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Autore: ireturner    29/04/2020    0 recensioni
Come vuole la ballata di John Keats, un cavaliere viene avvertito, in sogno, circa la vera natura della donna che ha incontrato nel bosco. Non sa però di essere già caduto nella sua trappola.
“Non da Arcangelo, non da Magio, vengo a dirti: scappa! Scappa!”
[ Questo breve racconto si ispira alla #TheWritingWeek indetta da @fanwriter.it. ]
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La belle dame sans merci


 
Il giglio cresce, pavido, sul limitare del mio sguardo. È l’ultimo scoglio che i miei occhi incontrano, nell’oceano verde che mi attornia: sembra primavera, eppure ho freddo.
 
Mi ha visitato in sogno un condottiero. L’armatura, come la mia. Ma la sua bandiera, oh!, mi era nemica. In sogno ha però voluto parlarmi; io, chissà come, gliel’ho concesso. «Scappa, non siamo dissimili nella morte!», mi ha detto. «E invece non esiste tumulo che sia uguale all’altro», gli ho risposto.
«Attento», mi ha ammonito. «Non crescono fiori da cadaveri ostili».

Io povero, io innamorato, ed io così distratto nel sonno da un condottiero:
«Perché non mi rimetti al mio riposo? È buio, e ci son le stelle. Questa grotta unta di voluttà, se taci, saprà addormentarmi dabbene».
Lui scosse il capo. «Tu non capisci», e mi diede le spalle. «Tu non vuoi capire!», e mi diede anche la nuca.

T’insegnano, dal principio, come sgozzare un uomo. Se non ti vede, se non t’avverte, ecco allora che quello è il tuo momento di gloria. Il nemico mi aveva dato spalle e nuca: cercai dunque la spada, per porre onore ai miei doveri, ma non la trovai coricata nel fodero. Cercai lo scudo, e d’un tratto fui nudo. Il condottiero, col suo mantello, piangeva il mio fato.
«Volevi uccidermi! Ma sono già morto! Non da Arcangelo, non da Magio, vengo a dirti: scappa! Scappa! O lo stesso accadrà a te!» Sbraitava e poi disperava, e poi ancora tutto assieme.
«Che piangi, tu non sei forse cadavere ostile?», gli urlai. Come scacciamo la compassione, se non richiesta! Come poco ci dimora nel cuore, se non compresa…
«Tu non capisci davvero, allora! Hai baciato la stessa bocca che ho baciato io, ieri, e oggi ne sei schiavo, e domani ne sarai morto! E ti pentirai, soldato! D’aver gettato la tua giovinezza nel collo di una donna! Non lo vedi l’inganno? Lei non ti seduceva, lei ti soggiogava! Ed io provo a salvarti! Ed io vedo solo fiori secchi, nella collina! Ed io avrei voluto non essere ostile… Il giorno prima della mia fine, ho ricevuto lo stesso sogno tuo! Sii assennato, non come me, e dammi retta! Scappa! Scappa! Non indugiare nel suo profumo! Scappa, te ne prego!»

Così avevo deposto la giustizia della mia patria: non volevo sgozzare il nemico, ma ringraziarlo. Il condottiero mi aveva salvato, capii! Scalpitai via dal sogno, tratto alla vita. L’alito del morto mi aveva resuscitato! Quella primavera, a pieni polmoni l’avrei inspirata! E quella donna? Un ultimo bacio d’addio, e nulla poi più.


 



 
Scappa, scappa, mi aveva detto d’urgenza il condottiero. Ma la mattina pallida mi grava sul petto come un macigno d’oro. Provo a sollevarmi sulle gambe, e qualcosa mi trattiene a terra. Né arti né armi posso muovere: solo il mio sguardo può navigare, e solo quei gigli posso vedere, sulla collina. Oh, condottiero, se non avevi ragione! È stato però crudele darmi un sorso di libertà, per poi privarmi del calice! Ero già morto! Ero già morto! E sono già morto, già soggiogato. Sempre stato morto, sempre soggiogato! Tu hai detto che ero schiavo di quella donna, ma la vera schiavitù sta nella speranza. Tu mi hai illuso, nemico mio, del più dolce abbaglio.
 
La corazza si adombra alla presenza della fata. Non brilla più, sotto il sole senile, placcata dalla chioma distesa di lei. Il labbro le vien mosso da nuove parole. Ma la sua strana lingua io non la capisco. Udivo bene il discorso del nemico, la notte, come fosse fratello mio. La bella dama, invece, non la voglio ascoltare. Guardo i gigli, imperterrito, e li conto e li invoco. Ad uno ad uno darò loro un nome. Il condottiero, il re, il gendarme e il cavaliere. Chi qui è caduto, prego che lì rinasca, nei petali di un fiore. Nessuno di noi è mai stato cadavere infertile od ostile. Che dai nostri sogni sgorghi la pioggia che li innaffia, e che i nostri vermi ne solidifichino le radici…! Mentre noi ci restituiamo al cielo, loro ereditano la terra. Ma ora capisco. Non è la menzogna di una donna o quella della speranza, la vera schiavitù. La vera schiavitù è mancanza di pietà! E noi, noi e noi fiori, non saremo mai sans merci.
A lidi migliori, mio condottiero, mio nemico, mio Arcangelo e mio Magio, mio vero salvatore.
Ci incontreremo altrove, e berremo ancora dallo stesso calice.
   
 
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