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Autore: GirlWithChakram    28/04/2020    2 recensioni
Un giorno d’estate, un giorno come tanti per Chloe, il cui compito è consegnare gli addobbi floreali per l’ennesima cerimonia.
Un giorno d’estate, un giorno speciale per Maxine, che sta per compiere il grande passo.
Un giorno d’estate, in cui a sbocciare non saranno solo i fiori.
Breve commedia Pricefield ispirata al film “Imagine Me & You”.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Chloe Price, Max Caulfield
Note: AU, Movieverse, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Forget me not
[Non mi dimenticare]
 

Il vento soffiava forte dal mare, portando il profumo salmastro delle onde fin sulla cima della scogliera, dove svettava la torre simbolo di Arcadia Bay. Il faro, signore dell’altura, fiero baluardo del dominio umano sulla costa, era il perfetto soggetto da cartolina che ben si armonizzava con la vegetazione tutta intorno.
Le chiome degli abeti si piegavano sotto le raffiche della bufera fredda, quasi invernale, chinando il capo alle ultime piogge, prima dell’arrivo della neve.
La metà di novembre era caratterizzata da quel clima ostile, spezzato da imprevedibili giornate di sole.
Con i vetri che tremavano ad ogni colpo d’aria e scroscio d’acqua, il Kabloom resisteva alle intemperie, rinchiudendo al proprio interno quella che sarebbe dovuta essere un’oasi di pace.
«Mi serve un mazzo che dica: “mi dispiace che sia morto, ma era un gatto randagio e non dovresti averlo amato più di me”. Sarebbe possibile consegnarlo a questo indirizzo?»
La cliente allungò un foglietto lungo la superficie del bancone, continuando il soliloquio riguardo il fidanzato scostante che sembrava provare più affetto nei confronti di un animale selvatico che nei suoi.
Chloe cercò di concentrarsi su quali fiori potessero accontentare quella bizzarra richiesta, ma la sua attenzione era continuamente richiamata dal cellulare, che vibrava incessante da almeno cinque minuti. All’inizio si era trattato di qualche messaggio, nulla di allarmante, ma poi la schermata aveva iniziato ad illuminarsi ed il nome di “Max” era comparso come il richiamo di una sirena, per ben due volte. La sua mente intraprese oscuri sentieri ed un sordo timore che qualcosa di male potesse essere accaduto alla sua amica iniziò a serpeggiare nel suo animo.
«Insomma, quando io ho dovuto far sopprimere il mio cane, lui non ha versato neanche una lacrima» proseguì l’acquirente, iniziando a passeggiare su e giù per il Kabloom «E adesso, invece, per quel sacco di pulci vagabondo…»
«Mi scusi» la interruppe la Price, agguantando l’apparecchio «Devo rispondere, è una faccenda importante, sarò subito di ritorno.»
Sgattaiolò nel retrobottega e trascinò il dito sullo schermo per accettare la telefonata. «Pronto?» mormorò, con il cuore in gola.
«Ah, ciao Chloe» la salutò una voce maschile dall’altro capo «Te l’avevo detto che mi avrebbe risposto» aggiunse poi l’uomo, rivolto a qualcun altro.
«È al lavoro, non c’era bisogno di assillarla in quel modo» contestò colei che la fiorista riconobbe immediatamente come la proprietaria del numero.
«Max ed io stavamo discutendo, poco fa» tornò a concentrarsi quello che, inequivocabilmente, doveva essere il marito «E mi stavo domandando se tu avessi qualche programma per il prossimo sabato sera.»
Una sequela di emozioni diverse investì la fioraia: il sollievo di sentire Maxine viva e vegeta, seguito dalla paura dell’essere coinvolta in una seconda cena a casa degli sposini per approdare alla fremente curiosità di scoprire che cosa fosse tanto urgente ed importante da aver spinto Graham a contattarla.
«Stai tranquilla, non voglio costringerti ad assaggiare nuovamente le mie polpette» annunciò lui, quasi le avesse letto nel pensiero «Abbiamo due biglietti per il cinema drive-in di Newberg, danno Il Pianeta delle Scimmie[1]
La Price rimase in ascolto.
«Dovevo andarci con la mia mogliettina, ma, purtroppo, dovrò assentarmi per l’intero weekend a causa di un seminario, così stavo pensando che potresti accompagnarla tu…»
La fiorista sentì un nodo allo stomaco.
«Sempre che la cosa ti interessi, ovviamente» si affrettò ad aggiungere Warren «Lo avrei proposto ad Eliot, ma Max mi ha fatto il tuo nome e, visto quanto parla bene di te, mi è sembrata una buona occasione per farvi passare una serata divertente.»
Chloe si domandò se quello fosse un crudele scherzo del destino o pura e semplice tortura.
«Allora?» ribadì l’uomo «Cosa ne pensi?»
«Ci sto.» Sputò quelle parole a fatica, combattendo contro ogni briciola di buonsenso, ma non ci fu esitazione nei suoi intenti.
«Perfetto! Lascio a voi la discussione dei dettagli, tanto avete ancora qualche giorno per organizzarvi. Grazie per aver accettato di prenderti cura della mia signora mentre non ci sono» proseguì «Vedrai che non te ne pentirai.»
Quelle parole suonarono quasi profetiche.
La Price tornò dalla cliente trascinando i piedi, ancora incapace di processare l’invito a cui aveva acconsentito senza riflettere. Poteva già prevedere la lavata di capo che le avrebbe fatto Steph a riguardo.
«Mi aspetto che sia puntuale con la consegna» sentenziò la donna, lasciandole l’acconto a portata di mano «E, mi raccomando, si ricordi di dirgli che è da parte della sua futura ex.»
La negoziante si appuntò tutto, in automatico, ma la sua testa era già proiettata lontano nel tempo, al weekend in arrivo, che avrebbe potuto segnare una svolta epocale o dare il via all’apocalisse.
 
