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Autore: Akame28    28/04/2020    0 recensioni
Sette storie diverse per sette coppie diverse, scritte per la Haikyuu Rarepair Week e la Haikyuu Week.
Ci sarà Tobio alle prese con il suo primo amore, Sugawara con un viaggiatore del tempo, Hinata con un suo senpai e un Tooru fin troppo sicuro di sé con un Iwaizumi fin troppo protettivo, per non dire di più.
Nota di servizio: solo le prime tre one-shot fanno parte della Haikyuu Rarepair Week, le altre sono quelle più comuni (Kagehina, per fare un esempio).
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama, Tooru Oikawa
Note: AU, Movieverse, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Giorno 2: Time Travel AU
Coppia: Sugawara Koushi/Azumane Asahi

 
I viaggiatori del tempo non esistono. Sugawara Koushi, età dieci anni, è arrivato a formulare questo assioma mentre guardava il primo film de “Ritorno al futuro”, con le patatine in bocca e le mani unte di olio e sale fin sopra il dorso, vicino alle nocche. Non che gli sarebbe dispiaciuto esserlo o anche solo vederne uno, eppure, da come il film gli aveva insegnato, essere esploratori spazio-temporali comportava non pochi rischi, specie se si finiva coll’incasinare la vita dei genitori prima della propria nascita. E quindi, aveva concluso che quei macchinari fantastici in grado di viaggiare attraverso gli anni non potevano essere costruiti proprio per questo motivo. Di certo, vedersi smontare del tutto la sua teoria all’età di diciassette, due mesi e venti giorni, trovandosi faccia a faccia con un Marty McFly troppo reale e giapponese, è un duro colpo da assorbire. Anzi, a essere sincero, quel ragazzo misterioso dalla corporatura massiccia, dai capelli scuri legati in una sorta di chignon mezzo andato e dalla tuta futuristica non c’entra pressoché nulla con il celebre protagonista del suo film preferito. Tranne il fatto che provenga dal futuro, s’intende.

Azumane Asahi, età venticinque anni, è il più giovane viaggiatore spazio-temporale incaricato di andare in missione otto anni indietro, per uno di quei test imprevedibili e, per fortuna, abbastanza semplici da passare. Per questo, quel venerdì mattina si è recato al laboratorio circa due ore in anticipo, per questo è entrato nel congegno spazio-temporale e per questo si è ritrovato, il venerdì di otto anni prima, a un passo dal naso di Sugawara. L’effetto sorpresa, si potrebbe dire, è riuscito alla perfezione.

Sugawara, nel momento in cui si è volatilizzato lo strano marchingegno, ha fatto un balzo all’indietro e ha perso l’equilibrio quel tanto da farlo cadere a terra per lo stupore – e per la paura, anche se non lo ammetterebbe mai. Subito dopo, il ragazzo è uscito da una porta molto simile a quelle che Koushi ha visto nei film di Star Wars, ma questo ha solo aumentato il panico già impossessatosi delle sue viscere.

Se ad Asahi gli avessero detto che al primo incontro con un ragazzo del passato quest’ultimo si sarebbe messo ad urlare, ci avrebbe ripensato su due volte, prima di lanciarsi all’indietro nel tempo, e forse si sarebbe anche rifiutato. Il problema è che ora è troppo tardi. «Ehi, ehi, no, non urlare, non è successo nulla» agita le braccia, mentre si guarda da una parte all’altra per vedere se ci siano curiosi nei dintorni. Quel parco, da quando lo conosce, è sempre stato mezzo deserto, specie nei giorni feriali, e il fatto di essere apparso davanti gli occhi di una persona che di viaggi nel tempo ne ha sentito parlare solo nei film di fantascienza, lo mette ancor più in agitazione. «Ehi, calmati» prova di nuovo con il tono gentile e rassicurante che usa con i bambini, mettendogli le mani sulle spalle. Ha una voglia frenetica di tappargli la bocca, ma teme di far solo più danni.

