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Autore: rocchi68    25/04/2020    3 recensioni
Dawn era sempre stata una ragazza che, anche dinanzi alle difficoltà più disparate, affrontava il tutto con un sorriso e una dolcezza disarmante.
Una sera, però, si era ritrovata davanti a un’amara sorpresa.
Non aveva amiche, non aveva un posto in cui stare, era stata tradita dal proprio fidanzato nel momento di massimo splendore ed era frustrata da tutti quei fallimenti in rapida successione che potevano sancire la sua completa rovina.
Poteva spegnersi, cercare una scappatoia per la felicità oppure chiedere un ultimo disperato consiglio all’unica persona che mai l’aveva abbandonata.
Sempre che quest’ultimo fosse d’accordo…
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dawn, Duncan, Scott, Zoey | Coppie: Duncan/Gwen
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Era furibonda.
Chiunque avesse incrociato il suo sguardo o si fosse scontrato con lei, non avrebbe usato altri aggettivi per descrivere quella sconosciuta cui era stata rovinata la vita.
Quella sera, quando era rientrata intorno alle 22 dopo una lista interminabile d’impegni, non si aspettava di uscire nuovamente a distanza di pochi secondi. Credeva di meritarsi un po’ di sano relax sul divano, di mettersi in pari con l’ultima sitcom e non di dover scappare dall’appartamento perché aveva beccato quel gran bastardo del suo fidanzato a letto con un’altra.
Quell’appartamento, riempito di gemiti, era stato attraversato dal suo urlo, udito anche dai vicini, e poi dalla sua fuga precipitosa giù per le scale. Raccolta la borsetta, incurante delle preghiere del suo ex, era subito fuggita, urtando alcuni degli oggetti che abbellivano il loro appartamento.
Lei non sarebbe più tornata in quella casa, se non per raccogliere i suoi effetti personali e per ricostruirsi una vita altrove e senza avere più Beverly intorno.
Era sconvolta da quanto successo, vi erano state alcune avvisaglie in passato e Dawn, battagliando con il suo sesto senso, si era convinta che lui non potesse mai comportarsi in modo tanto spregevole, sbagliando totalmente.
L’aveva conosciuto alla fine del terzo anno di superiori, durante una ripetizione con tanto di recupero crediti ed era rimasta vittima del tipico colpo di fulmine di hollywoodiana memoria. Da quel pomeriggio si erano ritrovati diverse volte e dopo aver passato l’esame di recupero, erano usciti nuovamente. Solo diversi mesi più tardi Dawn ammise a tutti i suoi conoscenti di provare qualcosa, incrociando, però, le armi con le sue migliori amiche.
Zoey e Gwen, a essere sinceri, non erano mai state interessate a quel ciccione, ma le chiacchiere che correvano per la scuola e che lo descrivevano come un tipo subdolo di cui era meglio diffidare, le avevano spinte a evitare ogni forma di contatto. Le due non avrebbero mai voluto raccogliere i cocci di Dawn, né costringerla con le cattive maniere a stargli lontano.  Avevano provato a proteggerla, ma lei si era impuntata e, durante un pomeriggio d’inizio marzo, aveva sbattuto la porta, decretando la fine della loro bella amicizia.
Forse, mentre correva a perdifiato per fuggire da quel bastardo, la vera stupida era stata lei: non trovava altre spiegazioni. Se tutti l’avevano messa in allerta e si era ritrovata tradita, la colpa era solo sua.
Senza sapere dove andare e convinta che la sua sola presenza fosse un disturbo per tutti, decise di avviarsi verso uno dei tanti bar del centro cittadino. Uno in particolare era diventato il suo punto di riferimento e angolo di pace dopo le centinaia di ore passate all’Università. Uno tra i più piccoli e accoglienti dell’intera piazza era luogo di lavoro di un suo vecchio compagno delle superiori. Un tipo alquanto singolare che, piuttosto di studiare, si era rintanato in quel locale, diventando poco per volta uno dei migliori barman in circolazione.