***
 
Fiori o non fiori, quello era il dilemma. Se le circostanze fossero state differenti, Chloe non avrebbe esitato a presentarsi con un bel mazzo di iris, garofani e gerbere, una composizione non troppo elaborata e dai colori vivaci, perfetta per essere messa in un vaso prima di uscire, ma qualcosa in quel gesto le sembrava sbagliato. Volle convincersi che fosse semplicemente per il fatto che Maxine avrebbe preferito dei gigli.
«Mi stai ascoltando, Chloe?»
Lei annuì distrattamente.
«Vorrei che conoscessi David» disse sua madre «Lo so che ci frequentiamo solo da qualche settimana, ma stavo pensando di invitarlo a pranzo per il Ringraziamento. Ci sarai?»
La giovane Price fece spallucce. «Abbiamo sempre passato il Ringraziamento da sole, magari un po’ di carne fresca ravviverà le nostre discussioni. Ma se comincia a prendere le tue difese in un dibattito, non escludo di minacciarlo.»
«Sei libera di invitare qualcuno, per pareggiare i numeri» replicò Joyce «Magari qualcuna, come quella Max di cui parli sempre…»
La fiorista serrò i denti. «Non sarà possibile.»
«Peccato» mormorò la signora Price «Avrei comprato un tacchino più grande.»
La fioraia lasciò che la genitrice le raccontasse ancora un po’ del fantomatico David, poi, quando si rese conto che il pomeriggio andava sfumando in sera, si congedò per passare da casa, prima di raggiungere la dimora dei Graham.
Tentennò alla guida del pickup, ancora indecisa se passare al Kabloom per un omaggio floreale, ma alla fine stabilì che non fosse una buona idea, soprattutto perché un ennesimo confronto con Stephanie non avrebbe fatto altro che metterla di cattivo umore prima di vedere la Caulfield.
“Io ti ho avvisata” le comunicò, infatti, la collega tramite messaggio “Almeno vedi di divertirti.”
Chloe si limitò ad uno stringato “Ti dirò”, prima di raggiungere il proprio appartamento per farsi una doccia veloce. L’acqua calda era di piacevole conforto contro l’aria fredda novembrina, il che le fece ricordare, non essendo pratica di cinema all’aperto, di aggiungere una coperta alle cose da caricare in macchina per la serata.
Asciugati i capelli e recuperato dallo stendibiancheria il suo unico paio di jeans non sbrindellati, la fioraia fu pronta per uscire. Si guardò allo specchio un’ultima volta, aggiustando una ciocca turchina dietro l’orecchio. Colse l’occasione per sistemarsi il colletto della giacca di pelle ottima per ogni occasione, sotto cui si intravedeva la sua canotta preferita; un capo di vestiario un po’ inadatto alla stagione, ne era consapevole, che da sempre, però, riteneva di buon auspicio.
Ma di buon auspicio per cosa?
Scosse la testa. Era solo un’uscita in amicizia, una divertente attività in mutua compagnia, nulla di più. Non avevano importanza il battito accelerato del suo cuore e il ronzio alle orecchie ogni volta che Max le sorrideva.
Non c’era tempo per ripensamenti o per elaborare oltre i palesi messaggi che il cervello cercava di inviarle, la Caulfield l’attendeva e la strada per Newberg era lunga.
Scese le scale del palazzo a balzelloni, raggiunse il parcheggio, gettò provviste di cibo e coperta ai piedi del sedile passeggero e girò la chiave nel quadro di accensione nell’arco di cento secondi netti.
Sopra il pickup, lanciato a tutta velocità per le vie di Arcadia Bay, risplendeva un cielo terso punteggiato dalle prime stelle della sera.
Quando Chloe raggiunse la dimora dei Graham, la luna era sorta da oltre le montagne, donando alla volta celeste un ulteriore tocco di luce.
La Price parcheggiò il fido veicolo e si armò di telefono.
“La tua carrozza ti attende” digitò, approfittando dell’attesa per uscire dall’abitacolo ed accendere una sigaretta. Sapeva che a Maxine dava fastidio che fumasse in sua presenza, ma quel rituale le serviva per calmare i nervi.
Dopo un paio di minuti, l’amica la raggiunse, sventolando un sacchetto. «Ho portato un po’ di snack.»
«Perfetto, mettili insieme agli altri ai piedi del sedile» rispose l’altra, affrettandosi a spegnere il mozzicone.
Max aprì la portiera e, dopo aver sistemato le sporte, si accomodò sul pickup, impaziente di partire.
«Hai i biglietti?» le domandò l’autista, risistemandosi dietro il volante.
«Sono qui con me» confermò, estraendoli dalla tracolla.
«Allora mettiamoci in marcia, ci aspetta più di un’ora di strada e non voglio certo rischiare di farti fare tardi.»
Il viaggio sembrò durare meno del previsto. La Caulfield dovette assumere il ruolo di navigatore, ma si lasciò presto distrarre dalla conducente che voleva discutere del film che avrebbero visto, così le due si trascinarono vicendevolmente in un’animata discussione sul genere fantascientifico che le occupò fino all’arrivo alle porte di Newberg.
Trovare il drive-in non fu eccessivamente difficile, una volta raggiunta la periferia della cittadina fu sufficiente seguire il riverbero del colossale schermo illuminato che irradiava il proprio alone biancastro per miglia e miglia.
Si presentarono alla guardia all’entrata che alzò per loro la sbarra di sicurezza ed indicò il lotto dove parcheggiare.
Le automobili erano disposte su una mezza dozzina di file, il che assicurava a tutti di avere una buona visuale del video, mentre numerosi altoparlanti disposti ad intervalli regolari permettevano di avere la miglior distribuzione del suono possibile.
Per coloro che non fossero troppo interessati alla trama, la distanza tra le macchine era tale da garantire un ottimale livello di privacy, il che mise un po’ a disagio Maxine, quando si rese conto che la maggior parte degli altri presenti era composta di coppiette.
«Non ti preoccupare» la rassicurò la Price «Non permetterò che ti rovinino il film.»
Il logo della 20th Century Fox apparve sullo schermo preceduto da un campanello e un forte ronzio.
«Vuoi stare dentro o fuori?» domandò Chloe, stringendo in mano due pacchetti di nachos «Penso che sedute sul cofano riusciremo a sentire meglio.»
«Non farà troppo freddo?» replicò l’altra.
«Tra il motore ancora tiepido e il plaid che ho appositamente portato, non credo proprio.»
Le due scesero per appollaiarsi sul muso del pickup. La Caulfield si arrampicò come una scalatrice ed iniziò a cercare un modo per stare comoda.
«Guarda me» le sorrise la Price, mezza sdraiata con la schiena appoggiata al parabrezza e gli snack pronti al consumo.