Sugawara, fatto un mezzo balzo al tocco del viaggiatore, pare rilassarsi un poco, anche se il mento continua a tremare e la gola a dolergli per lo sforzo. Il ragazzo allenta la presa fino ad annullarla del tutto, poi torna alla navicella e preme un qualche interruttore all’interno che la fa sparire.
«Wow» si lascia sfuggire Koushi, e nota un sottile strato di pelle della faccia del ragazzo farsi di un rosa più intenso. Lo vede grattarsi la nuca, imbarazzato, e far vagare lo sguardo tutt’intorno. «Beh, di certo non è una cosa che si vede tutti i giorni…».
A Sugawara viene da ridere. No, che non è una cosa che vedi quando vai a prendere il treno per andare a scuola o mentre torni dalla spesa, ma non lo ammette ad alta voce. «No, infatti, ah» si limita a rispondergli, e trattenendosi a stento. Il ragazzo lascia cadere il braccio lungo il fianco e fa un mezzo sorriso senza che il rossore svanisca. È buffo, in un certo senso. «Ecco…». Fa un sospiro, e ricomincia a parlare: «Ecco, so che tutto questo può sembrarti strano, e non ti obbligo a crederci se non vuoi. Tanto starò qui per poco, e prima di stasera puoi far finta che non sia successo nulla».
Koshi soppesa le sue parole. È tentato di dirgli che avrebbe fatto così, che avrebbe finto che non fosse successo nulla, eppure sente come se ancora non abbia appreso e rielaborato quello che hanno visto i suoi occhi.
Marty si toglie la tuta ingombrante, sotto a cui vi sono vestiti non troppo diversi da quelli che portano i giovani del suo tempo. «E se ti dicessi che mi piacerebbe saperne di più?». La risposta sorprende non poco il giovane viaggiatore, ma almeno non dice di no. Be’, non subito. «Senti, non voglio sembrare scortese, ma tu neanche dovresti avermi visto. Nel senso, ah…». Sospira di nuovo in un’evidente momento di ansia. «Io sarei dovuto arrivare qui e andarmene, senza essere visto». Si passa una mano sulla fronte, e piega la testa in avanti, come se cercasse di pensare a una qualche soluzione in fretta, senza ottenere alcun risultato. Che poi, passare inosservato in un parco? D’accordo, a quell’ora è mezzo deserto, ma si tratta comunque di un’idea alquanto stupida. «Allora, facciamo così…», Marty solleva la testa e gli si para davanti con tutta la sua stazza da guerriero greco decaduto, «… noi due continuiamo per le nostre strade. Tu non hai visto me e io non ho visto te, e il presente – il tuo presente – non si è modificato. Ci stai?»