Forse lui era l’unica eccezione che non le avrebbe sbattuto la porta in faccia e che l’avrebbe accolta a braccia aperte. Dopotutto lui stesso si era definito, anni prima, un fallimento su tutta la linea e cui nessuno si preoccupava eccessivamente. Ripeteva che nessuno lo ascoltava, che tutti gli ponevano sempre le solite domande e che raramente era avvolto da pensieri solamente negativi. Tutto questo deprezzarsi di fronte agli altri, però, si scontrava con la sua vera essenza. In realtà, e poteva provarci un milione di volte per occultarlo agli altri, lui era un buono che mai avrebbe negato un favore a qualche amico, anche a costo di rimetterci. Sperando che fosse in turno, percorse i pochi chilometri che la separavano dalla sua meta, entrò senza ripensamenti, scansò i tavolini, i servizievoli camerieri e i clienti che si sbracciavano come se fossero a uno stadio per un qualche concerto e si afflosciò sulla sedia più vicina al bancone, laddove Scott, chiamato “la Iena rossa” per via dei suoi capelli e per il suo ghigno impareggiabile, stava ultimando almeno una decina di cocktail.
Girato di spalle, stava versando la crema di whisky dentro i bicchieri di cristallo con una cura e una precisione quasi maniacale. Si vedeva lontano un miglio che ci teneva molto a quell’occupazione trovata con immensa fatica e con la disapprovazione dei suoi genitori che avevano sempre sperato in un futuro più roseo.
“Una birra.” Esordì lei con voce irriconoscibile, saltando direttamente la trafila delle ordinazioni con i camerieri e facendolo annuire.
“Arriva subito.”
“E anche qualcosa di forte.” Borbottò, mentre il rosso prendeva un vassoio con i suoi ultimi cocktail e lo porgeva a uno dei camerieri.
“Non ti si addice.” La rimproverò, accorgendosi di chi fosse quella cliente così particolare.
“Che cosa, Scott?”
“Tutto quanto.” Sbuffò, piantando i suoi occhi grigi sul volto dell’amica.
“Io voglio solo dimenticare.”
“Non so cosa tu voglia dimenticare, ma è sempre bello rivederti.”
“Avrei preferito rimanere a casa, ma non sono mai stata così fortunata.” Sospirò la giovane.
“Mi sembra che tu sia in ottima forma e non mi dispiace stare qui a parlare .” Ammise, fissandola con attenzione.
“Ti sbagli, Scott.”
“Forse hai ragione, anche se questa non è la strada giusta per dimenticare.” Riprese, pulendo il bancone e togliendo alcuni bicchieri, ormai vuoti, dalla sua traiettoria e dal suo strofinaccio leggermente umido.
“Non voglio più soffrire.”
“Beverly?” S’informò, intuendo che fosse colpa di quell’idiota.
“L’ho trovato a letto con Sugar.”
“Intendi quella betoniera che passeggiava per l’Università e che investiva chiunque con la sua motocicletta?” Domandò, suscitandole un moto d’ilarità che soffocò in un istante.
“Non lo so.” Rispose, stringendosi nelle spalle e sperando che Scott non tornasse sul discorso, giusto per accantonare quel tradimento e per non soffrire ancora.
“La prima volta che la vidi mi sembrava un asino su di un cavallo prossimo al collasso.” Seguitò, sperando di farla ridere.
“Non dovresti parlare così di lei.”
“Se si tratta di quella bionda cicciona dispotica, credo che Beverly abbia fatto l’errore più grosso della sua vita. Non mi capacito di come possa stare con quella cosa e allontanare a cuor leggero una meraviglia come te.” Soffiò dubbioso, grattandosi il mento che presentava un accenno di barba e facendola arrossire per quel complimento assai insolito.
“Non lo so e non m’importa più nulla di quel che fa.” Ringhiò nervosa.
“So che non dovrei, ma Zoey e Gwen ti avevano avvertito che stavi facendo una cazzata.” Sospirò, prendendo da sotto il bancone una bottiglietta.
“È questo che mi fa più male.” Piagnucolò, piegandosi sopra il tavolo, mentre il ritornello di una vecchia canzone jazz in sottofondo svaniva sempre più, per lasciare il posto a un’altra molto più vivace e accattivante.
Scott, in quel breve stacco tra una canzone e l’altra, non ricordava d’averla mai vista in quello stato.
Nemmeno quando l’avevano informata in seconda media che era a rischio bocciatura a causa dei tanti giorni di malattia o quando Bridgette, sua vecchia compagna delle elementari, si era trasferita in un altro stato, lei si era avvilita in quel modo.