L’altra la imitò, accomodandosi al suo fianco. «Dovremo stringerci un po’, per stare sotto questa coperta striminzita» osservò, accorciando le distanze fino a che le loro braccia non furono a contatto.
La fiorista non obiettò.
La pellicola iniziò a scorrere all’interno del vecchio proiettore, animando la notte con le scene del cosmo e dell’astronave.
Max, che conosceva la storia a memoria, dopo il confronto del tragitto voleva sentire i commenti dell’amica, così le chiese di parlare liberamente ogni qual volta lo reputasse necessario.
Chloe, nata per criticare qualsiasi cosa che non fosse Blade Runner, non si fece sfuggire l’occasione.
«Perché avrebbero dovuto costruire una navicella con pareti insonorizzate?» domandò, indicando i pannelli con cui era rivestito il mezzo intergalattico «Nel vuoto dello spazio il suono non si propaga in ogni caso.»[2]
La Caulfield sorrise, dandole ragione.
«E poi guarda che scriteriato!» continuò la fioraia «Appoggiare un sigaro acceso accanto ad un materiale chiaramente infiammabile è l’equivalente di aprire il portellone e uscire per una passeggiata senza tuta spaziale.»
Passarono un po’ di minuti, prima che la Price tornasse a farsi sentire. «L’unico membro femminile della squadra viene ucciso senza poter dire una singola battuta, che bellezza i gloriosi anni del patriarcato, prima che le donne avessero diritto di esprimere le proprie idee.»
L’amica annuì concorde. Le osservazioni di Chloe erano molto interessanti e le fornivano una prospettiva tutta nuova su un cult che, pensava, non avesse più segreti per lei. Eppure, gli occhi della fiorista erano capaci di scorgere dettagli bizzarri, piccole incongruenze che sarebbero sfuggite anche al più allenato dei cinefili, ma che lei sembrava in grado di fiutare come un cane da punta.
Le due ore successive furono costellate di brevi commenti della fioraia, ma fu verso la conclusione, quando il protagonista, l’astronauta George Taylor, si ritrovò a cavalcare lungo la spiaggia, che Maxine si fece contagiare dalla voglia di farsi sentire. «Certo che, con il senno di poi, avrebbe dovuto capire che si trovavano sulla Terra. Tra l’atmosfera così simile, l’aria respirabile e tutti i vari reperti…»
«Ormai ti ho portata al Lato Oscuro dei criticoni» sogghignò la Price «Ma per consacrare la tua iniziazione bisognerebbe alzare un po’ di più la voce.»
La Caulfield si paralizzò quando vide l’altra scivolare fuori dalla coperta, lanciare a terra il sacchetto dei rifiuti della loro cena e salire in piedi sul tettuccio alle sue spalle.
«Forza, Max!» la invitò, porgendole la mano.
Assecondando quella pazzia, l’amica si lasciò issare sulla cima del pickup.
«Non appena compare la Statua della Libertà, urla: “sveglia, George, era la Terra fin dall’inizio!”»
«Non sono brava a gridare» mormorò Maxine, un po’ in imbarazzo.
«Ti insegno io» replicò la fioraia «Devi lanciare la voce, per essere sicura che tutti ti sentano.»
Max non riuscì a far altro che annuire, calamitata dal viso di Chloe, i cui occhi azzurri sembravano rilucere ancor di più in contrasto con i colori delle scene finali in corsa sullo schermo.
«Devi contrarre i muscoli dello stomaco» disse la Price, poggiandole la mano sinistra sull’addome.
«Non penso di averne.»
«Ma certo che li hai» ribattè «Contraili forte e poi prova a premere il diaframma contro il mio palmo» proseguì, facendo scivolare la mano poco più su «Non abbiamo molto tempo.»
«Faccio fatica a sentire il tocco» sussurrò Max, strozzando le sillabe «Forse se usassi entrambe le mani…»
La Price, incurante del rischio di cadere e farsi male, si portò alle spalle dell’altra e l’abbracciò, di modo da premere lievemente con i palmi contro il muscolo respiratorio interessato.
«Adesso viene il bello» le bisbigliò all’orecchio.
Il fiato caldo sul collo e le parole, pronunciate con quella sicurezza tanto invidiabile, fecero rabbrividire la Caulfield.
«Immagina che il tuo palato sia il tetto di una cattedrale…»
«Mi sono persa» disse l’altra, sciogliendosi dalla stretta «Parlare di muscoli era un conto, ma questa storia della cattedrale…»
«È una questione di spazi» provò ad illustrarle la fiorista «Devi pensare che la tua bocca sia talmente immensa da doverla riempire di suono, dal profondo devi riuscire a generare una forza tale da rimbombare così da poterla proiettare fuori.»
Maxine la osservò, spersa.
«Così» affermò Chloe, voltandosi verso il protagonista, ormai sul punto di essere spezzato dalla grande rivelazione «Sveglia, George! Era la Terra fin dall’inizio!»
Quella frase echeggiò per tutto il drive-in, sovrastando il suono degli altoparlanti ed attirando l’attenzione dell’intero pubblico, che prese a rumoreggiare solo quando il riverbero delle parole venne assorbito dalla notte.
«Mica male, eh?» si pavoneggiò la fioraia, scivolando lungo il parabrezza, per poi balzare a terra.
Max le sorrise, perché non c’era altro che potesse fare, e pregò silenziosamente che quella piccola scena non costasse loro di essere bandite a vita dall’intera città di Newberg.
Fortunatamente, lasciare il cinema all’aperto non richiese molto tempo, una volta che lo schermo divenne nero e ad una ad una le vetture furono condotte all’uscita.
La luna e le stelle alte nel cielo avrebbero segnalato, a chi si fosse interessato di studiarne la posizione, che mancava più di un’ora alla mezzanotte e la serata si poteva ancora sfruttare in molti modi.
«Ti riaccompagno a casa?» chiese la Price, una volta individuata la strada verso la costa. Non avrebbe voluto fare quella domanda, ma non poteva certo prendere Maxine in ostaggio solo perché desiderava che la loro breve avventura insieme non si concludesse tanto in fretta.
«È ancora presto» le rispose la Caulfield «Potremmo fare qualcos’altro, prima di augurarci la buonanotte.»
«Hai già in mente qualcosa?»
«Dipende» ribattè Max «Ti piace ballare?»
Chloe aggrottò le sopracciglia. «Non ti avrei mai preso per una da discoteca…»
«Nessuno ha parlato di “discoteca”» replicò l’altra, senza, però, spiegarsi oltre «Fate rotta per Arcadia Bay, capitano, e vi indicherò la strada una volta raggiunta la città.»
Decisa a stare al gioco, la Price premette sull’acceleratore e si avviò lungo la provinciale deserta.
 