Il ragazzo lo guarda come se non abbia capito, in un’espressione immobile. Alla fine dice: «No», e per poco ad Asahi non gli cadono le braccia. Se i suoi superiori lo scoprono, a dir poco lo espellono a calci. Porta di nuovo la mano dietro la nuca, in un tentativo di asciugarsi il sudore freddo che ha iniziato a ricoprirgli la pelle. E adesso? Di portarlo con sé, a consegnare dei documenti a uno sconosciuto senza alterare in modo tragico il futuro non se ne parla, ma non vede nemmeno un’altra scelta. Inspira, e drizza la schiena. «D’accordo, come vuoi, ma non devi assolutamente fare nulla. Chiaro?».
Il ragazzo, se è in quello stato di felicità che capita di provare solo poche volte nella vita, non lo da a vedere. Sorride, totalmente ripresosi dallo spavento iniziale, e si discosta un poco da lui, tornando con i piedi sulla strada. A pensarci, forse si trova in uno di quegli stati di non del tutto coscienza, tipo quando si sta sognando, perché, be’, per essere qualcuno che ha appena visto una roba del genere, l’ha presa abbastanza bene.
Azumane lo segue, non del tutto sicuro che quello che sta facendo sia proprio la cosa giusta, e punta lo sguardo davanti a sé nel tentativo di ignorarlo. Deve concentrarsi sull’obiettivo; come test, di solito affidano incarichi piuttosto semplici con roba di poco conto, in modo tale da evitare l’alterare degli eventi. I destinatari – gran parte delle volte sono delle consegne – sono persone facenti parte di quell’epoca che sono al corrente dei viaggi nel futuro, e fanno perciò da “intermediari”, o roba del genere, ne sa ancora poco. «Allora…» inizia col dire il ragazzo, insicuro ma assai incuriosito, «… com’è il futuro?».
«In che senso?» Asahi è percorso da un brivido d’ansia, poiché dubita di riuscire a eludere le sue domande per il tempo necessario, e teme che, per questo, possa rivelare informazioni importanti. «In senso generale. Tipo, quanto è diverso da qui, se è bello, cose così» spiega l’altro, e si fa vicino, in modo tale da guardarlo quasi negli occhi.
«Il futuro è… normale. Non è poi tanto diverso da qui…». I suoi occhi riprendono a vagare dappertutto meno che meno sul viso dell’interlocutore, e la distanza temporale che li separa diventa il suo chiodo fisso nei pensieri. “Non dirlo, non dirlo”.
«Eh? Vuoi dire che non ci sono quelle macchine volanti che si vedono nei film o gli skate a mezz’aria?»
«No, ci sono solo le macchine del tempo… credo» Azumane aumenta il passo d’istinto, e il ragazzo è costretto a correre per tornargli accanto, leggermente distaccato in avanti. «Capisco». Cala un velo di silenzio surreale tra i due, a cui Asahi stenta a credere. Non che gli dispiaccia, ma con il passare dei minuti si sente un po’ in colpa, temendo di averlo offeso; non è quel tipo di persona che riesce a stare a suo agio con chiunque, ma tenta sempre di essere gentile.
Quindi, con un lieve rossore che gli permea le guance, prova ad attaccar discorso con un banale «Come ti chiami?», per poi pentirsene un poco. Il ragazzo fa una piccola smorfia che si allarga in un sorriso, cosa che fa arrossire Asahi ancor di più. «Mi chiamo Sugawara Koushi. E tu?»
«Azumane Asahi» risponde titubante, riportando lo sguardo sulla strada. Spera davvero di star facendo la cosa giusta.

Il tempo di arrivare davanti ad un piccolo bar e il ghiaccio tra i due si è quasi del tutto sciolto. Koushi nota che Azumane, diversamente da quello che fa pensare il suo aspetto, è piuttosto timido e a tratti impacciato; Asahi, invece, ricompone la figura di Sugawara sotto tutto un altro aspetto, e la cosa lo fa sorridere, una volta arrivato. «Aspettami qui» dice Asahi, ed entra con discrezione. Koushi lo vede arrivare fino in fondo e parlare con un uomo seduto al tavolo, con una tazza fumante davanti a sé. Poco dopo, porge alcuni documenti con un breve cenno del capo. Dopo qualche minuto è di nuovo fuori.
«Sei stato veloce» commenta Sugawara, ma sente crescere dentro di sé un senso di tristezza che nemmeno lui riesce bene a spiegarsi. «Già… te l’ho detto, che non ci sarebbe voluto molto» dice Asahi, e tutto d’un tratto sembra essere tornato nello stato ansioso di prima.
Percorrono la strada a ritroso spiccicando solo poche parole, che risuonano alle loro orecchie un po’ forzate.
«Allora…» dice Sugawara, quando Asahi riapre la strana navicella e si rimette la tuta, «ci rincontreremo di nuovo?»
Non risponde subito. Non vuole ingannarlo facendogli promesse che nemmeno sa se sia in grado di mantenere, perciò opta per una risposta sincera: «Non lo so…». Entra, e prima di partire dice: «Lo spero». Koushi lo vede scomparire così come è venuto.

Se ad Asahi avessero detto che avrebbe incontrato una persona con cui si sarebbe trovato a suo agio come con poche altre e che, suo malgrado, sarebbe stato costretto a lasciarla, non ci sarebbe per nulla salito sulla specie di macchina futuristica. Nel momento in cui un suo superiore lo porta nel suo ufficio e gli presenta la persona con cui avrebbe lavorato nei giorni seguenti, la quale lo saluta con un sorriso dipinto in volto e in bocca un nome udito pronunciare solo pochi minuti prima, si rende conto che no, in realtà incontrare quel ragazzo è stata una delle cose più belle capitategli.
   
 
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