In entrambi i casi si era chiusa nella sua stanza e, unito al tempo, una sola cosa era riuscita a risollevarle il morale, cancellando quelle lievi ferite: la bottiglietta che Scott stringeva. Si trattava di un semplice succo di frutta, considerato miracoloso dai suoi conoscenti per i suoi effetti portentosi, che agitò appena e che poi stappò con il suo inconfondibile suono, versandone il contenuto in un bicchiere.
“Succo di pesca…il tuo preferito. Fino a quando sarò il capo barman, non toccherai un goccio d’alcol.” La avvisò con sguardo fermo.
“Voglio solo star bene.”
“Devi essere molto confusa per credere che l’alcol azzeri i problemi.”
“Però…”
“Lo faccio contro i miei interessi, ma non cominciare a bere.” Sbottò, accendendosi una sigaretta e gustandosi quei minuti di pausa che erano i primi effettivi dopo un turno massacrante di ben sette ore consecutive.
“Vorrei solo che quest’infelicità sparisse.”
“Buona fortuna allora.”
“Non hai intenzione di aiutarmi?”
“Lo scopo della vita non è eliminare l’infelicità, ma è di tenerla al minimo. Sarà anche una frase da cioccolatini, ma gli errori ti faranno crescere e diventerai sicuramente una donna migliore.” Spiegò, inspirando profondamente.
“Sicuro che non posso?” Domandò lei, allungando la mano destra oltre il bancone e sfiorando un boccale vuoto.
“Al massimo una birra analcolica, ma per oggi ti dovrai accontentare del tuo succo.” Soffiò, facendo fuoriuscire una piccola nuvola di fumo grigio.
“Ho 22 anni e continui a proteggermi.” Costatò con un debole sorriso, ritirando la mano per poggiarla vicino al suo bicchiere.
“Non riuscirai a farmi cambiare idea con qualche stupido complimento.”
“Io volevo solo…”
“Dovresti sapere che l’alcol e la droga non sono la soluzione.” Sospirò, replicando una delle tante lezioni di religione e di buonsenso che il prete delle medie aveva cercato d’inculcare loro per evitargli un futuro segnato dalla dipendenza.
“Ma io…”
“Sono solo problemi che ti fanno credere d’aver trovato ciò di cui hai bisogno.”
“Come?”
“Ne ho visti a decine, se non a centinaia, di ragazzi che bevono, si sentono male e che riprendono a bere solo per annegare il dispiacere. È un fottuto circolo vizioso che fa soccombere tutti i deboli.” Negò, girandosi alla sua destra e trovando un esempio immediato e perfetto per rinforzare quella sua tesi inflessibile.
“Prendi loro.” Bisbigliò, indicando due persone lontane solo tre seggiole, appoggiate al bancone e circondate da boccali oramai vuoti.
“Che hanno?”
“Quando sei un barman, diventi il loro psicologo.”
“Cioè?”
 “Sono stati abbandonati dalle mogli e, per dimenticare, ogni sera si scolano una dozzina di birre.” Spiegò, fissando i due che sonnecchiavano sopra il tavolo e che sbavavano sopra di esso, ringraziando il cielo di non dover pulire quella sudicia postazione.
“Però…”
“La vita non è mai giusta.” Brontolò frustrato, perdendosi tra le nuvolette di fumo.
“Tra quanto finisci il turno?” Chiese Dawn, cambiando discorso e sorseggiando il succo che gli era stato offerto.
“Dammi mezzora e sono libero.”
“Non lavori troppo?”
“Chef crede che io lavori anche troppo poco.” Ammise, raccogliendo una pila di bicchieri e dandole le spalle per metterli subito nella lavastoviglie.
“Non immagini quanto t’invidio Scott.”
“Cosa c’è da invidiare in tutto questo? Sono in mezzo a ubriaconi, tossici e delinquenti della peggior specie.”
“Io vorrei essere autonoma come te.”
“E a me sarebbe piaciuto continuare a studiare, ma senza grana non c’è vita.” Sbuffò, schiacciando la sigaretta sul posacenere grigio che teneva nascosto sotto il bancone e tornando, quindi, al lavoro.