***
 
La piccola cittadina costiera non era nota per la vita notturna, essendo perlopiù un covo di pescatori e tappa per viaggiatori di passaggio, la fiorista lo sapeva bene. Negli anni della gioventù, quando aveva sentito il bisogno di evadere da quella che le sembrava una prigione, era dovuta ricorrere ad illegali concerti rock in una segheria abbandonata in mezzo ai boschi, perché Arcadia Bay era troppo “tranquilla”.
Destreggiandosi tra le vie principali del centro alla ricerca di un parcheggio, mentre in alto, sulla scogliera, solamente il faro sembrava essere ancora in attività, Chloe si chiese quale trucco la sua amica fosse pronta a tirare fuori dal cilindro.
«A destra, dietro quel furgoncino» le indicò Maxine, dopo aver individuato un posto vuoto «È perfetto, siamo molto vicine alla nostra meta.»
La Price fece manovra e spense il motore per guardarsi attorno con attenzione. Era una zona della città che frequentava poco, dove si concentravano negozietti e boutique che non avevano nulla di interessante da offrirle.
La maggior parte degli edifici aveva le saracinesche abbassate o le porte chiuse a doppia mandata, ma nella fila di finestre serrate, una vetrina risaltava, richiamando l’attenzione sui numerosi poster che la decoravano.
«È un negozio di videogiochi» osservò la fioraia «Cosa diavolo ti sei inventata?»
Max, senza esitare, entrò e rivolse al proprietario un cordiale saluto, seguita a ruota dall’altra, ancora presa dallo studiare l’ambiente.
L’uomo, una sorta di nano vichingo dal viso severo sepolto sotto una folta barba rossiccia, annuì alla Caulfield senza neppure pronunciare una parola.
«Seguimi» affermò la giovane, prendendo la mano della fiorista per accompagnarla ad una scala in ferro che conduceva ad un seminterrato.
Chloe si convinse che, se la sua esistenza fosse stata un film dell’orrore, quello sarebbe stato il momento in cui avrebbe perso la vita per mano di qualche psicopatico armato di uncino o motosega.
Invece di trovarsi nel covo di un serial killer, però, le due sbucarono in una grande stanza dalle pareti di cemento contro cui si trovava una dozzina di cabinati lampeggianti, in perfetto stile arcade dei tempi andati.
«È una sala giochi» mormorò la Price «Sembra uscita direttamente dalla fine del secolo scorso.»
«Non è molto frequentata, forse perché ha aperto solamente da qualche settimana» replicò la Caulfield «Ma conosco Paul, il proprietario, da prima che ristrutturasse questo posto e ne approfitto quando posso per giocare ai grandi classici su arcade.»
«Continuo a non capire come questo posto abbia a che vedere con il ballo» commentò la fioraia, lasciandosi distrarre dal tintinnare insistente di un flipper.
Ancora una volta, senza parlare, Max la prese per mano e la condusse davanti ad una delle macchine più grandi.
«Ultimate Dance Battle[3]» lesse ad alta voce Chloe «Fai sul serio?»
Maxine indicò le due piattaforme di gioco disposte l’una accanto all’altra davanti allo schermo. L’obiettivo consisteva nell’eseguire le mosse giuste premendo con i piedi le frecce della postazione a ritmo della musica.
«È una sfida?» continuò la fiorista, facendo qualche saltello per scaldare le gambe.
«Non deve esserlo per forza» replicò l’amica «Non vorrei lasciarti andare a casa con il peso di una bruciante umiliazione.»
«Ti rimangerai queste parole, mia cara.»
La Caulfield inserì un quarto di dollaro nella macchina, che immediatamente reagì animandosi di luci e suoni.
«Selezionare traccia» gracchiò una voce robotica.
«Qualcosa di tranquillo, per riscaldarci…» suggerì la Price.
«Mi dispiace, ma lasceremo che sia il fato a decidere.»
Il computer interno scelse una delle tante canzoni a propria disposizione e diede il via alle prime note di Feels Like I’m in Love di Kelly Marie.
«Pronta?» domandò Max, vedendo la pedana illuminarsi per dare il via alla battaglia.
«Sono nata pronta.»
It feels like, it feels like I’m in love.
Avanti, avanti, indietro.
My head is in a spin, my feet don’t touch the ground.
Destra, indietro, destra, avanti, sinistra, indietro.
Because you’re near to me my head goes round and round.
Chloe faticò a stare dietro al ritmo incalzante.
My knees are shaking, baby, my heart it beats like a drum.
Maxine sorrideva, eseguendo le mosse richieste con naturalezza.
It feels like, it feels like I’m in love.
La fioraia sbirciò l’avversaria e sbagliò tre passi di fila per causa della distrazione.
Ain’t been this way before, but I know I’m turned on. It’s time for something, baby, I can’t turn off.
«Concentrati» la punzecchiò l’amica «Vincere con tutto questo vantaggio non è divertente.»
My knees are shaking, baby, my heart it beats like a drum.
L’altra provò a recuperare, ma il divario era ormai incolmabile.
It feels like, it feels like I’m in love.
La traccia scemò in un trionfo di beep e scampanii in favore della Caulfield.
«Voglio la rivincita» affermò immediatamente la Price «Ma questa volta si gioca secondo le mie regole.»
Max le fece cenno di procedere.
La fiorista fece ripartire la stessa canzone, ma, invece di seguire la propria pedana, dopo qualche secondo afferrò i fianchi di Max per spostarla, invertendo le postazioni.
Invece di protestare, Maxine rise divertita e continuò a ballare.
Quella scena si ripetè un altro paio di volte e, quando la macchina suonò per la terza volta Feels Like I’m in Love, le due si ritrovarono ad improvvisare un duetto, sfoggiando mosse e discutibili coreografie che non avevano nulla a che vedere con il gioco.
Sull’onda di quello spasso, continuarono ad inserire quarti di dollaro fino a che, scatenandosi a ritmo di una compilation dai sapori ormai retrò, i portamonete di entrambe non piansero miseria.
«Molto meglio di una discoteca» decretò Chloe.
«Te lo avevo detto» ribattè Max, osservando l’orologio del telefonino che indicava fosse ormai l’una passata.
«Non dubiterò mai più di te e delle tue idee» disse la Price, comprendendo che fosse giunta l’ora di rientrare per la notte «Ma penso che si sia fatto tardi e sia ora di riportarti a casa.»
 
***
 
Il pickup si accostò al parco nel momento in cui l’orologio del cruscotto segnò l’una e mezza spaccata.
«Sicura che non vuoi che ti accompagni fino alla porta?» domandò la fiorista «È piena notte e questo potrà anche essere un quartiere tranquillo, ma…»
«Volevo approfittare di questo bel tempo per fare una passeggiata, prima di rientrare» la interruppe l’altra «Ti andrebbe di farmi compagnia ancora per un po’?»
Chloe tentennò. Avrebbe dovuto aprire il Kabloom una volta giunta la mattina ed, essendo domenica, avrebbe dovuto badare al terremoto biondo che rispondeva al nome di Chris.
«Ti offrirò il caffè, domattina, per pareggiare i conti» propose la Caulfield.
«Non hai bisogno di comprarmi in questo modo» ridacchiò la fioraia, scendendo dal veicolo e avviandosi verso il sentiero che conduceva sotto le fronde dei faggi «Ma accetterò molto volentieri quel caffè.»
Le due camminarono lungo il percorso delimitato da qualche panchina deserta riprendendo le chiacchiere che avevano interrotto poco prima.
«Allora, dimmi del giglio» mormorò Max, avanzando sotto la tenue luce lunare.
«È per questo che volevi fare quattro passi? Per concludere il tuo interrogatorio?» contestò la Price «Te l’ho già detto che non vuoi sapere il significato del giglio.»
L’amica sospirò. «Ma è il mio fiore preferito…»
«Chiedimi dell’azalea» replicò la fiorista.
«Va bene, cosa significa l’azalea?» domandò, stringendosi nella giacca.
«È un augurio di sicurezza economica» spiegò Chloe, tenendo lo sguardo fisso davanti a sé.
«Molto interessante» commentò Maxine, facendo un passo laterale per urtare lievemente l’amica «Adesso dimmi del giglio.»
La Price si irrigidì quando sentì le mani dell’altra avvinghiarle il braccio destro.
Gli occhi della Caulfield si fissarono con determinazione alla ricerca di quelli molto elusivi della fiorista.
Lei faticò a resistere a quello sguardo, che sembrava in grado di demolire ogni suo tentativo di difesa. «Il giglio significa…» mormorò.
Max sorrise, in trepidante attesa.
«Il giglio significa: “ti sfido ad amarmi”.»
Scese il silenzio sul parco, mentre le due donne continuavano a fissarsi.
Chloe comprese di essersi esposta troppo e fece un passo indietro. «È davvero tardi, adesso, sarà meglio tornare a casa.»
Raggiunsero nuovamente la macchina per proseguire, poi, verso il complesso di palazzi a piedi.
«Comunque, volevo ringraziarti per la bella serata» riprese la fioraia «Era da tempo che non mi divertivo tanto.»
«Figurati, è stato un piacere» replicò l’altra «Non avrei mai detto che rivedere Il Pianeta delle Scimmie sarebbe stato così illuminante.»
«Dovresti sentire cosa ho da dire sugli altri classici della fantascienza» tornò a pavoneggiarsi la Price, riacquistando magicamente la propria sicurezza «Posso rovinare i finali ad un sacco di gente.»
Ridacchiarono insieme fino a raggiungere il portone del condominio dei Graham.
«Sono arrivata» osservò Maxine, quasi non si fosse resa conto di dover dare spazio ai saluti.
Chloe tentò di trovare qualcosa da dire, ma si perse nuovamente a studiare le iridi blu che sembravano essere alla ricerca di qualcosa.
Maxine si sentì sospingere da una forza inarrestabile. Fece un passo avanti, poi un altro, arrivando con le labbra ad un soffio da quelle della fioraia.
Il mondo sembrò fermarsi per un istante, con la luna sospesa come i loro respiri.
Poi un’auto solitaria sfrecciò lungo la strada accanto e l’incantesimo si spezzò. Max indietreggiò, stordita e balbettò un “buonanotte” a mezza voce. Materializzò le chiavi in mano e scomparve nell’androne ancora buio senza voltarsi.
La Price rimase imbambolata. La testa, che fino ad un momento prima si era svuotata di ogni cosa che non fosse il viso di Maxine, iniziò a vorticare di pensieri.
«Merda…» imprecò, dirigendosi al pickup. Le rimanevano sei ore di tempo per dimenticarsi di tutto e far finta che quel bacio mancato non fosse mai avvenuto.
 
