso di voi. La stessa armatura che fu motivo di discordia e che intaccò così profondamente il nostro sentimento.

V’ho amata sin da quando ho ricordo eppure ora non posso dirvi di provare lo stesso.

Voi così misericordiosa con tutti noi reietti del mondo, lontani da tutto ma vicini al vostro cuore puro. Crescendo e maturando, però, si vede tutto con occhio più sciente e così il vostro ruolo scadde in quello della carceriera.

Anche voi versaste lacrime quel giorno, quando dalla bocca mi venne strappata la lingua per volere e ordine di un padre sconosciuto. Non ero che un fanciullo, eppure non aveste pietà di me più di quanta ne ebbe lui. Mi infilarono in bocca una brace ardente e ve la cucirono all’interno, così che le mie ferite si cauterizzassero velocemente. Sapevate che non avrei sentito il dolore del fuoco, ora ne sono consapevole, ma foste comunque complice della privazione della mia parola.

Per questo v’odio e v’amo, madre. E non potrò mai dirvelo.

L’armatura giunse in un secondo momento, quando quello stesso sconosciuto padre cercò di riaccaparrarsi il mio favore con un dono, promettendomi un ruolo di spessore tra le file del dio del fulmine. Ma questo metallico carapace ormai conta più d’un lustro d’età e porta appesi tutti i miei sogni infranti.

Questi sono i motivi per cui la indosso ogni giorno. Così che ogni mio passo che ne produce il tintinnio, possa ricordarmi tutto il dolore che m’avete causato in vita.

Ho sempre rispettato la vostra volontà, soggiogando il mio desiderio d’esplorare il mondo al vostro di tenermi al sicuro. Intrappolato per sempre dalla stessa mano che m’ha levato, colei che mi donò la vita eterna. Finora ho sempre visto questo come un’oscura ascia sospesa sopra al mio capo. Maledetto sin dalla nascita a vagare per questa landa desolata e coperta di neve per l’eternità.

Sarebbe troppo facile alludere alla famigerata gabbia dorata ma qui è diverso, è più simile a un bacile di lacrime profughe, ove voi mi tenete immerso con la scusa di riuscire sempre a toccare con le punte dei piedi.


Con gli anni ho imparato l’arte del combattimento, affinando poi la destrezza in questa tecnica su tutti i non morti della nostra terra che osavano posar, sulla mia figura, un occhio di sfida. In una mano lo stocco, nell’altra il talismano. Entrambi regali della Dea che sorveglia benevola tutti noi e alla quale voi, madre, mi donaste completamente.

Persino nel nome che sceglieste per me: Velkrow, discepolo del peccato.

I cari ricordi possono tenerti in vita, me lo ripetevevate spesso, ma quelli che aprono una ferita, invece, possono marchiarti e corromperti per sempre.


Un gemito di dolore interrompe i miei pensieri.

Affrettando il mio passo verso di voi, comprendo improvvisamente il motivo delle lacrime di sangue di Velka.


Nello spiazzale ove per anni vi ho vista erigervi a sentinella del nostro mondo, ora giacete ferita in mezzo alla neve.

La coda dell’occhio mio afferra uno scintillio dorato, non molto distante da voi. Mentre salta nel vuoto riesco a scorgere la figura che può essersi macchiata di quest’atroce delitto. Non ho che una frazione di secondo per catturare quell’immagine ma tanto mi basta per riconoscere il colpevole.

Ornstein, l’Ammazzadraghi.

Pare che alla fine v’abbia trovata, abominevole madre.


Non ho tempo d’odiarlo, però. Né di odiare voi. I vostri dolorosi lamenti mi riportano in me che subito accorro in vostro soccorso. Al cospetto vostro io sembro decisamente un fanciullo, per via della vostra taglia fuori dalla normalità umana, eppure tra le braccia mie sembrate così piccola e indifesa.

- Perché? Cosa cercava? Non sa per quale motivo Ariamis dipinse questo mondo per noi?

Riuscite a sussurrarmi con un filo di voce.

Vorrei rispondervi che è ingiusto e che sicuramente egli non conosceva il ruolo vostro in questo mondo. Eppure l’impossibilità di proferir parola mi ricorda ancora una volta i peccati di cui vi siete macchiata.

Una singola lacrima corre sul mio viso, arrestando poi la caduta sul vostro.

Non avrei comunque fatto in tempo a rispondervi poiché avete già esalato l’ultimo sospiro.

M’immergo in un acquitrino di sentimenti misti, da cui quasi mi sembra impossibile poter emergere. Con voi finisce il mio tutto, il mio mondo, madre.

Eppure una scintilla di speranza s’è accesa in fondo al cuore.


Finalmente libero dalla vostra prigionia.


Accolgo la vostra anima in me e poi seguo le impronte del Primo Cavaliere di Gwyn, trovandomi a guardare il profondo crepaccio che si staglia sotto i miei piedi.

L’aria gelida mi sferza la faccia, attraversando persino il pelo della mia barba e sulla mia fronte. Qui, nel vostro mondo dipinto, vi è sempre stato il gelo, madre. Eppure è la prima volta che provo freddo davvero.


Ricorderò questo giorno come il primo da uomo libero.


Il giorno in cui una Dea di pietra macchiò la neve con lacrime di sangue.

  
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