 
Da quando Dawn era entrata, trascinando i piedi stanchi dalle tante ore passate in aula, gli ordini dei vari tavoli si erano accumulati sempre più e alcuni foglietti erano attaccati sul bordo da diverso tempo. Ve ne erano diversi in arretrato e i clienti si stavano spazientendo di dover aspettare delle ore per qualche birra o cocktail non troppo elaborato.
Scott con la sua proverbiale calma, nonostante le rimostranze delle persone e le preghiere dei camerieri, aveva ripreso a muoversi. Tanto sapeva, con un pizzico di eccessiva supponenza, che quel locale era famoso solo grazie alle sue abilità. Il vecchio tirannico Chef Hatchet non si sarebbe mai sbarazzato di uno capace di far piovere nelle sue tasche un mucchio di denaro. L’unica cosa che creava contrasti tra i due, dopotutto, era solo l’orario di lavoro.
Il capo supremo avrebbe voluto che Scott rimanesse nel bar giorno e notte, incurante dei suoi impegni e delle sue passioni. Nel sentire ciò il rosso, l’anno prima, era scattato come una molla e l’aveva ricattato. Qualche ora in più rispetto al suo contratto, qualche decisione presa senza il suo consenso e non si sarebbe fatto troppi scrupoli nel passare alla concorrenza.
Già una volta aveva svolto degli straordinari non retribuiti nel migliore dei modi e, da quel giorno, aveva iniziato a infastidire Chef con la possibilità, nemmeno troppo assurda, di cambiare locale.
Con il passare dei mesi, dinanzi ad alcune proposte allettanti, aveva risposto con una scrollata di spalle, ma era comunque in tempo per recuperare il bigliettino da visita della concorrenza e per una telefonata.
Dopotutto non era nemmeno uno dei peggiori barman in circolazione, anche se in quel periodo costellato da insicurezze, era alquanto improbabile trovare qualcuno che potesse mettersi in gioco e che desiderasse cambiare posto di lavoro.
“Sei davvero bravo.” Sussurrò Dawn, persa a fissarlo con ammirazione, mentre riempiva fino all’orlo una serie di bicchieri.
“Ognuno è maestro in qualcosa.”
“Pensi possa valere anche per me?”
“Certamente, anche se forse esageri nel complimentarti con uno che riesce per miracolo a non servire cocktail al gusto di sapone per piatti.”
“Non dire così.”
“Io sono solo fortunato ad avere dei clienti molto fedeli.” Ironizzò, passando l’ultimo vassoio a uno dei tre camerieri presenti.
“Io…”
“Tu sei qui solo perché siamo amici e perché conosco i tuoi gusti.”
“Anche se spesso sei odioso.”
“Tutti sanno che non reggi l’alcol, Dawn.” Borbottò, girandosi verso la porta che, cigolando, aveva fatto entrare quattro ragazzi poco più grandi di loro, subito squadrati dai vari camerieri e presto ignorati da Scott che aveva altro cui badare.
“Non è vero.”
“Tre anni fa, per festeggiare la maturità, hai bevuto un dito di birra e hai sbroccato tutta la notte.”
“Ti odio, Scott.” Sorrise, ricordando quell’orribile nottata.
“La madre di Mike ti avrebbe tagliato la testa per averle sporcato quel tappeto indiano.”
“Persiano.” Lo corresse lei.
“Indiano o persiano…quella cosa e anche noi abbiamo imparato che tu e l’alcol non andrete mai d’accordo.”
“Forse hai ragione.”
“E fu così che diventasti amica di succo di pesca.” Rise, alleviando una minima parte della sua sofferenza e restituendole un sorriso spensierato.
“Sarei proprio curiosa di vedere la tua reazione se non dovessi più farmi viva.”
“E tradiresti così i tuoi succhi preferiti? Mi deludi, Dawn.”
“Mi ricatti solo perché siete l’unico bar a usarli?” Domandò la ragazza, facendo ghignare il rosso che, afferrato un foglietto con l’ennesimo ordine, si rimise all’opera.
“Duncan ancora non si vede.” Sviò, sbuffando seccato, rileggendo i cocktail per sicurezza e preparando gli ingredienti necessari.
“Credevo avesse mollato.”