***
 
Il sole sorse su un’Arcadia Bay placida ed addormentata, solleticando con i primi raggi della giornata le cime degli abeti che popolavano la collina del faro.
Nascosta all’ombra degli alberi, intenta a fumare la terza sigaretta di fila, si tormentava Chloe, camminando su e giù lungo il sentiero che conduceva allo spiazzo sul promontorio. Dopo una notte pressoché insonne, aveva raggiunto il negozio alle sei del mattino e, non riuscendo a trovare requie, aveva iniziato a camminare nella speranza che lo sforzo la aiutasse a distrarsi. Il tentativo si era rivelato più che vano.
Non ce la posso fare.
Inspirò una boccata di fumo e riprese la discesa verso il bivio che l’avrebbe ricondotta al Kabloom. Chris sarebbe arrivato entro una mezz’ora e, con lui, sarebbe giunta anche la causa delle sue tribolazioni.
Non è stato niente, ripigliati. Steph ti tirerebbe un pugno per farti rinsavire.
La sua collega, però, aveva già chiesto di avere la giornata libera per passarla con la sua più recente conquista e non sarebbe stata presente per farle la paternale o darle un po’ di supporto morale.
Le suole consumate degli anfibi fecero presa sulla ghiaia della strada, avvicinandola passo dopo passo al negozio.
La saracinesca decorata era là ad attenderla, aspettando di essere sollevata per dare il via ad un nuovo giorno di lavoro, ma la proprietaria era di tutt’altro avviso. Passando dal retro, la Price cercò di soffocare ancora una volta i propri pensieri, concentrandosi sulla potatura di un paio di Dracaena fragrans, noti come tronchetti della felicità, che avrebbe dovuto esporre nella giungla della vetrina. La cura necessaria per quel compito e l’attenzione richiesta per non danneggiare le piante riuscirono, finalmente, a liberarle la testa, lasciando che le mani agissero da sé, ben sapendo come trattare le foglie di quelle piante.
I trenta minuti che la separavano dall’ineluttabile colazione le scivolarono addosso senza che se ne accorgesse e presto aumentarono, fino a diventare quaranta, poi cinquanta ed infine sessanta.
Il desiderio di chiedere spiegazioni via messaggio si presentò più e più volte, ma la fiorista si fece forza per resistere. Ci potevano essere mille ragioni per quel ritardo e presto avrebbe potuto sentire quella effettiva con le proprie orecchie, sarebbe stata una questione di pazienza.
Aveva sollevato la saracinesca da un quarto d’ora ed aveva persino venduto un paio di anthurium ad una vecchina diretta al cimitero, quando udì il rumore di una macchina entrare nel parcheggio.
Il suo cuore accelerò, ma il rombo del motore non si smorzò e la vettura, dopo una breve sosta, scomparve alla volta della cittadina.
Dopo qualche secondo, Christopher entrò trascinando i piedi, chiaramente turbato. «Ciao, Chloe» mormorò, togliendosi lo zainetto dalle spalle per appoggiarlo sul bancone.
La fiorista ricambiò il saluto, poi gli domandò cosa lo avesse messo di cattivo umore, sperando di ricavare qualche informazione riguardo Maxine nel frattempo.
«Non siamo andati a mangiare il bacon con la cioccolata» spiegò, esponendo una ragione a lui ovvia.
«Mi dispiace» rispose la mentore «Ti ci avrei portato, ma devo restare in negozio, visto che Steph oggi non c’è ed è orario di apertura.»
«È colpa di Max» ribattè, mettendo il muso «Non è venuta a prendermi, così ci ho messo troppo tempo a convincere papà e abbiamo fatto tardi.»
«Come mai non è venuta?» provò ad indagare.
«Non lo so» borbottò il bimbo, accomodandosi sullo sgabello dietro il bancone «Mi aveva promesso che mi avrebbe accompagnato, come tutte le domeniche… Pensi che abbia fatto qualcosa per farla arrabbiare?»
La donna scosse la testa. «No, Chris, sono sicura che non sia colpa tua. Magari non si è sentita bene o si è ricordata di avere qualcosa di importante da fare per lavoro.»
«Ma me lo aveva promesso» contestò il piccolo Eriksen «E le promesse si devono mantenere, sempre.»
«Certo» concordò lei «Proprio per questo sono sicura che tua cugina ti saprà dare una spiegazione e tu, da bravo supereroe, sarai comprensivo e la perdonerai per aver mancato a questo impegno.»
Il bambino sembrò abbastanza soddisfatto da quella prospettiva, che venne seguita da una promessa di pranzare al Two Whales per porre rimedio all’appuntamento saltato.
Passato il mezzogiorno, Chloe mantenne la parola data ed accompagnò il protégé al diner per un lauto pasto a base di Mac&Cheese e una fetta di pumpkin pie  più grande della sua faccia. Per non farlo sentire solo durante il banchetto, la fioraia ordinò un frullato che sorseggiò controvoglia.
«Non è lo stesso senza Max» si lamentò Captain Spirit, attaccando con la forchetta la mole colossale di pasta al formaggio.
La Price sospirò. «Lo so, scricciolo.»
Il bimbo osservò la mentore, assalito all’improvviso da un dubbio. «Chloe… Hai fatto arrabbiare tu Max?»
La fiorista indurì la propria espressione, cercando di non lasciar trapelare alcuna emozione che avrebbe potuto tradire il timore di essere la causa di quell’assenza. «Non lo so, Chris, mi auguro di no.»
Lui non volle indagare oltre e tornò a mangiare come se nulla fosse accaduto.
Tornarono al Kabloom e trascorsero insieme il pomeriggio. Christopher si offrì volontario per assistere i clienti nelle loro scelte floreali, pur di evitare i compiti, ma la proprietaria del negozio lo costrinse a fare gli esercizi di matematica, dandogli una mano.
Charles venne a riprendere il figlio poco prima delle cinque e la giornata di Chloe, a quel punto, divenne ancor più deprimente.
In accordo con il suo umore, il cielo si fece coperto e dal Pacifico cominciò a spirare un vento freddo di tempesta. Era assurdo pensare che la sera prima si potessero scorgere con tanta chiarezza la luna e le stelle.
La luce cominciò presto a mancare e l’aria di pioggia si insinuò sempre più nella giungla del negozio, sgusciando dentro ogni qual volta un nuovo acquirente faceva il proprio ingresso.
La porta cigolava stanca ad ogni nuovo arrivo, faticando a chiudersi contro le raffiche che premevano per entrare. Presto quel malinconico lamento divenne il naturale sottofondo delle ore desolate della Price.
Quando un altro gemito dei cardini marcò l’entrata di un nuovo cliente, la fioraia alzò lo sguardo assecondando un riflesso condizionato.
Improvvisamente il suo umore nero svanì, spazzato via da una visione inattesa. Il sorriso le fiorì sulle labbra prima che potesse realizzare quanto si sentisse felice e sollevata.
Davanti a lei, con i capelli un po’ arruffati dal vento, col fiato corto e il viso arrossato per un’apparente scatto di corsa, si trovava Maxine. Gli occhi blu le dissero già tutto ciò che Chloe avrebbe voluto sentire.
 
***
 
Max si pietrificò sulla soglia del Kabloom, cercando di ripercorrere gli eventi di quel giorno.
Dopo aver trascorso una nottata insonne a tormentarsi riguardo la serata passata con la Price, la Caulfield aveva deciso di evitarla ad ogni costo, mancando, proprio malgrado, all’impegno con il cuginetto. La solitudine domestica l’aveva, però, presto esasperata. Non poteva chiamare Kate, l’unica con cui avrebbe potuto confidarsi, perché essendo domenica sarebbe stata impegnata con le funzioni in chiesa e con il catechismo. La televisione ronzava e gracchiava, ma non abbastanza forte da sovrastare il rumore che facevano i suoi pensieri. Doveva uscire da quella che si stava tramutando in una gabbia fatta di foto felici di lei e suo marito, l’uomo che sarebbe tornato a casa quella sera, ignaro di tutto.
Nella speranza di sfuggire a se stessa, a metà pomeriggio, si era messa in cammino nonostante le nubi nere all’orizzonte. I piedi l’avevano guidata là dove mai avrebbe avuto il coraggio di dirigersi coscientemente.
Nel momento in cui aveva aperto la porta si era figurata tutto ciò avrebbe dovuto dire, non poteva esitare o rimandare, il confronto era inevitabile e si sentì sicura delle proprie scelte, fino a che non vide il sorriso caldo di Chloe, pronto ad accoglierla dopo le sferzate di vento gelido.
«Ciao» le disse la fiorista «Dopo il bidone di stamattina, sono felice di vederti…»
«No, non sei felice di vedermi» la interruppe la Caulfield, forzando le parole «Non puoi esserlo. Non voglio che tu lo sia.»
La fiorista si scostò per lasciare che l’altra entrasse e potesse chiudersi la porta alle spalle.
«Sono qui perché non so cosa stia succedendo.»
La Price si trattenne dal rispondere, un po’ confusa da quelle parole, che non erano esattamente ciò che avrebbe sperato di udire.
Maxine iniziò a passeggiare avanti e indietro gesticolando, evitando ad ogni costo di incontrare gli occhi azzurri dell’altra.
«Tu mi fai sentire qualcosa» continuò con voce strozzata «Qualcosa che non posso assolutamente provare.»
Chloe incrociò le braccia al petto, attendendo il seguito di quella bizzarra confessione.
«Io sono sposata.»
Non era necessario ricordarlo ad alcuna delle parti coinvolte, ma la Caulfield aveva bisogno di pronunciare quelle parole per tracciare un confine.
«Sono sposata, per la miseria. Ho un marito… E lui… È un uomo buono e non ha fatto niente di male…»
Un nuovo acquirente entrò nel Kabloom, troncando il discorso di Maxine che si dileguò andando a nascondersi nel retro del negozio.
«Salve, potrebbe aiutarmi? Vorrei mettere in piedi un piccolo orto e mi servirebbero alcune erbe officinali» esordì l’uomo, un signore di mezza età dall’aria abbastanza distratta da non percepire la tensione che ancora aleggiava nella stanza.
Decisa a non perdere tempo, anche a costo di rimetterci qualche dollaro, la Price gli piazzò in mano un vasetto di salvia e uno di basilico.
«Prenda queste, offre la casa.»
Lui non replicò e se ne andò soddisfatto, lasciando che la fiorista potesse raggiungere l’amica, intenta a riorganizzare il proprio monologo nel retrobottega.
Quando si trovarono nuovamente faccia a faccia, Maxine fece un profondo respiro, prima di ricominciare a parlare. «Quindi, capisci? Devi capire. Non posso farlo, non posso davvero. Perciò, qualunque cosa ci sia, o ci fosse, deve finire qui ed ora.»
Si fissarono in un silenzio carico di sentimenti inespressi, ma Max non riuscì a reggere lo sguardo dell’altra a lungo.
«È finita» sentenziò, puntando verso la porta.
Chloe non l’avrebbe fermata, anche se avrebbe voluto farlo. Si impose di non voltarsi per supplicarla di restare perché non sarebbe stato giusto, se quella era la decisione che Maxine aveva preso.
Il rumore della maniglia che scattava le assalì i timpani, ma, dopo quelli che le parvero secondi interminabili, non sentì la serratura azionarsi nuovamente alle proprie spalle.
Si girò e vide che la Caulfield non se n’era andata.
«Max?» mormorò, non osando avvicinarsi.
Sentendosi chiamare, Maxine lasciò andare la presa e tornò indietro. Ci aveva provato, la testa le aveva detto di opporsi a quella forza inarrestabile e lei aveva fatto il possibile, ma qualcosa nel profondo continuava a spingerla verso Chloe e non voleva più combattere contro qualcosa che, in fondo, desiderava.
Si aggrappò alle falde della giacca di pelle nera, attirando a sé la fiorista. I capelli blu e le iridi celesti erano un bellissimo mare in cui naufragare. Chiuse gli occhi e colse la sfida del giglio.
Il pubblico floreale fu testimone del loro primo bacio, poi del secondo e di tutti quelli che seguirono. Un letto di rose, già disposte nei vasi da esporre in vetrina, le accolse quando la Price, sbilanciata dal ritrovarsi l’altra tra le braccia, si lasciò cadere all’indietro.
Si ritagliarono uno spazio nel mondo che apparteneva solo a loro. Le fronde dei Ficus, le foglie di felce ed i petali delle varie altre specie delimitavano un confine entro il quale non esistevano obbligazioni o legami estranei, un luogo in cui la tempesta che aveva preso ad infuriare all’esterno non poteva raggiungere le due donne. In quel retrobottega a malapena illuminato, nulla poteva turbare lo sbocciare del loro amore.