“Quello stupido punk senza la grana non può comprarsi le sigarette o pagare l’affitto e pertanto gli conviene stare buono e leccare i piedi al capo.” Brontolò, consapevole che quelli erano anche alcuni dei suoi di motivi per cui era alle dipendenze di Chef. In quel caso gli pareva d’essere come il bue che dà del cornuto all’asino e che non si avvede delle sue condizioni quasi identiche, se non peggiori.
“Chi è che lecca i piedi a Chef?” Intervenne una voce metallica, proveniente da dietro Dawn, che li fece sussultare e che si apprestava a iniziare il suo turno.
Il tintinnio sinistro di una serie di bicchieri aveva fatto da colonna sonora per l’accoglienza trionfale di quello che, a detta di molti, era il vice barman del Pahkitew.
Il suo ingresso nel locale era tipico e i suoi passi pesanti giungevano alle orecchie di Scott con molto anticipo, anche se in quella serata la baraonda e la musica avevano coperto di molto la sua avanzata.
La porta veniva sbattuta abbastanza veemente, creando un circolo d’aria che, nei periodi estivi, poteva anche essere piacevole, ma che in inverno andava incontro ad ogni sorta di maledizione possibile.
Poi si sentiva un flusso di fumo correre nella sala e, se questo non era ancora sufficiente, il rosso vedeva il bancone tremare sotto la borsa carica di cianfrusaglie del collega.
E quella sorta di rituale proseguiva da oltre sei mesi e nessuno, tantomeno Chef Hatchet, era riuscito a convincerlo che quell’entrata in scena fosse quanto di più bizzarro e ridicolo avessero visto nella loro breve vita.
“Alla buonora stupido idiota: dovevi iniziare 40 minuti fa.” Lo accolse, senza curarsi particolarmente di ferire la sua scorza dura.
“Ho avuto un contrattempo.” Borbottò il punk, scrollando le spalle e iniziando uno degli innumerevoli sketch con il collega.
Dopo aver dato una fugace occhiata verso il corridoio che portava agli uffici, afferrò la sua divisa nera e occupò il posto dell’amico che, sentendo la sua voce, aveva già provveduto a togliersi la sua da capo barman.
“È l’ultima volta che ti copro.”
“Non essere crudele.”
“Crudele? Mi costringi a straordinari che Chef non mi paga troppo volentieri.” Brontolò Scott, girandosi verso Dawn che a seguire quello scambio si ritrovò a sorridere.
“Io non dico niente dei succhi alla pesca e tu non sbatti la storia dei ritardi.”
“Ma questa è un’altra faccenda.”
“I succhi mica li paghi.” Gli fece presente il punk, voltandosi verso la giovane e facendole un cenno con il capo.
“Lascia stare Duncan, oggi non è in vena.” Bisbigliò il rosso.
“Ok.”
“Guarda che Max ha chiesto di uscire mezzora prima per trovarsi con Scarlett, quindi, stasera la spazzatura è compito tuo e conta la cassaforte quando la baracca sarà chiusa.” Riprese Scott, ricordandogli tutti gli ordini da eseguire.
“Mai che mi spiegate cosa succede.”
“Ti conviene lasciar stare.” Ripeté, puntandogli contro uno sguardo minaccioso e facendo incastrare un coltello affilato sul tagliere. Quel semplice gesto, almeno per lui, era chiaro. Se continuava a ficcanasare in giro, quella lama non si sarebbe spostata all’ultimo, ma sarebbe andata diretta ad affettargli le dita.
“Che noia!” Commentò, stiracchiandosi appena.
“Tu mi hai mai raccontato i tuoi segreti?”
“Direi di no.”
“Ed è giusto che lei abbia i suoi.” Concluse frettolosamente, raccogliendo la divisa che necessitava di una lavata e uscendo dalla sua postazione.
“Mi dispiace di avervi rovinato la serata.” Si scusò Dawn, cercando il portafoglio nella borsetta, con Duncan che, sollevando appena la mano, le fece intendere che non era necessario e che per una bottiglietta il Pahkitew non avrebbe rischiato il fallimento.
“Non si può essere sempre felici.” La rincuorò Scott, sperando vivamente di essere riuscito a risollevarle il morale così come quando erano bambini.
“Parla uno che ha fatto dell’infelicità la sua quasi compagna di vita.” Lo derise Duncan, ricevendo un’ennesima occhiataccia che andò poi a posarsi sullo stesso coltello di prima.
“Tanto lo verresti a sapere comunque.” Sospirò Dawn.
“Cosa?” Chiese il punk, afferrando il coltello usato dall’amico e iniziando il suo primo cocktail della serata.
“Ha beccato Beverly con un’altra.” Rispose secco Scott, anticipando i farfugliamenti quasi certi dell’amica e rischiando di dover trattenersi al locale per medicare il collega che, per la sorpresa, aveva fatto sibilare la lama tra l’indice e il pollice.
“Mi spiace.”
“E ora che Duncan ha l’aggiornamento dell’ultima ora, possiamo anche andare.”
“Dovresti avvertire anche Zoey e Gwen.” Le consigliò il punk, facendo annuire la giovane che, a testa bassa, si avviava verso l’uscita.
Distanziatasi di qualche metro e lontana dalle voci del bancone, il rosso si volse verso il collega di lavoro e negò con il capo.
“Sei un idiota, Duncan.”
“Io…”
“Sai che hanno litigato e tiri fuori sta roba.”
“Me ne ero scordato.”
“In quasi un’ora credevo d’esser riuscito a risollevarle il morale e tu in 5 secondi l’hai ferita di nuovo.”
“Non accadrà più.”
“Lo spero, perché altrimenti faresti compagnia ai topi e finiresti nel bidone del secco.” Lo minacciò, raccogliendo lo zaino e seguendo l’amica fuori dal locale.
 
Saliti in auto, Scott non mise subito in moto.
Fino a quel momento non ci aveva proprio pensato.
La sua mente era andata, per forza di cose, ai cocktail da preparare, agli affari e alla lista del materiale da comprare per i successivi tre giorni.
Ora che questi problemi erano lontani e che tenevano occupato Duncan, lui era libero di soffermarsi su altro.
Su quanto avesse bisogno di una rinfrescata, tanto per cominciare, oppure se le ultime settimane di luglio erano il periodo migliore per pretendere le ferie.
Tuttavia queste domande innocenti e ordinarie della sua classica routine, si scontrarono e si scostarono dinanzi a qualcosa che non aveva considerato e calcolato al massimo delle sue capacità: dove sarebbe andata Dawn?
Di questo non avevano discusso.
Scott poteva scommettere i suoi capelli rossastri che lei non sarebbe mai tornata da Beverly, nemmeno se questo si fosse messo a strisciare come un verme e nemmeno se fosse stato l’ultimo uomo rimasto sulla faccia della Terra.
Un sospiro uscì in quel piccolo abitacolo e un ticchettio appena accennato sul volante accompagnò gli istanti successivi.
“Che serata infernale.” Sentenziò il rosso, cercando le parole migliori con cui cominciare il discorso.
“Io…”
“Non credevo che il bar si affollasse così in questi periodi.” Sbadigliò il giovane, allentando la tensione che si era creata.
“Sei stato molto bravo.”
“Sono felice che tu mi abbia fatto compagnia, anche se in una serata che non deve essere stata molto semplice da sopportare.” Si rammaricò, sperando di risistemare i danni causati inconsapevolmente da Duncan.
“Io…”
“Non hai nulla da rimproverarti: tutti sappiamo che Beverly è solo un idiota.” Ammise, inserendo la chiave e tastando la ventola che avrebbe impiegato alcuni minuti prima di riscaldare l’ambiente circostante.
“Sei dalla mia parte?” Chiese, spaventata dalla possibilità che lui le voltasse le spalle.
“Come sempre.” La rassicurò, alzando la mano destra, coperta da cerotti e cicatrici e allungandola per scompigliarle affettuosamente i lunghi capelli biondi.
“Grazie.”
“Devi, comunque, promettermi che non ti vendicherai mai di quello scemo.” Sospirò, scendendo con la mano ad accarezzarle la pallida guancia.
“Dovresti conoscermi bene.” Replicò lei, mentre lui incontrava il suo candido sorriso e si allontanava per allacciare la cintura di sicurezza.
Accortosi che anche lei aveva seguito la medesima accortezza, ritornò a tastare la ventola che, finalmente, stava dando i primi incoraggianti segni di vita.