«Spine…» balbettò la fiorista tra un bacio e l’altro.
Maxine provò a sollevarsi. «Cosa?»
«Ho una selva di spine nelle chiappe» rise Chloe, facendo il possibile per allontanarsi dai fusti delle rose, senza però scostarsi dal corpo della Caulfield.
Max sorrise, dimentica di ogni cosa, beandosi di quel momento di leggerezza.
«Non che mi lamenti della situazione» proseguì la fioraia, prendendo il viso dell’altra tra le mani per baciarla nuovamente «Ma, forse, sarebbe meglio se ci alzassimo. Questi fiori devono essere venduti e io devo pur campare di qualcosa.»
Maxine si mise in piedi e tese una mano per aiutare l’altra.
Tornarono a fissarsi con intensità e fu questione di un respiro prima che precipitassero ancora una volta sull’inusuale letto di petali.
La furia del temporale era tale da assorbire ogni suono che non fossero i loro respiri, perciò entrambe sobbalzarono quando udirono la porta del negozio aprirsi, non avendo colto il rumore di una vettura in arrivo.
«Non posso spedire via un altro cliente con un omaggio» borbottò la fiorista, alzandosi controvoglia e con l’intenzione di liquidare quanto prima l’indesiderato scocciatore.
«Ehilà?» si levò una voce «C’è nessuno?»
Nonostante la porta di divisione e il battere della pioggia sui vetri, entrambe riconobbero il timbro di Warren.
«Chloe?» continuò «Sei nel retro?»
La Price scattò. «Arrivo subito.» Si voltò appena un secondo per scorgere il volto pallido e lo sguardo terrorizzato di Maxine.
L’incantesimo era ormai spezzato.
«Ciao, Warren» salutò il giovanotto, chiudendosi l’uscio alle spalle «Stavo sistemando le rose.»
Lui annuì comprensivo.
«Cosa ci fai qui?» domandò la Price.
Graham allargò le braccia, indicando intorno a sé. «Sono qui per comprare dei fiori, che altro se no?»
«Fiori, certo» ribattè la fioraia, cercando di riordinare le idee.
«Sono per Max» aggiunse lui «Voglio farle una sorpresa.»
Chloe lanciò uno sguardo alla porta che dava sul retrobottega. Era socchiusa.
«Ultimamente l’ho vista distante… Questo convegno ci ha portato via un weekend da spendere insieme e non ha di certo aiutato. So che i fiori le piacciono e saranno un buon modo per farle tornare il sorriso quando arriverò a casa.»
La Price si sentì investire da un travolgente senso di colpa.
«Ho pensato che una delle tue composizioni fosse proprio quello che faceva al caso mio, puoi aiutarmi?» concluse, osservando vaso di narcisi.
«Certo» disse lei «Cosa le piace?»
Warren fece spallucce. «Lo sai cosa le piace.»
Un brivido freddo corse lungo la schiena della fiorista.
«I gigli» proseguì l’uomo, vedendola smarrita «Lei ama i gigli.»
Cercando di deglutire il rospo che si sentiva in gola, Chloe iniziò a mettere insieme un mazzo che fosse adatto all’occasione.
«Allora, com’è stato il film ieri sera?» chiese Graham, osservandola lavorare.
«Niente male» replicò lei, senza sbilanciarsi troppo.
«E come hai trovato Max?»
La Price si bloccò con una mano sospesa. «Bene» mormorò «Insomma, non saprei come…» proseguì, mordendosi la lingua «Bene.»
L’uomo le si avvicinò e cercò il suo sguardo. «Non vorrei sembrare indiscreto, ma non è che ti abbia detto qualcosa su di me?»
La fioraia desiderò essere inghiottita dal pavimento.
«Forse sto sbagliando qualcosa, con lei, me ne convinco sempre più» sospirò «E se ti avesse detto cos’è quello che sto facendo o che non sto facendo, potresti aiutarmi a correggere il mio comportamento e così…»
Chloe faticò a guardarlo in faccia, dopo aver notato che aveva gli occhi lucidi.
«Torneremmo a stare come prima» disse, cercando di mascherare l’incertezza nella voce «Sono sicuro che potremmo tornare a stare come prima.»
Perdurò il silenzio, mentre la Price concludeva la composizione.
«Non mi ha detto niente» affermò, porgendogli i fiori.
«Capisco, mi spiace di averti messo in imbarazzo e di essermi reso un po’ ridicolo con questa scena» rispose Warren, accogliendo tra le braccia i gigli, coperti da uno velo trasparente per ripararli dalle intemperie «Quanto ti devo?»
«Offre la casa» ribattè la fioraia, facendo un cenno con la mano «Comunque, dovresti chiederlo a lei se ci sia qualcosa che non va, non a me.»
Graham sfoggiò un mezzo sorriso malinconico. «Beh, ti ringrazio per il suggerimento, ma preferirei evitare.»
«Perché?»
L’uomo celò il viso, dando le spalle alla fiorista. «Se mi dicesse che davvero c’è qualcosa che non va?»
Chloe lo guardò uscire, coprendo i fiori con la giacca, per girare l’angolo verso il parcheggio, dove doveva aver lasciato l’auto. Quando vide i fari del veicolo sfrecciare verso la città, la fioraia tornò nel retro, solo per trovare l’uscita sul posteggio aperta e una figura in allontanamento verso la strada del faro.
«Che cazzo di situazione» imprecò tra i denti, affrettandosi a chiudere a chiave il negozio per poter inseguire Maxine nella tempesta.
 