Nel spostare il suo sguardo attento verso di lei, si accorse che qualcosa era cambiato. Scott era pronto a scommettere che Dawn avesse iniziato a scontrarsi con il suo medesimo dubbio. Quando era scappata, non si era preoccupata di fermarsi, di chiamare qualcuno o di formulare un piano d’emergenza. Lei aveva avuto solo il desiderio di scappare dall’orribile verità che, per molti mesi, era stata sotto i suoi occhi e che lei aveva sempre ignorato.
Stretta in quel laccio che le attraversava il petto e la vita e fissando il cielo scuro dal vetro lucido, ora si sentiva in trappola. A chi poteva chiedere sostegno in quella circostanza? Non c’era nessuno, a quell’ora poi, che potesse aprirle la porta, la accogliesse e la invitasse a fermarsi per alcune notti.
Immaginava che per lei tutto fosse complicato, anche se non credeva che la sua vicinanza le impedisse di farle sorgere la domanda migliore possibile. Scott, nonostante non fosse nei suoi interessi, inspirò l’aria calda dell’abitacolo e la fissò intensamente, quasi volesse essere sicuro che quella era l’unica soluzione rimasta.
“Dove vuoi andare Dawn?” Ricominciò con tono di voce insolitamente basso.
“Non lo so.”
“Se fosse quasi mattina, ti porterei a fare una passeggiata, ma non possiamo.”
“Io non voglio tornare lì.” Riprese lei, facendo annuire l’amico.
“Lo so.”
“E non voglio nemmeno scappare da questa città.” Insistette, chiudendo la testa in una morsa e stringendola sempre di più.
“Se solo tu e le altre non aveste litigato.” Tentò, rimproverandola per quello che aveva causato.
“Solo ora capisco quanto mi volessero bene.” Mormorò, allentando la presa e versando alcune lacrime che le rigarono il volto.
“L’unica soluzione che mi è venuta in mente è di ospitarti per i prossimi giorni.” Sbuffò, accendendo le luci e svoltando subito a destra.
“Non avrai problemi?” Chiese, mentre lui rispettava i vari limiti di velocità che erano imposti dai cartelli installati dalla regione.
“Spiegando la cosa a Courtney non credo possa ingelosirsi troppo.”
“Sei sicuro che sia la cosa migliore da fare?” Insistette, quasi volesse convincerlo che quella non era la soluzione migliore.
“L’appartamento ti sembrerà un po’ incasinato, anche se la stanza degli ospiti dovrebbe essere ancora in perfetto ordine.” Spiegò il rosso, continuando nella sua analisi.
“Non ti arrenderesti comunque, vero?”
“Se hai una destinazione migliore, ti ascolto.” Rispose freddamente, rallentando e fermandosi al terzo semaforo che precedeva, di alcune miglia abbondanti, la svolta verso il suo alloggio.




Angolo autore:

Che dire di questa long?
Potrei ammettere che è da quasi un annetto che ci lavoro, che finalmente è pronta e che spero possa piacervi.
Non so dirvi se ho curato troppo le descrizioni, se i personaggi sono stati ben costruiti, se possa interessarvi dall'inizio alla fine.

Ryuk: Diciamo che è una delle storie a cui siamo più affezionati.

Avevo pensato di tenerla per me: un po' perchè mi sembrava sempre incompleta, un po' perchè è la creatura a cui io e Ryuk teniamo di più.
Non abbiamo niente contro le altre serie e anche se questa dovesse ottenere molte meno visite e meno recensioni, la sentiamo come la nostra preferita.
Ovviamente saremo ben felici di ricevere opinioni, consigli, rimproveri e quant'altro.
Per quanto riguarda le note iniziali devo fare due piccole precisazioni. Ho inserito l'OOC giusto perchè non so mai se riesco a seguire il classico comportamento dei vari personaggi (cosa di cui dubito fortemente) ed è ormai un nostro classico e la parte dedicata a "un po' tutti i personaggi" non comprende tutti quelli che sono comparsi dal primo episodio all'ultimo.

Ryuk: Ne appariranno diversi, ma tutti è davvero impossibile.

Non ho niente altro da aggiungere e vi auguro una buona lettura e un buon proseguimento di settimana.
Credo che ritornerò a pubblicare puntualmente, sempre che mi ricordi, di sabato o domenica.
A presto!
   
 
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