***
 
Le fronde degli abeti si agitavano al vento e la pioggia cadeva insistente, ostacolando con le sue stille gelate la fuga improvvisata di Max.
Proteggendosi gli occhi con la mano, alzò lo sguardo per individuare il sentiero verso il faro. Non saliva quella collina da anni, ma non poteva perdersi perché la strada era una sola. Dopo aver assistito, di nascosto, al dialogo tra Chloe e Warren, le era crollato il mondo sulle spalle e aveva deciso di scappare.
Aveva atteso giusto il tempo di vedere la macchina del marito allontanarsi, poi si era messa a correre sotto l’acqua nella speranza che parte di quel peso che sentiva sul cuore sarebbe svanita con la fatica.
Raggiunse la cima del promontorio con i polmoni in fiamme e le gambe tremanti per il freddo e lo sforzo. Sopra di lei, la luce del faro roteava con il proprio moto perpetuo, imperturbabile.
«Max!» si sentì chiamare e, per la prima volta, udire il suo nome lasciare le labbra che aveva baciato dopo tanto averlo desiderato, la tramortì con la forza di un uragano.
«Chloe» mormorò, quando la percepì vicina «Ti prego…»
«Dimmi qualcosa.» Non era un invito, neppure un ordine, era una preghiera disperata.
«Che cosa vuoi che ti dica?» singhiozzò, voltandosi per affrontare la donna al suo inseguimento. Le lacrime si mescolavano alla pioggia. «Ho sentito quello che ha detto, l’ho sentito benissimo. Pensa addirittura che sia colpa sua!»
La Price tremò a vedere la Caulfield così fragile e confusa. Non poteva sopportare che soffrisse e sapeva che ci fosse un’unica soluzione. «Allora, poni fine a tutto questo.»
Maxine ricambiò lo sguardo, alla ricerca di un barlume di speranza. «Come?»
Chloe pronunciò parole dure: «Dimmi di sparire.»
Max la fissò, ancor più smarrita.
«Dimmi che è quello che vuoi e io mi allontanerò, non mi farò più vedere.»
La Caulfield represse un altro singhiozzo. «È questo quello che vuoi?»
«Io voglio te.» Mai la fiorista era stata tanto sicura di qualcosa nella propria vita, ma, purtroppo lo sapeva, le sue certezze non avevano posto in mezzo a quella tempesta.
«Chloe…» mormorò Maxine, incapace di proseguire.
«Lo so…»
«Non posso…» balbettò, il pensiero ancora una volta troncato a metà.
«Lo so.»
La Price aprì le braccia e Max vi ci si gettò a cercare riparo dal temporale, dal mondo intero, da ciò che sarebbe inevitabilmente accaduto.
«Andrà tutto bene» la rassicurò la fioraia, accarezzandole i capelli bagnati «Scenderai lungo il sentiero e raggiungerai casa, per andare da Warren e ringraziarlo dei gigli. Tutto sarà come prima.»
La Caulfield non riuscì a resistere. Cercò un nuovo bacio, quello che sarebbe stato l’ultimo, il loro addio.
Fu Chloe ad interrompere il contatto, a malincuore, sciogliendo l’abbraccio. Aveva gli occhi lucidi e le sue lacrime, proprio come quelle dell’altra, erano state mascherate dalla pioggia.
Le iridi celesti, velate di pianto, sembrarono scrutare ancor più a fondo nell’anima di Max.
Con voce spezzata dall’emozione, la Price trovò la forza di articolare una frase in grado di annientare il caos attorno a loro: «Ti amerò per sempre… Ora va’, ti prego. Fallo, prima che io impazzisca.»
Sembrava devastata, come se fosse appena stata condannata a morte. Amava Maxine in una misura che trascendeva le parole e, proprio per tale ragione, doveva lasciarla andare, far sì che tornasse alla vita di prima, quella senza di lei.
La Caulfield la osservò spaesata. Non aveva la forza di prendere quella decisione e Chloe la stava prendendo per lei.
«E, Max Caulfield?» aggiunse la donna dai capelli blu, lasciando che le lacrime trovassero nuovamente la via «Non ti dimenticare di me.»[4]
Maxine la guardò per quella che, temeva, sarebbe stata l’ultima volta. «Mai. Non ricorderò altro che te.»
La signora Graham diede le spalle alla fiorista e trascinò i piedi lungo la strada fangosa. La attendeva un lungo cammino fino a casa.
Chloe attese di vederla sparire nel folto della boscaglia, poi si abbandonò sulla panchina del punto panoramico che dava sulla baia.
La tempesta, in breve tempo, si placò, cedendo il posto ad un cielo stracciato da nubi più chiare.
La Price si riscosse dopo un’eternità, scrollando le spalle nell’illusoria speranza di alleggerire il peso della giacca pregna d’acqua.
Il Kabloom la stava attendendo.
Si tirò in piedi e si incamminò cercando invano le impronte lasciate da colei che non si era più voltata indietro.
Svanita era la sua camminata sicura, il suo incedere fiero. La testa infossata e le mani nelle tasche erano un chiaro segno della rassegnazione che l’aveva vinta. Avrebbe voluto lottare, poiché Max ne valeva la pena, eppure non lo avrebbe fatto, perché la sua paura più grande era che quella fosse la scelta giusta per sé e non per la donna che amava.

 
***

 
 
[1]: Il drive-in di Newberg è quello citato in Life is Strange che ricompare più volte durante il corso della trama. Come proiezione mi sono affidata, anche in questo caso, al film proposto dal gioco. Il funzionamento di questo cinema all'aperto è puro frutto della mia fantasia, ma se foste curiosi, a Newberg, cittadina realmente esistente dell'Oregon, ho davvero trovato un drive-in. Il cinema si presenta con un simpatico sito che riporta alcune norme di comportamento e curiosità varie.
[2]: Per correttezza verso la storia, ho visto per la prima volta questa pellicola, volevo che lo sapeste. Per quanto riguarda le osservazioni di Chloe, mi sono affidata al canale YouTube CinemaSins che conosco da tempo e che sapevo mi avrebbe fornito le giuste parole da mettere in bocca alla Price.
[3]: Nel film non viene specificato il nome della console, ma si intuisce sia Dance Dance Revolution o qualche sua imitazione, così mi sono inventata "Ultimate Dance Battle". Ho verificato e non ho trovato una piattaforma chiamata così.
[4]: La prima parte del dialogo è ripresa dal film, mentre la seconda è, naturalmente, presa dal finale di LiS che preveda di sacrificare Chloe. Questa scena è stata il motore primigenio dell'intera storia, poichè i parallelismi che vedevo tra Luce e Rachel e Chloe e Max erano forti più che mai nei due speculari momenti di addio. Chiarisco, però, una cosa: mai e poi mai avrei sacrificato la Price per salvare Arcadia Bay. Il dialogo l'ho attentamente studiato dal playthrough di qualcuno che abbia compiuto una scelta per me inaccettabile.



NdA: le note qui sopra penso siano già anche troppo lunghe, perciò sarò breve. L'ultimo capitolo è ancora in fase di stesura, ma mi auguro di concluderlo entro la prossima settimana così da tener fede alla tabella di marcia.
Ringraziamenti lampo: a wislava, che non so più come ringraziare, quindi si dovrà accontentare di queste poche parole; ad axSalem che continua ad affiancarmi in queste avventure con puntuali commenti sempre graditi; a tutti gli altri, che spero attendano pazienti la conclusione di questa vicenda.
Spero di ritrovarvi per il finale, signore e signori, fino ad allora buona lettura a tutti.

 
   
 
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